Assegno non trasferibile: pagamento in favore di persona non legittimata Chi materialmente paga un assegno non trasferibile a persona diversa dall’intestatario, ha comunque la possibilità di provare la propria estraneità?
Quesito con risposta a cura di Manuel Mazzamurro e Incoronata Monopoli
La responsabilità cui si espone il banchiere che abbia negoziato un assegno non trasferibile in favore di persona non legittimata ha natura contrattuale. La banca negoziatrice, ai sensi dell’art. 43, comma 2, legge assegni (R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736), è chiamata a rispondere del danno derivato – per errore nell’identificazione del legittimo portatore del titolo – dal pagamento di assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola di non trasferibilità a persona diversa dall’effettivo beneficiario; è ammessa a provare che l’inadempimento non le è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza richiesta dall’art. 1176, comma 2, c.c. – Cass., sez. I, ord. 22 aprile 2024, n. 10711.
Nel caso di specie la Suprema Corte è stata chiamata a valutare se, oltre l’ onere probatorio gravante su Poste italiane s.p.a. di dimostrare di aver agito con diligenza, vi fosse l’onere di Unipol di dimostrare il contrario, evidenziando la presenza di contraffazioni visibili ictu oculi sul titolo o sui documenti.
Nella sentenza di primo grado, il Tribunale adito riconosceva la responsabilità di Poste, condannandola al risarcimento dei danni. In secondo grado, la Corte territoriale ha respinto le istanze dell’appellante, osservando che «La regola della cd. responsabilità da “contatto sociale” prevede una presunzione di colpa a carico del debitore inadempiente perché utilizza i criteri della responsabilità contrattuale. L’appellante avrebbe dunque dovuto specificare quali circostanze di fatto emerse nel giudizio di primo grado dimostrassero che il controllo dei documenti fosse avvenuto con la diligenza richiedibile a un operatore professionale. L’onere della prova dell’assenza di colpa era a carico di Poste Italiane s.p.a. e non era stato assolto per il solo fatto che i documenti d’identificazione esibiti fossero falsi. Esistono falsi grossolani ed esistono regole cautelari – ricordate dalla difesa dell’appellato – volte a ridurre il rischio di raggiri attraverso una tecnica truffaldina già nota, anche all’epoca di fatti oggetto del presente processo, a Poste Italiane s.p.a. L’appellante avrebbe dovuto provare di aver assunto una condotta conforme alla diligenza media di un “accorto banchiere”, riferibile alla natura dell’attività esercitata e all’obbligo di verifica visiva e tattile del documento cartaceo esibito per l’incasso dell’assegno» (Cass., Sez. Un., 21 maggio 2018, n. 12477).
Viene proposto quindi ricorso per Cassazione, contestando le argomentazioni utilizzate dalla corte per giustificare la ivi ritenuta sussistenza della responsabilità di Poste Italiane s.p.a.
La Suprema Corte, nella decisione de qua, dichiarando il ricorso inammissibile, ha ricordato quanto stabilito da Cass., Sez. Un., 21 maggio 2018, n. 12477, secondo cui, al fine di sottrarsi alla responsabilità, la banca è tenuta a provare di aver assolto alla propria obbligazione con la diligenza dovuta, che è quella nascente, ai sensi dell’art. 1176, comma 2, c.c., dalla sua qualità di operatore professionale, tenuto a rispondere anche in ipotesi di colpa lieve. È stato chiarito, inoltre, che lo scopo della clausola di intrasferibilità consiste non solo nell’assicurare all’effettivo prenditore il conseguimento della prestazione dovuta, ma anche e soprattutto nell’impedire la circolazione del titolo: a conferma di tale assunto è stato richiamato l’art. 73 del R.D. 1736/1933, il quale esclude l’ammortamento dell’assegno non trasferibile proprio perché lo stesso non può essere azionato da un portatore di buona fede, conferendo nel contempo al prenditore, ma solo come conseguenza indiretta, la maggior sicurezza di poterne ottenere un duplicato denunciandone lo smarrimento, la distruzione o la sottrazione al trattario o al traente.
Nel caso di specie, non resta che prendere atto dell’accertamento di merito effettuato dalla Corte suddetta, rispetto al quale le argomentazioni della censura, sul punto, si rivelano erronee.
Per tale motivo, la Cassazione ha accolto il ricorso e cassato la sentenza rinviando la causa alla Corte d’Appello, la quale dovrà attenersi al principio evidenziato in massima.