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Decreto Priolo: misure legittime solo se temporanee La Corte Costituzionale esamina la disciplina derogatoria alla luce della riforma degli artt. 9 e 41 Cost. ritenendola legittima solo se non superiore a 36 mesi

Decreto Priolo: l’intervento della Consulta

Una disciplina derogatoria rispetto alla normativa ordinaria di tutela della salute e dell’ambiente, in relazione ad attività produttive di interesse strategico nazionale, è costituzionalmente legittima solo se temporanea. E’ quanto ha affermato la Consulta, con la sentenza n. 105/2024, pronunciandosi sul decreto Priolo alla luce della riforma degli artt. 9 e 41 della Costituzione.

La questione di legittimità costituzionale

“Misure governative che impongono la prosecuzione di attività produttive di rilievo strategico per l’economia nazionale o la salvaguardia dei livelli occupazionali, nonostante il sequestro degli impianti ordinato dall’autorità giudiziaria, sono costituzionalmente legittime soltanto per il tempo strettamente necessario per portare a compimento gli indispensabili interventi di risanamento ambientale” ha specificato la Corte, esaminando la qlc sollevata dal Gip di Siracusa, nell’ambito di un procedimento relativo al sequestro degli impianti di depurazione di Priolo Gargallo, che a sua volta si iscrive in una più ampia indagine per disastro ambientale, ipotizzato a carico di varie aziende petrolchimiche operanti nella zona.

La questione concerneva una norma contenuta nel decreto-legge n. 2 del 2023, che autorizza il Governo, in caso di sequestro di impianti necessari ad assicurare la continuità produttiva di stabilimenti di interesse strategico nazionale, ad adottare “misure di bilanciamento” che consentano di salvaguardare la salute e l’ambiente senza sacrificare gli interessi economici nazionale e la salvaguardia dell’occupazione.

Per il Gip che aveva disposto il sequestro degli impianti di depurazione, “questo schema normativo non garantirebbe adeguata tutela alla vita, alla salute umana e all’ambiente, vincolandolo ad autorizzare la prosecuzione dell’attività anche quando, a suo giudizio, le misure adottate risultino insufficienti rispetto alle esigenze di tutela di questi interessi”.

Misure temporanee non oltre i 36 mesi

La Corte ha anzitutto osservato che una lettura attenta della normativa sottoposta al suo esame conferma che, “una volta che siano state adottate le misure in questione, il giudice che ha disposto il sequestro è tenuto ad autorizzare la prosecuzione dell’attività degli impianti, senza poter rimettere in discussione le scelte del Governo”. Nel vagliare la legittimità costituzionale di tale meccanismo, il giudice delle leggi ha ricordato che “la recente riforma costituzionale del 2022 ha attribuito espresso e autonomo rilievo, nel nuovo testo dell’art. 9, alla tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. Inoltre, la riforma ha esplicitamente chiarito che la tutela della salute e dell’ambiente costituisce un limite alla stessa libertà di iniziativa economica”.

Date queste indicazioni, la Corte da un lato ha ritenuto non incompatibile con la Costituzione la previsione della possibilità per il Governo di dettare direttamente, in una situazione di crisi e in via provvisoria, misure conformi alla legislazione vigente, che consentano di assicurare continuità produttiva a uno stabilimento di interesse strategico nazionale, contenendo il più possibile i rischi per l’ambiente, la salute e la sicurezza dei lavoratori. Dall’altro lato, tuttavia, tali misure dovranno comunque “tendere a realizzare un rapido risanamento della situazione di compromissione ambientale o di potenziale pregiudizio alla salute determinato dall’attività delle aziende sequestrate”, e non invece “a consentirne indefinitamente la prosecuzione attraverso un semplice abbassamento del livello di tutela di tali beni”.

La decisione

In applicazione di tali principi, la Corte ha ritenuto costituzionalmente illegittima la mancata previsione, nella norma esaminata, di un termine massimo di 36 mesi di operatività delle misure in questione. Entro questo termine, occorrerà in ogni caso assicurare il completo superamento delle criticità riscontrate in sede di sequestro e ripristinare gli ordinari meccanismi autorizzatori previsti dalla legislazione vigente.

autovelox tutor telelaser decreto

Autovelox, tutor e telelaser: cosa cambia  Il decreto sulle modalità e la collocazione degli autovelox e dei dispositivi di rilevazione della velocità assicura sicurezza e trasparenza

Decreto autovelox: trasparenza e sicurezza

Il Decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti dell’11 aprile 2024, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 28 maggio 2024, introduce importanti cambiamenti per autovelox, tutor e telelaser, a tutela degli automobilisti.

Il provvedimento si occupa della segnalazione preventiva dei sistemi di rilevazione della velocità e dei luoghi di installazione di queste apparecchiature. Queste modifiche mirano a migliorare la sicurezza stradale e a garantire una maggiore trasparenza e correttezza nell’uso dei dispositivi di rilevazione della velocità, al fine di accertare le violazioni di cui all’articolo 142 del Codice della Strada.

La normativa rappresenta un passo avanti significativo nel controllo della velocità sulle strade italiane, limitando gli abusi e focalizzando l’uso dei dispositivi di rilevazione della velocità in aree veramente critiche.

Vediamo quali sono le principali novità introdotte dal provvedimento.

Autovelox: uso limitato

Gli autovelox non possono essere installati sulle strade urbane che presentano limiti di velocità inferiori a 50 km/h, tranne il caso in cui non sia prevista la contestazione immediata da parte delle Forze dell’Ordine. Questo per evitare sanzioni ingiuste in aree urbane caratterizzate da un andamento a bassa velocità.

Sotto i 50 km contestazione immediata

Per velocità inferiori ai 50 km/h, è prevista la contestazione immediatamente per mezzo di dispositivi mobili nei contesti urbani. Qualora non sia  possibile collocare postazioni fisse o mobili visibili, si possono impiegare dispositivi a bordo di veicoli in movimento. Questo cambiamento assicura che le sanzioni siano immediate e verificabili sul posto.

Collocazione: parola ai Prefetti

Le decisioni relative alla collocazione degli autovelox spetta ai dai prefetti, non ai comuni come prima della riforma. Questo sposta il potere decisionale a un livello superiore, limitando l’installazione degli autovelox in quei tratti di strada ad alto tasso di incidenti o nei quali è problematico eseguire contestazioni immediate. Questa centralizzazione mira a ridurre gli abusi da parte dei comuni.

Misurazione media

Per le strade extraurbane, ove possibile, si predilige la misurazione della velocità media su un tratto di strada prestabilito, anziché quella istantanea.

Dispositivi a bordo dei veicoli

L’utilizzo di autovelox a bordo di veicoli in movimento è consentito solo su strade o tratti di strada dove non sia possibile installare postazioni fisse o mobili. In tal caso, la segnaletica di preavviso deve essere integrata da un pannello luminoso con la scritta “Autovelox mobile in servizio”.

Segnalazione

I limiti di velocità devono essere segnalati a una distanza non inferiore a 1 km, prima della postazione dell’autovelox. Questa misura, che ribadisce una normativa già esistente, garantisce agli automobilisti il tempo sufficiente per adeguare la velocità prima di incontrare un dispositivo di rilevazione. Il dispositivo deve essere posizionato inoltre in modo tale da essere ben visibile agli automobilisti, anche in condizioni di scarsa illuminazione.

Omologazione

Il decreto non risolve completamente la questione dell’omologazione degli autovelox, anche se ribadisce l’importanza di avere dispositivi omologati per evitare controversie legali. Gli autovelox dovranno infatti essere omologati, e i Comuni e le Province avranno 12 mesi per disinstallare quelli non conformi. I dispositivi devono essere sottoposti inoltre a taratura periodica con cadenza stabilita dal Ministero.

Distanze minime di segnalazione

Previste distanze minime da rispettare tra il cartello di segnalazione del limite di velocità e il dispositivo di rilevazione della velocità:

  • 200 metri nelle strade di scorrimento urbane.
  • 75 metri nelle altre strade urbane.
  • 1 chilometro nelle strade extraurbane.

Gli automobilisti possono contare in questo modo su una segnalazione posta a una distanza adeguata e avere il tempo necessario per adottare la condotta più corretta, riducendo sia il rischio di sinistri che di sanzioni amministrative.

Multa unica per infrazioni ravvicinate

Se un automobilista viene multato da più autovelox entro un’ora sullo stesso tratto di strada gestito da un unico ente, deve pagare una sola multa, quella più severa. Questo evita la sovrapposizione delle sanzioni in brevi intervalli di tempo.

Gestione alle Forze di polizia

Le spese di accertamento devono essere documentabili e includere solo i costi per l’individuazione del trasgressore nelle banche dati pubbliche. La gestione delle apparecchiature è riservata alle forze di polizia, con attività minori affidate ai privati.

Rispetto della privacy

I dispositivi di autovelox devono rispettare la normativa sulla privacy (GDPR e Codice Privacy). Il titolare del trattamento (es. la Polizia Stradale) deve adottare misure di sicurezza per proteggere i dati personali. I dati devono essere trattati solo per l’accertamento delle infrazioni stradali e conservati per il tempo strettamente necessario.

Le immagini che costituiscono prove di infrazione non devono essere inviate al domicilio del proprietario del veicolo con il verbale. Il proprietario del veicolo può richiedere di visionare le immagini per conoscere l’effettivo autore della violazione. In tal caso, i volti e le targhe di altri veicoli ripresi saranno oscurati.

I dati personali possono essere trattati solo per le finalità previste dalla legge e nel rispetto dei principi di minimizzazione e riservatezza.

È vietato l’utilizzo di autovelox che effettuino la ripresa frontale del veicolo se l’apparecchiatura memorizza immagini delle persone a bordo. Sono consentiti solo dispositivi che oscurano automaticamente i volti.

 

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veranda abusiva condono

Veranda abusiva: si può sanare? Ecco quali sono le verande che possono essere condonate grazie alle nuove regole del decreto Salva casa

Sanatoria verande abusive

Con l’entrata in vigore del decreto “Salva Casa” n. 69/2024, pubblicato sulla GU del 29.05.2024, molti italiani si chiedono se sia possibile sanare una veranda abusiva, specialmente se chiusa e arredata. Tali verande sono comuni e spesso vengono realizzate per chiudere porticati o balconi, trasformandoli in cucine o bagni, completi di impianti idrici e sanitari.

Questi abusi edilizi, se non regolarizzati, possono complicare la vendita degli immobili. Per evitare queste complicazioni il decreto “Salva casa”consente ai proprietari di immobili di regolarizzare le piccoli difformità edilizie, al fine di tutelare l’interesse pubblico alla circolazione dei beni immobili.

Vetrate panoramiche amovibili: non occorrono permessi

Attenzione però, le verande non sono tutte uguali. Alcuni tipi non richiedono permessi particolari o autorizzazioni preventive per la loro installazione perché rientranti nella categoria delle opere di edilizia libera. Ne sono un esempio le VEPA, ossia le verande panoramiche amovibili, strutture trasparenti e scorrevoli che proteggono dal sole e dagli agenti atmosferici.

Il Decreto Aiuti del 2022 le aveva liberalizzate, permettono infatti l’installazione permessi, a condizione di non creare nuovi volumi stabili.

Verande chiuse: quali autorizzazioni

Occorre premettere che il Testo Unico dell’Edilizia (D.P.R. 380/2001) richiede il permesso di costruire per nuove strutture e la Cila o Scia per interventi di manutenzione straordinaria. La creazione di una nuova veranda chiusa richiede, di regola, uno di questi permessi, se aumenta il volume abitabile dell’unità immobiliare e se modifica la forma dell’edificio.

Verande sanabili con il “Salva casa”

Il decreto “Salva Casa”, interviene proprio su questo tipo di opere, per cui le verande chiuse, arredate e attrezzate possono essere sanate, a condizione però che non abbiano alterato significativamente la volumetria dell’immobile.

Per consentire questa “sanatoria” però il decreto “Salva casa” ha ampliato i limiti di tolleranza delle difformità edilizia, rispetto a quelli previsti dal Decreto Semplificazioni, stabilendo le seguenti misure percentuali:

  • 5% per unità con superficie utile inferiore a 100 mq;
  • 4% per superfici tra 100 e 300 mq;
  • 3% per superfici tra 300 e 500 mq;
  • 2% per superfici superiori a 500 mq.

In relazione a un appartamento di 100 mq quindi il proprietario può sanare una veranda di 5 mq sfruttando la tolleranza del 5%.

Doppia conformità: non serve dopo il Salva casa

Qualora le opere realizzate superino i limiti di tolleranza stabiliti dal “Salva casa”  è comunque possibile procedere alla loro sanatoria, ma con il permesso di costruire, la Scia in sanatoria (articoli 36 e 37 del Tu dell’Edilizia) e sostenendo il costo della sanzione amministrativa prevista.

In questi casi però è richiesto il rispetto della doppia conforme. Le opere devono essere cioè conformi alla disciplina vigente nel momento in cui l’opera è stata realizzata e a quella vigente al tempo della presentazione della domanda in sanatoria, regola che il decreto “Salva Casa” non richiede. Grazie a questo provvedimento è infatti possibile sanare le opere solo in base alla normativa vigente al momento della realizzazione, sempre ovviamente, nel rispetto delle soglie di tolleranza previste dal “Salva casa”.

Procedura di sanatoria

Dopo tanta teoria, cosa si deve fare se si vuole sanare una veranda abusiva? Prima di tutto bisogna presentare una domanda al Comune con un progetto descrittivo e una relazione tecnica asseverata. Fatto questo si deve procedere al pagamento di una sanzione, il cui importo varia dai 1.032 ai 30.984 euro, in base all’aumento di valore dell’immobile.

Verande in condominio

Chi vuole realizzare una veranda in una proprietà compresa all’interno di un edificio condominiale   deve prestare un’attenzione particolare. In questo caso occorre infatti rispettare sia le norme edilizie che il regolamento condominiale per assicurarsi che la veranda non danneggi il decoro architettonico dell’edificio.

Parlamentari: opinioni insindacabili anche sui social La Corte Costituzionale ha chiarito che anche se rese sui social le opinioni dei parlamentari nell'esercizio delle funzioni, se rispettose della dignità dei terzi, rimangono insindacabili

Opinioni parlamentari art. 68 Cost.

Le opinioni dei parlamentari rese fuori dalle sedi delle Camere, finanche sui social media, sono insindacabili ai sensi dell’art. 68, primo comma, Cost. al fine di proteggere da condizionamenti lo svolgimento del mandato. Devono però pur sempre essere qualificabili come opinioni ed essere connesse all’esercizio della funzione parlamentare, oltre che essere espresse in forme improntate al rispetto della dignità dei terzi. Lo ha chiarito e ribadito la Corte Costituzionale con la sentenza n. 104-2024, respingendo il conflitto di attribuzione promosso dal Tribunale di Milano contro la Camera dei deputati, che aveva affermato l’insindacabilità delle dichiarazioni rese dall’allora deputato Carlo Fidanza in un video su Facebook pubblicato nel dicembre 2018.

Il video incriminato

Nel video, il deputato Fidanza aveva espresso affermazioni critiche in ordine a una mostra – intitolata “Porno per bambini” – che si sarebbe dovuta tenere in un locale a Milano. Due giorni dopo, a tal proposito aveva presentato un’interrogazione parlamentare.

A seguito di querela per diffamazione presentata nel febbraio 2019, la Camera dei deputati – su richiesta del Tribunale di Milano – nel gennaio 2023 aveva deliberato che quelle affermazioni erano opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari, in quanto tali insindacabili ai sensi dell’art. 68, primo comma, Cost.

Il Tribunale di Milano, ritenendo invece che esse fossero espressione del diritto di critica di cui all’art. 21 Cost., aveva promosso il conflitto, ritenendo impedito l’accertamento, che spetta all’autorità giudiziaria, circa il superamento o meno dei limiti alla libertà di manifestazione del pensiero.

La decisione della Consulta

La Corte ha respinto il ricorso ribadendo che l’insindacabilità delle opinioni prevista dall’art. 68, primo comma, Cost. vuole garantire alle Camere che i parlamentari possano svolgere nel modo più libero la rappresentanza della Nazione delineata dall’art. 67 Cost.

Escludendo ogni forma di responsabilità giuridica, ha affermato la Consulta, “la Costituzione pone dunque una deroga al principio di parità di trattamento davanti alla giurisdizione, tanto più delicata in quanto l’opinione espressa dal parlamentare può collidere con beni della persona – onore, reputazione, dignità – qualificati come inviolabili. Proprio in ragione del necessario contemperamento degli interessi in gioco, la Costituzione non protegge qualsivoglia opinione, ma soltanto quella resa nell’esercizio della funzione parlamentare, indipendentemente dal luogo in cui essa venga espressa”.

Il giudice delle leggi “ha sottolineato che il punto d’equilibrio tra gli antagonisti valori va ricercato necessariamente in concreto, dapprima per opera delle Camere e del potere giudiziario, poi ed eventualmente in sede di conflitto di attribuzione. A tal fine, quando si tratti di opinioni rese fuori dalle sedi parlamentari – e sempre che di opinioni si tratti e non, ad esempio, di insulti o minacce – la giurisprudenza costituzionale ha considerato indici rivelatori dell’esistenza della connessione con l’esercizio delle funzioni parlamentari la sostanziale corrispondenza con opinioni espresse nell’esercizio di attività parlamentare tipica e la sostanziale contestualità temporale fra tale ultima attività e l’attività esterna. In tali circostanze, infatti, pur nell’ineliminabile diversità degli strumenti e del linguaggio adoperato, le opinioni rese fuori dalle sedi vogliano dar conto del significato dell’attività compiuta nell’esercizio del mandato. Ciò non toglie che anche ad opinioni non connesse ad atti parlamentari possa essere applicato l’art. 68, primo comma, Cost., quando sia evidente e qualificato il nesso con l’esercizio della funzione parlamentare. In eventualità del genere, lo scrutinio della Corte deve essere particolarmente rigoroso, in ragione dei contrapposti interessi costituzionali e per evitare che l’immunità si trasformi in privilegio”.

Deve trattarsi, dunque, “non di opinioni politiche che può esprimere ogni cittadino nei limiti di cui all’art. 21 Cost., ma di opinioni funzionali all’esercizio del mandato parlamentare e della rappresentanza della Nazione: opinioni dunque che, proprio perché espressive di una funzione così alta, siano «improntate al rispetto della dignità dei destinatari della critica e della denuncia politica, in specie quando questi non siano a loro volta parlamentari: e ciò tanto più quando l’opinione è espressa per mezzo dei moderni mezzi di comunicazione – quali testate giornalistiche online o social media – che la rendono agevolmente reperibile e oggetto di ulteriore diffusione»”.

Applicando tali principi, la Consulta ha ritenuto che la Camera dei deputati abbia correttamente valutato che le dichiarazioni dell’allora deputato fossero opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari. Esse, infatti, “erano funzionali a rappresentare, nella prospettiva del deputato, interessi generali, come d’altronde testimoniato dalla contestuale presentazione dell’interrogazione parlamentare, del tutto corrispondente nel suo significato, al di là della fisiologica diversità delle modalità espressive, alle affermazioni rese nel video pubblicato su Facebook”.

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usi civici

Usi civici: cambio di destinazione per impianti rinnovabili La Consulta ha dichiarato non incostituzionale la legge regionale che prevede il mutamento di destinazione delle zone gravate da usi civici in caso di installazione di impianti di energie rinnovabili

Mutamento destinazione zone usi civici

Non è incostituzionale la legge regionale che prevede il mutamento di destinazione delle zone gravate da usi civici in caso di installazione di impianti di energie rinnovabili. Lo ha affermato la Corte Costituzionale con la sentenza n. 103-2024, decidendo alcune questioni di legittimità costituzionale promosse dal Governo nei confronti di varie disposizioni della legge della Regione Sardegna n. 9 del 2023.

In primo luogo, è stata esaminata la disciplina secondo la quale il mutamento di destinazione delle zone gravate da usi civici, in caso di installazione di impianti di produzione di energie rinnovabili, richiede il parere obbligatorio del comune in cui insistono le aree individuate.

Per il Governo ricorrente, tale disciplina violerebbe i limiti posti alle competenze legislative regionali dallo statuto speciale: in particolare, consentirebbe l’installazione degli impianti nonostante l’inidoneità delle predette zone a tali fini, desumibile dal d.lgs. n. 199 del 2021.

Non fondata la qlc

La Corte ha ritenuto tale questione non fondata, poiché lo stesso d.lgs. n. 199 del 2021 non comporta di per sé l’assoluta inidoneità delle zone gravate da usi civici all’installazione degli impianti, né comporta il divieto di mutarne la destinazione in conformità al regime degli usi civici.

Tavolo tecnico riforma usi civici

Con la stessa sentenza, la Corte ha dichiarato non fondate anche le questioni di legittimità costituzionale delle disposizioni regionali che prevedono l’istituzione e la composizione di un «tavolo tecnico interassessoriale» per la riforma dell’intera materia degli usi civici in Sardegna, poiché tale riforma dovrebbe limitarsi alla disciplina delle funzioni regionali in materia. Infine, sono state dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale delle disposizioni regionali in tema di autorizzazione alla prosecuzione dell’esercizio degli sbarramenti idrici rientranti nella competenza della Regione Sardegna, poiché tali disposizioni non consentono di regolarizzare abusi paesaggistici.

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elezioni europee 2024

Elezioni europee 2024:  come si vota Breve guida alle elezioni europee 2024: quando si vota, come, dove, chi può votare e le regole per i fuori sede e i residenti all’estero

Elezioni europee 2024

Tra il 6 e il 9 giugno 2024, milioni di cittadini europei sono chiamati a partecipare alle elezioni europee per eleggere 720 eurodeputati, un numero aumentato di 15 unità rispetto alla precedente legislatura. In Italia, le urne saranno aperte sabato 8 e domenica 9 giugno, e i cittadini avranno la possibilità di eleggere 76 rappresentanti per il Parlamento Europeo. Vediamo nel dettaglio come e quando si vota, chi può votare e tutte le informazioni utili per partecipare a questo importante appuntamento elettorale.

Partecipare alle elezioni europee è un diritto e un dovere civico fondamentale. Informarsi sulle modalità di voto e sui candidati è essenziale per esercitare questo diritto in modo consapevole e contribuire alla costruzione del futuro dell’Unione Europea.

Come si vota

Secondo la legge elettorale europea, tutti i Paesi membri devono utilizzare un sistema elettorale proporzionale. Questo sistema garantisce che i seggi siano assegnati alle liste in proporzione ai voti ottenuti. In Italia, si utilizza il voto di preferenza, che permette agli elettori di esprimere fino a tre preferenze per i candidati della stessa lista, a condizione che siano di sesso diverso.

Per esprimere il voto è sufficiente indicare sulla scheda solo il cognome oppure il nome e il cognome del candidato prescelto. Si può votare anche tracciando un simbolo che corrisponde alla lista favorita, il voto in questo caso andrà al capolista che è stato indicato dal partito.

Orari e procedure

In Italia, le urne saranno aperte sabato 8 giugno dalle 14:00 alle 22:00 e domenica 9 giugno dalle 7:00 alle 23:00. Contemporaneamente, si terranno anche le elezioni regionali in Piemonte e le elezioni amministrative in 3.700 comuni italiani. Lo spoglio dei voti inizierà subito dopo la chiusura delle urne, alle 23:00 di domenica.

Per votare, è necessario presentarsi al seggio elettorale di appartenenza con la tessera elettorale e un documento d’identità valido. 

Le circoscrizioni elettorali

L’Italia è suddivisa in cinque circoscrizioni elettorali europee:

  • Nord Occidentale
  • Nord Orientale
  • Centrale
  • Meridionale
  • Insulare

Ogni circoscrizione riceve un numero di seggi proporzionale alla popolazione residente.

I candidati

I candidati alle elezioni europee sono cittadini italiani che abbiano compiuto 25 anni entro la data delle elezioni, oppure cittadini di altri Paesi membri residenti in Italia e iscritti nelle apposite liste aggiunte. Per poter essere eletti, i candidati devono possedere i requisiti di eleggibilità al Parlamento europeo secondo l’ordinamento italiano e non devono essere decaduti dal diritto di eleggibilità nel loro Paese di origine.

Le liste dei candidati devono essere presentate dai partiti o gruppi politici, che devono aver depositato il proprio simbolo al Ministero dell’Interno e aver presentato le liste agli uffici elettorali delle Corti d’Appello. Le liste devono superare la soglia del 4% dei voti validi espressi a livello nazionale per ottenere seggi.

Chi può votare

Hanno diritto di voto alle elezioni europee:

  • i cittadini italiani che abbiano compiuto 18 anni;
  • i cittadini dell’Unione Europea residenti in Italia;
  • I cittadini italiani residenti all’estero e iscritti all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero).

I cittadini dell’UE votanti in Italia devono essere registrati come elettori entro la scadenza stabilita.

Dove si vota

Ogni elettore deve votare nel seggio elettorale indicato sulla propria tessera elettorale. Chi non possiede la tessera deve richiederla presso il proprio Comune di residenza.

Voto fuori sede

Grazie alla legge 38/2024, gli studenti fuori sede possono votare in un comune diverso da quello di residenza se hanno presentato la domanda entro il 5 maggio al proprio Comune di residenza. A questo ente è stato affidato infatti il compito di trasferire le informazioni necessarie al Comune di domicilio o al capoluogo di Regione. Gli studenti ammessi devono rivivere un’attestazione con l’indicazione del seggio in cui votare.

Residenti all’estero: come votano

I cittadini italiani residenti in un altro Stato membro dell’Unione Europea, iscritti all’AIRE, possono votare presso i seggi allestiti dalle sedi diplomatico-consolari italiane nel Paese di residenza.

decreto liste attesa

Liste d’attesa: il piano del Governo Decreto liste d’attesa e disegno di legge per la garanzia delle prestazioni sanitarie: cosa prevedono i testi approvati dal Consiglio dei ministri

Decreto liste d’attesa

Il 4 giugno il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto legge dedicato alle misure urgenti per la riduzione dei tempi di attesa delle prestazioni sanitarie. Tra i provvedimenti più importanti ci sono quelli dedicati alla piattaforma nazionale che dialoga con le piattaforme regionali delle liste di attesa, all’organismo di verifica e di controllo sull’assistenza sanitaria, alle dipendenze del Ministero della salute e il CUP unico ossia un codice unico che identifica un progetto di investimento pubblico. Questo testo di legge è integrato da un disegno di legge, anch’esso finalizzato a contrastare le liste d’attesa sanitarie e a garantire le prestazioni sanitarie.

Piattaforma nazionale per le liste d’attesa

Viene istituita presso l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali una piattaforma nazionale per le liste di attesa. Questo strumento servirà al Ministero della salute per monitorare i tempi di attesa effettivi delle prestazioni sanitarie. Attraverso la creazione di un dialogo tra piattaforma nazionale e piattaforme regionali si vogliono superare le difficoltà attuali attraverso la conoscenza specifica dell’offerta di prestazioni rispetto alla domanda.

Organismo di verifica e controllo

Viene istituito un Organismo di verifica e di controllo sull’assistenza sanitaria alle dirette dipendenze del Ministero della salute. L’organismo potrà accedere a tutte le strutture sanitarie e verificare le disfunzioni su segnalazione del cittadino, degli enti locali e delle associazioni di categoria degli utenti sanitari. Questo organismo inoltre potrà chiedere chiarimenti e acquisire documentazione. Le Regioni e le aziende sanitarie saranno tenute a fornire riscontro, anche in modalità telematica, nel termine di 15 giorni.

CUP unico di progetto

Viene istituito il codice unico di progetto regionale o infra regionale sia per le prestazioni pubbliche che per quelle fornite dal settore privato convenzionato. Il collegamento con i CUP pubblici rappresenterà requisito necessario per l’accreditamento istituzionale delle strutture autorizzate. In caso di mancata erogazione della prestazione nei tempi previsti dalle classi di priorità il cittadino potrà accedere alla prestazione ricorrendo all’intramoenia o al privato accreditato. Le aziende sanitarie ospedaliere non potranno sospendere o chiudere le attività di prenotazione. Previste nuove soluzioni digitali sia per la prenotazione che per il pagamento del ticket. Il CUP dovrà garantire al cittadino un sistema per la conferma o la cancellazione della prestazione entro il termine di due giorni prima dell’erogazione, al fine di scongiurare che le prestazioni prenotate non vengano effettuate.

Esami e visite anche il sabato e la domenica

La fascia oraria dedicata agli esami diagnostici alle visite viene estesa anche al sabato e alla domenica. Al fine di bilanciare adeguatamente le prestazioni ospedaliere e quelle libero professionali intramoenia ogni azienda sanitaria dovrà prevedere che le ore di attività libero professionale non superino quelle dedicate all’attività ordinaria.

Più personale per la sanità

Previsto un incremento del 15% del fondo sanitario per l’assunzione del personale. Dal 2025 il tetto di spesa viene abolito e al suo posto viene introdotto un meccanismo collegato alla programmazione delle aziende e al fabbisogno di personale sanitario.

Piano d’azione e flat tax

Per sette regioni del sud, a cui è dedicato il programma nazionale di equità nella salute relativa agli anni 2021 2027, viene introdotto il piano di azione per il rafforzamento dei servizi sanitari e sociosanitari. Prevista infine una flat tax del 15% da applicare alle prestazioni orarie aggiuntive dei professionisti sanitari in relazione all’attività svolta per ridurre le liste di attesa.

DDL garanzia prestazioni sanitarie

Il Disegno di legge che accompagna il decreto legge sulle liste d’attesa mira a introdurre diverse misure per migliorare l’efficienza e ridurre i tempi di attesa nel sistema sanitario italiano.

Queste misure intendono migliorare l’accessibilità e l’efficienza dei servizi sanitari, nonché supportare il personale sanitario e le strutture esistenti. Tra le misure previste, vi sono:

  • Registro nazionale per le segnalazioni dei cittadini: attivo sul portale del Ministero della Salute per segnalare disservizi.
  • Esami diagnostici di primo livello negli studi dei medici di famiglia: disponibili anche in ambulatori privati accreditati e farmacie, per ridurre le liste d’
  • Misure per il personale sanitario: aumento della tariffa oraria per prestazioni aggiuntive, indennità di disagio e incarichi per specializzandi.
  • Sistema di premi e sanzioni per incentivare il raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle liste d’
  • Piano nazionale di gestione delle liste dattesa coordinato dal Ministro della Salute, con Regioni responsabili dell’attuazione e monitoraggio.
  • Rafforzamento della salute mentale grazie all’utilizzo delle risorse del programma nazionale Equità della salute 2021-2027.
  • Scuola nazionale dellalta amministrazione sanitaria per specializzare i vertici dirigenziali del Servizio sanitario nazionale (Ssn).
incarichi società partecipate

Incarichi amministratori partecipate: cade il divieto La Consulta ritiene il divieto di conferimento di nuovi incarichi nelle partecipate illegittimo costituzionalmente, salvo che nelle ipotesi di provenienza politica

Incarichi società partecipate

E’ incostituzionale il divieto di conferimento di nuovi incarichi di amministratore di società partecipate per chi abbia già ricoperto nell’anno precedente analoghi incarichi. Il divieto permane nelle ipotesi di provenienza politica del nominato. E’ quanto affermato dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 98-2024, pubblicata ieri, che si è pronunciata sulle questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal TAR Lazio, delle norme che stabiliscono il divieto di conferire incarichi di amministratore di enti privati, sottoposti a controllo pubblico da parte degli enti locali (province o comuni), a coloro i quali nell’anno precedente abbiano svolto analoghi incarichi presso altri enti della stessa natura.

La qlc

La fattispecie esaminata dalla Consulta coinvolgeva un manager pubblico che, per aver ricoperto, nell’anno precedente, il ruolo di amministratore delegato presso una società controllata da un comune, non ha potuto ottenere lo stesso incarico presso altra società partecipata.

Il giudice delle leggi ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme del decreto legislativo n. 39 del 2013 nella parte in cui, con riguardo a ipotesi simili, non consentono la conferibilità del nuovo incarico. Questo divieto, infatti, si pone in contrasto con le previsioni della legge di delega (la n. 190 del 2012) e, quindi, con l’art. 76 Cost., che non consente al Governo, nell’esercizio della delega conferitagli dal Parlamento, di introdurre ipotesi limitative che non siano state previste dal legislatore delegante.

La decisione della Consulta

Nella motivazione, la Corte precisa che “la legge di delega ha circoscritto la non conferibilità degli incarichi amministrativi di vertice – per quanto assume rilievo nella fattispecie oggetto di giudizio – solo alle ipotesi di provenienza politica del nominato, cioè solo ai casi in cui costui abbia svolto, nell’anno precedente, incarichi di natura politica. Tali non sono gli incarichi di amministratore di enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico, che la legge di delega non ha incluso tra le posizioni di provenienza ostative”.

Le richiamate previsioni della legge di delega costituiscono “il frutto di un bilanciamento tra l’accesso al lavoro dei professionisti, che è stato parzialmente sacrificato mediante la previsione della non conferibilità degli incarichi per provenienza politica, e l’imparzialità dell’azione amministrativa, che va assicurata anche nelle forme della mera ‘apparenza’ di imparzialità”.

Tuttavia, l’estensione di questa garanzia preventiva anche ad ipotesi prive di qualsiasi percepibile collegamento con lo svolgimento di incarichi “politici” è estranea, ha concluso la Corte, all’obiettivo perseguito dal legislatore delegante e, pertanto, non poteva essere introdotta dalla legge delegata.

Allegati

decreto autovelox

Decreto autovelox: stop alle multe selvagge In Gazzetta Ufficiale, il decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti concede ai Comuni 12 mesi per adeguarsi alle nuove regole sulla collocazione e l'uso degli autovelox

Decreto autovelox: in Gazzetta Ufficiale

Il decreto autovelox dell’11 aprile 2024, predisposto dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministero dell’interno e pubblicato il 28 maggio 2024 in Gazzetta Ufficiale (n. 123), introduce regole nuove per l’installazione degli autovelox fissi e mobili.

Il provvedimento ministeriale attua l’articolo 25 comma 2 della legge n. 120/2010, che prevede la definizione con decreto delle modalità di collocazione e di uso dei dispositivi o dei mezzi tecnici di controllo finalizzati al rilevamento delle violazioni dei limiti di velocità. Il testo non si applica alle postazioni fisse mobili o collocate su veicoli in movimento presidiate e per le quali la constatazione della violazione viene effettuata nell’immediato.

Queste le principali novità del decreto:

  • i Comuni dovranno chiedere al prefetto un nulla osta preventivo per installare l’autovelox;
  • i dispositivi dovranno essere segnalati alle seguenti distanze: 1 Km sulle strade extraurbane, 200 metri sulle strade urbane di scorrimento e 75 metri su tutte le altre;
  • stop agli autovelox nelle città sotto i 50 km/h e sulle strade con limite di velocità inferiore di 20 km/h rispetto a quello previsto dal Codice della Strada.

Condizioni per la collocazione degli autovelox

Le postazioni fisse possono essere collocate per il rilevamento della violazione dei limiti di velocità solo dopo un’attenta valutazione dell’ente proprietario della strada, anche su richiesta dell’organo di polizia stradale che le utilizza. Dove non sia possibile collocare postazioni fisse per la contestazione differita per motivi legati all’infrastruttura della strada o per altre ragioni oggettive è possibile procedere alla collocazione di postazioni mobili.

Per le strade diverse dalle strade extraurbane e dalle autostrade le postazioni per il rilevamento della velocità possono essere collocate solo sui tratti di strada preventivamente individuati dal prefetto sia in ambito urbano che extraurbano, nel rispetto delle caratteristiche geometriche delle infrastrutture stradali e delle condizioni indicate nell’allegato A, ossia elevato tasso di incidentalità, impossibilità documentata di procedere alla contestazione immediata e presenza di velocità operative dei veicoli mediamente superiori ai limiti consentiti e indicati con apposita segnaletica.

Le postazioni a bordo di veicoli in movimento senza contestazione immediata sono utilizzabili solo sulle strade o tratti di strada consentiti e solo se non sia possibile collocare postazioni fisse.

Visibilità e segnalazione delle postazioni di controllo

Le regole sulla visibilità e sulla segnalazione delle postazioni di controllo sono contenute nel capo sette dell’allegato al decreto del ministro dell’infrastrutture dei trasporti n. 282  del 13 giugno 2017.

Per quanto riguarda invece i dispositivi a bordo di veicoli in movimento il decreto stabilisce che la visibilità della postazione di controllo debba essere attuata attraverso segnali luminosi posti sopra il veicolo o per mezzo di un messaggio variabile riportante la dicitura “rilevamento dinamico velocità” abbinato alla segnalazione visiva a luce lampeggiante blu, che deve essere in funzione durante il rilevamento.

Utilizzazione delle postazioni fisse o mobili

Le postazioni fisse o mobili e i dispositivi su veicoli in movimento possono essere utilizzati per rilevamento a distanza delle violazioni dei limiti di velocità su certi tipi di strade da determinati organi di polizia stradale nel rispetto dei criteri di pianificazione concordate in sede di Conferenza provinciale permanente.

Nell’ambito di detta pianificazione, per evitare duplicazioni e sovrapposizioni, il prefetto deve tenere conto dell’eventuale presenza di postazioni fisse lungo lo stesso tratto di strada e valutare la  possibilità di collocare postazioni mobili in condizioni di sicurezza.

Tutela della privacy

Il decreto presta attenzione anche alla privacy del conducente. I dispositivi di controllo utilizzati per accertare l’eccesso di velocità devono essere impiegati nel rispetto della normativa sul trattamento dei dati personali contenuta nel regolamento UE 679/2016. Il titolare del trattamento dei dati deve infatti assicurare il rispetto della normativa vigente in materia di dati personali e che il trattamento venga effettuato solo si fini della rilevazione delle infrazioni. Il titolare del trattamento dei dati inoltre può affidare operazioni specifiche di trattamento a soggetti terzi che agiscono in qualità di responsabili previo accordo sulla protezione dei dati da stipulare in forma scritta.

Allegati A e B: cosa prevedono

Il decreto è integrato da due allegati che contengono i dettagli della normativa.

L’allegato A) detta le regole sulla collocazione delle postazioni di controllo individuando i tratti di strada, stabilendone le condizioni tecniche e le modalità e i luoghi di collocazione delle postazioni  mobili e fisse sulle strade extraurbane e sulle strade urbane.

L’allegato B) invece definisce le modalità di utilizzo dei dispositivi e le attività complementari al controllo. Il documento regolamenta le attività di gestione dei dispositivi e dei sistemi di controllo degli organi di polizia stradale, la manutenzione dei dispositivi e dei sistemi di controllo, le attività sussidiarie che possono essere affidate a terzi, le forme di acquisizione dei dispositivi e dei sistemi di controllo e gli aspetti connessi alla protezione dei dati personali.

elezione diretta presidente consiglio

Elezione diretta del Presidente del Consiglio Cosa prevede il ddl n. 935 di riforma costituzionale per l’elezione diretta del Presidente del Consiglio che, dopo il passaggio in Commissione, è all’esame dell’assemblea del Senato

Elezione diretta del premier: il ddl n. 935

Il disegno di legge n. 935 per l’elezione del Presidente del Consiglio, presentato dall’attuale  presidente del Consiglio Giorgia Meloni il 15 novembre 2023, dal 15 maggio è all’esame dell’assemblea del Senato dopo essere stato assegnato in sede referente alla prima Commissione Permanente Affari Costituzionali, che ha apportato alcune modifiche al testo base.

L’elezione diretta del PdC comporta la modifica degli articoli 59, 88, 92 e 94 del testo costituzionale. Questa proposta di legge costituzionale mira a rafforzare la stabilità governativa e a rendere più trasparente e diretta l’elezione del Presidente del Consiglio, mantenendo tuttavia intatti molti dei meccanismi di controllo e di bilanciamento presenti nella Costituzione italiana.

Analizziamo le principali novità in attesa della versione definitiva del testo.

Presidente del Consiglio eletto dal corpo elettorale

La modifica principale prevede che il Presidente del Consiglio sia eletto direttamente dai cittadini per un mandato di cinque anni, con la possibilità di essere rieletto per un massimo di due legislature consecutive, estendibili a tre in particolari condizioni.

Questo cambia l’articolo 92 della Costituzione. Una volta eletto, il Presidente del Consiglio riceve l’incarico di formare il Governo dal Presidente della Repubblica.

La procedura di nomina dei Ministri rimane invariata: proposta del Presidente del Consiglio eletto e nomina da parte del Presidente della Repubblica.

Da segnalare la clausola antiribaltone che prevede la sostituzione del Presidente del Consiglio solo da parte di un parlamentare della maggioranza al fine di portare avanti il programma di Governo.

Premio elettorale

La proposta introduce un sistema elettorale in cui le elezioni del Presidente del Consiglio e delle due Camere avvengono simultaneamente. Il Presidente del Consiglio eletto deve essere anche un parlamentare e deve essere eletto nella Camera in cui ha presentato la sua candidatura.

Per garantire una maggioranza parlamentare al Presidente del Consiglio, viene introdotto un premio elettorale nazionale, la cui esatta configurazione sarà definita dalla futura legge elettorale. Questa dovrà assicurare che l’elezione del Presidente del Consiglio porti anche all’elezione dei deputati collegati alla sua lista.

Rapporto fiduciario

Nonostante l’elezione diretta del Presidente del Consiglio, il Governo necessita ancora della fiducia delle Camere, come stabilito dall’articolo 94 della Costituzione. Se il Governo non ottiene la fiducia, il Presidente della Repubblica rinnova l’incarico al Presidente del Consiglio eletto. In caso di mancato ottenimento della fiducia al secondo tentativo o in caso di revoca della fiducia, il Presidente della Repubblica scioglie le Camere.

Ruolo del Presidente della Repubblica

Modifiche indirette anche al ruolo del Presidente della Repubblica. L’articolo 83 viene modificato per richiedere una maggioranza assoluta dal sesto scrutinio per l’elezione del Presidente della Repubblica. Viene eliminata inoltre la necessità della controfirma ministeriale per alcuni atti presidenziali, come la nomina dei giudici della Corte costituzionale e del Presidente del Consiglio. Lo scioglimento anticipato delle Camere e la convocazione di sessioni straordinarie non sono tuttavia inclusi tra questi atti.

Senatori a vita

La proposta prevede la soppressione dell’istituto dei senatori a vita, con una disposizione transitoria che mantiene in carica quelli attuali. Non viene toccato l’istituto dei senatori di diritto a vita, come gli ex-Presidenti della Repubblica.

Scioglimento delle Camere

Il disegno di legge prevede poi che lo scioglimento delle Camere avvenga solo congiuntamente, eliminando la possibilità di scioglimento separato, come consentito dalla revisione costituzionale del 1963. La modifica mira a garantire la stabilità delle maggioranze governative.

Norme transitorie

Le norme transitorie prevedono che la legge costituzionale entri in vigore dopo il primo scioglimento o la cessazione delle Camere successiva all’entrata in vigore delle nuove regole.

Gli attuali senatori a vita inoltre restano in carica fino alla fine del loro mandato.