attestato opere d'arte

Attestato opere d’arte: il termine annuale non viola la Costituzione La Consulta conferma la legittimità del limite di un anno per l’annullamento d’ufficio di un’autorizzazione all’esportazione di un’opera d’arte

Attestato opere d’arte: termine annuale non viola la Costituzione

Attestato opere d’arte: con la sentenza n. 88/2025, la Corte costituzionale ha escluso che il termine di un anno previsto dall’articolo 21-nonies della legge n. 241/1990 per l’annullamento d’ufficio di un provvedimento amministrativo illegittimo sia in contrasto con i principi costituzionali.

Nel caso concreto, l’amministrazione aveva annullato, a distanza di sei anni, un attestato di libera circolazione rilasciato per un quadro poi riconosciuto come opera d’autore di particolare interesse culturale. La tardività del provvedimento era stata contestata in giudizio. Sollevando dubbi di legittimità costituzionale sul limite temporale, considerato troppo rigido a fronte dell’obiettivo di protezione del patrimonio culturale.

Tutela del patrimonio culturale garantita nel procedimento originario

La Consulta ha chiarito che l’interesse culturale è ampiamente protetto nella fase di primo grado. Sia grazie alle previsioni della legge sul procedimento amministrativo che attribuiscono specifiche cautele agli “interessi sensibili”, sia in virtù delle regole del Codice dei beni culturali.

Pertanto, il termine annuale per l’annullamento d’ufficio non compromette la tutela del patrimonio storico e artistico. Ciò in quanto la disciplina è già adeguata a prevenire illegittimità nel momento in cui l’autorizzazione viene rilasciata.

Ragionevolezza e certezza giuridica: un bilanciamento necessario

La Corte ha ribadito che il potere di annullamento è distinto dal potere originario di rilascio dell’autorizzazione e si caratterizza per finalità diverse. Nel valutare se revocare l’atto, l’amministrazione deve considerare non solo l’interesse pubblico al ripristino della legalità, ma anche l’affidamento del destinatario purché meritevole di tutela.

Di conseguenza, non è irragionevole che anche gli atti relativi a interessi di rango costituzionale, come la protezione del patrimonio culturale, siano soggetti al termine ordinario di decadenza. La disciplina mira infatti a bilanciare l’efficienza amministrativa con la stabilità dei rapporti giuridici.

Termine di decadenza garanzia di buon andamento e sicurezza giuridica

Secondo la Corte, la previsione di un termine certo rafforza il principio di buon andamento dell’amministrazione, stimolando una maggiore attenzione nella fase di rilascio del provvedimento e garantendo la certezza delle relazioni tra cittadini e pubblici poteri.

In quest’ottica, il limite temporale tutela sia l’interesse pubblico al corretto esercizio dell’azione amministrativa sia l’esigenza di affidabilità giuridica per i destinatari degli atti e i terzi che su questi fanno legittimo affidamento.

responsabilità per danno erariale

Giudice in ritardo: scatta la responsabilità per danno erariale La Corte dei conti conferma che per il giudice che prolunga il processo per negligenza scatta la responsabilità per danno erariale

Responsabilità del giudice e danno erariale indiretto

Responsabilità per danno erariale: secondo un recente pronunciamento della Corte dei conti (sentenza n. 83/2025), anche i magistrati possono essere chiamati a rispondere per danno erariale quando un comportamento gravemente negligente causi ritardi ingiustificati nel processo. L’indipendenza della funzione giurisdizionale, infatti, non comporta un’assoluta irresponsabilità: il giudice resta tenuto al rispetto di regole di diligenza e correttezza nella conduzione delle cause.

In particolare, nel caso esaminato, un magistrato d’appello è stato condannato a risarcire parzialmente l’amministrazione per aver rimesso la causa al collegio senza controllare che il fascicolo di primo grado fosse disponibile, determinando un ritardo di circa due anni.

Il quadro normativo: tra equa riparazione e azione di rivalsa

La vicenda trae origine dalla condanna del Ministero della giustizia al pagamento dell’equa riparazione prevista dalla legge Pinto (legge n. 89/2001), riconosciuta a due cittadini per l’eccessiva durata del procedimento. Successivamente, la Procura contabile ha promosso l’azione di responsabilità amministrativa nei confronti del magistrato istruttore.

L’articolo 5, comma 4, della stessa legge prevede infatti la trasmissione del decreto di equa riparazione alla Procura della Corte dei conti per l’accertamento di eventuali responsabilità. La normativa si coordina con la legge n. 117/1988 sulla responsabilità civile dei magistrati, che individua la negligenza inescusabile quale parametro per qualificare la colpa grave.

Gli argomenti difensivi del magistrato e il rigetto dell’appello

Nel giudizio di appello, il magistrato ha sostenuto che la normativa all’epoca vigente non attribuiva al consigliere istruttore l’obbligo di verificare la completezza degli atti prima del rinvio al collegio e che tale controllo spettava alla cancelleria. Inoltre, ha richiamato la giurisprudenza sul limite alla sindacabilità delle valutazioni di merito compiute dal giudice.

La Corte dei conti ha però ribadito che la condotta omissiva integra una violazione degli obblighi di vigilanza, con conseguenze dannose per l’Erario, e che la responsabilità contabile può riguardare anche l’attività strettamente giurisdizionale quando il danno deriva da un comportamento macroscopicamente negligente.

La riduzione della condanna per concorso della cancelleria

Pur confermando la responsabilità del magistrato, i giudici contabili hanno riconosciuto che la condotta omissiva della cancelleria ha inciso nella causazione dell’evento dannoso. Di conseguenza, l’importo risarcitorio è stato ridotto in misura proporzionale alla corresponsabilità accertata.

Responsabilità per danno erariale e principio di indipendenza

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 385/1996, ha già chiarito che l’indipendenza della funzione giurisdizionale è pienamente compatibile con la responsabilità civile, penale e amministrativo-contabile dei magistrati. Un orientamento condiviso anche dalle Sezioni Unite della Cassazione (ordinanza n. 2370/2023), che hanno affermato la possibilità di chiamare il magistrato a rispondere per danno erariale, sia per l’attività amministrativa, sia per quella giurisdizionale, se caratterizzata da colpa grave o dolo.

metodo d'hondt

Metodo D’Hondt: cos’è, come funziona e quando si applica Come funziona il Metodo D’Hondt, il sistema proporzionale più usato per l’assegnazione dei seggi. Differenze con altri metodi e applicazioni

Cos’è il Metodo D’Hondt

Il Metodo D’Hondt è un sistema matematico utilizzato per l’assegnazione dei seggi in base al principio proporzionale, ideato alla fine del 1800 dal giurista belga Victor D’Hondt. Questo metodo mira a garantire una distribuzione dei seggi più equa tra le liste che partecipano a un’elezione, tenendo conto del numero complessivo dei voti ricevuti.

Come funziona il calcolo dei seggi

Il metodo prevede una procedura semplice ma rigorosa:

  1. si prende il numero totale di voti ottenuti da ogni lista;
  2. ogni numero di voti viene diviso per una serie crescente di numeri interi (1, 2, 3, …), fino a generare un numero sufficiente di quozienti;
  3. i seggi vengono assegnati ai quozienti più alti, fino a esaurimento dei posti disponibili.

Esempio pratico: se ci sono 3 seggi da assegnare e tre liste A, B e C con 1000, 800 e 400 voti, i seggi verranno attribuiti dividendo i voti e scegliendo i tre quozienti più alti. Questo processo tende a favorire le liste più votate, pur mantenendo un’impostazione proporzionale.

Dove viene utilizzato il Metodo D’Hondt

Il Metodo D’Hondt è adottato in numerosi sistemi elettorali, sia a livello nazionale che locale, tra cui:

  • parlamenti nazionali, come in Italia, Spagna, Portogallo, Belgio;
  • elezioni europee;
  • consigli comunali e metropolitani;
  • organismi rappresentativi di settore, come comitati tecnici, consigli universitari o comitati di gestione venatori.

Differenze rispetto ad altri metodi proporzionali

Il Metodo D’Hondt si distingue da altri sistemi di assegnazione proporzionale come:

  • Metodo Sainte-Laguë: anche questo metodo prevede l’assegnazione dei voti in modo proporzionale. Dopo la registrazione dei voti per ogni lista viene calcolato un quoziente, in base a una determinata formula matematica. La lista che ottiene il quoziente più alto ottiene un seggio, il quoziente viene quindi utilizzato nella formula fino all’assegnazione di tutti i seggi.
  • Metodo Hare-Niemeyer (quota semplice): calcola una quota fissa per ogni seggio e assegna i seggi in base al rapporto voti/quota, con un’eventuale assegnazione dei restanti per approssimazione.

Rispetto questi sistemi, il Metodo D’Hondt tende a garantire una maggiore governabilità, premiando lievemente le forze più votate e riducendo la frammentazione delle rappresentanze.

Un equilibrio tra rappresentanza e stabilità

Grazie alla sua semplicità e alla sua efficacia, il Metodo D’Hondt rappresenta uno dei sistemi proporzionali più diffusi al mondo, capace di bilanciare rappresentanza democratica e funzionalità istituzionale. La sua applicazione è spesso scelta nei contesti in cui è necessario mantenere una certa proporzione tra voti e seggi, senza però rinunciare alla stabilità degli organi rappresentativi.

 

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metodo d'hondt

Caccia: è legittimo il metodo D’Hondt per i comitati di gestione La Consulta conferma la legittimità del metodo D’Hondt nella composizione dei comitati venatori. Nessuna violazione del principio di rappresentatività ambientale

La Consulta promuove il metodo D’Hondt

Con la sentenza n. 82/2025, la Corte costituzionale ha respinto le questioni di legittimità sull’articolo 3, comma 3, della legge regionale abruzzese n. 11/2023. La norma in esame introduce l’uso del sistema proporzionale con metodo D’Hondt per l’assegnazione dei seggi nei comitati di gestione della caccia.

Come funziona il metodo D’Hondt

Il metodo D’Hondt è un sistema di calcolo proporzionale che prevede la divisione dei voti di ogni lista – in questo caso il numero di iscritti a ciascuna associazione venatoria – per numeri progressivi, fino a coprire il totale dei seggi disponibili. Questo modello è ampiamente utilizzato anche in altri ambiti elettorali per assicurare una rappresentanza proporzionale.

Le critiche del TAR Abruzzo

Il TAR Abruzzo aveva sollevato dubbi di costituzionalità, ritenendo che il meccanismo penalizzasse alcune associazioni venatorie locali, contravvenendo a quanto disposto dall’articolo 14, comma 10, della legge statale n. 157/1992, a tutela della fauna. Secondo il giudice amministrativo, la norma nazionale garantirebbe una rappresentanza paritaria, considerata parte integrante della tutela ambientale ex articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.

La decisione della Corte Costituzionale

La Corte costituzionale ha ritenuto infondata la questione. Secondo i giudici, la norma statale richiamata non impone una rappresentanza proporzionale per ogni singola associazione, ma richiede la presenza, all’interno dei comitati, delle tre principali categorie di soggetti interessati: associazioni venatorie, associazioni di protezione ambientale e organizzazioni agricole.

Una volta garantita tale composizione tripartita, spetta alle Regioni stabilire, con ampio margine di discrezionalità, la formula elettorale più adeguata.

Ampia autonomia normativa per le Regioni

La Consulta ha ribadito che il meccanismo di ripartizione dei seggi rientra nella libertà di scelta del legislatore regionale. Il sistema D’Hondt, in questo contesto, è stato ritenuto una modalità legittima di distribuzione dei posti all’interno delle categorie rappresentate, senza ledere i principi costituzionali o gli obblighi di tutela ambientale.

stop ai cellulari

Stop ai cellulari anche alle superiori: cosa prevede la circolare Il Ministero vieta l’uso dello smartphone nelle superiori durante l’orario scolastico. Eccezioni, motivazioni e sanzioni spiegate nella circolare del MIM

Smartphone banditi alle scuole superiori

Stop ai cellulari: il Ministero dell’Istruzione e del Merito, con la circolare prot. n. 3392 del 16 giugno 2025, estende il divieto di utilizzo dello smartphone agli istituti del secondo ciclo di istruzione, includendo tutte le scuole superiori. Durante l’orario scolastico è proibito l’uso del cellulare, in analogia alle norme già adottate per la scuola primaria e media. 

Motivazioni alla base del divieto

La scelta ministeriale si basa su evidenze internazionali sul danno causato dall’uso eccessivo dello smartphone:

  • uno studio OCSE 2024 mette in relazione smartphone, social media e calo delle performance scolastiche; 

  • l’OMS e l’ISS segnalano l’aumento del rischio di dipendenze comportamentali, con ricadute negative su sonno, concentrazione e relazioni sociali. 

Eccezioni per casi particolari

Sono previste esenzioni al divieto in tre situazioni:

  • alunni con disabilità o DSA, secondo il PEI o PDP;

  • attività didattiche specifiche in settori tecnici/informatici;

  • per esigenze personali motivate documentate.

Strumenti alternativi e uso responsabile

Non sono vietati altri strumenti digitali come PC, tablet o lavagne elettroniche, purché utilizzati secondo il progetto formativo e l’autonomia scolastica. Le scuole sono inoltre invitate a promuovere un’educazione al uso responsabile delle tecnologie, con interventi mirati sugli strumenti digitali e sull’uso consapevole di internet.

Sanzioni e organizzazione scolastica

Gli istituti, aggiornando i regolamenti e i patti di corresponsabilità, devono prevedere sanzioni disciplinari proporzionate per gli studenti che violano il divieto. Spetta alla scuola definire le modalità organizzative necessarie a garantire l’effettiva applicazione del divieto. 

Obiettivi generali e prospettive future

La circolare mira a tutelare salute, apprendimento e benessere degli adolescenti, contrastando fenomeni come la dipendenza da social e gaming. Il Ministero ha anche sollecitato la Commissione UE ad adottare una raccomandazione che promuova l’uso appropriato delle tecnologie digitali negli istituti europei

vizi dell'atto amministrativo

Vizi dell’atto amministrativo Vizi dell'atto amministrativo: requisiti dell'atto amministrativo, tipologie di vizi, annullamento, nullità, correzione e conseguenze

Vizi dell’atto amministrativo: cosa sono

Per comprendere in cosa consistono i vizi dell’atto amministrativo occorre premettere che questo è lo strumento principe mediante il quale la Pubblica Amministrazione esercita il proprio potere. Gli atti amministrativi si possono classificare in tre categorie principali: gli atti amministrativi in senso stretto, gli atti amministrativi normativi e i provvedimenti amministrativi.

Affinché l’atto amministrativo sia valido ed efficace, deve rispettare determinati requisiti previsti dalla legge. Quando questi requisiti mancano o sono compromessi, si parla di vizi dell’atto amministrativo.

I vizi compromettono la legittimità dell’atto e possono portare alla sua annullabilità o nullità, con conseguenze rilevanti per la pubblica amministrazione e per i cittadini destinatari. L’atto però può anche presentare vizi di merito, come vedremo.

La disciplina dei vizi dell’atto amministrativo rappresenta uno dei pilastri del diritto amministrativo. Essa garantisce che la pubblica amministrazione operi nel rispetto della legalità, della trasparenza e dell’efficienza, tutelando al contempo i diritti dei cittadini. Conoscere i diversi tipi di vizi e le relative conseguenze è essenziale per capire il funzionamento corretto del potere amministrativo e il ruolo del controllo giurisdizionale nell’ordinamento italiano.

I requisiti dell’atto amministrativo

Per comprendere a fondo i vizi dell’atto amministrativo, è necessario esaminare gli elementi costitutivi dell’atto amministrativo:

  • il soggetto: l’autorità, l’ente competente a emanare l’atto;
  • la forma: il modo con cui l’atto si presenta all’esterno, esso in alcuni casi deve rispettare la forma scritta, mentre in altri casi la forma è libera;
  • l’oggetto: corrisponde al contenuto dell’atto, che deve essere lecito, possibile e determinato;
  • la motivazione: ossia l’indicazione delle ragioni di fatto e di diritto per cui l’atto viene emanato;
  • le finalità o causa dell’atto, il quale deve perseguire sempre l’interesse pubblico, in quanto principio cardine dell’azione amministrativa;

La mancanza o l’errata configurazione di uno di questi elementi essenziali dell’atto amministrativo è causa di vizi dell’atto amministrativo

Tipologie di vizi  

I principali vizi dell’atto amministrativo sono classificabili in due categorie: i vizi di legittimità (incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge previsti dall’art. 21 octies Legge n. 241/1990) e i vizi di merito.

Vizi di legittimità dell’atto amministrativo

1. Incompetenza: si ha incompetenza quando l’atto è adottato da un soggetto diverso da quello previsto dalla legge. L’incompetenza può essere:

  • assoluta: se l’atto è emanato da un’autorità priva di qualsiasi potere sull’oggetto;
  • relativa: se l’autorità appartiene alla stessa amministrazione, ma non è il soggetto specificamente competente (es. un dirigente invece del responsabile di settore).

L’incompetenza è generalmente causa di annullabilità, ma può portare alla nullità se è assoluta (es. un comune che emana un atto spettante allo Stato).

2. Violazione di legge: la violazione di legge si verifica quando l’atto è contrario a norme di legge, regolamenti o altre fonti normative. Questo vizio può riguardare:

  • la forma (es. mancanza della motivazione);
  • il procedimento (es. omessa partecipazione del privato);
  • il contenuto (es. provvedimento contrario a una norma imperativa).

La violazione di legge comporta l’annullabilità dell’atto amministrativo, salvo i casi più gravi.

3. Eccesso di potere: è un vizio tipico del diritto amministrativo e si ha quando l’atto, pur formalmente corretto, è illegittimo per un uso distorto del potere. Esso colpisce gli atti di natura discrezionale. Le forme più comuni di eccesso di potere sono:

  • lo sviamento di potere: quando l’amministrazione persegue un fine diverso da quello pubblico;
  • l’illogicità manifesta: se l’atto appare incoerente o irragionevole;
  • la contraddittorietà: quando l’atto è in contrasto con precedenti decisioni non motivate;
  • l’insufficienza di motivazione: l’atto presenta una motivazione vaga o assente;
  • il travisamento dei fatti: l’atto si basa su presupposti errati.

L’eccesso di potere determina l’annullabilità.

Vizi di merito dell’atto amministrativo 

L’atto amministrativo può presentare anche vizi di merito. In questo caso il vizio non è determinato dalla contrarietà a norme giuridiche, ma dal mancato rispetto del principio generale della buona amministrazione sancito dall’articolo 97 della Costituzione. L’attività della Pubblica amministrazione infatti deve essere esercitata avendo bene a mente la necessità di utilizzare i mezzi più idonei ed efficaci per il raggiungimento del fine. I vizi di merito possono quindi configurarsi quando non vengono rispettati i principi cardine dell’azione amministrativa come l’opportunità, l’eticità, l’economicità e l’equità.

La nullità dell’atto amministrativo

Secondo l’art. 21-septies della legge n. 241/1990, l’atto amministrativo è nullo (e quindi privo di effetti) nei seguenti casi:

  • mancanza di elementi essenziali;
  • difetto assoluto di attribuzione;
  • contenuto illecito (contrario all’ordinamento);
  • violazione o elusione di giudicato.

La nullità è rilevabile d’ufficio in ogni tempo, anche oltre i termini per l’impugnazione.

Annullamento dell’atto viziato

L’annullamento dell’atto viziato può essere:

  • giurisdizionale: se viene disposto dal giudice amministrativo su ricorso di un interessato;
  • d’ufficio: se esercitato dalla stessa amministrazione entro un termine ragionevole e nel rispetto dell’interesse pubblico (art. 21-nonies legge 241/1990).

Correzione dell’atto amministrativo viziato

Quando un atto amministrativo presenta un vizio di legittimità e risulta annullabile, la pubblica amministrazione può anche decidere di non ritrarlo, ma di “correggerlo” attraverso gli strumenti che la legge le mette a disposizione e che sono: la sanatoria, la convalida, la ratifica, la consolidazione e l’acquiescenza.

Conseguenze pratiche

I vizi dell’atto amministrativo incidono sull’affidamento del cittadino, sull’efficacia dell’azione pubblica e sulla legittimità dell’intervento amministrativo. È perciò fondamentale che la pubblica amministrazione:

  • rispetti le regole procedimentali;
  • fornisca motivazioni adeguatamente le proprie decisioni;
  • agisca con coerenza, imparzialità e razionalità.

L’ordinamento prevede meccanismi di controllo (interni e giurisdizionali) volti a tutelare i cittadini e garantire la legalità dell’azione amministrativa.

 

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permesso di costruire

Permesso di costruire per recinzioni: quando è necessario Il Consiglio di Stato chiarisce quando è richiesto il permesso di costruire per le recinzioni: attenzione alle opere permanenti. Ecco i criteri e le regole applicabili

Recinzioni e permesso di costruire

Con la sentenza n. 4044 del 2025, il Consiglio di Stato ha stabilito che anche una recinzione può richiedere il permesso di costruire, quando assume carattere permanente e incide in modo non transitorio sull’assetto edilizio del territorio.

L’occasione è data dal ricorso avverso una decisione del T.A.R. Campania (sentenza n. 6962/2021), e offre lo spunto per riepilogare i principi che regolano l’edilizia libera e gli interventi che esulano da essa.

Il diritto alla recinzione e i suoi limiti edilizi

Ai sensi dell’art. 841 c.c., ogni proprietario ha diritto a chiudere il proprio fondo. Tuttavia, ciò non significa che qualsiasi modalità di recinzione sia esente da titoli abilitativi. La giurisprudenza, infatti, distingue tra:

  • recinzioni leggere e precarie, come reti metalliche su paletti infissi nel terreno;

  • recinzioni strutturalmente rilevanti, come muretti in calcestruzzo o opere murarie con carattere di durabilità e impatto visivo.

Solo le prime possono rientrare nel regime di edilizia libera, mentre le seconde necessitano di permesso di costruire in quanto assimilabili a nuove costruzioni (Cons. Stato, sez. II, 7 aprile 2025, n. 2964; T.A.R. Campania, Napoli, sez. II, 26 marzo 2025, n. 2575).

Edilizia libera: cosa si può fare senza titolo abilitativo

Il quadro normativo dell’edilizia libera è disciplinato da tre riferimenti principali:

  1. Art. 6 del D.P.R. 380/2001 (Testo Unico dell’Edilizia), che elenca tassativamente le opere realizzabili senza permesso;

  2. DM 2 marzo 2018, che contiene un glossario esplicativo delle opere più comuni (es. arredi da giardino, giochi per bambini, pergotende, piccoli manufatti);

  3. Art. 3, comma 1, lett. e.5) del D.P.R. 380/2001, che si riferisce a strutture mobili temporanee, come tende e roulotte.

Secondo la giurisprudenza, questo regime va interpretato in senso restrittivo: le opere edilizie sono libere solo se non producono impatti permanenti sul territorio e non modificano volumi, superfici o destinazioni d’uso (Cons. Stato, sez. VI, 23 luglio 2024, n. 6668).

Esempi pratici: cosa richiede titolo edilizio e cosa no

Serve il permesso di costruire:

  • Recinzioni con muro di sostegno in cemento o simili;

  • Opere che modificano in modo stabile l’assetto del territorio;

  • Installazioni con impatto paesaggistico o urbanistico.

Rientra nell’edilizia libera:

  • Recinzioni leggere (reti su paletti senza fondazioni);

  • Cancelli funzionali alla delimitazione, in assenza di vincoli speciali;

  • Tinteggiature che ripristinano l’aspetto preesistente;

  • Soppalchi interni non abitabili né volumetricamente rilevanti;

  • Pergotende, se amovibili e prive di elementi edilizi rigidi.

Compatibilità con vincoli paesaggistici e urbanistici

Anche quando l’opera rientra nell’edilizia libera, non è mai slegata dal rispetto delle norme urbanistiche e paesaggistiche. Le amministrazioni locali possono imporre prescrizioni tecniche per garantire l’armonia con il contesto, specialmente in aree vincolate (Cons. Stato, sez. II, 7 aprile 2025, n. 2964).

Il diritto del proprietario non è quindi illimitato: il Comune può valutare caso per caso, considerando materiali, dimensioni, impatto visivo e durata dell’opera (T.A.R. Toscana, Firenze, 10 settembre 2019, n. 1227).

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farmacie dei servizi

Farmacie dei servizi: quali limiti Il TAR Sicilia chiarisce i limiti delle farmacie dei servizi: prestazioni solo in sede e non assimilabili a quelle dei centri sanitari accreditati

Cosa sono le farmacie dei servizi

Le farmacie dei servizi sono un’evoluzione della farmacia tradizionale, introdotta per offrire sul territorio prestazioni a valenza socio-sanitaria complementari a quelle dei medici e delle strutture sanitarie accreditate. Introdotte con il D.lgs. n. 153/2009, hanno trovato attuazione con il D.M. 16 dicembre 2010 e successive norme, soprattutto in risposta all’emergenza Covid-19. Il loro scopo è potenziare l’offerta sanitaria del Servizio sanitario nazionale (SSN), soprattutto nei piccoli centri e nelle aree a bassa densità medica.

Le prestazioni erogabili includono, ad esempio, servizi di screening, prenotazioni CUP, autoanalisi, misurazioni, vaccinazioni e test diagnostici in farmacia.

Il caso esaminato dal TAR Sicilia

Con la sentenza n. 881/2025, il TAR Sicilia ha risolto una controversia avviata da alcune associazioni e strutture sanitarie private contro l’Assessorato alla Salute della Regione Siciliana. In particolare, venivano contestate:

  • le linee guida regionali per l’erogazione sperimentale di nuovi servizi da parte delle farmacie di comunità;

  • la possibilità di eseguire tali servizi in locali esterni alla farmacia;

  • la remunerazione delle prestazioni a carico del SSN senza il rispetto dei requisiti di autorizzazione e accreditamento previsti per le strutture sanitarie private.

TAR: non sono operatori sanitari

Il tribunale ha stabilito che le farmacie dei servizi non sono assimilabili agli operatori sanitari accreditati. Infatti, esse erogano prestazioni socio-sanitarie, non sanitarie in senso stretto, e quindi non devono sottostare agli stessi requisiti strutturali e autorizzativi imposti a poliambulatori o cliniche private. Per questo motivo, non si configura alcuna violazione in termini di autorizzazione sanitaria.

Stop alle prestazioni in locali esterni

Diverso è il giudizio sulla possibilità di erogare le prestazioni in spazi esterni alla sede della farmacia. Su questo punto, il TAR ha accolto il ricorso, ritenendo illegittima la previsione regionale che autorizzava l’erogazione in ambienti del tutto separati dalla farmacia stessa.

Secondo il Collegio, il D.M. 16 dicembre 2010, che parla di “spazi dedicati e separati dagli altri ambienti”, fa riferimento a locali interni alla farmacia, e non a strutture esterne. Inoltre, l’unica eccezione ammessa dal legislatore è quella prevista dall’art. 1, comma 2, lett. e-quater del D.lgs. 153/2009, che consente l’uso di locali esterni solo per vaccinazioni e tamponi anti-Covid o antinfluenzali.

In mancanza di una base normativa chiara, un ampliamento tramite atto amministrativo è stato giudicato inammissibile.

legge concorrenza 2025

Legge concorrenza 2025: ok del Governo Approvato il disegno di legge annuale per la concorrenza 2025. Focus su servizi pubblici locali, sanità, trasferimento tecnologico e sicurezza dei consumatori

Approvato il ddl concorrenza 2025

Legge concorrenza 2025: il 4 giugno, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente Giorgia Meloni e del Ministro delle imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, ha dato il via libera al disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza 2025, previsto dall’articolo 47 della legge n. 99/2009. Il Governo ha chiesto al Parlamento una sollecita calendarizzazione del testo, considerata la sua rilevanza strategica nel contesto degli impegni assunti dall’Italia nell’ambito del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR).

L’approvazione di una legge annuale in materia di concorrenza costituisce infatti un passaggio essenziale per l’erogazione dei fondi europei previsti dal Piano.

Tecnologia e innovazione

Tra i punti cardine del disegno di legge, figura l’adozione di misure volte a favorire il trasferimento tecnologico verso le filiere produttive italiane. In particolare, è previsto un atto di indirizzo strategico congiunto del Ministero delle imprese e del Made in Italy e del Ministero dell’università e della ricerca, per promuovere la diffusione delle conoscenze e sostenere la trasformazione tecnologica del sistema industriale.

A tale scopo, la gestione di 250 milioni di euro destinati a progetti di trasferimento tecnologico sarà affidata alla Fondazione Tech e Biomedical, con l’obiettivo di rafforzare le sinergie tra ricerca e impresa.

Servizi pubblici locali

Il testo interviene anche sul fronte dei servizi pubblici locali, con misure specifiche rivolte ai Comuni con oltre 5.000 abitanti. Le norme puntano a migliorare l’efficienza delle gestioni affidate in-house, rafforzando gli strumenti di controllo e verifica da parte delle amministrazioni locali.

Nel settore del trasporto pubblico regionale, si estendono gli obblighi di trasparenza e le procedure di ricognizione delle modalità di gestione degli affidamenti, già previste per i servizi pubblici locali. In caso di inefficienze, saranno applicabili misure correttive analoghe.

Accreditamento sanitario

In ambito sanitario, il disegno di legge introduce nuovi criteri per l’accreditamento delle strutture private, al fine di stimolare una maggiore concorrenza nel settore, in vista della scadenza della proroga attualmente fissata per dicembre 2026.

Questa riforma intende armonizzare l’accesso al sistema sanitario con logiche di efficienza e qualità, promuovendo la competitività tra erogatori pubblici e privati accreditati.

Tutela dei consumatori

Sul versante della sicurezza dei consumatori, il provvedimento prevede nuove sanzioni per l’uso professionale di prodotti cosmetici non conformi alle norme di etichettatura, in particolare quando possano comportare rischi per la salute.

Ulteriori misure riguardano l’impiego di esche e topicidi in spazi pubblici, vietato se pericoloso per animali domestici o persone vulnerabili, come i bambini. L’obiettivo è rafforzare i presidi di sicurezza in ambienti condivisi, contrastando l’uso improprio di sostanze nocive.

sanzione amministrativa pecuniaria

Sanzione amministrativa pecuniaria Sanzione amministrativa pecuniaria: cos'è, importo, pagamento, normativa e sanzioni accessorie

Cos’è la sanzione amministrativa pecuniaria

La sanzione amministrativa pecuniaria è una misura sanzionatoria di natura non penale, irrogata dalla pubblica amministrazione per la violazione di norme dell’ordinamento giuridico che non integrano reato. Si tratta di uno strumento fondamentale per garantire il rispetto della legalità in ambiti come il diritto amministrativo, commerciale, ambientale, fiscale, tributario e della circolazione stradale.

La sanzione amministrativa pecuniaria consiste nel pagamento di una somma di denaro a favore dello Stato o di un altro ente pubblico, previsto per l’inosservanza di obblighi o divieti previsti da leggi, regolamenti o atti amministrativi.

A differenza delle pene pecuniarie penali (come la multa o l’ammenda), la sanzione amministrativa non comporta conseguenze penali, né è iscritta nel casellario giudiziale. Tuttavia, il mancato pagamento può dare luogo a riscossione coattiva e a sanzioni accessorie.

Sanzione amministrativa pecuniaria: normativa di riferimento

La disciplina generale delle sanzioni amministrative è contenuta nella legge 24 novembre 1981, n. 689, intitolata “Modifiche al sistema penale”. Tale legge ha introdotto il principio della depenalizzazione, convertendo molti illeciti penali in illeciti amministrativi.

Le disposizioni di riferimento sono:

  • Art. 1 – Principio di legalità dell’illecito amministrativo.
  • Art. 10 – Determinazione dell’importo della sanzione
  • Art. 14-27 – Procedimento sanzionatorio (accertamento, notificazione, ricorso, pagamento).
  • Art. 16 – Pagamento in misura ridotta.

A tali norme si affiancano disposizioni settoriali, ad esempio nel Codice della strada (D.lgs. n. 285/1992), nel Codice dell’ambiente (D.lgs. n. 152/2006), nel Codice della privacy (D.lgs. n. 196/2003 e Regolamento UE 2016/679).

Importo della sanzione e criteri di determinazione

L’importo della sanzione amministrativa pecuniaria è stabilito dalla norma che prevede l’illecito e deve rispettare i limiti minimo e massimo indicati. In assenza di specificazioni, il giudice o l’autorità competente applicano la sanzione in base a criteri di proporzionalità, tenendo conto:

  • della gravità della violazione;
  • dell’intenzionalità o colpa dell’autore;
  • della capacità economica del trasgressore;
  • di eventuali circostanze aggravanti o attenuanti.

Il pagamento in misura ridotta, previsto dall’art. 16 della legge n. 689/1981, consente all’autore dell’illecito di estinguere la violazione versando entro 60 giorni dalla notifica una somma pari al  terzo del massimo edittale, se più favorevole una somma pari al doppio minimo edittale.

Tipologie di sanzioni amministrative 

Le sanzioni amministrative possono essere:

  • pecuniarie: sono le più comuni e prevedono il pagamento di una somma di denaro;
  • accessorie: si aggiungono a quella principale e possono consistere:
    • nella sospensione o revoca di autorizzazioni o licenze;
    • nella confisca dei beni (es. nel caso di strumenti usati per commettere l’illecito);
    • nella chiusura temporanea o definitiva dell’attività;
    • nella inibizione temporanea a contrattare con la pubblica amministrazione.

Queste sanzioni accessorie sono particolarmente rilevanti nel diritto ambientale, sanitario e societario.

Pagamento e riscossione della sanzione amministrativa pecuniaria

Il pagamento della sanzione può avvenire:

  • in misura ridotta, nei termini previsti;
  • dopo l’irrogazione dell’ordinanza ingiunzione, qualora il soggetto non adempia o non presenti opposizione.

Il mancato pagamento determina l’avvio della riscossione coattiva da parte dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione, mediante cartella esattoriale o ingiunzione fiscale.

In caso di opposizione, il trasgressore può proporre ricorso al giudice di pace o al giudice amministrativo, a seconda della natura della sanzione e dell’autorità che l’ha irrogata.

Sanzioni amministrative pecuniarie nel GDPR e nelle normative europee

Con l’entrata in vigore del Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR), le sanzioni pecuniarie amministrative in materia di privacy hanno acquisito una rilevanza crescente. Il Garante per la protezione dei dati personali può irrogare sanzioni fino a 20 milioni di euro o al 4% del fatturato annuo globale, nei casi più gravi.

Anche l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), la Consob, l’IVASS e altre autorità indipendenti possono applicare sanzioni amministrative di elevato impatto.

Considerazioni conclusive

La sanzione amministrativa pecuniaria è uno strumento efficace e flessibile per sanzionare comportamenti illeciti non penali, garantendo un equilibrio tra deterrenza e celerità procedurale. La sua applicazione è vincolata a criteri di proporzionalità e legalità, e può comportare, nei casi più gravi, anche sanzioni accessorie di tipo interdittivo o patrimoniale. Conoscere il funzionamento delle sanzioni amministrative è essenziale per cittadini, imprese e professionisti, soprattutto in settori altamente regolamentati come il commercio, la sicurezza, l’ambiente e la privacy.

 

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