stop ai cellulari

Stop ai cellulari anche alle superiori: cosa prevede la circolare Il Ministero vieta l’uso dello smartphone nelle superiori durante l’orario scolastico. Eccezioni, motivazioni e sanzioni spiegate nella circolare del MIM

Smartphone banditi alle scuole superiori

Stop ai cellulari: il Ministero dell’Istruzione e del Merito, con la circolare prot. n. 3392 del 16 giugno 2025, estende il divieto di utilizzo dello smartphone agli istituti del secondo ciclo di istruzione, includendo tutte le scuole superiori. Durante l’orario scolastico è proibito l’uso del cellulare, in analogia alle norme già adottate per la scuola primaria e media. 

Motivazioni alla base del divieto

La scelta ministeriale si basa su evidenze internazionali sul danno causato dall’uso eccessivo dello smartphone:

  • uno studio OCSE 2024 mette in relazione smartphone, social media e calo delle performance scolastiche; 

  • l’OMS e l’ISS segnalano l’aumento del rischio di dipendenze comportamentali, con ricadute negative su sonno, concentrazione e relazioni sociali. 

Eccezioni per casi particolari

Sono previste esenzioni al divieto in tre situazioni:

  • alunni con disabilità o DSA, secondo il PEI o PDP;

  • attività didattiche specifiche in settori tecnici/informatici;

  • per esigenze personali motivate documentate.

Strumenti alternativi e uso responsabile

Non sono vietati altri strumenti digitali come PC, tablet o lavagne elettroniche, purché utilizzati secondo il progetto formativo e l’autonomia scolastica. Le scuole sono inoltre invitate a promuovere un’educazione al uso responsabile delle tecnologie, con interventi mirati sugli strumenti digitali e sull’uso consapevole di internet.

Sanzioni e organizzazione scolastica

Gli istituti, aggiornando i regolamenti e i patti di corresponsabilità, devono prevedere sanzioni disciplinari proporzionate per gli studenti che violano il divieto. Spetta alla scuola definire le modalità organizzative necessarie a garantire l’effettiva applicazione del divieto. 

Obiettivi generali e prospettive future

La circolare mira a tutelare salute, apprendimento e benessere degli adolescenti, contrastando fenomeni come la dipendenza da social e gaming. Il Ministero ha anche sollecitato la Commissione UE ad adottare una raccomandazione che promuova l’uso appropriato delle tecnologie digitali negli istituti europei

vizi dell'atto amministrativo

Vizi dell’atto amministrativo Vizi dell'atto amministrativo: requisiti dell'atto amministrativo, tipologie di vizi, annullamento, nullità, correzione e conseguenze

Vizi dell’atto amministrativo: cosa sono

Per comprendere in cosa consistono i vizi dell’atto amministrativo occorre premettere che questo è lo strumento principe mediante il quale la Pubblica Amministrazione esercita il proprio potere. Gli atti amministrativi si possono classificare in tre categorie principali: gli atti amministrativi in senso stretto, gli atti amministrativi normativi e i provvedimenti amministrativi.

Affinché l’atto amministrativo sia valido ed efficace, deve rispettare determinati requisiti previsti dalla legge. Quando questi requisiti mancano o sono compromessi, si parla di vizi dell’atto amministrativo.

I vizi compromettono la legittimità dell’atto e possono portare alla sua annullabilità o nullità, con conseguenze rilevanti per la pubblica amministrazione e per i cittadini destinatari. L’atto però può anche presentare vizi di merito, come vedremo.

La disciplina dei vizi dell’atto amministrativo rappresenta uno dei pilastri del diritto amministrativo. Essa garantisce che la pubblica amministrazione operi nel rispetto della legalità, della trasparenza e dell’efficienza, tutelando al contempo i diritti dei cittadini. Conoscere i diversi tipi di vizi e le relative conseguenze è essenziale per capire il funzionamento corretto del potere amministrativo e il ruolo del controllo giurisdizionale nell’ordinamento italiano.

I requisiti dell’atto amministrativo

Per comprendere a fondo i vizi dell’atto amministrativo, è necessario esaminare gli elementi costitutivi dell’atto amministrativo:

  • il soggetto: l’autorità, l’ente competente a emanare l’atto;
  • la forma: il modo con cui l’atto si presenta all’esterno, esso in alcuni casi deve rispettare la forma scritta, mentre in altri casi la forma è libera;
  • l’oggetto: corrisponde al contenuto dell’atto, che deve essere lecito, possibile e determinato;
  • la motivazione: ossia l’indicazione delle ragioni di fatto e di diritto per cui l’atto viene emanato;
  • le finalità o causa dell’atto, il quale deve perseguire sempre l’interesse pubblico, in quanto principio cardine dell’azione amministrativa;

La mancanza o l’errata configurazione di uno di questi elementi essenziali dell’atto amministrativo è causa di vizi dell’atto amministrativo

Tipologie di vizi  

I principali vizi dell’atto amministrativo sono classificabili in due categorie: i vizi di legittimità (incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge previsti dall’art. 21 octies Legge n. 241/1990) e i vizi di merito.

Vizi di legittimità dell’atto amministrativo

1. Incompetenza: si ha incompetenza quando l’atto è adottato da un soggetto diverso da quello previsto dalla legge. L’incompetenza può essere:

  • assoluta: se l’atto è emanato da un’autorità priva di qualsiasi potere sull’oggetto;
  • relativa: se l’autorità appartiene alla stessa amministrazione, ma non è il soggetto specificamente competente (es. un dirigente invece del responsabile di settore).

L’incompetenza è generalmente causa di annullabilità, ma può portare alla nullità se è assoluta (es. un comune che emana un atto spettante allo Stato).

2. Violazione di legge: la violazione di legge si verifica quando l’atto è contrario a norme di legge, regolamenti o altre fonti normative. Questo vizio può riguardare:

  • la forma (es. mancanza della motivazione);
  • il procedimento (es. omessa partecipazione del privato);
  • il contenuto (es. provvedimento contrario a una norma imperativa).

La violazione di legge comporta l’annullabilità dell’atto amministrativo, salvo i casi più gravi.

3. Eccesso di potere: è un vizio tipico del diritto amministrativo e si ha quando l’atto, pur formalmente corretto, è illegittimo per un uso distorto del potere. Esso colpisce gli atti di natura discrezionale. Le forme più comuni di eccesso di potere sono:

  • lo sviamento di potere: quando l’amministrazione persegue un fine diverso da quello pubblico;
  • l’illogicità manifesta: se l’atto appare incoerente o irragionevole;
  • la contraddittorietà: quando l’atto è in contrasto con precedenti decisioni non motivate;
  • l’insufficienza di motivazione: l’atto presenta una motivazione vaga o assente;
  • il travisamento dei fatti: l’atto si basa su presupposti errati.

L’eccesso di potere determina l’annullabilità.

Vizi di merito dell’atto amministrativo 

L’atto amministrativo può presentare anche vizi di merito. In questo caso il vizio non è determinato dalla contrarietà a norme giuridiche, ma dal mancato rispetto del principio generale della buona amministrazione sancito dall’articolo 97 della Costituzione. L’attività della Pubblica amministrazione infatti deve essere esercitata avendo bene a mente la necessità di utilizzare i mezzi più idonei ed efficaci per il raggiungimento del fine. I vizi di merito possono quindi configurarsi quando non vengono rispettati i principi cardine dell’azione amministrativa come l’opportunità, l’eticità, l’economicità e l’equità.

La nullità dell’atto amministrativo

Secondo l’art. 21-septies della legge n. 241/1990, l’atto amministrativo è nullo (e quindi privo di effetti) nei seguenti casi:

  • mancanza di elementi essenziali;
  • difetto assoluto di attribuzione;
  • contenuto illecito (contrario all’ordinamento);
  • violazione o elusione di giudicato.

La nullità è rilevabile d’ufficio in ogni tempo, anche oltre i termini per l’impugnazione.

Annullamento dell’atto viziato

L’annullamento dell’atto viziato può essere:

  • giurisdizionale: se viene disposto dal giudice amministrativo su ricorso di un interessato;
  • d’ufficio: se esercitato dalla stessa amministrazione entro un termine ragionevole e nel rispetto dell’interesse pubblico (art. 21-nonies legge 241/1990).

Correzione dell’atto amministrativo viziato

Quando un atto amministrativo presenta un vizio di legittimità e risulta annullabile, la pubblica amministrazione può anche decidere di non ritrarlo, ma di “correggerlo” attraverso gli strumenti che la legge le mette a disposizione e che sono: la sanatoria, la convalida, la ratifica, la consolidazione e l’acquiescenza.

Conseguenze pratiche

I vizi dell’atto amministrativo incidono sull’affidamento del cittadino, sull’efficacia dell’azione pubblica e sulla legittimità dell’intervento amministrativo. È perciò fondamentale che la pubblica amministrazione:

  • rispetti le regole procedimentali;
  • fornisca motivazioni adeguatamente le proprie decisioni;
  • agisca con coerenza, imparzialità e razionalità.

L’ordinamento prevede meccanismi di controllo (interni e giurisdizionali) volti a tutelare i cittadini e garantire la legalità dell’azione amministrativa.

 

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permesso di costruire

Permesso di costruire per recinzioni: quando è necessario Il Consiglio di Stato chiarisce quando è richiesto il permesso di costruire per le recinzioni: attenzione alle opere permanenti. Ecco i criteri e le regole applicabili

Recinzioni e permesso di costruire

Con la sentenza n. 4044 del 2025, il Consiglio di Stato ha stabilito che anche una recinzione può richiedere il permesso di costruire, quando assume carattere permanente e incide in modo non transitorio sull’assetto edilizio del territorio.

L’occasione è data dal ricorso avverso una decisione del T.A.R. Campania (sentenza n. 6962/2021), e offre lo spunto per riepilogare i principi che regolano l’edilizia libera e gli interventi che esulano da essa.

Il diritto alla recinzione e i suoi limiti edilizi

Ai sensi dell’art. 841 c.c., ogni proprietario ha diritto a chiudere il proprio fondo. Tuttavia, ciò non significa che qualsiasi modalità di recinzione sia esente da titoli abilitativi. La giurisprudenza, infatti, distingue tra:

  • recinzioni leggere e precarie, come reti metalliche su paletti infissi nel terreno;

  • recinzioni strutturalmente rilevanti, come muretti in calcestruzzo o opere murarie con carattere di durabilità e impatto visivo.

Solo le prime possono rientrare nel regime di edilizia libera, mentre le seconde necessitano di permesso di costruire in quanto assimilabili a nuove costruzioni (Cons. Stato, sez. II, 7 aprile 2025, n. 2964; T.A.R. Campania, Napoli, sez. II, 26 marzo 2025, n. 2575).

Edilizia libera: cosa si può fare senza titolo abilitativo

Il quadro normativo dell’edilizia libera è disciplinato da tre riferimenti principali:

  1. Art. 6 del D.P.R. 380/2001 (Testo Unico dell’Edilizia), che elenca tassativamente le opere realizzabili senza permesso;

  2. DM 2 marzo 2018, che contiene un glossario esplicativo delle opere più comuni (es. arredi da giardino, giochi per bambini, pergotende, piccoli manufatti);

  3. Art. 3, comma 1, lett. e.5) del D.P.R. 380/2001, che si riferisce a strutture mobili temporanee, come tende e roulotte.

Secondo la giurisprudenza, questo regime va interpretato in senso restrittivo: le opere edilizie sono libere solo se non producono impatti permanenti sul territorio e non modificano volumi, superfici o destinazioni d’uso (Cons. Stato, sez. VI, 23 luglio 2024, n. 6668).

Esempi pratici: cosa richiede titolo edilizio e cosa no

Serve il permesso di costruire:

  • Recinzioni con muro di sostegno in cemento o simili;

  • Opere che modificano in modo stabile l’assetto del territorio;

  • Installazioni con impatto paesaggistico o urbanistico.

Rientra nell’edilizia libera:

  • Recinzioni leggere (reti su paletti senza fondazioni);

  • Cancelli funzionali alla delimitazione, in assenza di vincoli speciali;

  • Tinteggiature che ripristinano l’aspetto preesistente;

  • Soppalchi interni non abitabili né volumetricamente rilevanti;

  • Pergotende, se amovibili e prive di elementi edilizi rigidi.

Compatibilità con vincoli paesaggistici e urbanistici

Anche quando l’opera rientra nell’edilizia libera, non è mai slegata dal rispetto delle norme urbanistiche e paesaggistiche. Le amministrazioni locali possono imporre prescrizioni tecniche per garantire l’armonia con il contesto, specialmente in aree vincolate (Cons. Stato, sez. II, 7 aprile 2025, n. 2964).

Il diritto del proprietario non è quindi illimitato: il Comune può valutare caso per caso, considerando materiali, dimensioni, impatto visivo e durata dell’opera (T.A.R. Toscana, Firenze, 10 settembre 2019, n. 1227).

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farmacie dei servizi

Farmacie dei servizi: quali limiti Il TAR Sicilia chiarisce i limiti delle farmacie dei servizi: prestazioni solo in sede e non assimilabili a quelle dei centri sanitari accreditati

Cosa sono le farmacie dei servizi

Le farmacie dei servizi sono un’evoluzione della farmacia tradizionale, introdotta per offrire sul territorio prestazioni a valenza socio-sanitaria complementari a quelle dei medici e delle strutture sanitarie accreditate. Introdotte con il D.lgs. n. 153/2009, hanno trovato attuazione con il D.M. 16 dicembre 2010 e successive norme, soprattutto in risposta all’emergenza Covid-19. Il loro scopo è potenziare l’offerta sanitaria del Servizio sanitario nazionale (SSN), soprattutto nei piccoli centri e nelle aree a bassa densità medica.

Le prestazioni erogabili includono, ad esempio, servizi di screening, prenotazioni CUP, autoanalisi, misurazioni, vaccinazioni e test diagnostici in farmacia.

Il caso esaminato dal TAR Sicilia

Con la sentenza n. 881/2025, il TAR Sicilia ha risolto una controversia avviata da alcune associazioni e strutture sanitarie private contro l’Assessorato alla Salute della Regione Siciliana. In particolare, venivano contestate:

  • le linee guida regionali per l’erogazione sperimentale di nuovi servizi da parte delle farmacie di comunità;

  • la possibilità di eseguire tali servizi in locali esterni alla farmacia;

  • la remunerazione delle prestazioni a carico del SSN senza il rispetto dei requisiti di autorizzazione e accreditamento previsti per le strutture sanitarie private.

TAR: non sono operatori sanitari

Il tribunale ha stabilito che le farmacie dei servizi non sono assimilabili agli operatori sanitari accreditati. Infatti, esse erogano prestazioni socio-sanitarie, non sanitarie in senso stretto, e quindi non devono sottostare agli stessi requisiti strutturali e autorizzativi imposti a poliambulatori o cliniche private. Per questo motivo, non si configura alcuna violazione in termini di autorizzazione sanitaria.

Stop alle prestazioni in locali esterni

Diverso è il giudizio sulla possibilità di erogare le prestazioni in spazi esterni alla sede della farmacia. Su questo punto, il TAR ha accolto il ricorso, ritenendo illegittima la previsione regionale che autorizzava l’erogazione in ambienti del tutto separati dalla farmacia stessa.

Secondo il Collegio, il D.M. 16 dicembre 2010, che parla di “spazi dedicati e separati dagli altri ambienti”, fa riferimento a locali interni alla farmacia, e non a strutture esterne. Inoltre, l’unica eccezione ammessa dal legislatore è quella prevista dall’art. 1, comma 2, lett. e-quater del D.lgs. 153/2009, che consente l’uso di locali esterni solo per vaccinazioni e tamponi anti-Covid o antinfluenzali.

In mancanza di una base normativa chiara, un ampliamento tramite atto amministrativo è stato giudicato inammissibile.

legge concorrenza 2025

Legge concorrenza 2025: ok del Governo Approvato il disegno di legge annuale per la concorrenza 2025. Focus su servizi pubblici locali, sanità, trasferimento tecnologico e sicurezza dei consumatori

Approvato il ddl concorrenza 2025

Legge concorrenza 2025: il 4 giugno, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente Giorgia Meloni e del Ministro delle imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, ha dato il via libera al disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza 2025, previsto dall’articolo 47 della legge n. 99/2009. Il Governo ha chiesto al Parlamento una sollecita calendarizzazione del testo, considerata la sua rilevanza strategica nel contesto degli impegni assunti dall’Italia nell’ambito del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR).

L’approvazione di una legge annuale in materia di concorrenza costituisce infatti un passaggio essenziale per l’erogazione dei fondi europei previsti dal Piano.

Tecnologia e innovazione

Tra i punti cardine del disegno di legge, figura l’adozione di misure volte a favorire il trasferimento tecnologico verso le filiere produttive italiane. In particolare, è previsto un atto di indirizzo strategico congiunto del Ministero delle imprese e del Made in Italy e del Ministero dell’università e della ricerca, per promuovere la diffusione delle conoscenze e sostenere la trasformazione tecnologica del sistema industriale.

A tale scopo, la gestione di 250 milioni di euro destinati a progetti di trasferimento tecnologico sarà affidata alla Fondazione Tech e Biomedical, con l’obiettivo di rafforzare le sinergie tra ricerca e impresa.

Servizi pubblici locali

Il testo interviene anche sul fronte dei servizi pubblici locali, con misure specifiche rivolte ai Comuni con oltre 5.000 abitanti. Le norme puntano a migliorare l’efficienza delle gestioni affidate in-house, rafforzando gli strumenti di controllo e verifica da parte delle amministrazioni locali.

Nel settore del trasporto pubblico regionale, si estendono gli obblighi di trasparenza e le procedure di ricognizione delle modalità di gestione degli affidamenti, già previste per i servizi pubblici locali. In caso di inefficienze, saranno applicabili misure correttive analoghe.

Accreditamento sanitario

In ambito sanitario, il disegno di legge introduce nuovi criteri per l’accreditamento delle strutture private, al fine di stimolare una maggiore concorrenza nel settore, in vista della scadenza della proroga attualmente fissata per dicembre 2026.

Questa riforma intende armonizzare l’accesso al sistema sanitario con logiche di efficienza e qualità, promuovendo la competitività tra erogatori pubblici e privati accreditati.

Tutela dei consumatori

Sul versante della sicurezza dei consumatori, il provvedimento prevede nuove sanzioni per l’uso professionale di prodotti cosmetici non conformi alle norme di etichettatura, in particolare quando possano comportare rischi per la salute.

Ulteriori misure riguardano l’impiego di esche e topicidi in spazi pubblici, vietato se pericoloso per animali domestici o persone vulnerabili, come i bambini. L’obiettivo è rafforzare i presidi di sicurezza in ambienti condivisi, contrastando l’uso improprio di sostanze nocive.

sanzione amministrativa pecuniaria

Sanzione amministrativa pecuniaria Sanzione amministrativa pecuniaria: cos'è, importo, pagamento, normativa e sanzioni accessorie

Cos’è la sanzione amministrativa pecuniaria

La sanzione amministrativa pecuniaria è una misura sanzionatoria di natura non penale, irrogata dalla pubblica amministrazione per la violazione di norme dell’ordinamento giuridico che non integrano reato. Si tratta di uno strumento fondamentale per garantire il rispetto della legalità in ambiti come il diritto amministrativo, commerciale, ambientale, fiscale, tributario e della circolazione stradale.

La sanzione amministrativa pecuniaria consiste nel pagamento di una somma di denaro a favore dello Stato o di un altro ente pubblico, previsto per l’inosservanza di obblighi o divieti previsti da leggi, regolamenti o atti amministrativi.

A differenza delle pene pecuniarie penali (come la multa o l’ammenda), la sanzione amministrativa non comporta conseguenze penali, né è iscritta nel casellario giudiziale. Tuttavia, il mancato pagamento può dare luogo a riscossione coattiva e a sanzioni accessorie.

Sanzione amministrativa pecuniaria: normativa di riferimento

La disciplina generale delle sanzioni amministrative è contenuta nella legge 24 novembre 1981, n. 689, intitolata “Modifiche al sistema penale”. Tale legge ha introdotto il principio della depenalizzazione, convertendo molti illeciti penali in illeciti amministrativi.

Le disposizioni di riferimento sono:

  • Art. 1 – Principio di legalità dell’illecito amministrativo.
  • Art. 10 – Determinazione dell’importo della sanzione
  • Art. 14-27 – Procedimento sanzionatorio (accertamento, notificazione, ricorso, pagamento).
  • Art. 16 – Pagamento in misura ridotta.

A tali norme si affiancano disposizioni settoriali, ad esempio nel Codice della strada (D.lgs. n. 285/1992), nel Codice dell’ambiente (D.lgs. n. 152/2006), nel Codice della privacy (D.lgs. n. 196/2003 e Regolamento UE 2016/679).

Importo della sanzione e criteri di determinazione

L’importo della sanzione amministrativa pecuniaria è stabilito dalla norma che prevede l’illecito e deve rispettare i limiti minimo e massimo indicati. In assenza di specificazioni, il giudice o l’autorità competente applicano la sanzione in base a criteri di proporzionalità, tenendo conto:

  • della gravità della violazione;
  • dell’intenzionalità o colpa dell’autore;
  • della capacità economica del trasgressore;
  • di eventuali circostanze aggravanti o attenuanti.

Il pagamento in misura ridotta, previsto dall’art. 16 della legge n. 689/1981, consente all’autore dell’illecito di estinguere la violazione versando entro 60 giorni dalla notifica una somma pari al  terzo del massimo edittale, se più favorevole una somma pari al doppio minimo edittale.

Tipologie di sanzioni amministrative 

Le sanzioni amministrative possono essere:

  • pecuniarie: sono le più comuni e prevedono il pagamento di una somma di denaro;
  • accessorie: si aggiungono a quella principale e possono consistere:
    • nella sospensione o revoca di autorizzazioni o licenze;
    • nella confisca dei beni (es. nel caso di strumenti usati per commettere l’illecito);
    • nella chiusura temporanea o definitiva dell’attività;
    • nella inibizione temporanea a contrattare con la pubblica amministrazione.

Queste sanzioni accessorie sono particolarmente rilevanti nel diritto ambientale, sanitario e societario.

Pagamento e riscossione della sanzione amministrativa pecuniaria

Il pagamento della sanzione può avvenire:

  • in misura ridotta, nei termini previsti;
  • dopo l’irrogazione dell’ordinanza ingiunzione, qualora il soggetto non adempia o non presenti opposizione.

Il mancato pagamento determina l’avvio della riscossione coattiva da parte dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione, mediante cartella esattoriale o ingiunzione fiscale.

In caso di opposizione, il trasgressore può proporre ricorso al giudice di pace o al giudice amministrativo, a seconda della natura della sanzione e dell’autorità che l’ha irrogata.

Sanzioni amministrative pecuniarie nel GDPR e nelle normative europee

Con l’entrata in vigore del Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR), le sanzioni pecuniarie amministrative in materia di privacy hanno acquisito una rilevanza crescente. Il Garante per la protezione dei dati personali può irrogare sanzioni fino a 20 milioni di euro o al 4% del fatturato annuo globale, nei casi più gravi.

Anche l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), la Consob, l’IVASS e altre autorità indipendenti possono applicare sanzioni amministrative di elevato impatto.

Considerazioni conclusive

La sanzione amministrativa pecuniaria è uno strumento efficace e flessibile per sanzionare comportamenti illeciti non penali, garantendo un equilibrio tra deterrenza e celerità procedurale. La sua applicazione è vincolata a criteri di proporzionalità e legalità, e può comportare, nei casi più gravi, anche sanzioni accessorie di tipo interdittivo o patrimoniale. Conoscere il funzionamento delle sanzioni amministrative è essenziale per cittadini, imprese e professionisti, soprattutto in settori altamente regolamentati come il commercio, la sicurezza, l’ambiente e la privacy.

 

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check-out da remoto

Check out da remoto per le strutture ricettive Check out da remoto per le strutture ricettive, l'identificazione "de visu" contrasta con la riduzione degli adempimenti amministrativi

Check out da remoto per le strutture ricettive

Torna il check out da remoto per le strutture ricettive. La sentenza n. 10210/2025 del TAR Lazio boccia la circolare del Ministero dell’Interno del 18 novembre 2024 che imponeva agli operatori turistici l’identificazione di persona (“de visu”) degli ospiti. La norma, che mirava a prevenire rischi per la sicurezza pubblica, di fatto precludeva le procedure di check-in a distanza. Con questa decisione, si riapre la strada alle modalità di registrazione a distanza.

Check out da remoto: no a identificazione de visu

Un’associazione rappresentativa del settore ricettivo extralberghiero italiano ricorre al TAR del Lazio contro la circolare del Ministero dell’Interno, datata 18 novembre 2024, protocollo 0038138. Il documento impone ai gestori di strutture ricettive l’obbligo di identificare di persona gli ospiti, ritenendo non conformi all’articolo 109 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (TULPS) le procedure di check-in da remoto, considerate potenzialmente pregiudizievoli per la sicurezza collettiva.

L’associazione solleva diverse doglianze contro la circolare. La più importante da segnalare  però è quella in cui la ricorrente sostiene che la circolare si ponga in conflitto con la riforma del 2011 dell’articolo 109 TULPS, che aveva eliminato l’obbligo per i gestori di raccogliere le generalità degli alloggiati “de visu” e di far firmare le schede agli ospiti. Da tale riforma, l’obbligo si era ridotto al solo accertamento che gli alloggiati fossero muniti di un documento d’identità e alla comunicazione delle generalità alle Questure tramite il portale “Alloggiati web”. Tali obblighi erano stati estesi nel 2018 anche ai locatori di immobili per brevi periodi. La circolare pertanto, con la reintroduzione dell’identificazione “de visu”, aggraverebbe nuovamente gli adempimenti a carico dei gestori, contravvenendo allo spirito della riforma del 2011 che mirava a ridurli. La ricorrente argomenta inoltre che l’identificazione “de visu” non sarebbe idonea a raggiungere l’obiettivo di sicurezza pubblica, poiché non eliminerebbe il rischio che l’alloggiato, dopo l’identificazione, possa cedere le chiavi a un soggetto non identificato.

Identificazione “de visu” in contrasto

Il TAR precisa prima di tutto che la circolare impugnata, non ha un valore meramente interpretativo, ma introduce un “obbligo” concreto e immediatamente lesivo per i gestori. La stessa pertanto è in effetti direttamente impugnabile, non essendo necessario un provvedimento applicativo. Nel merito invece il TAR annulla il provvedimento impugnato.

L’obbligo di identificazione “de visu” si pone in effetti, come affermato dalla ricorrente, in contrasto con la riduzione degli adempimenti amministrativi introdotta dal D.L. n. 201/2011 e dalla modifica dell’articolo 109 TULPS. La circolare, infatti, ha ripristinato un onere che la legge aveva inteso eliminare, ignorando la modifica legislativa. Il TAR ritiene inoltre che l’identificazione “de visu” non sia di per sé in grado di garantire l’ordine e la sicurezza pubblica. Come evidenziato nel ricorso, essa non impedisce che l’alloggio possa essere successivamente utilizzato da soggetti non identificati. Il Ministero, inoltre, non ha specificato per quale ragione strumenti alternativi (come la verifica da remoto) non sarebbero sufficienti a raggiungere il medesimo obiettivo con minore pregiudizio per i destinatari, in palese violazione del principio di proporzionalità. Per queste e per altre ragioni il TAR ritiene che la circolare sia viziata e quindi la annulla.

 

Leggi anche: Affitti brevi: stop al check-in da remoto

Allegati

Codice dei contratti pubblici

Codice dei contratti pubblici e soglia di anomalia: salva l’invarianza La Consulta ha rigettato le questioni di legittimità sollevate sull'art. 108, comma 12, del nuovo Codice dei contratti pubblici

Codice dei contratti pubblici: l’intervento della Consulta

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 77 del 2025, ha rigettato le questioni di legittimità sollevate sull’art. 108, comma 12, del D.lgs. n. 36/2023 (nuovo Codice dei contratti pubblici), confermando la legittimità della norma che consente l’applicazione del principio di invarianza della soglia di anomalia anche in presenza di inversione procedimentale.

La qlc

La questione era stata sollevata nel contesto di un ricorso proposto al TAR Campania in merito a una procedura di gara aggiudicata secondo il criterio del minor prezzo, nella quale era stata utilizzata l’inversione procedimentale, disciplinata dall’art. 107, comma 3, del Codice. In tale modello procedurale, l’analisi delle offerte economiche precede la verifica del possesso dei requisiti da parte degli operatori economici.

Nel caso concreto, l’amministrazione aveva applicato due volte il calcolo della soglia di anomalia: la prima dopo l’apertura delle offerte economiche e, successivamente, in seguito all’esclusione di taluni concorrenti per documentazione irregolare. Secondo i ricorrenti, questa dinamica violerebbe i principi costituzionali di buon andamento, eguaglianza e libertà di iniziativa economica.

La decisione della Consulta

La Corte ha invece ritenuto infondate tali censure. In particolare, ha precisato che il mantenimento della possibilità di ricalcolare la soglia di anomalia fino all’aggiudicazione definitiva, anche in presenza di inversione procedimentale, non lede il principio di buon andamento dell’amministrazione. Al contrario, garantisce che la graduatoria finale si basi solo su offerte presentate da operatori in possesso dei requisiti, evitando che l’aggiudicazione venga congelata su presupposti ormai superati.

Quanto alla presunta violazione degli altri principi costituzionali, la Corte ha ricordato che le stazioni appaltanti devono predisporre meccanismi idonei a salvaguardare la par condicio tra i partecipanti, come ad esempio il sorteggio per la verifica dei requisiti. Inoltre, eventuali comportamenti collusivi sono già sanzionati dalle normative in materia di concorrenza e penale.

In sintesi, la pronuncia conferma che la disciplina attuale, pur ammettendo l’inversione procedimentale, tutela l’efficienza dell’azione amministrativa e la regolarità della gara, attraverso un corretto bilanciamento tra esigenze di rapidità e garanzie di trasparenza e legalità.

cittadinanza italiana per matrimonio

Cittadinanza italiana per matrimonio Cittadinanza italiana per matrimonio: normativa, chi può chiederla e quali requisiti occorrono, tempi, procedura e rigetto dell'istanza

Cittadinanza italiana per matrimonio: acquisto

L’acquisizione della cittadinanza italiana per matrimonio è una delle modalità previste dalla legge per diventare cittadini italiani. Si tratta di una procedura amministrativa regolata dall’articolo 5 della Legge 5 febbraio 1992, n. 91, che consente al coniuge di un cittadino italiano di ottenere la cittadinanza a determinate condizioni di residenza, convivenza e regolarità giuridica.

Normativa di riferimento

La cittadinanza per matrimonio è disciplinata da:

  • Art. 5 della Legge n. 91/1992 (“Nuove norme sulla cittadinanza”);
  • Regolamento di attuazione DPR n. 572/1993;
  • Modifiche introdotte dal D.L. n. 113/2018 (Decreto Salvini), convertito in L. n. 132/2018;
  • Circolari ministeriali e aggiornamenti disponibili sul sito del Ministero dell’Interno.

Questa forma di acquisizione è facoltativa e subordinata alla presentazione di un’apposita istanza da parte dell’interessato, che deve dimostrare il possesso dei requisiti richiesti.

Chi può richiederla

Può richiedere la cittadinanza italiana per matrimonio:

  • il coniuge straniero o apolide di un cittadino italiano (anche naturalizzato), se il matrimonio è regolarmente trascritto nei registri di stato civile italiano;
  • il coniuge legalmente residente in Italia o all’estero.

Requisiti per ottenere la cittadinanza italiana per matrimonio

I principali requisiti per presentare l’istanza sono:

  1. Durata del matrimonio:
    • se i coniugi risiedono in Italia, è necessario che siano trascorsi almeno 2 anni dalla celebrazione del matrimonio;
    • se risiedono all’estero, il termine è di 3 anni;
    • questi termini sono dimezzati ( 1 anno o 18 mesi) in presenza di figli nati o adottati dalla coppia.
  1. Residenza legale o iscrizione AIRE:
    • il richiedente deve essere regolarmente residente in Italia.
  1. Validità del matrimonio:
    • il vincolo matrimoniale deve essere ancora in essere al momento del giuramento;
    • non deve essere intervenuta la separazione legale, l’annullamento o il divorzio.
  1. Assenza di condanne penali gravi e di pericoli per la sicurezza della Repubblica.
  2. Conoscenza della lingua italiana
    • A partire dal 4 dicembre 2018, il richiedente deve dimostrare una conoscenza della lingua italiana almeno di livello B1, mediante certificazione rilasciata da enti riconosciuti (es. Università per Stranieri di Perugia o Siena, Dante Alighieri, CILS).

Presentazione dell’istanza

L’istanza deve essere presentata online tramite il portale del Ministero dell’Interno (ALI – https://portaleservizi.dlci.interno.it);

Va corredata da documentazione anagrafica, penale, certificato di conoscenza linguistica, versamento del contributo di 250,00 euro e marca da bollo di 16,00 euro.

Tempi per ottenere la cittadinanza italiana per matrimonio

La normativa prevede che il procedimento si concluda entro 24 mesi, prorogabili fino a 36 mesi nei casi più complessi, come stabilito dall’art. 9-ter della L. 91/1992 per le domande presentate dopo il 21 dicembre del 2020. l conteggio parte dalla data di completa ricezione della documentazione, non da quella di invio della domanda.

Tuttavia, nella prassi, i tempi possono risultare variabili, soprattutto in base alla Prefettura competente, alla completezza dell’istanza e all’eventuale necessità di integrazione documentale.

Fasi della procedura:

  1. presentazione dell’istanza online sul portale ALI;
  2. verifica dei documenti da parte della Prefettura (se residente in Italia) o del Consolato (se all’estero);
  3. istruttoria ministeriale e verifica dei requisiti;
  4. decreto di concessione della cittadinanza;
  5. giuramento di fedeltà alla Repubblica, da effettuare entro 6 mesi dalla notifica del decreto presso il Comune di residenza o l’autorità consolare.

Cause di rigetto della domanda

L’istanza può essere rigettata nei seguenti casi:

  • intervenuta separazione o scioglimento del matrimonio;
  • presenza di condanne penali rilevanti;
  • documentazione incompleta o falsa;
  • mancata conoscenza certificata della lingua italiana;
  • motivi di sicurezza dello Stato (parere negativo dei servizi di intelligence).

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voto domiciliare disabili

Voto domiciliare disabili: cosa prevede la legge Voto domiciliare disabili: quali sono le fonti, anche recenti, che riconoscono e disciplinano il diritto di voto del disabile domicilio

Voto domiciliare disabili: legge 46/2009

La prima fonte che da tempo riconosce il voto domiciliare ai disabili di cui all’articolo 3 della legge 104/1992 è la legge n. 46/2009.

L’articolo 1 di questa legge però riconosce questo diritto solo agli elettori “affetti da gravissime infermità, tali che l’allontanamento dall’abitazione in cui dimorano risulti impossibile, anche con l’ausilio dei servizi di cui all’articolo 29 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e gli elettori affetti da gravi infermità che si trovino in condizioni di dipendenza continuativa e vitale da apparecchiature elettromedicali tali da impedirne l’allontanamento dall’abitazione in cui dimorano, sono ammessi al voto nelle predette dimore.”

Il voto dal domicilio è consentito su richiesta espressa del soggetto, previa presentazione di una dichiarazione da recapitare al Sindaco del Comune tra il quarantesimo e il ventesimo giorno anteriore alla data della votazione e un certificato medico entro il termine di 45 giorni precedenti la votazione.

Voto domiciliare disabili: sentenza della Consulta

La sentenza n. 3/2025 della Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo il comma 3 dell’articolo 9 della legge n. 108/1968 nella parte in cui non permette all’elettore impossibilitato a causa di un impedimento fisico di poter firmare la lista dei candidati in un modo alternativo.

Ministero dell’Interno: circolare n. 17/2025

Con la circolare n. 17/2025 il Ministero dell’Interno ha precisato che il principio sancito dalla pronuncia delle Consulta, riguardante le elezioni regionali, è applicabile anche ad altri tipi di elezioni. Il tutto anche nel rispetto del principio di uguaglianza.

Quando sancito dalla Consulta deve quindi ritenersi applicabile a tutte le elezioni. Il disabile impossibilitato a votare nelle forme ordinarie, potrà quindi esercitare legittimamente il proprio diritto di voto apponendo la propria firma digitale  sulle liste dei candidati. Si ricorda infatti che la firma digitale rappresenta un accomodamento ragionevole, come definito dalla Convenzione ONU sui diritti dei disabili, per garantire loro l’esercizio dei diritti umani e delle libertà.

 

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