garanzia per i vizi

Garanzia per i vizi Garanzia per i vizi della cosa venduta: definizione, normativa civilistica, effetti e termini per denuncia e azione

Garanzia per i vizi della cosa venduta: cos’è

Il codice civile italiano stabilisce una garanzia per vizi come obbligo fondamentale del venditore nel contratto di compravendita. Questa garanzia tutela il compratore nel caso in cui il bene acquistato presenti difetti che lo rendano inidoneo all’uso cui è destinato o ne diminuiscano il valore.

Garanzia per i vizi: art. 1490 c.c.

L’articolo 1490 del Codice Civile sancisce infatti che il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi. Questi vizi possono essere di due tipi:

  • quelli che impediscono al bene di essere utilizzabile per lo scopo previsto;
  • quelli che, pur non compromettendone l’uso, ne riducono in maniera apprezzabile il valore.

La legge presume che un bene sia idoneo all’uso normale per cui è stato progettato. La presenza di difetti, anche non evidenti, rende il venditore inadempiente. La garanzia si basa sull’idea che il compratore ha diritto a ricevere un bene che rispetti le sue aspettative economiche e funzionali.

Garanzia e malafede del venditore

In alcune circostanze la garanzia può essere limitata o esclusa, con particolari eccezioni. L’articolo 1490, al comma 2, sancisce che un eventuale accordo finalizzato a escludere o a limitare la garanzia non ha effetto qualora il venditore abbia agito in malafede, cioè abbia intenzionalmente nascosto i vizi al compratore. La malafede, in questo contesto, richiede la prova che il venditore fosse a conoscenza dei difetti e li abbia taciuti. La semplice negligenza o l’ignoranza dovuta a disattenzione non sono sufficienti per annullare il patto di esclusione.

Casi di esclusione della garanzia

L’articolo 1491 del Codice civile specifica invece che la garanzia non è dovuta se, nel momento in cui le parti hanno stipulato il contratto, il compratore era già a conoscenza dei vizi o se, in ogni caso, erano facilmente riconoscibili con la normale diligenza, a meno che il venditore abbia specificamente dichiarato che il bene era esente da vizi.

Garanzia per i vizi: effetti

Se la garanzia è dovuta, l’articolo 1492 offre al compratore due opzioni principali.

  • Risoluzione del contratto (azione redibitoria): il compratore può richiedere cioè l’annullamento della vendita. In questo caso, come stabilito dall’articolo 1493, il venditore è tenuto a restituire il prezzo e a rimborsare tutte le spese legittimamente sostenute per l’acquisto (es. spese notarili, di registrazione). Il compratore, a sua volta, deve restituire il bene, a meno che non sia perito a causa dei vizi stessi. Se il bene è perito per caso fortuito o per colpa del compratore, o se è stato da lui alienato o trasformato, la risoluzione non è più possibile. In questi casi il compratore può chiedere solo la riduzione del prezzo.
  • Riduzione del prezzo (azione estimatoria o quanti minoris): il compratore può chiedere una riduzione del prezzo pagato, in modo da adeguarlo al valore reale del bene viziato.

La scelta tra risoluzione e riduzione è irrevocabile una volta che viene fatta la domanda giudiziale.

Risarcimento del danno

L’articolo 1494 prevede inoltre che il venditore è tenuto in ogni casoal risarcimento del danno, a meno che non riesca a dimostrare di aver ignorato i vizi senza sua colpa. Il venditore deve inoltre risarcire i danni che i vizi hanno causato al compratore o a terzi (es. lesioni personali o danni a beni).

Termini per  la denuncia dei vizi e per l’azione 

L’articolo 1495 sancisce precisi oneri procedurali per il compratore. Questi deve denunciare i vizi al venditore entro un termine di otto giorni dalla loro scoperta, a meno che non sia previsto un termine diverso per contratto o per legge. La mancata denuncia entro questo termine comporta la decadenza del diritto alla garanzia. Questo onere non è necessario se il venditore ha riconosciuto l’esistenza del vizio o lo ha intenzionalmente nascosto. L’azione legale per far valere la garanzia invece si prescrive in un anno dalla consegna del bene. Un’eccezione a questo termine di prescrizione si ha quando il compratore viene citato in giudizio per l’esecuzione del contratto: in tal caso, può eccepire la garanzia, a condizione che i vizi siano stati denunciati entro otto giorni dalla scoperta e prima dello scadere dell’anno.

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negozio di accertamento

Negozio di accertamento: cos’è, requisiti, normativa Cos’è il negozio di accertamento, quando è ammesso, quali requisiti deve avere e come si distingue dagli altri negozi, esempi e riferimenti normativi

Cos’è il negozio di accertamento

Il negozio di accertamento è una figura atipica del diritto civile, non espressamente disciplinata nel Codice Civile, attraverso cui le parti accertano l’esistenza o l’insussistenza di un rapporto giuridico preesistente, senza creare, modificare o estinguere diritti, ma solo stabilizzando una situazione giuridica controversa o incerta.

Il suo obiettivo è quindi di rimuovere l’incertezza giuridica con un atto vincolante, che rende il rapporto accertato inattaccabile da parte delle stesse parti.

Natura e funzione

Il negozio di accertamento ha funzione dichiarativa, non dispositiva. Le parti si limitano a riconoscere e dichiarare una realtà giuridica preesistente, producendo effetti vincolanti sul piano dell’autonomia privata.

A differenza del contratto tipico, questo negozio non ha per oggetto prestazioni o trasferimenti patrimoniali, ma si configura come uno strumento di stabilizzazione giuridica utile a prevenire o evitare liti.

Normativa di riferimento e inquadramento giuridico

Il nostro ordinamento non prevede una disciplina codificata per questo negozio, che viene riconosciuto in via interpretativa e giurisprudenziale come legittima espressione dell’autonomia privata (art. 1322 c.c.).

In base all’art. 1322 c.c., comma 2, i privati possono concludere contratti atipici purché siano meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico, e questo negozio rientra tra questi, se risponde a una finalità di certezza e stabilità del diritto.

Esempi di negozio di accertamento

1. Negozio ricognitivo tra coniugi

Due coniugi separati sottoscrivono un documento in cui accertano che una determinata somma già versata costituisce saldo e stralcio degli obblighi patrimoniali reciproci. Non creano nuovi diritti, ma accertano quanto già esistente.

2. Accordo fra eredi

Gli eredi di un defunto si accordano per riconoscere la quota ereditaria spettante a ciascuno sulla base di testamenti e atti preesistenti, senza modificarne i contenuti.

3. Dichiarazione tra soci

Due soci si accordano per accertare l’entità delle rispettive quote sociali in base agli apporti già effettuati, senza dar luogo a trasferimenti o modifiche societarie.

Differenze rispetto ad altri negozi

Negozio di accertamento vs. contratto

Il contratto produce effetti modificativi (costituisce, estingue, trasferisce diritti), mentre il negozio di accertamento si limita a riconoscere uno stato giuridico già esistente.

Negozio di accertamento vs. transazione

Nella transazione (art. 1965 c.c.) le parti rinunciano reciprocamente a diritti incerti per evitare una lite o porvi fine. Il negozio di accertamento, invece, non comporta rinunce o concessioni, ma solo una dichiarazione condivisa di certezza.

Requisiti e limiti di ammissibilità del negozio di accertamento

Per essere valido, il negozio di accertamento deve rispettare alcuni requisiti impliciti:

  • autonomia delle parti: i soggetti devono essere titolari del rapporto giuridico da accertare;
  • certezza dell’oggetto: l’oggetto dell’accertamento deve essere determinato e determinabile;
  • corrispondenza con la realtà giuridica: le dichiarazioni non possono falsare il contenuto del rapporto;
  • meritevolezza: deve perseguire una funzione giuridica lecita e tutelabile.

Il negozio non può avere ad oggetto diritti indisponibili (es. status personale, ordine pubblico) e non può essere utilizzato per eludere norme imperative.

Giurisprudenza di rilievo

Cassazione n. 14618/2012: Il negozio di accertamento è finalizzato a eliminare l’incertezza su una situazione giuridica preesistente, rendendola definitiva e vincolante. Non ha la funzione di creare o trasferire nuovi diritti, ma presuppone l’esistenza di un rapporto giuridico precedente. L’obiettivo principale del negozio di accertamento è quindi quello di rendere certa una situazione giuridica precedentemente incerta. Questo significa che le parti concordano su come interpretare o riconoscere un rapporto già esistente, senza modificarlo o crearne uno nuovo. Un negozio di accertamento può essere considerato nullo per mancanza di causa solo in due casi: quando le parti hanno erroneamente o volutamente accertato una situazione che in realtà non esiste affatto; quando la situazione preesistente esisteva, ma era già certa e quindi non c’era alcuna incertezza da eliminare.

Cassazione n. 13014/2025: “non è mai da ritenersi idoneo un negozio di mero accertamento, il quale può eliminare incertezze sulla situazione giuridica, ma non sostituire il Corte di Cassazione – copia non ufficiale 8 di 10 titolo costitutivo, essendo necessario, invece, un contratto con forma scritta dal quale risulti la volontà attuale delle parti di determinare l’effetto traslativo, sicché è pure irrilevante che una delle parti, anche in forma scritta, faccia riferimento ad un precedente rapporto qualora questo non sia documentato (Cass. Sez. 2, 11/04/2016, n. 7055; Cass. Sez. 3, 18/06/2003, n. 9687). Ciò significa che, già in astratto, un negozio di accertamento non può rilevare come titolo traslativo contrario all’operatività della presunzione di Condominio ex art. 1117 c.c.”

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vendita all'incanto o all'asta

Vendita all’incanto o all’asta Vendita all’incanto o all’asta: cos'è, come funziona e applicazione nella vendita dei beni mobili e immobili

Vendita all’incanto o all’asta: cos’è?

La vendita all’incanto o all’asta è quella in cui i partecipanti presentano le proprie offerte in modo competitivo. Questo procedimento può avvenire in diverse modalità:

  • fisicamente in un’aula di tribunale,
  • presso lo studio del delegato alla vendita o in una sala d’aste,
  • virtualmente su piattaforme dedicate.

L’incanto, quindi, definisce il procedimento competitivo tipico di questo tipo di asta, distinguendola da altre forme di vendita giudiziaria.

Vendita all’incanto o all’asta e vendita senza incanto: differenze

Nell’asta con incanto, i partecipanti sono coinvolti in una competizione in tempo reale, personalmente o in modalità online, per aggiudicarsi un bene. Un banditore gestisce le offerte, che devono superare la precedente, e l’aggiudicazione avviene quando non ci sono più rilanci.

Nell’asta senza incanto invece, i partecipanti presentano le rispettive offerte in una busta chiusa o in formato telematico. Questa procedura è più formale e mira alla massima trasparenza. Il modulo di partecipazione richiede una serie di informazioni obbligatorie. A questo è necessario allegare una copia del documento d’identità e un assegno circolare per il pagamento della cauzione.

Le offerte possono essere anche inferiori al prezzo base, ma non meno di una certa percentuale. Dopo la scadenza del termine per la presentazione, le buste vengono aperte. Se c’è una sola offerta, il proponente si aggiudica il bene. Se le offerte sono più di una, si apre una vera e propria gara tra gli offerenti, a partire dall’offerta più alta. In questo caso, i rilanci avvengono in modo competitivo, simile a un’asta con incanto, e l’aggiudicazione va al miglior offerente. Questa modalità è oggi la più comune nei tribunali per la vendita di beni pignorati.

Espropriazione e vendita all’asta o all’incanto

La vendita all’incanto, disciplina dal codice di procedura civile, presenta regole specifiche a seconda che oggetto dell’espropriazione sia un bene mobile o un bene immobile del debitore.

Vendita di beni mobili

In una vendita giudiziaria con pubblici incanti di beni mobili il giudice dell’esecuzione stabilisce le modalità della vendita (giorno, ora e luogo) e ne affida lo svolgimento a un professionista delegato (cancelliere, ufficiale giudiziario, notaio, avvocato o commercialista).

Il prezzo base dell’incanto viene stabilito in base al valore di mercato (se esiste un listino ufficiale) o, in assenza di questo, viene fissato dal giudice, che può anche avvalersi di uno stimatore. In alternativa, in casi specifici, il giudice può autorizzare la vendita al miglior offerente senza un prezzo minimo.

Durante l’incanto, i beni possono essere offerti singolarmente o a lotti. L’aggiudicazione avviene in favore di chi offre di più quando non vengono presentate offerte superiori dopo due richiami del prezzo raggiunto.

Se un bene rimane invenduto, viene fissato un nuovo incanto con un prezzo base inferiore di un quinto rispetto al precedente.

Vendita di beni immobili

La procedura dell’incanto relativa i beni immobili si svolge in aula davanti al giudice dell’esecuzione. Le offerte sono considerate valide solo se superano il prezzo base o l’offerta precedente sin base alle condizioni stabilite. L’immobile viene aggiudicato all’ultimo offerente se, dopo tre minuti, non ci sono offerte superiori. Ciascun offerente non è più vincolato dalla sua offerta se viene superata da un’altra.

Entro il termine di dieci giorni dall’incanto, è possibile presentare offerte in aumento: Queste però devono superare di almeno un quinto il prezzo di aggiudicazione. In questo caso, il giudice indice una nuova gara tra l’aggiudicatario e i nuovi offerenti. Se nessuno di questi ultimi si presenta alla gara, l’aggiudicazione iniziale diventa definitiva e gli offerenti inadempienti perdono la cauzione.

L’aggiudicatario ha un termine per versare il prezzo stabilito.

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vendita con patto di riscatto

Vendita con patto di riscatto Vendita con patto di riscatto: cos’è, ratio del patto, caratteristiche, termini e modalità del riscatto, effetti

Cos’è la vendita con patto di riscatto

La vendita con patto di riscatto è un tipo di contratto di compravendita, disciplinato dall’articolo 1500 e seguenti del Codice civile, che concede al venditore la possibilità di riacquistare la proprietà del bene venduto. Questo diritto potestativo di riscatto, che consente al venditore di esercitarlo unilateralmente senza il consenso del compratore, è una condizione risolutiva che fa retroagire gli effetti della vendita. In altre parole, una volta esercitato il riscatto, la vendita si considera come mai avvenuta e il bene torna nel patrimonio del venditore.

Caratteristiche e finalità del patto

Il patto di riscatto risponde all’esigenza del venditore di alienare un bene per necessità economiche urgenti, con la speranza di poterlo riavere una volta superata la difficoltà. Per legge il prezzo da restituire al compratore non può essere superiore a quello pattuito inizialmente. Un patto che preveda un prezzo superiore è nullo per l’eccedenza, a tutela del venditore che si trova in una posizione di debolezza. Questa clausola ha lo scopo specifico di evitare che il compratore possa approfittare dello stato di bisogno dell’alienante.

Termini per il riscatto

Il diritto di riscatto non può essere esercitato indefinitamente. La legge fissa dei termini perentori e non prorogabili: due anni per i beni mobili e cinque anni per i beni immobili. Se le parti stabiliscono un termine maggiore, questo viene automaticamente ridotto al limite legale.

Modalità di esercizio del riscatto

Per esercitare il riscatto, il venditore deve rispettare due condizioni fondamentali:

– entro il termine stabilito, deve comunicare al compratore la sua intenzione di riscattare il bene. Per i beni immobili, questa dichiarazione deve essere fatta in forma scritta a pena di nullità;

deve restituire al compratore il prezzo di vendita, oltre a rimborsare le spese sostenute per la vendita (come l’atto notarile e le tasse), per le riparazioni necessarie e quelle che hanno aumentato il valore del bene (fino all’importo dell’aumento). In caso di rifiuto del compratore a ricevere il pagamento, il venditore ha otto giorni per fare un’offerta reale altrimenti decade dal suo diritto.

Vendita con patto di riscatto: effetti del riscatto

Una volta che il venditore esercita il diritto di riscatto, la vendita viene annullata con effetto retroattivo. Di conseguenza:

il venditore può riavere il bene anche da eventuali acquirenti successivi. Questa opponibilità è possibile solo se il patto di riscatto è stato reso noto ai terzi con mezzi idonei per legge, come la trascrizione per i beni immobili e la data certa per i beni mobili. Se il venditore non è a conoscenza dell’alienazione a un terzo, può comunque esercitare il riscatto nei confronti del primo acquirente;

– il venditore riacquista la proprietà del bene libera da ipoteche e altri pesi costituiti dal compratore. Fanno eccezione le locazioni fatte in buona fede, che il venditore è tenuto a rispettare se hanno data certa e una durata non superiore a tre anni.

Vendita con patto di riscatto con più venditori o più compratori

Il Codice Civile disciplina anche la vendita con patto di riscatto in cui vi siano più soggetti coinvolti:

  • riscatto di parte indivisa (art. 1506 c.c);
  • vendita congiuntiva di cosa indivisa (art. 1507 c.c.);
  • vendita separata di cosa indivisa (art. 1508 c.c.);
  • riscatto contro gli eredi del compratore (art. 1509 c.c.).

Figure similari alla vendita con patto di riscatto

È importante infine, per evitare di fare confusione, distinguere il patto di riscatto da altre figure similari.

Patto di retrovendita: a differenza del patto di riscatto, che ha natura reale e risolve la vendita automaticamente, il patto di retrovendita ha natura obbligatoria. Esso implica l’obbligo, per l’acquirente, di rivendere il bene all’alienante tramite un nuovo contratto entro un tempo determinato.

“In diem addictio”: questa clausola stabilisce invece che la vendita si risolve se il venditore trova, entro un certo termine, un nuovo compratore che offre condizioni migliori.

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errore di fatto

Errore di fatto ed errore di diritto Errore di fatto ed errore di diritto: cosa sono, disciplina del codice civile, effetti sul contratto, conservazione e giurisprudenza

L’errore in diritto civile: definizione

Prima di procedere all’analisi dell’errore di fatto e l’errore di diritto è necessario premettere che in diritto civile, l’errore è un vizio del consenso che può provocare l’annullamento del contratto. In questo modo il soggetto che ha espresso la volontà “viziata” viene tutelato. Lo prevede l’articolo 1427 del Codice civile. In base a questa norma infatti il contraente che ha dato il consenso per errore, può chiedere l’annullamento del contratto.

Errore vizio ed errore ostativo

Esistono due tipi di errore: l’errore vizio e l’errore ostativo.

  • L’errore vizio incide sulla formazione della volontà. Chi stipula il contratto ha cioè una falsa rappresentazione della realtà.
  • L’errore ostativo, invece, non riguarda la volontà, che si è formata correttamente, ma si verifica nel momento della sua dichiarazione o trasmissione.

Sebbene i due tipi di errore abbiano origini diverse, la legge li tratta allo stesso modo, stabilendo che entrambi possano portare all’annullamento del contratto, sempre che siano essenziali e riconoscibili.

Riconoscibilità ed essenzialità 

A prescindere dalla sua natura, infatti, affinché l’errore possa provocare l’annullamento del contratto, deve essere essenziale e riconoscibile dall’altra parte, come stabilito dall’articolo 1428 del Codice Civile.

  • L’essenzialità si ha quando l’errore è così determinante da spingere una persona a concludere un contratto che altrimenti non avrebbe stipulato.
  • La riconoscibilità sussiste quando, in base a circostanze specifiche del contratto o alla qualità dei contraenti, una persona di normale diligenza avrebbe potuto accorgersi dell’errore.

Errore di fatto ed errore di diritto

L’errore vizio si distingue a sua volta in errore di fatto ed errore di diritto.

Errore di fatto

L’errore di fatto si ha quando la falsa rappresentazione della realtà riguarda una circostanza materiale o concreta. L’articolo 1429 del Codice Civile elenca i casi in cui un errore di fatto è considerato essenziale, ossia quando lo stesso ricade:

  • sulla natura o sull’oggetto del contratto: credere di stipulare un contratto di locazione quando invece si tratta di un usufrutto;
  • sull’identità o sulle qualità dell’oggetto del contratto: acquistare un terreno credendo che sia edificabile quando in realtà è agricolo;
  • sull’identità o sulle qualità della persona dell’altro contraente: questo è particolarmente importante nei contratti cosiddetti intuitu personae, dove la persona del contraente è fondamentale per la conclusione del contratto.

Errore di diritto

L’errore di diritto invece si ha quando la falsa rappresentazione riguarda una norma giuridica. L’errore di diritto può essere causa di annullamento del contratto solo quando è stata la ragione unica o principale del consenso. Ciò significa che la parte non avrebbe stipulato il contratto se avesse avuto una corretta conoscenza della norma.

Conservazione del contratto

Un aspetto importante della disciplina dell’errore è la possibilità di conservare il contratto rettificato, anche in presenza di un errore. L’articolo 1432 del Codice Civile stabilisce infatti che la parte in errore non possa chiedere l’annullamento del contratto se, prima che le derivi un pregiudizio, l’altra parte si offre di eseguirlo in modo conforme a ciò che la parte in errore intendeva stipulare. Questa disposizione mira a salvaguardare il contratto, in linea con il principio di conservazione del contratto, e di tutela della buona fede contrattuale.

Errore di fatto ed errore di diritto: Cassazione

La Corte di Cassazione ha affrontato il tema dell’errore come vizio del consenso in ambito contrattuale in numerosissime sentenze. Vediamone alcune.

Cassazione n. 2622/2021: per poter annullare un contratto, l’errore deve aver viziato la formazione della volontà del contraente. L’onere della prova di tale vizio spetta a chi lo deduce.

Cassazione n. 20321/2019: riguarda l’errore nella determinazione del canone di locazione per un immobile non abitativo. Per contestare il pagamento è necessario agire per l’annullamento del contratto, dimostrando che l’errore ha viziato il consenso fin dall’inizio.

Cassazione n. 27916/2017: se le parti hanno stipulato un contratto di compravendita ignorando che il terreno non fosse edificabile, si rientra nell’ errore di fatto e il contratto può essere annullato.

 

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newsletter

Newsletter senza consenso? Scatta la multa La Cassazione conferma: inviare newsletter commerciali senza consenso viola il Codice Privacy. Una piccola internet company sanzionata con 10mila euro

Invio di newsletter non autorizzate

Con l’ordinanza n. 15881/2025, la Corte di Cassazione ha confermato la sanzione di 10mila euro inflitta a una società digitale per invio illecito di comunicazioni promozionali. L’azienda, titolare di un sito di comparazione, aveva iscritto automaticamente i propri utenti a una newsletter periodica, senza aver raccolto un consenso esplicito ai sensi dell’art. 23 del Codice Privacy (d.lgs. 196/2003).

Differenza tra vendita diretta e semplice registrazione

Il titolare del trattamento può inviare email promozionali senza nuovo consenso solo se le coordinate email sono state acquisite in fase di vendita diretta di prodotti o servizi propri, e l’interessato non si sia opposto. Tuttavia, nel caso di specie, l’utente si era solo registrato alla piattaforma, senza acquistare alcun servizio. Inoltre, il sito operava come aggregatore di offerte di terzi, non come venditore diretto.

Il principio stabilito dalla Cassazione

Secondo la Suprema Corte, l’uso dell’indirizzo email in questi casi richiede sempre il consenso preventivo e specifico dell’utente. Il mancato rispetto di tale obbligo costituisce un trattamento illecito dei dati personali, sanzionabile dal Garante Privacy anche in assenza di danno concreto.

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Spese processuali

Spese processuali: niente compensazione se la giurisprudenza è chiara La Cassazione ribadisce: non si possono compensare le spese processuali se l’incertezza giurisprudenziale è già stata risolta da tempo. Accolto il ricorso di un cittadino contro la Regione Lazio

Stop alla compensazione automatica delle spese

Spese processuali: con l’ordinanza n. 21421/2025, la Corte di Cassazione ha chiarito che non può essere giustificata la compensazione delle spese di lite se al momento dell’introduzione del giudizio la questione giuridica era stata definitivamente risolta dalla giurisprudenza, in particolare dalle Sezioni Unite.

Il caso

Il giudizio trae origine da una controversia tra un cittadino e la Regione Lazio in materia di tasse automobilistiche, per importi superiori a 4.000 euro. Il contribuente aveva ottenuto l’annullamento dell’estratto di ruolo davanti alla Commissione tributaria provinciale (C.T.P.) di Roma, ma le spese processuali erano state compensate.

Tale decisione è stata confermata anche dalla Commissione tributaria regionale, che ha giustificato la compensazione sulla base dell’art. 15 del d.lgs. n. 546/1992, ritenendo sussistenti “gravi ed eccezionali ragioni” derivanti dall’oscillante orientamento giurisprudenziale e dalla successiva modifica legislativa dell’art. 3-bis del d.l. n. 146/2021.

Il ricorso e la posizione della Cassazione

Il contribuente ha impugnato la decisione ritenendo infondata l’argomentazione sull’incertezza giurisprudenziale, poiché già tre anni prima dell’inizio del giudizio era intervenuta una sentenza delle Sezioni Unite (n. 20425/2017) che aveva risolto definitivamente la questione.

La Sezione tributaria della Cassazione, richiamando anche il precedente n. 6901/2025, ha accolto il ricorso. Ha ritenuto erroneo il richiamo all’incertezza interpretativa, affermando che essa può giustificare la compensazione solo se esistente al momento dell’introduzione della causa.

Nessuna compensazione per incertezze superate

Secondo la Suprema Corte, non è legittimo richiamare un orientamento oscillante quando la giurisprudenza si è già consolidata, e in particolare quando una sentenza delle Sezioni Unite ha chiarito la questione in modo definitivo.

In tal caso, l’interpretazione della C.T.R., che ha ritenuto sussistente una causa eccezionale di compensazione, viola l’art. 15 del d.lgs. 546/1992, in quanto non si può derogare al principio di soccombenza sulla base di un’incertezza che non esiste più al momento della lite.

Novità legislative non rilevanti ai fini della compensazione

La Corte ha infine escluso che l’introduzione di norme sopravvenute, come l’art. 3-bis del d.l. 146/2021, possa costituire fondamento per la compensazione. Una modifica legislativa posteriore alla causa, infatti, non incide sulla valutazione della condotta processuale delle parti, né può essere considerata incertezza giurisprudenziale, trattandosi di volontà del legislatore e non del giudice.

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negozio giuridico

Negozio giuridico: cos’è, differenze, elementi e vizi Cos'è il negozio giuridico, in cosa si differenzia da contratto e atto giuridico, quali sono i suoi elementi e le conseguenze dei vizi

Cos’è il negozio giuridico

Il negozio giuridico è una manifestazione di volontà diretta a produrre effetti giuridici, riconosciuti e disciplinati dall’ordinamento. Si tratta di un atto umano consapevole e volontario, con cui il soggetto si propone di costituire, modificare o estinguere situazioni giuridiche soggettive.

L’ordinamento giuridico attribuisce efficacia normativa a tale manifestazione, purché conforme a determinati requisiti formali e sostanziali. I negozi giuridici possono essere unilaterali (come il testamento), bilaterali o plurilaterali (come i contratti).

Differenza con il contratto

Il contratto è una specie del genere “negozio giuridico”. In altre parole, ogni contratto è un negozio giuridico, non viceversa.

  • Il contratto implica un accordo tra due o più parti, come previsto dall’art. 1321 c.c., per produrre effetti giuridici (es. compravendita, locazione, appalto).
  • Il negozio giuridico, invece, include anche atti unilaterali o non negoziati, come la revoca di un mandato, l’accettazione di un’eredità o la disdetta.

La differenza sta quindi nella struttura: il contratto richiede il consenso reciproco, mentre il negozio può basarsi anche su una sola volontà.

Differenza con l’atto giuridico  

L’atto giuridico è un concetto più ampio e si riferisce a qualsiasi comportamento umano che produca effetti giuridici, sia esso volontario o meno. L’effetto giuridico non dipende dalla volontà dell’autore, ma è previsto direttamente dalla legge.

  • Un esempio di atto giuridico non negoziale è la denuncia di sinistro o il compimento di un atto illecito (es. diffamazione).
  • Il negozio giuridico, invece, ha effetti voluti e finalizzati dal soggetto che lo compie (es. donazione, testamento).

In sintesi, ogni negozio giuridico è un atto giuridico, ma non viceversa.

Gli elementi essenziali e accidentali

Perché un negozio giuridico sia valido, deve contenere determinati elementi essenziali (ex art. 1325 c.c., per i contratti), e può contenere elementi accidentali.

Elementi essenziali:

  1. la volontà delle parti, che deve essere libera, consapevole, espressa validamente;
  2. la causa, ossia la funzione economico-sociale che giustifica l’atto;
  3. l’oggetto, che deve essere possibile, lecito, determinato o determinabile;
  4. la forma, se richiesta a pena di nullità dalla legge (es. forma scritta per la donazione).

Elementi accidentali (facoltativi):

  • la condizione, che consiste in un evento futuro e incerto da cui dipende l’efficacia del negozio;
  • il termine, ossia un evento certo nel tempo;
  • il modo, che si traduce in un obbligo accessorio imposto al beneficiario.

I vizi del negozio giuridico

Un negozio giuridico può essere invalidato quando presenta vizi della volontà o vizi che compiscono i suoi elementi essenziali.

Le conseguenze dei vizi sono:

  • la nullità: quando manca un elemento essenziale (es. oggetto illecito, causa illecita, forma mancante ove prevista). Il negozio è inefficace ab origine;
  • l’annullabilità: quando esiste un vizio nella volontà (es. errore, violenza, dolo – art. 1427 c.c.). Il negozio è efficace finché non viene annullato;
  • l’inefficacia: può derivare da cause diverse (es. condizione sospensiva non avverata, difetto di rappresentanza).

 

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Rito camerale

Rito camerale civile Rito camerale: cos’è, competenza, contenuto del ricorso, ruolo del giudice, decreto motivato,  reclamabilità, efficacia, modifica e revoca

Rito camerale: cos’è

Il rito camerale o in camera di consiglio, è un procedimento snello e informale, spesso utilizzato per questioni che richiedono una decisione rapida o riguardano lo stato delle persone, la famiglia o la gestione di patrimoni.  In alcuni casi, nel procedimento è coinvolto anche il Pubblico Ministero, in altri il giudice, prima di decidere, deve acquisire il parere di altri organi.

Normativa di riferimento

Il rito camerale o procedimento in camera di consiglio è disciplinato dagli articoli 737 – 742 bis c.p.c, norma di chiusura che individua negli articoli che la procedono, la disciplina di carattere generale applicabile ai procedimenti in camera di consiglio.

Rito camerale: competenza

Per quanto riguarda la competenza, nel rito camerale è necessario verificare di volta in volta la materia specifica e il territorio. Se il giudice competente per territorio non è espressamente indicato, per regola generale è necessario riferirsi al giudice del luogo di domicilio o residenza della persona nel cui interesse viene emesso il provvedimento, se questa informazione manca si prende come riferimento la residenza del ricorrente. Di solito, la competenza spetta al Tribunale ordinario o al Tribunale per i minorenni, ma esistono anche casi in cui la decisione è demandata al Giudice di Pace o al Presidente del Tribunale.

Avvio del rito camerale con ricorso

Generalmente, un procedimento in camera di consiglio si avvia su ricorso di soggetti specifici indicati dalla legge, o da chiunque sia direttamente o indirettamente interessato dagli effetti del provvedimento. Ci sono però eccezioni importanti: in alcuni casi specifici è il giudice stesso a promuovere il procedimento d’ufficio.

Contenuto del ricorso

Il ricorso, che rappresenta la domanda iniziale, deve esporre in modo sintetico, ma chiaro i fatti e le ragioni della richiesta. Una volta depositato presso la cancelleria del giudice competente, il ricorso va notificato solo se coinvolge gli interessi di soggetti diversi dal ricorrente.

Giudice del rito camerale: ruolo e funzioni

Nel rito camerale, non c’è un giudice istruttore, ma un giudice relatore, che ha il compito di istruire la causa, potendo anche ascoltare gli interessati. Sulla gestione delle prove e degli elementi istruttori, ci sono diverse interpretazioni: alcuni ritengono che il giudice relatore sia l’unico delegato al compimento dei mezzi istruttori, mentre altri sostengono che sia l’intero collegio (il gruppo di giudici) a dover decidere e assumere le prove, con il relatore che si limita a esporre la questione.

Decreto motivato: il reclamo

Il procedimento camerale si conclude solitamente con un decreto motivato.

I decreti possono essere contestati tramite reclamo al Tribunale in composizione collegiale, che a sua volta decide in camera di consiglio. Se il decreto è del Tribunale di primo grado in camera di consiglio, il reclamo deve essere proposto alla Corte d’Appello.

Soggetti legittimati a proporre reclamo

I soggetti legittimati a proporre reclamo sono le parti coinvolte nel giudizio di primo grado, chiunque subisca un pregiudizio diretto o indiretto dal provvedimento e il Pubblico Ministero. Non può invece proporre reclamo chi ha ottenuto un provvedimento conforme alla propria richiesta.

Termini per il reclamo

Il termine perentorio per presentare il ricorso di reclamo è di dieci giorni. Questo termine decorre dalla comunicazione del decreto da parte della cancelleria se il provvedimento riguarda una sola parte, o dalla notifica se coinvolge più parti.

Efficacia del decreto

Il decreto che viene emesso alla fine del rito camerale diventa efficace quando:

  • scadono i termini per il reclamo e questo non è stato presentato;
  • il reclamo viene rigettato o dichiarato inammissibile;
  • le parti accettano il provvedimento.

In situazioni di urgenza, il giudice che ha emesso il decreto può attribuirgli un’efficacia immediata. Il giudice chiamato a decidere sul reclamo, invece, può sospendere l’efficacia del decreto impugnato.

Decreto: modifica e revoca

Una caratteristica fondamentale dei decreti camerali è la loro modificabilità e revocabilità in ogni tempo, anche dopo che sono diventati efficaci. Questo significa che non acquisiscono mai la stabilità di un giudicato, il che permette di adattare il provvedimento a nuove circostanze. Tuttavia, un provvedimento negativo non può essere revocato, ma l’istanza può essere riproposta.

La richiesta di revoca o modifica si presenta tramite ricorso al giudice che ha emesso il decreto, da parte di tutti i soggetti che avrebbero potuto avviare il procedimento iniziale, inclusi quelli che non vi hanno partecipato.

Se il decreto non è stato impugnato, la competenza per la revoca è del giudice di primo grado; se invece è stato emesso in sede di reclamo, la competenza è del giudice di secondo grado. I decreti emessi d’ufficio dal giudice possono essere revocati o modificati anche d’ufficio.

Sono fatti salvi tuttavia i diritti acquisiti dai terzi in virtù di accordi precedenti alla modifica o alla revoca del decreto.

 

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Mutuo con Euribor: il caso del cartello bancario che altera l’indice Il mutuo che utilizza l’Euribor come parametro per la determinazione del tasso di interesse è nullo se tale indice risulta alterato da un cartello bancario, configurandosi il contratto come “negozio a valle” rispetto a un’intesa restrittiva della concorrenza vietata dall’art. 101 TFUE? Inoltre, la manipolazione del parametro Euribor può riflettersi sulla validità del contratto anche in assenza di una partecipazione o consapevolezza del mutuante?

Quesito con risposta a cura di Sara Frattura, Raffaella Lofrano e Maria Lavinia Violo

 

Il mutuo che utilizza l’Euribor come parametro per la determinazione del tasso di interesse è nullo se tale indice risulta alterato da un cartello bancario, configurandosi il contratto come “negozio a valle” rispetto a un’intesa restrittiva della concorrenza vietata dall’art. 101 TFUE? Inoltre, la manipolazione del parametro Euribor può riflettersi sulla validità del contratto anche in assenza di una partecipazione o consapevolezza del mutuante?

In relazione alle questioni: se il contratto di mutuo contenente la clausola per la determinazione del tasso di interesse parametrata all’indice Euribor costituisca un negozio «a valle» rispetto all’intesa restrittiva della concorrenza accertata, per il periodo dal 29 settembre 2005 al 30 maggio 2008, dalla Commissione dell’Unione Europea con decisioni del 4 dicembre 2013 e del 7 dicembre 2016, o se, invece, indipendentemente dalla partecipazione del mutuante a siffatta intesa o dalla sua conoscenza dell’esistenza di tale intesa e dell’intenzione di avvalersi del relativo risultato, tale non sia, mancando il collegamento funzionale tra i due atti, necessario per poter ritenere che il contratto di mutuo costituisca lo sbocco dell’intesa vietata, essenziale a realizzarne e ad attuarne gli effetti; se la alterazione dell’Euribor a causa di fatti illeciti posti in essere da terzi rappresenti una causa di nullità della clausola di determinazione degli interessi di un contratto di mutuo parametrata su tale indice per indeterminabilità dell’oggetto o piuttosto costituisca un elemento astrattamente idoneo ad assumere rilevanza solo nell’ambito del processo di formazione della volontà delle parti, laddove idoneo a determinare nei contraenti una falsa rappresentazione della realtà, ovvero quale fatto produttivo di danni), poiché la Corte d’appello di Cagliari ha sottoposto alla Corte di Giustizia UE, ex art. 267 TFUE, la questione pregiudiziale «se dalla violazione dell’art. 101 TFUE (e dell’art. 2 legge nazionale 287/1990), accertata dalla Commissione Europea e confermata dalla Corte di Giustizia, discendano effetti sui singoli contratti stipulati dagli utenti finali e se tali effetti siano rilevanti soltanto per il mercato dei derivati oppure riguardino tutti i rapporti giuridici che abbiano fatto applicazione dell’Euribor oggetto dell’intesa restrittiva della concorrenza», occorre rinviare a nuovo ruolo la trattazione del ricorso per ulteriori approfondimenti (Cass., Sez. Un., 15 marzo 2025, n. 6943 (determinazione del tasso di interesse).

Con ordinanza interlocutoria, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno rinviato a nuovo ruolo la trattazione della causa, ritenendo opportuno attendere la pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea su una questione interpretativa già sollevata con rinvio pregiudiziale dalla Corte d’Appello di Cagliari, sez. civ., ord. 25 gennaio 2025 di rilevanza sistemica.

La vicenda origina dal ricorso proposto da alcuni mutuatari i quali contestano la validità della clausola contrattuale che indicizza il tasso d’interesse all’Euribor, sostenendo che il parametro sarebbe stato oggetto di manipolazione da parte di un cartello bancario sanzionato dalla Commissione Europea con le decisioni del 4 dicembre 2013 e del 7 dicembre 2016. I ricorrenti invocano l’illiceità della clausola sotto il profilo della nullità per violazione di norme imperative (art. 101 TFUE; art. 2 L. 287/1990), nonché per indeterminatezza dell’oggetto contrattuale (artt. 1284, 1346, 1418 e 1825 1346 c.c.), in quanto fondato su un parametro falsato.

Il quesito giuridico di fondo è duplice: i) sotto il profilo antitrust, si pone il dubbio se i contratti bancari che recepiscono un parametro frutto di un’intesa illecita, seppur in mercati diversi da quello originariamente colpito (il mercato dei derivati), possano essere considerati nulli ex art. 101, comma 2, TFUE in quanto sbocco funzionale dell’intesa vietata, anche in difetto di partecipazione o consapevolezza da parte del mutuante o se – al contrario – in difetto di un collegamento funzionale tra l’accordo illecito e il singolo contratto bancario, debba escludersi la nullità di quest’ultimo, circoscrivendo gli effetti dell’intesa vietata al solo mercato dei derivati, indipendentemente dalla partecipazione o consapevolezza del mutuante di siffatta intesa anticoncorrenziale; ii) sotto il profilo civilistico, si discute se la manipolazione del parametro Euribor qualora accertata, incida sulla struttura causale del contratto e sulla determinabilità dell’oggetto (artt. 1346 e 1418 c.c.), rendendo nulla la clausola di determinazione degli interessi ai sensi degli artt. 1346 e 1418 c.c., producendo effetti anche nei confronti di soggetti terzi rispetto alla condotta anticoncorrenziale, oppure se tale alterazione possa essere considerata rilevante solo nel processo di formazione della volontà negoziale delle parti, laddove abbia determinato nei contraenti una falsa rappresentazione della realtà, ovvero quale fatto generatore di un danno risarcibile.

Le Sezioni Unite, in considerazione della complessità e della rilevanza sistemica della questione, nonché dell’esistenza del rinvio pregiudiziale già pendente dinanzi alla CGUE ad opera della Corte d’Appello di Cagliari con ordinanza del 25 gennaio 2025, hanno optato per la sospensione del giudizio, in attesa dei chiarimenti della Corte europea.

È rilevante evidenziare che la Corte d’Appello ha investito la Corte del compito di chiarire se l’art. 101 TFUE implichi anche l’invalidità delle clausole dei contratti di mutuo, di finanziamento e in generale di qualunque rapporto giuridico che abbia recepito l’Euribor alterato oggetto dell’intesa restrittiva della concorrenza, pur operando in mercati formalmente distinti da quello dei derivati. Ha altresì sollevato il dubbio interpretativo circa l’efficacia vincolante delle decisioni della Commissione europea in merito alla manipolazione dell’indice, ai sensi dell’art. 16, par. 1, Reg. CE 1/2003.

La Corte d’Appello nell’ordinanza di rimessione ha condotto un’analitica ricognizione dei principali orientamenti giurisprudenziali formatisi in seno alla Corte di Cassazione, evidenziandone la coerenza o la divergenza rispetto alla questione oggetto di rinvio.

Una linea giurisprudenziale conforme riconosce l’incidenza dell’intesa restrittiva della concorrenza anche sui contratti bancari a valle, pur se formalmente esterni al mercato dei derivati originariamente colpito, valorizzando le decisioni della Commissione Europea quale prova privilegiata e vincolante per i giudici nazionali circa l’esistenza di una intesa illecita. Anche in assenza di una partecipazione diretta del mutuante, la clausola contrattuale che recepisce un parametro alterato come l’Euribor manipolato nel periodo oggetto dell’intesa risulta nulla, poiché rappresenta lo sbocco funzionale dell’intesa vietata (Cass., sez. III, 13 dicembre 2023, n. 34889).

In particolare, una volta accertata la manipolazione del parametro di riferimento, la clausola che vi rinvia viene ritenuta viziata nella sua struttura causale. L’alterazione comporta una sopravvenuta inidoneità del parametro a riflettere la volontà negoziale delle parti, causando l’indeterminabilità dell’oggetto contrattuale e, conseguentemente, la nullità della clausola ai sensi degli artt. 1346 e 1418 c.c., anche se l’alterazione è imputabile a terzi e le parti ne erano ignare (Cass., sez. III, 3 maggio 2024, n. 12007).

Sebbene riferita ad una differente tipologia contrattuale, anche la pronuncia in tema di fideiussioni conformi al modello ABI ha sancito il principio secondo cui la nullità dell’intesa a monte si estende necessariamente ai contratti a valle, quando questi costituiscano l’attuazione degli effetti distorsivi sul mercato. Tale impostazione è ritenuta dalla Corte d’Appello di Cagliari perfettamente applicabile anche ai contratti di mutuo che incorporano il parametro Euribor manipolato (Cass., Sez. Un., 30 dicembre 2021, n. 41994).

In termini ancor più generali, è stato riconosciuto che il consumatore, ancorché estraneo all’intesa, può agire per far valere la nullità della medesima e dei contratti derivati, in quanto strumenti con cui si realizza l’elusione della libertà concorrenziale e si limita la sua possibilità di scelta consapevole tra alternative di mercato (Cass., Sez. Un., 4 febbraio 2005, n. 2207).

Accanto a queste pronunce, la Corte d’Appello di Cagliari segnala l’esistenza di un rilevante orientamento difforme, espresso dalla Cassazione (Cass., sez. I, 18 giugno 2024, n. 19900), secondo cui l’accordo illecito accertato dalla Commissione Europea avrebbe inciso unicamente sul mercato degli strumenti derivati (EIRD), senza estendersi ad altri settori, come quello dei mutui a tasso variabile. Di conseguenza, non vi sarebbe il collegamento funzionale necessario per ritenere che il contratto bancario costituisca lo sbocco dell’intesa vietata ai sensi dell’art. 101, comma 2 TFUE. La stessa pronuncia, inoltre, ridimensiona il valore probatorio delle decisioni della Commissione, escludendo che esse possano fungere da “prova privilegiata” nei giudizi nazionali, pur riconoscendo loro carattere vincolante sul piano giuridico.

 

(*Contributo in tema di “Mutuo con Euribor come parametro per la determinazione del tasso di interesse: il caso del cartello bancario che altera l’indice ”, a cura di Sara Frattura, Raffaella Lofrano e Maria Lavinia Violo, estratto da Obiettivo Magistrato n. 85 / Maggio 2025 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)