Responsabilità della Pubblica amministrazione

Responsabilità della Pubblica Amministrazione Responsabilità della pubblica amministrazione: principi, tipologie, conseguenze giuridiche e riparto di giurisdizionale

Responsabilità della pubblica amministrazione

La responsabilità della pubblica amministrazione è un concetto giuridico fondamentale per garantire legalità, imparzialità ed efficienza dell’azione amministrativa. Essa rappresenta l’obbligo dell’amministrazione di rispondere delle proprie condotte illecite o dannose sotto il profilo civile, penale, amministrativo-contabile e disciplinare.

Il principio di responsabilità della pubblica amministrazione

Alla base dell’ordinamento democratico e dello Stato di diritto vi è il principio secondo cui anche la Pubblica Amministrazione (PA) è soggetta alla legge e deve rispondere delle conseguenze derivanti dalla propria attività.

Tale principio trova fondamento:

  • nell’art. 28 della Costituzione italiana, secondo cui i funzionari e i dipendenti pubblici sono direttamente responsabili, civilmente, penalmente e amministrativamente, degli atti compiuti in violazione dei diritti;
  • nell’art. 2043 del codice civile, che stabilisce il generale principio di responsabilità aquiliana (extracontrattuale);
  • nel principio di buona amministrazione sancito dall’art. 97 Costituzione;
  • nella giurisprudenza della Corte di Cassazione e della Corte dei Conti.

La responsabilità della PA può derivare sia da atti illegittimi che da omissioni, e può essere azionata dai cittadini, dalle imprese e da altri enti che abbiano subito un danno ingiusto.

Responsabilità civile della pubblica amministrazione

La responsabilità civile può essere di due tipi:

1. Responsabilità extracontrattuale (ex art. 2043 c.c.)

È il caso più frequente: si verifica quando l’attività illegittima della PA provoca un danno ingiusto a un soggetto, lesivo di un interesse tutelato dall’ordinamento. Per configurarsi, devono sussistere tre presupposti:

  • condotta illecita della PA o del suo agente;
  • danno ingiusto subito dal privato;
  • nesso di causalità tra la condotta e il danno.

Un esempio classico è la responsabilità da ritardo nell’emissione di provvedimenti amministrativi o da mancata esecuzione di sentenze.

2. Responsabilità contrattuale (es. in caso di appalti o convenzioni)

Meno frequente, ma può insorgere quando la PA stipula contratti con soggetti privati e non adempie correttamente agli obblighi assunti, incorrendo così nella responsabilità da inadempimento.

Responsabilità penale della pubblica amministrazione

I funzionari pubblici, nell’esercizio delle loro funzioni, possono incorrere in responsabilità penale nei casi previsti dal codice penale e da leggi speciali. I principali reati contro la Pubblica Amministrazione sono disciplinati dal Titolo II del Libro II del codice penale.

Tra i reati più rilevanti si segnalano:

  • abuso d’ufficio (art. 323 c.p.);
  • corruzione per l’esercizio della funzione (art. 318 c.p.) e per atto contrario ai doveri d’ufficio (art. 319 c.p.);
  • peculato (art. 314 c.p.);
  • concussione (art. 317 c.p.);
  • omissione o rifiuto di atti d’ufficio (art. 328 c.p.).

È importante sottolineare che, in ambito penale, la responsabilità non è mai collettiva, ma personale: ricade sul singolo funzionario che ha tenuto la condotta illecita, anche se in rappresentanza della PA.

Responsabilità amministrativo-contabile

È la forma di responsabilità peculiare dei dipendenti e funzionari pubblici quando recano un danno erariale al patrimonio pubblico con dolo o colpa grave.

Rientrano in questa categoria:

  • l’indebito pagamento di somme;
  • l’acquisto di beni o servizi a prezzi maggiorati;
  • l’omessa riscossione di crediti pubblici;
  • la mancata vigilanza che comporta un danno alle finanze pubbliche.

Questa responsabilità è personale e patrimoniale, è sottoposta alla giurisdizione della Corte dei Conti, e può comportare l’obbligo di risarcimento del danno all’erario.

Responsabilità disciplinare

Oltre alle responsabilità civile, penale e contabile, i dipendenti pubblici sono soggetti anche a responsabilità disciplinare per violazione dei doveri d’ufficio, secondo quanto previsto dai codici di comportamento e dai contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL) del pubblico impiego.

Le sanzioni disciplinari possono variare:

  • dal richiamo scritto alla sospensione,
  • fino al licenziamento per giusta causa.

Il principio dell’autoresponsabilità

La giurisprudenza ha sviluppato il principio secondo cui la PA risponde in giudizio come qualsiasi altro soggetto giuridico, senza privilegi o immunità particolari, in ossequio al principio di uguaglianza (art. 3 Costituzione.).

Competenza dei giudici nella azioni di responsabilità

Semplificando all’estremo, le azioni risarcitorie nei confronti della PA vengono proposte:

  • dinanzi al giudice ordinario, quando il privato stato leso in suo diritto soggettivo. Un esempio tipico di lesione di diritto soggettivo si verifica quando un soggetto viene leso nell’affidamento riposto nell’attendibilità di una attestazione della PA sull’edificabilità di un’area, che poi si rivela erronea;
  • dinanzi al giudice amministrativo (TAR), quando il danno deriva dalla lesione di interessi legittimi nelle materie affidate a questa autorità giudiziaria in via esclusiva. La nota sentenza della Cassazione n. 500/1999 ha chiarito però che affinché vi sia tutela risarcitoria la lesione dell’interesse legittimo non è sufficiente, è necessaria la lesione del bene della vita collegato all’interesse legittimo.

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fermo amministrativo

Fermo amministrativo Fermo amministrativo: cos'è,  normativa di riferimento, iscrizione, effetti, cancellazione, veicoli esclusi, impugnazione e giurisprudenza 

Cos’è il fermo amministrativo

Il fermo amministrativo è una misura cautelare imposta dalla Pubblica Amministrazione, per mezzo dall’Agenzia delle Entrate – Riscossione, per obbligare il cittadino a saldare un debito fiscale o amministrativo non pagato. Il fermo colpisce beni mobili registrati, in primis veicoli a motore, e impedisce al destinatario del provvedimento di circolare legalmente.

Normativa di riferimento

La disciplina del fermo amministrativo si fonda:

  • sull’art. 214 del Codice della Strada che vieta la circolazione dei veicoli sottoposti a fermo e art. 214 bis che disciplina l’alienazione dei veicoli in caso di fermo;
  • sul Codice civile, per le norme generali in materia di esecuzione forzata.

Procedura di iscrizione

  1. notifica della cartella esattoriale per il pagamento del debito (es. tassa auto, multe, tributi);
  2. in caso di mancato pagamento, l’ente può procedere, dopo 60 giorni, all’iscrizione del fermo;
  3. l’intimazione avviene tramite un preavviso di fermo;
  4. trascorsi ulteriori 30 giorni senza adempimenti, si iscrive il fermo al Pubblico Registro Automobilistico (PRA).

Effetti del fermo amministrativo

Il fermo produce le seguenti conseguenze:

  • il veicolo non può circolare su strada pubblica;
  • il veicolo non può essere venduto, demolito o esportato fino alla cancellazione del fermo;
  • il mezzo può essere custodito in area privata, ma non può essere utilizzato;
  • se il mezzo viene posto in circolazione, in violazione del fermo, è prevista una sanzione pecuniaria e confisca del mezzo.

Cancellazione del fermo: come si ottiene

Per rimuovere il fermo amministrativo bisogna:

  • pagare integralmente il debito o presentare un piano di rateizzazione approvato;
  • ottenere la revoca del fermo dall’agente della riscossione;
  • presentare formale ricorso contro il fermo amministrativo;
  • presentare la documentazione all’ACI – PRA per ottenere la cancellazione formale.

Il pagamento può essere anche spontaneo, ma serve la quietanza dell’Agenzia per cancellare il vincolo.

Veicoli esclusi dal fermo amministrativo

Non tutti i veicoli possono essere sottoposti a fermo. Sono esenti:

  • veicoli strumentali all’attività di impresa o professione;
  • mezzi usati da persone con disabilità, iscritti nei registri sanitari;
  • veicoli destinati a uso pubblico o di emergenza.

Per ottenere l’esclusione è necessario documentare l’uso funzionale e richiederla prima dell’iscrizione del fermo.

Impugnazione e ricorsi

Il destinatario del fermo può:

  • presentare istanza in autotutela all’Agenzia delle Entrate;
  • proporre ricorso al Giudice di Pace, alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado o al Tribunale ordinario, a seconda del tipo di credito.

Il ricorso deve essere tempestivo e fondato principalmente su vizi di notifica e prescrizione del debito.

Giurisprudenza sul fermo amministrativo

Danno da fermo amministrativo

Cassazione n. 13173/2023: il danno derivante da un fermo amministrativo illegittimo si configura con la concreta indisponibilità del bene, e può comportare il risarcimento di diverse tipologie di pregiudizio. Tuttavia, a differenza di un “danno in re ipsa” (che si presume esista per il solo verificarsi di un evento dannoso), l’esistenza e l’ammontare di questo danno non sono automatici, ma devono essere provati da chi lo richiede. Tale prova è soggetta agli ordinari oneri probatori, che possono essere soddisfatti anche tramite il ricorso a presunzioni. Queste presunzioni possono, ad esempio, confermare l’intenzione del proprietario di utilizzare il proprio bene secondo la sua destinazione normale, dimostrando così il reale pregiudizio subito.

Fermo amministrativo e competenza territoriale riscossione Tributi

Cassazione n. 23889/2024: un provvedimento di fermo amministrativo è da considerarsi illegittimo se emesso da un ufficio provinciale del concessionario che opera in un ambito territoriale diverso dal domicilio fiscale del contribuente. La ragione risiede nel fatto che, nell’attività di riscossione dei tributi, l’Agenzia delle Entrate deve seguire precisi criteri di competenza territoriale. Da un lato, ogni atto impositivo deve essere emesso dall’ufficio che ha la competenza territoriale sul domicilio fiscale del contribuente, come stabilito dall’articolo 31, comma 2, del d.P.R. n. 600 del 1973. Dall’altro, l’ufficio competente consegna il ruolo (ovvero l’elenco dei crediti da riscuotere) al concessionario che opera nello specifico ambito territoriale a cui tale ruolo si riferisce, in conformità all’articolo 24 del d.P.R. n. 602 del 1973.

Fermo amministrativo e valore del bene

Cassazione n. 32062/2024: in materia di fermo amministrativo, la giurisprudenza ha stabilito che non è rilevante la sproporzione tra il valore del debito o della sanzione e il valore del bene su cui viene applicato il fermo. Questo perché l’articolo 86 del D.P.R. n. 602 del 1973, che disciplina il fermo amministrativo, non prevede alcun limite di proporzionalità o di valore del credito come requisito per l’applicazione di questa misura.

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sorpassometro

Sorpassometro: funzionamento, sanzioni e ricorso Sorpassometro: definizione, normativa di riferimento, funzionamento, regole di installazione, sanzioni e contestazione

Sorpassometro: cos’è?

Il sorpassometro è un sistema di rilevazione elettronico, che viene impiegato soprattutto su strade considerate a rischio e che accerta le infrazioni legate al divieto di sorpasso. Esso si concentra infatti sul movimento dei veicoli e sull’attraversamento della linea continua.

Il sorpassometro è uno strumento tecnologico efficace per la sicurezza stradale, ma la sua validità giuridica rimane parzialmente vulnerabile a causa dell’ambiguità normativa che circonda la differenza tra approvazione e omologazione.

Normativa di riferimento

L’uso dei sorpassometri è regolato da diversi decreti ministeriali.

Il primo decreto del 2008 è stato aggiornato nel 2011 (modello SV2) e, più di recente, dal Decreto n. 603 dell’11 dicembre 2024. Quest’ultimo ha approvato i dispositivi di ultima generazione (modello SV3) e ha esteso la loro installazione su strade con un limite di velocità fino a 90 km/h, ampliandone così l’ambito di applicazione.

Come funziona il soprassometro

Il funzionamento del sorpassometro si basa su una combinazione di tecnologie.

  • Dei sensori posizionati nel manto stradale rilevano il passaggio di un veicolo sulla corsia opposta, attivando un sistema di telecamere ad alta risoluzione.
  • Queste telecamere registrano un breve filmato (di circa 15 secondi) che documenta l’intera manovra di sorpasso.
  • I dati, inclusa la targa, vengono trasmessi in tempo reale al comando della Polizia Locale.
  • Un operatore esamina il filmato per convalidare l’infrazione prima di emettere la multa.
  • Non è prevista la contestazione immediata. L’articolo 201 del Codice della Strada prevede infatti la possibilità di elevare l’infrazione in modalità differita.

Regole di installazione per il sorpassometro

L’installazione di questi dispositivi richiedono l”autorizzazione formale del Prefetto, la quale deve fondarsi su dati oggettivi in grado di dimostrare un’elevata incidentalità nel tratto stradale interessato. I sorpassometri infatti sono presenti soprattutto in zone pericolose (curve cieche, dossi e rettilinei caratterizzati da segnaletica insufficiente).

Sanzioni previste

Le sanzioni per il sorpasso vietato, sono regolamentate dall’articolo 148 del Codice della Strada:

  • multa da 167 a 665 euro e decurtazione di 10 punti dalla patente;
  • la sanzione può arrivare a 327-1.308 euro se l’infrazione avviene in curve, dossi o incroci;
  • i neopatentati rischiano anche la sospensione della patente da 1 a 3 mesi in caso di recidiva;
  • le multe infine vengono aumentate di un terzo qualora l’infrazione venga commessa tra le 22:00 e le 7:00.

L’attraversamento della striscia continua senza l’esecuzione di un sorpasso effettivo prevede invece una sanzione minore e la decurtazione di 2 punti dalla patente.

Quando e come fare ricorso

Come per tutte le sanzioni amministrative, anche le multe elevate per la violazione del divieto di sorpasso rilevate con il soprassometro possono essere contestate entro 60 giorni al Prefetto o entro 30 giorni al Giudice di Pace. Oltre ai vizi formali classici, un ricorso può essere fondato su due elementi chiave:

  • assenza di segnaletica: la presenza del sorpassometro deve essere annunciata da un cartello ben visibile. In assenza la multa può essere annullata;
  • mancata omologazione: la legge distingue tra “approvazione” (autorizzazione ministeriale generica) e “omologazione” (certificazione tecnica rigorosa). Sebbene il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti tenda a equiparare i due concetti, la Corte di Cassazione ha stabilito che per la validità delle multe è necessaria l’omologazione. Questo punto, ancora oggetto di dibattito, rappresenta una via efficace per contestare la sanzione.

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guida troppo piano

Multa anche per chi guida troppo piano Chi guida troppo piano rischia la multa se non rispetta i limiti minimi di velocità presenti in alcuni tipi di strade o intralcia il traffico

Anche chi guida troppo piano rischia la multa

Potrà sembrare strano, ma anche chi guida piano rischia la multa. Quante volte capita di avere fretta e di trovarsi davanti un conducente fin troppo prudente che blocca il traffico. Ecco, anche questa situazione per il Codice della Strada rappresenta una possibile fonte di pericolo. Andare troppo piano infatti impedisce al traffico di scorre in modo fluido, perché crea rallentamenti e inutili ingorghi.

Chi guida troppo piano intralcia il traffico

Lo dice anche il Codice della Strada nell’articolo 141 dedicato alla velocità di circolazione. Il comma 6 di questa norma stabilisce infatti che: “Il conducente non deve circolare a velocità talmente ridotta da costituire intralcio o pericolo per il normale flusso della circolazione.”

Chi non rispetta questa regola pertanto è soggetto a una sanzione minima di 42 euro, che può arrivare fino a un massimo di 173, come previsto dal comma 11 dello stesso articolo 141.

In casi come questi quindi le forze di polizia hanno il potere di fermare e sanzionare il conducente troppo prudente se:

  • nel tratto stradale è imposta una velocità minima che non viene rispettata;
  • la velocità minima di circolazione non viene rispettata in autostrada, destinata notoriamente allo scorrimento veloce;
  • il veicolo crea intralcio alla circolazione rallentando l’andamento regolare anche degli altri mezzi.

Regole generali sulla velocità di guida

Se guidare oltre i limiti di velocità è pericoloso, lo è altrettanto quindi anche guidare troppo piano. Del resto il comma 1 dell’articolo 141 del Codice della Strada stabilisce che il conducente è obbligato ad adeguare la velocità di marcia, nel rispetto delle seguenti variabili:

  • caratteristiche, stato e carico del veicolo;
  • caratteristiche e condizioni della strada;
  • caratteristiche e condizioni e del traffico;
  • ogni altra circostanza di qualsiasi natura;
  • visibilità e condizioni meteo.

Limiti di velocità minimi

A parte le regole generali sulla velocità di guida che impongono di non guidare troppo piano per non creare ingorghi e impedire il flusso della circolazione stradale, ci sono anche veri e propri limiti minimi di velocità da rispettare in certi tipi di strada.

  • In autostrada ad esempio, chi guida sulla corsia di destra deve rispettare i limiti generali appena visti e prescritti dall’articolo 141.
  • Chi guida invece nella corsia centrale dell’autostrada non può circolare a una velocità inferiore ai 60 chilometri orari.
  • Chi poi decide di compiere un sorpasso in autostrada e quindi di percorrere la corsia di sinistra non può tenere una velocità inferiore ai 90 chilometri orari.
  • In altri tipi di strada invece i limiti minimi di velocità da rispettare sono indicati all’interno di specifici cartelli con sfondo blu e numero bianco.

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bonus sociale rifiuti

Bonus sociale rifiuti 2026 Bonus sociale rifiuti 2026: cos’è, chi lo ha deciso, chi ne beneficerà, come ottenerlo, e quale sarà il suo impatto sul costo della TARI

Bonus sociale rifiuti dal 2026

Da gennaio 2026 verrà introdotto il bonus sociale rifiuti. Trattasi di una nuova misura per aiutare circa 4 milioni di famiglie in difficoltà economica. La decisione, annunciata con un comunicato stampa del 1° agosto 2025, è stata presa da ARERA (Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente) con la delibera 355/2025/R/rif, corredata dall’Allegato A contenete il “testo Unico per la regolazione delle modalità applicative per riconoscimento del bonus sociale Rifiuti TUBR”. La delibera ha stabilito nello specifico le procedure per l’erogazione di uno sconto automatico del 25% sulla tassa sui rifiuti.

Chi può beneficiarne 

Il bonus è destinato a due categorie di famiglie:

  • quelle con un ISEE inferiore a 9.530 euro;
  • le famiglie numerose con almeno quattro figli a carico e con un ISEE fino a 20.000 euro.

Come si ottiene il bonus sociale rifiuti

Il processo per ottenere lo sconto è completamente automatico. Non sarà necessario presentare alcuna domanda specifica, ma sarà sufficiente aver compilato la Dichiarazione Sostitutiva Unica (DSU) all’INPS per l’anno 2025. Un sistema digitale incrocerà automaticamente i dati ISEE con quelli dei gestori del servizio rifiuti, applicando lo sconto direttamente in bolletta. L’automatizzazione del processo, che si affianca a quella già in uso per i bonus di luce, gas e acqua, garantisce la protezione dei dati personali, in linea con il GDPR.

Impatto e risparmio

La TARI è la tassa comunale destinata a coprire i costi della gestione dei rifiuti solidi urbani, e il suo costo medio nazionale nel 2024 è stato di circa 329 euro per una famiglia tipo. Tuttavia, le tariffe variano notevolmente a seconda del Comune di residenza. Lo sconto del 25% si tradurrà in un risparmio annuale stimato tra 50 e 150 euro, a seconda della zona. Questo bonus sarà particolarmente vantaggioso per le famiglie che vivono in Comuni dove il costo della TARI è più elevato.

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decreto semplificazioni 2025

Decreto semplificazioni 2025 per imprese, fisco e lavoro Decreto semplificazioni 2025: approvato dal CdM il disegno di legge che semplifica lavoro, fisco, ambiente, agricoltura e trasporti

Decreto semplificazioni 2025: arrivato il sì del CdM

Il decreto semplificazioni 2025 è stato approvato dal Consiglio dei Ministri il 4 agosto 2025, con l’obiettivo di snellire la burocrazia e gli adempimenti fiscali e amministrativi. Questo provvedimento rientra nel piano del PNRR e mira a raggiungere 600 procedure semplificate entro il 2026. Il testo interviene su vari settori, tra cui fisco, lavoro, ambiente e sviluppo economico.

Semplificazioni fiscali 

Per quanto riguarda il fisco, le fatture per i crediti d’imposta Transizione 4.0 e 5.0 non richiederanno più il lungo riferimento normativo, ma un più semplice codice identificativo. I contribuenti le cui dichiarazioni fiscali vengano scartate per errori tecnici non saranno sanzionati, a patto di ritrasmetterle correttamente entro un termine prestabilito. Inoltre, per chi decide di rinunciare al contenzioso su sanzioni relative a imposta di registro, successioni e donazioni, è prevista una riduzione a un terzo.

Lavoro e attività economiche: “once only”

Nell’ambito del lavoro e delle attività economiche, viene introdotto il principio del “once only” per le comunicazioni obbligatorie, riducendo le duplicazioni. Le microimprese con meno di cinque dipendenti beneficeranno di adempimenti sulla privacy semplificati e di una procedura più agile per la nomina di un responsabile tecnico temporaneo. Le autorizzazioni per insegne commerciali e distributori automatici vengono semplificate grazie all’uso della SCIA.

Ambiente, agricoltura e trasporti

Le procedure di bonifica ambientale diventeranno più rapide, specialmente per i progetti PNRR. Le imprese già in possesso di un’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) non dovranno più certificare di non svolgere attività insalubri. Anche il riutilizzo delle acque reflue e le norme su classificazione e trasporto dei rifiuti subiscono una semplificazione.

Limitatamente ai primi cinque anni di attività i nuovi imprenditori agricoli professionali (IAP) beneficeranno non dovranno dimostrare i requisiti di reddito. Gli autotrasportatori potranno utilizzare lo stesso veicolo per conto proprio e per conto terzi.

Decreto semplificazioni 2025: le altre novità

Sono inoltre previste misure per supportare le aree colpite da crisi produttive e un decreto legge separato per la giustizia. I contratti di sviluppo saranno più efficienti grazie alla semplificazione e alla rapidità delle procedure e a protocolli d’intesa con le associazioni di categoria.

 

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Patti lateranensi

Patti Lateranensi Patti Lateranensi: cosa sono, ratio, cosa prevedono, costituzionalizzazione, revisione del 1984 e modificabilità

Patti Lateranensi: cosa sono

I Patti Lateranensi, resi esecutivi con la legge n. 810/1929, sono stati firmati l’11 febbraio 1929 tra il Regno d’Italia e la Santa Sede, al fine di regolamentare i loro rapporti. Questi accordi sono composti da un Trattato, da una Convenzione finanziaria e da un Concordato.

Patti Lateranensi: nasce lo Stato del Vaticano

I Patti Lateranensi sono stati sottoscritti per mettere la parole “fine” alla Questione Romana, nata nel 1870 con la Presa di Roma da parte del Regno d’Italia. Questo evento segnò la fine del potere temporale dei papi e l’annessione degli Stati della Chiesa all’Italia.

L’Italia, nel 1871, tentò di risolvere la questione con la Legge delle Guarentigie, che però non fu mai riconosciuta dalla Santa Sede in quanto atto unilaterale.

Con il passare dei decenni, si fece strada l’idea che la restituzione degli Stati Pontifici fosse irrealizzabile, ma che la sovranità su uno Stato in miniatura avrebbe comunque garantito la libertà d’azione del Papa. Il desiderio di Papa Pio XI di tutelare giuridicamente la Chiesa e la volontà di Benito Mussolini di inserire il cattolicesimo nel movimento fascista furono i motori che portarono alla firma dei Patti. Gli accordi furono siglati nel Palazzo di San Giovanni in Laterano dal Cardinale Segretario di Stato Pietro Gasparri per la Santa Sede e da Benito Mussolini per il Regno d’Italia.

Cosa prevedono i Patti Lateranensi

I Patti Lateranensi si articolano in due documenti principali:

  • Il Trattato riconosceva l’indipendenza e la sovranità della Santa Sede, dando vita allo Stato della Città del Vaticano. A questo documento era allegata la Convenzione finanziaria, che regolava le questioni legate alla spoliazione degli enti ecclesiastici.  Prevista inoltre l’esenzione da dazi  e imposte sui prodotto importati per il neonato Stato del Vaticano.
  • Il Concordato invece si occupava di definire le relazioni civili e religiose tra la Chiesa e il Governo. Esso stabiliva che il vescovo di Roma, ossia il Papa, non fosse obbligato a giurare fedeltà al governo italiano, in segno di rispetto per la sua indipendenza.

Patti lateranensi nella Costituzione

I Patti Lateranensi furono costituzionalizzati nell’articolo 7 della Costituzione italiana nel 1948. Questa norma sancisce l’indipendenza e la sovranità dello Stato e della Chiesa cattolica, ciascuno nel proprio ordine. Qualsiasi modifica dei Patti richiede l’accordo preventivo tra lo Stato e la Santa Sede. In questo caso la revisione non necessita di un procedimento di revisione costituzionale.

Le norme dei  Patti Lateranensi possono essere dichiarate incostituzionali solo se contrastano con i principi supremi dell’ordinamento costituzionale.

La revisione del 1984

Il Concordato è stato sottoposto a revisione nel 1984 con l’Accordo di Villa Madama sottoscritto dal Presidente del Consiglio Bettino Craxi e dal Cardinale Agostino Casaroli. La modifica principale fu la rimozione della clausola che riconosceva il cattolicesimo come religione di Stato.

Questo nuovo accordo stabilì in finanziamento del clero cattolico con l’otto per mille dell’IRPEF. Per la nomina dei vescovi inoltre non sarebbe più stata necessaria l’approvazione del governo italiano. Furono inoltre stabilite nuove clausole per il riconoscimento dei matrimoni celebrati con rito cattolico e delle sentenze di nullità matrimoniale. L’ora di religione cattolica divenne facoltativa, pur rimanendo curriculare.

Modificabilità dei Patti Lateranensi

Non è possibile proporre un referendum per l’abolizione o la modifica dei Patti Lateranensi o delle leggi a essi collegate, in quanto l’articolo 75 della Costituzione esclude i referendum su trattati internazionali. Sebbene l’articolo 7 della Costituzione permetta modifiche bilaterali con legge ordinaria, le modifiche unilaterali richiedono un procedimento di revisione costituzionale aggravato (ex art. 138 Cost.).

Il dibattito sulla modificabilità dei Patti ha spesso affrontato la possibilità di un atto unilaterale da parte dello Stato. Tuttavia, una denuncia formale sarebbe considerata una violazione del diritto internazionale.

Codice dei beni culturali e del paesaggio

Codice dei beni culturali e del paesaggio: cosa prevede la riforma Codice dei beni culturali e del paesaggio: in Senato il disegno di legge che delega il Governo a rivedere e semplificare le procedure

Codice dei beni culturali e del paesaggio

Il disegno di legge n. 1372 contenente la “Delega al Governo per la revisione del codice dei beni culturali e del paesaggio in materia di procedure di autorizzazione paesaggistica” è in corso di esame in Commissione al Senato.

Il testo, composto di 4 articoli, vuole cambiare il ruolo delle soprintendenze. L’obiettivo della riforma è doppio: proteggere meglio i beni culturali e semplificare la burocrazia. Oggi, le soprintendenze esaminano troppe pratiche e questo rallenta tutto, bloccando anche lavori semplici, che non riguardano monumenti importanti. Questo sistema rappresenta uno spreco di tempo e risorse.

Il nuovo disegno di legge intende razionalizzare il meccanismo e dare più autonomia ai comuni. Saranno infatti questi I enti a gestire gli interventi più piccoli. La legge fissa anche tempi precisi per i pareri delle soprintendenze per evitare ritardi inutili. Il disegno di legge vuole proteggere il paesaggio in modo più mirato evitando contemporaneamente di bloccare lo sviluppo del Paese.

Tempi della burocrazia ridotti

L’articolo 1 fissa i principi della riforma. L’obiettivo è tagliare i tempi burocratici, rendere più efficaci gli enti locali e dare maggiore certezza al cittadino. La riforma interviene sul codice dei beni culturali contenuto nel decreto legislativo n. 42. Si vogliono gestire le procedure in modo più logico.

Procedure di autorizzazione più rapide

L’articolo 2 introduce modifiche specifiche al codice dei beni culturali e paesaggistici, grazie alle quali le procedure di autorizzazione diventeranno più veloci.

  • Silenzio-assenso: con il nuovo articolo 146, il parere della soprintendenza non può più tardare. Se il parere non arriva entro 30 giorni, si considera favorevole.
  • Pareri non più vincolanti: cambia l’articolo 152. Il parere delle soprintendenze rimane obbligatorio, ma non sarà più vincolante. I comuni avranno così più libertà di decidere.
  • Estensione del silenzio-assenso agli articoli 167 e 181 del Codice. L’inattività della pubblica amministrazione pertanto non bloccherà più i progetti.

Codice dei beni culturali e del paesaggio: il contenuto della delega

L’articolo 3 conferisce una delega al Governo. Entro sei mesi, L’Esecutivo dovrà emanare nuovi decreti con i quali rivedere in modo completo le procedure. Il Ministro della cultura guiderà questo processo e ascolterà anche le Regioni e le Province autonome.

L’articolo 4 stabilisce le modifiche necessarie da apportare al Codice. Verranno abrogate infatti le norme in contrasto e questo assicurerà la coerenza del nuovo sistema.

Revisione Codice dei beni culturali e del paesaggio

Il disegno di legge mira a modernizzare la procedura di rilascio delle autorizzazioni e a proteggere il patrimonio culturale in modo selettivo, senza paralizzare l’attività edile. Le decisioni amministrative saranno più rapide, i compiti saranno distribuiti meglio tra Stato ed enti locali e la tutela del paesaggio sarà di conseguenza più efficace.

 

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indennità di esproprio

Indennità di esproprio Indennità di esproprio: definizione, disciplina, procedura di espropriazione, determinazione, calcolo dell'importo

Indennità di esproprio: cos’è

L’indennità di esproprio è un indennizzo che viene riconosciuto al proprietario di un bene, quando questo, per motivi pubblici, ne subisce l’espropriazione.

Disciplina

La disciplina dell’indennità di esproprio è contenuta nel Testo Unico in materia di espropriazione per pubblica utilità (D.P.R. 327/2001). Questa normativa stabilisce una procedura dettagliata per la determinazione e il pagamento dell’indennità di esproprio, che può essere suddivisa in diverse fasi, con la possibilità di una procedura ordinaria o urgente.

Procedura espropriativa e indennità di esproprio

L’indennità di esproprio si inserisce quindi nella procedura di espropriazione che si sviluppa nelle seguenti fasi:

  • uno strumento urbanistico generale un atto di natura ed efficacia equivalente prevede l’opera da realizzare e il bene da espropriare a cui è stato apposto il vincolo all’esproprio;
  • intervenuta dichiarazione di pubblica utilità dell’opera da realizzare;
  • determinazione, anche in via provvisoria, dell’indennità di esproprio da riconoscere al soggetto che subisce l’esproprio.

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Indennità di espropriazione: determinazione

L’indennità di espropriazione può essere determinata nelle tre seguenti modalità

1. Determinazione provvisoria

Dopo che l’opera è stata dichiarata di pubblica utilità, l’autorità espropriante individua i beni e i proprietari, proponendo un’offerta economica. I proprietari hanno 30 giorni per presentare osservazioni.L’autorità, tenendo conto delle osservazioni, valuta il valore del bene e determina un’indennità provvisoria. Questa viene notificata al proprietario. Il proprietario ha 30 giorni dalla notifica per accettare o meno l’offerta provvisoria. In caso di accettazione il proprietario può ricevere un acconto dell’80% dell’indennità, con il saldo pagato in seguito alla presentazione della documentazione che attesti la piena e libera proprietà del bene. Se il proprietario si rifiuta di stipulare l’atto di cessione volontaria, l’autorità può procedere comunque con il decreto di esproprio. In caso di rifiuto o mancata risposta l’indennità si considera non concordata e l’autorità procede con il deposito della somma presso la Cassa Depositi e Prestiti.

2. Determinazione definitiva

Se non c’è accordo sull’indennità provvisoria, il proprietario ha 20 giorni per richiedere la nomina di un tecnico di fiducia. L’autorità espropriante nominerà due tecnici (di cui uno designato dal proprietario) e il presidente del tribunale civile nominerà un terzo tecnico. I tecnici redigono quindi una relazione di stima entro 90 giorni. Le spese della perizia sono a carico del proprietario solo se la stima finale è inferiore all’offerta provvisoria. L’autorità espropriante notifica la relazione al proprietario. Se l’indennità viene accettata, viene pagata o depositata la differenza rispetto all’acconto già versato. In caso di mancata accettazione, l’autorità ordina il deposito dell’intero importo.

3. Procedure di urgenza

In casi di particolare urgenza, l’autorità può emanare il decreto di esproprio e l’occupazione d’urgenza del bene, basandosi su una determinazione provvisoria dell’indennità. Il proprietario ha 30 giorni dall’immissione in possesso per accettare l’indennità o chiedere la nomina dei tecnici, se poi non condivide la relazione può opporsi alla stima.

Calcolo dell’indennità di esproprio

I criteri per la determinazione dell’indennità variano a seconda del tipo di bene espropriato.

  • Per le opere private di pubblica utilità che non rientrano nell’edilizia residenziale pubblica o in progetti di insediamenti produttivi pubblici, l’indennità di esproprio deve corrispondere all’intero valore di mercato del bene espropriato.
  • Se il bene espropriato è un’area edificabile l’indennità è pari al valore venale del bene, ovvero il suo valore di mercato. Tuttavia, se l’esproprio è per interventi di riforma economico-sociale, l’indennità può essere ridotta del 25%. Non si tiene conto di costruzioni abusive.
  • Se la costruzione è stata realizzata in modo legittimo, l’indennità di esproprio è pari al valore venale (cioè al valore di mercato) del bene. Se la costruzione o una parte di essa è stata realizzata senza permessi edilizi o paesistici, o in difformità, l’indennità si calcola solo sulla superficie del terreno (area di sedime), oppure sulla parte legittimamente realizzata, se presente. Se è in corso una procedura di sanatoria, l’autorità espropriante, sentito il Comune, verifica se la costruzione sia sanabile, ma solo per determinare l’indennità da corrispondere.
  • Se oggetto dell’espropriazione è un’area non edificabile, ad esempio agricola, l’indennità è calcolata in base al valore agricolo, considerando le colture praticate e il valore dei manufatti legittimi.Gli agricoltori diretti, hanno diritto a un’indennità aggiuntiva.
articolo 81 Costituzione

Articolo 81 Costituzione: vincola il legislatore, non il giudice La Corte costituzionale chiarisce che il vincolo di copertura finanziaria dell’art. 81 Cost. riguarda solo il legislatore, non le decisioni delle autorità giudiziarie

L’articolo 81 della Costituzione si applica al legislatore

Articolo 81 Costituzione: il principio dell’obbligo di copertura finanziaria delle spese vincola esclusivamente il legislatore, statale o regionale che sia. E non è violato da un aumento delle spese conseguente a decisioni delle autorità giurisdizionali, quali nella specie la Corte di giustizia UE.

Lo ha affermato la Corte costituzionale con sentenza numero 121/2025, dichiarando non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Torino con sei ordinanze.

La portata del principio di copertura finanziaria

La Corte ha ricordato che il principio dell’obbligo della copertura finanziaria delle spese espresso nell’articolo 81 della Costituzione, impone un preciso vincolo non al giudice, ma al legislatore. Tale vincolo opera per ogni legge, inclusa la legge di bilancio, traducendosi nell’obbligo di predisporre, all’atto dell’approvazione delle norme, i mezzi per fronteggiare gli oneri che ne derivano.

Equilibrio tra pronunce giurisdizionali ed esigenze di bilancio

La Consulta ha ribadito che, per fronteggiare le spese conseguenti a decisioni delle autorità giurisdizionali, il nostro ordinamento prevede procedure idonee a garantire al contempo l’effettività delle pronunce e gli equilibri di bilancio.

In tal modo viene assicurata la primazia del diritto euro-unitario e l’effettiva tutela dei diritti riconosciuti dall’UE e dall’ordinamento nazionale.