Espressioni offensive: art. 52 Codice Deontologico
In base all’articolo 52 del Codice deontologico forense l’avvocato ha il dovere di evitare espressioni offensive o sconvenienti sia negli scritti depositati in giudizio sia durante lo svolgimento della sua attività professionale. Tale divieto vale nei confronti di colleghi, magistrati, controparti o terzi. L’uso di un linguaggio offensivo è sempre una condotta disciplinarmente rilevante, anche se l’avvocato agisce per ritorsione, a seguito di una provocazione o in risposta a offese subite. La reciprocità non giustifica l’illecito.
La violazione di questo divieto comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura.
Il limite della continenza
L’avvocato nell’esercizio della sua attività difensiva può quindi esercitare legittimamente il diritto di critica, fornendo giudizi e valutazioni in relazione a un evento. Tale diritto però deve essere esercitato entro precisi limiti oggettivi, tra i quali rileva senza dubbio la correttezza del linguaggio che si utilizza. La continenza espressiva richiede infatti che la critica si manifesti in un dissenso motivato e rispettoso, anche se si basa su un’interpretazione soggettiva. Sebbene il linguaggio possa essere forte o “provocatore”, deve sempre rispettare il limite della continenza formale. Ciò significa che la critica è lecita solo se non si traduce in attacchi personali, insulti od offese gratuite che colpiscono la dignità morale e professionale del soggetto criticato.
Il limite della pertinenza
Questo limite dispone che affinché espressioni ingiuriose possano essere considerate lecite nell’esercizio del diritto di difesa, è necessario che siano strettamente pertinenti all’oggetto della controversia e che siano funzionali alla tutela degli interessi della parte assistita.
Il limite della verità
Il limite della verità in relazione all’utilizzo delle espressioni sconvenienti od offensive nell’esercizio della difesa è un tema assai delicato. Il CNF in diverse sentenze ha chiarito tuttavia che se l’espressione utilizzata è offensiva e lesiva della dignità poco importa che i fatti denunciati con l’uso di un linguaggio colorito, siano veri.
Espressioni offensive: illecito disciplinare se dirette alla persona
L’art. 52 del Codice deontologico è norma di indubbio rilievo perché impone limiti precisi all’avvocato nell’esercizio dell’attività difensiva. La giurisprudenza del Consiglio nazionale Forense (CNF) nel corso degli anni si è preoccupata però di chiarirne in modo più approfondito il contenuto.
Nella sentenza n. 159/2012 il CNF ha precisato che l’uso di un linguaggio forte, persino crudo, è lecito quando la discussione in tribunale si mantiene su un piano oggettivo, affrontando le questioni processuali e le tesi contrapposte. Al contrario, il comportamento diventa illecito e sanzionabile nel momento in cui la discussione trascende sul piano personale, ledendo il decoro e la dignità professionale degli altri.
Lo stesso concetto si riviene nella sentenza del CNF n. 122/2012, la quale chiarisce che il diritto dell’avvocato di dissentire dalle tesi avversarie, anche con un linguaggio forte e aspro per evidenziarne l’infondatezza giuridica, deve essere riconosciuto. Tuttavia, questo diritto si esaurisce quando le espressioni utilizzate non si limitano a criticare la tesi, ma si trasformano in un giudizio di valore sulle qualità personali, morali o professionali della controparte, sia essa l’avvocato o il cliente. L’uso di un lessico volgare non è mai tollerato, in quanto porta la discussione su un piano personale e soggettivo, tradendo la funzione difensiva.
Diritto di difesa: si supera il limite se si ingiuria la controparte
Interessante anche quanto sancito dalla sentenza del CNF n. 23/2025, che citando la precedente pronuncia n. 120/2017, afferma che nel bilanciamento tra il diritto di difesa e il decoro/onore della controparte, il primo ha la precedenza. Di conseguenza, un avvocato non commette un illecito disciplinare se usa espressioni forti negli atti per esporre le proprie tesi difensive e per fare valutazioni pertinenti alla controversia, anche se queste possono sembrare disdicevoli. Tuttavia, il limite viene superato se le espressioni offensive sono gratuite, ovvero non collegate alla strategia difensiva e hanno l’unico scopo di ingiuriare.
Nella motivazione di questa sentenza il CNF, nel richiamare la sentenza n. 74/2020 ha modo di chiarire anche che il limite all’uso di un linguaggio forte da parte di un avvocato si definisce in base alla natura della disputa. Finché la discussione rimane oggettiva, concentrandosi sulle questioni processuali e sulle tesi legali, è tollerato un linguaggio anche aspro.
Tuttavia, quando il confronto scivola sul piano personale e soggettivo, attaccando la persona dell’avversario piuttosto che le sue argomentazioni, si configura una violazione dell’articolo 52 del codice deontologico e si rende necessaria l’applicazione di una sanzione disciplinare a tutela del decoro professionale.
Espressioni offensive: decoro anche nella vita privata
L’avvocato comunque ha il dovere di mantenere un comportamento dignitoso e decoroso non solo nell’esercizio della sua attività professionale, ma in ogni situazione, anche nella vita privata. Deve sempre astenersi dall’usare espressioni offensive o sconvenienti. La valutazione su cosa costituisca un illecito deve essere fatta caso per caso, tenendo conto del contesto in cui le espressioni vengono pronunciate.
Leggi anche: Sospeso l’avvocato che chiama “parassiti” le controparti