giurista risponde

Silenzio assenso in materia edilizia e fiscalizzazione dell’abuso edilizio Il contrasto tra la destinazione dell’immobile e la disciplina urbanistica a esso applicabile esclude la fiscalizzazione?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante

 

Si, il contrasto tra la destinazione dell’immobile e la disciplina urbanistica a esso applicabile esclude di per sé la fiscalizzazione. Di conseguenza non può assumere rilevanza sanante una disciplina urbanistica o edilizia sopravvenuta, non potendo il privato confidare in una modifica del quadro normativo che renda legittimo ciò che non lo era. – Cons. Stato, sez. II, 13 dicembre 2024, n. 10076 (Silenzio assenso in materia edilizia e cosiddetta fiscalizzazione dell’abuso edilizio).

I Giudici di Palazzo Spada, richiamando la costante giurisprudenza, ribadiscono che in materia edilizia l’istituto del silenzio assenso è assoggettato a una disciplina speciale e non direttamente all’art. 20 della L. 241/1990 che non è istituto di carattere generale destinato ad applicarsi in via residuale in mancanza di una diversa disciplina, in quanto la regola è quella secondo la quale le pubbliche Amministrazioni hanno il dovere di concludere il procedimento con un provvedimento espresso e nel rispetto dei principi di legalità e trasparenza, così come nell’istanza ex art. 38 del D.P.R. 380/2001, che non disciplina le conseguenze della mancata risposta dell’amministrazione sull’eventuale istanza del privato, per cui non può formarsi il silenzio assenso su di essa.

Sulla base di tali premesse, la Sezione ha rilevato che, l’art. 20, comma 8, D.P.R. 380/2001, da un lato, prevede che il diniego, per impedire la formazione dell’assenso tacito, deve essere motivato; dall’altro, esclude che l’istituto si applichi qualora l’immobile o l’area in cui si trova siano sottoposti a vincoli, o vi siano state richieste di integrazione documentale o istruttorie inevase. Inoltre, ciò lo si desume anche dalla disciplina in materia di silenzio assenso sull’istanza di condono che si forma solo se ricorrono tutti i requisiti soggettivi e oggettivi per l’accoglimento della stessa; e dal fatto che sull’istanza di accertamento di conformità, l’art. 36, comma 3 del D.P.R. 380/2001 prevede il meccanismo del silenzio diniego. Pertanto, laddove in materia edilizia, il legislatore, non abbia espressamente qualificato la mancata tempestiva risposta dell’amministrazione come silenzio assenso, ovvero come silenzio diniego, essa configura un’ipotesi di silenzio inadempimento, avverso la quale il privato, attraverso l’azione di cui agli artt. 31 e 117 c.p.a., può ottenere l’accertamento dell’obbligo di provvedere e, qualora ne ricorrano i presupposti, anche una pronuncia sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio.

Con riferimento all’art. 38 del D.P.R. 380/2001 si enucleano tre diverse fattispecie: i) una riferibile a un titolo edilizio annullato per un vizio di procedura emendabile e che pertanto è soggetto a convalida ordinaria; ii) la seconda, nella quale il vizio di procedura è insanabile, ma l’opera realizzata abusivamente è conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia, che può essere mantenuta previa applicazione di una sanzione pecuniaria, il cui integrale versamento produce gli stessi effetti del permesso di costruire in sanatoria; iii) la terza, nella quale il vizio che ha annullato il titolo edilizio è di natura sostanziale, quindi l’intervento è contrastante con la disciplina applicabile, ciò precludendo sia la convalida sia la fiscalizzazione e imponendo il ripristino dello stato dei luoghi. Pertanto, l’art. 38 D.P.R. 380/2001 va a disciplinare la convalida introducendo degli elementi di specialità rispetto all’art. 21nonies, comma 2, L. 241/1990 consentendo, da un lato, la convalida del provvedimento annullato (mentre la convalida è preclusa alla formazione del giudicato), e dall’altro, limita la convalida ai vizi di procedura (escludendo i vizi sostanziali).

Nel caso in esame è stato rilevato il contrasto tra la destinazione dell’immobile e la disciplina urbanistica a esso applicabile, che di per sé esclude la fiscalizzazione. Le società ricorrenti contestavano il diniego di fiscalizzazione e l’ordinanza di demolizione emessi rispetto a un capannone utilizzato come autofficina e realizzato in base a un permesso di costruire annullato per contrasto con la normativa urbanistica applicabile all’area. Successivamente, era stata approvata una variante urbanistica, che modificava le destinazioni ammissibili nella zona, includendo quelle utili all’attività dell’autofficina.

Ad ogni modo, non si può giungere ad esiti diversi qualora nel tempo intercorso tra il rilascio del permesso di costruire poi annullato e la presentazione dell’istanza di applicazione di una sanzione pecuniaria in luogo della demolizione, la disciplina urbanistica sia stata modificata.

I Giudici rilevano che l’art. 38 D.P.R. 380/2001 consente che si producano, in conseguenza del pagamento di una sanzione pecuniaria, i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria, ex art. 36 D.P.R. 380/2001, pur in presenza di un bene formalmente abusivo, in quanto il titolo avrebbe dovuto essere rilasciato, stante la sostanziale legittimità dell’opera alla disciplina urbanistica all’epoca vigente e a cui si correla l’affidamento del privato, con la conseguenza che non può assumere rilevanza sanante una disciplina urbanistica o edilizia sopravvenuta, non potendo il privato confidare in una modifica del quadro normativo che renda legittimo ciò che prima non lo era. Ciò al fine di scongiurare la sanabilità dell’immobile per conformità sopravvenuta, che è stata disattesa in mancanza di una base legale. Sul punto, i Giudici precisano, che non conduce a diversa soluzione il D.L. 69/2024, convertito con modificazioni in L. 105/2024, da un lato, perché non ancora vigente al momento dell’adozione del provvedimento impugnato, dall’altro, perché esso non ha inteso superare il requisito della c.d. doppia conformità, ma ha circoscritto l’ambito di applicazione agli abusi edilizi di maggiore gravità.

In conclusione, la modifica al piano regolatore generale del Comune, a prescindere dall’effettiva conformità del capannone alla nuova disciplina, non aveva rilevanza ai fini della concessione della fiscalizzazione, il cui diniego è stato ritenuto immune dai vizi dedotti dalle società ricorrenti.

 

(*Contributo in tema di “Silenzio assenso in materia edilizia e cosiddetta fiscalizzazione dell’abuso edilizio”, a cura di Claudia Buonsante, estratto da Obiettivo Magistrato n. 83 / Marzo 2025 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

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Ordinanza di demolizione e istanza di accertamento in conformità La presentazione dell’istanza di accertamento di conformità ha efficacia caducante rispetto all’ordinanza di demolizione?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante

 

No, la presentazione dell’istanza di accertamento di conformità non ha efficacia caducante rispetto all’ordinanza di demolizione, determinando la sola temporanea inefficacia e ineseguibilità fino all’eventuale rigetto della domanda (Cons. Stato, sez. II, 18 dicembre 2024, n. 10180).

La Sezione ricorda che, l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale configura una sanzione, ai sensi dell’art. 31 del T.U. dell’edilizia, conseguente all’inosservanza dell’ordine di demolizione, dal quale il proprietario può sottrarsi solo dimostrando di non essere in grado di ottemperare all’ordine stesso, impossibilità che non può ravvisarsi nella mera onerosità.

Nel caso di specie, i Giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto, sulla base della relazione del tecnico comunale, che non fosse ravvisabile un’impossibilità di tipo tecnico.

Inoltre, si è precisato che il fatto che l’area esterna alle opere oggetto dell’ordinanza di demolizione sia di proprietà condominiale non comporta l’illegittimità dell’ordinanza di demolizione o dell’atto di acquisizione, ma ne determina esclusivamente l’inefficacia nei confronti degli altri comproprietari che non ne sono stati destinatari.

Pertanto, un bene immobile abusivo può formare oggetto dell’ulteriore sanzione dell’acquisizione gratuita al patrimonio del comune se l’ordine di demolizione e il provvedimento acquisitivo siano stati notificati a tutti i proprietari. Dunque, il soggetto destinatario di tali notifiche non ha interesse a dolersi del fatto che tale notificazione sia avvenuta anche agli altri comproprietari, poiché la mancata notificazione dell’ingiunzione di demolizione dell’opera abusiva, realizzata da tutti i comproprietari, non rappresenta un vizio di legittimità dell’atto, che rimane quindi valido ed efficace. Pertanto, l’omissione della notifica, essendo un requisito per l’operatività dell’ordinanza nei confronti dei destinatari, può essere censurabile solo dal soggetto nel cui interesse la comunicazione è posta.

Ha chiarito il Consiglio di Stato che, la presentazione dell’istanza di accertamento di conformità non ha efficacia caducante rispetto all’ordinanza di demolizione, ne determina la sola temporanea inefficacia e ineseguibilità fino all’eventuale rigetto della domanda. In tal caso, riprenderà a decorrere il termine per l’esecuzione e, in caso d’inottemperanza, potrà essere disposta l’acquisizione dell’opera abusiva senza necessità dell’adozione di una nuova ingiunzione o concessione di un nuovo termine di 90 giorni.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI

Conformi: Cons. Stato, sez. II, 4 aprile 2024, n. 3078;
Cons. Stato, sez. VII, 2 aprile 2024, n. 2990;
Cons. Stato, sez. II, 26 marzo 2024, n. 2952;
Cons. Stato, sez. VII, 2 novembre 2023, n. 9404;
Cons. Stato, Ad. Plen., 11 ottobre 2023, n. 16;
Cons. Stato, sez. II, 9 gennaio 2023, n. 253;
Cons. Stato, sez. VI, 12 agosto 2021, n. 5875;
Cons. Stato, sez. II, 13 novembre 2020, n. 7008;
Cons. Stato, sez. VI, 24 luglio 2020, n. 4745

Difformi:  Cons. Stato, sez. II, 3 novembre 2022, n. 9631;
Cons. Stato, sez. VI, 18 agosto 2021, n. 5922; Id. 12 luglio 2021, n. 5267

 

(*Contributo in tema di “Nozione di impossibilità di ripristino, rapporto tra ordinanza di demolizione, beni in comunione e istanza di accertamento di conformità”, a cura di Claudia Buonsante, estratto da Obiettivo Magistrato n. 83 / Marzo 2025 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

ambush marketing

Ambush marketing: stop del Consiglio di Stato Per il Consiglio di Stato, l’ambush marketing durante i grandi eventi sportivi lede la concorrenza e inganna i consumatori

Ambush marketing

Con la sentenza n. 3118/2025, il Consiglio di Stato ha confermato l’illiceità del cosiddetto ambush marketing, una forma di comunicazione commerciale ingannevole e non autorizzata che lega indebitamente un marchio a eventi di grande visibilità, in particolare sportivi, senza accordi con gli organizzatori.

Cos’è l’ambush marketing e perché è vietato

Questa pratica, nota anche come pubblicità parassitaria, consiste nel creare un’associazione – spesso implicita – tra un brand e un evento, sfruttandone la notorietà e l’impatto mediatico per trarne vantaggio economico. Il Consiglio di Stato ha sottolineato che tale comportamento può generare confusione nel pubblico, inducendo a credere che esista un rapporto di sponsorizzazione o affiliazione inesistente.

Il caso: pubblicità durante UEFA Euro 2020

Oggetto della controversia è stata una sanzione da 100.000 euro inflitta da AGCM a una nota azienda di e-commerce per aver esposto a Roma, in prossimità dell’area ufficiale UEFA, un maxi-cartellone con il proprio logo, le bandiere delle nazioni partecipanti e il claim “Chi sarà il vincitore?”. Il Tar aveva confermato la legittimità della sanzione, rigettando le giustificazioni dell’azienda, poi respinte anche dal Consiglio di Stato.

Le implicazioni giuridiche dell’ambush marketing

Secondo il massimo giudice amministrativo, tale condotta non è solo rilevante sul piano pubblicistico – con sanzioni fino a 2,5 milioni di euro – ma anche sotto il profilo civilistico e penale. Le norme sulla concorrenza sleale, la tutela dei marchi e il Codice del consumo vietano pratiche commerciali idonee a trarre in inganno il consumatore sull’origine, la natura o le caratteristiche del prodotto.

Il Consiglio di Stato ha distinto tre forme di ambush marketing:

  1. Ambush by association: associazione indiretta tra brand ed evento;

  2. Ambush by intrusion: presenza visiva del marchio nei luoghi dell’evento;

  3. Opportunistic marketing: sfruttamento di episodi legati all’evento per fini promozionali.

Una condotta sleale e pluri-offensiva

Il giudice ha qualificato l’ambush marketing come illecito pluri-offensivo, poiché danneggia più soggetti: l’organizzatore dell’evento, gli sponsor ufficiali e i consumatori. L’azienda ambusher si appropria indebitamente della visibilità dell’evento senza sostenerne i costi, alterando la concorrenza e minando la trasparenza del mercato.

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Pubblico impiego, procedure concorsuali e titoli di preferenza È necessaria la comunicazione già all’atto di partecipazione al concorso del possesso del titolo preferenziale?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante

 

No, i giudici di Palazzo Spada evidenziano che non è necessaria la comunicazione già all’atto di partecipazione al concorso del possesso di titoli di preferenza quale elemento fondamentale, determinante la perdita del titolo medesimo (Cons. Stato, sez. V, 3 dicembre 2024, n. 9667).

Il Consiglio di Stato, nella fattispecie in esame, ha evidenziato che non è necessaria la comunicazione, già all’atto di partecipazione al concorso, del possesso del titolo preferenziale quale elemento fondamentale, determinante la perdita del titolo medesimo.

L’art. 5 del D.P.R. 487/1994 prevede che i titoli di preferenza sono valutabili sebbene non dichiarati nella domanda di partecipazione, ma posseduti all’atto della stessa ed esibiti nei termini previsti dal bando, in caso di superamento delle prove selettive.

Infatti, i titoli di preferenza, a differenza dei titoli di merito, non sono oggetto di esame da parte della commissione giudicatrice, ma vengono in considerazione solo dopo lo svolgimento delle prove selettive, al momento della redazione della graduatoria di merito.

 

(*Contributo in tema di “Pubblico impiego, procedure concorsuali e titoli di preferenza”, a cura di Claudia Buonsante, estratto da Obiettivo Magistrato n. 82 / Febbraio 2025 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

Scia

SCIA: Segnalazione Certificata di Inizio Attività SCIA: cos'è, quando è necessaria, differenze con la CILA, quanto costa e giurisprudenza delle corti superiori

Cos’è la SCIA?

La SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) è uno strumento previsto dal sistema normativo italiano che consente a chi intende eseguire determinati lavori edilizi di avviare l’attività senza dover attendere il rilascio di un’autorizzazione preventiva. Si tratta di un importante strumento di semplificazione amministrativa, che permette di ridurre i tempi e i costi per ottenere l’autorizzazione a realizzare interventi edilizi.

La SCIA è un procedimento amministrativo che consente di avviare i lavori edilizi senza attendere una risposta preventiva dall’amministrazione pubblica. In pratica, il cittadino o l’impresa edile, al momento della presentazione della SCIA, può iniziare i lavori immediatamente, dichiarando che l’intervento sarà eseguito in conformità alla normativa vigente. L’amministrazione ha poi il compito di verificare la conformità dell’opera rispetto agli strumenti urbanistici e alle altre normative edilizie.

La SCIA si distingue dal tradizionale permesso di costruire in quanto non richiede un’autorizzazione preventiva, ma una semplice segnalazione che attesta la conformità del progetto. Una volta inviata la SCIA, l’amministrazione ha dai 30 ai 60 giorni di tempo, a seconda del tipo di SSCIA richiesta, per esprimere il proprio parere; se non c’è risposta entro questo termine, si considera che l’autorizzazione sia implicitamente rilasciata.

Quando è necessaria la SCIA?

La SCIA è necessaria per interventi edilizi che non comportano modifiche sostanziali al territorio, alla volumetria o alla destinazione d’uso di un immobile. È utilizzata soprattutto per lavori di manutenzione straordinaria, ristrutturazioni leggere, opere interne, e per quei lavori che non alterano la struttura urbanistica di un’area.

Alcuni esempi di lavori che richiedono la SCIA includono:

  • Manutenzione straordinaria: interventi che riguardano il restauro, la sostituzione o la modifica di parti strutturali di un edificio.
  • Ristrutturazioni leggere: lavori che modificano l’aspetto esteriore di un edificio, ma senza variare la volumetria o la destinazione d’uso
  • Apertura di attività commerciali: quando si intende avviare un’attività in un locale già esistente e conforme alle normative urbanistiche.

In generale, la SCIA è obbligatoria per quei lavori che non richiedono una modifica sostanziale del piano urbanistico o che non hanno un impatto significativo sull’ambiente e sulla sicurezza pubblica.

Differenze con la CILA

Molti tendono a confondere la SCIA con la CILA (Comunicazione di Inizio Lavori Asseverata), ma tra i due strumenti vi sono differenze sostanziali:

SCIA

  • Necessità: la SCIA è necessaria per lavori che possono avere un impatto sul territorio, ma senza modificarne la destinazione d’uso o la volumetria.
  • Caratteristiche: consente di avviare i lavori senza attendere il rilascio di un’autorizzazione preventiva, ma l’amministrazione ha un termine di legge per effettuare eventuali controlli. Se non interviene, il permesso si considera rilasciato tacitamente.
  • Esempi: lavori di ristrutturazione leggera, ampliamenti, modifiche della facciata, interventi che non alterano le caratteristiche fondamentali dell’edificio.

CILA

  • Necessità: la CILA è utilizzata per lavori che non comportano modifiche sostanziali alla struttura dell’immobile e non incidono sulla volumetria. Viene usata principalmente per opere interne non invasive.
  • Caratteristiche: la CILA non richiede il parere dell’amministrazione, ma si deve allegare una dichiarazione asseverata da un tecnico abilitato che attesti la conformità dell’ È utilizzata principalmente per lavori di manutenzione ordinaria o piccoli interventi.
  • Esempi: rifacimento degli impianti, lavori di restauro e risanamento conservativo che non incidono sulla struttura.

Differenze principali

  1. Impatto del lavoro: la SCIA si applica a interventi più complessi e che potrebbero alterare la configurazione dell’edificio, mentre la CILA è destinata a lavori meno invasivi.
  2. Responsabilità tecnica: la SCIA può essere presentata senza il supporto di una perizia asseverata, mentre la CILA richiede una dichiarazione tecnica da parte di un professionista.
  3. Tempi di risposta: con la SCIA l’amministrazione ha a disposizione un determinato periodo di tempo per intervenire; con la CILA, invece, non ci sono termini di risposta specifici da parte dell’amministrazione.

Costi della SCIA

I costi legati alla presentazione di una SCIA dipendono principalmente dalle tariffe comunali e dalle spese professionali per l’assistenza tecnica. I costi variano da comune a comune e possono includere:

  • diritti di segreteria: i comuni stabiliscono una tariffa per la presentazione della SCIA, che può variare in base all’entità dell’intervento;
  • compenso per il professionista: se necessario, è possibile dover pagare una parcella per l’assistenza di un tecnico abilitato, che deve redigere la documentazione e asseverare la conformità del progetto;
  • eventuali oneri di costruzione: in alcuni casi, anche se la SCIA non prevede un’autorizzazione preventiva, potrebbero essere richiesti dei contributi per la realizzazione dell’opera, come gli oneri di urbanizzazione.

I costi per l’intero procedimento variano in base alla tipologia dell’intervento edilizio e alle normative specifiche del comune in cui vengono eseguiti i lavori.

Giurisprudenza rilevante

La giurisprudenza ha avuto un ruolo importante nell’interpretare e applicare le norme relative alla SCIA, in particolare riguardo alla sua correttezza applicativa e alle tempistiche di risposta da parte dell’amministrazione.

Consiglio di Stato n. 1256/2025: la SCIA edilizia acquisisce piena validità decorsi 30 giorni dalla sua presentazione, momento oltre il quale il comune perde il potere di ordinare la demolizione delle opere realizzate. Qualora, invece, intervenga una sospensione dei lavori, il comune è tenuto a emettere un ordine di ripristino entro 45 giorni; in caso contrario, tale provvedimento decade e la SCIA si consolida definitivamente.

Consiglio di Stato n. 467/2022: solo gli interventi di “edilizia libera”, definiti dall’articolo 6 del D.P.R. n. 380/2001 e dall’articolo 3, lettera e.5), possono essere eseguiti senza alcun titolo edilizio. La trasformazione di finestre in porte-finestre non rientra in questa categoria, poiché modifica i prospetti. Tale intervento è considerato manutenzione straordinaria ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera b), del D.P.R. n. 380/01 e richiede la presentazione di una SCIA (articolo 22, lettera b) del D.P.R. 380/2001).

Cassazione n. 15523/2019: anche se un intervento edilizio rientra nella categoria di quelli realizzabili tramite SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività), è indispensabile ottenere l’autorizzazione paesaggistica esplicita qualora l’opera si trovi in un’area sottoposta a vincolo. Il principio del silenzio-assenso, previsto dalla legge 241/1990, non si applica in questi casi, poiché esclude atti e procedimenti relativi al patrimonio culturale e paesaggistico. Pertanto, l’assenza di tale autorizzazione costituisce reato, giustificando il sequestro preventivo dell’opera.

 

Leggi anche: Potere di autotutela e denuncia di inizio attività (DIA/SCIA)

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Dichiarazione di interesse culturale di un bene È legittimo il provvedimento della Soprintendenza di dichiarazione di interesse culturale di un bene che applichi in concreto, pur non facendone espressa menzione, i criteri individuati dal Consiglio superiore delle antichità e belle arti?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante

 

Si, è legittimo il provvedimento anche alla luce della necessaria valutazione di tipo globale e sintetico e posto che l’interesse culturale dell’opera venga espresso in considerazione della norma attributiva del potere, non nella dimensione oggettiva di fatto storico bensì di fatto mediato dalla valutazione affidata all’Amministrazione, per cui il privato ha l’onere di dimostrare che il giudizio di valore espresso da quest’ultima sia scientificamente inaccettabile (Cons. Stato, sez. VI, 19 novembre 2024, n. 9285).

Il Collegio ricorda che, ai sensi degli artt. 10, comma 3, lett. a), 13 e 14, del D.Lgs. 42/2004, il giudizio per l’imposizione di una dichiarazione di interesse culturale storico-artistico particolarmente importante (il c.d. vincolo diretto) è connotato da un’ampia discrezionalità tecnico-valutativa, in quanto implica l’applicazione di cognizioni tecnico-scientifiche specialistiche proprie di settori scientifici disciplinari caratterizzati da ampi margini di opinabilità. Sulla scorta di tanto, l’accertamento compiuto dall’Amministrazione preposta alla tutela è sindacabile in sede giudiziale esclusivamente sotto i profili della ragionevolezza, proporzionalità, adeguatezza, logicità, coerenza e completezza della valutazione, considerati anche per l’aspetto concernente la correttezza del criterio tecniche e del procedimento applicativo prescelto (Cons. Stato, sez. VI, 3 marzo 2022, n. 1510).

Emerge, dall’elaborazione a cui il Collegio dà continuità, che il presupposto del potere ministeriale di vincolo viene preso in considerazione dalla norma attributiva del potere, non nella dimensione oggettiva di fatto storico, accertabile in via diretta dal giudice, bensì di fatto mediato dalla valutazione affidata all’Amministrazione. Ne consegue, dunque, che se è vero che l’interessato può “contestare anche il nucleo intimo dell’apprezzamento complesso” ha tuttavia l’onere di dimostrare che il giudizio di valore espresso dall’Amministrazione sia scientificamente inaccettabile.

Dunque, nel caso di specie, l’Amministrazione, pur non avendone fatta espressa menzione, ha applicato in concreto i criteri individuati dal Consiglio Superiore delle Antichità e Belle Arti nella seduta del 10 gennaio del 1974 (e recepiti dal D.M. 6 dicembre 2017, n. 537), approdando ad una valutazione finale supportata da adeguata motivazione. Motivazione in linea con i già indicati criteri che svolgono un ruolo di mero indirizzo rispetto alla spendita delle potestà di discrezionalità tecnica attribuite all’amministrazione tutoria e pongono parametri compositi da applicare, senza alcun automatismo, in maniera congiunta nell’ambito di un giudizio di tipo globale e sintetico.

 

(*Contributo in tema di “Dichiarazione di interesse culturale di un bene”, a cura di Claudia Buonsante, estratto da Obiettivo Magistrato n. 81 / Gennaio 2025 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

permesso di costruire

Permesso di costruire Permesso di costruire: definizione, normativa di riferimento, rilascio, differenza con la SCIA e giurisprudenza

Cos’è il permesso di costruire?

Il permesso di costruire è un atto amministrativo che autorizza l’inizio di un intervento edilizio, che deve rispettare una serie di normative urbanistiche, ambientali e tecniche. Si tratta di uno degli strumenti più importanti per garantire che le opere edilizie siano conformi ai piani regolatori comunali, alle leggi sul paesaggio, alla sicurezza e alla qualità dell’ambiente urbano.
Esso è disciplinato dal Testo Unico dell’Edilizia (D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), che ha sostituito la precedente “concessione edilizia”, stabilendo regole uniformi su tutto il territorio nazionale.

Normativa di riferimento

Il D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 è la normativa principale che regola il permesso di costruire. Il Testo Unico dell’Edilizia ha armonizzato e semplificato le procedure di rilascio di autorizzazioni edilizie, offrendo indicazioni precise su come e quando ottenere il permesso di costruire.

Gli articoli salienti

Alcuni articoli salienti di questa normativa sono:
• l’articolo 10: che stabilisce che il permesso di costruire è necessario per gli interventi edilizi che comportano una modificazione sostanziale dell’uso del suolo, come nuovi edifici, ampliamenti e modifiche strutturali significative;
• l’art. 11: che definisce le caratteristiche del permesso di costruire, ossia la trasferibilità ai successori e aventi causa, la sua irrevocabilità e onerosità. Il permesso di costruire inoltre non incide sulla titolarità della proprietà o di altri diritti reali e non comporta limitazioni dei diritti dei terzi;
• l’articolo 12: che stabilisce i presupposti per il suo rilascio;
• l’art. 15: che stabilisce l’efficacia temporale e la decadenza del permesso a costruire;
• l’articolo 20: che regolamenta il procedimento per il rilascio e i tempi, stabilendo anche le modalità di ricorso in caso di diniego.
Oltre al Testo Unico, ogni comune ha una propria normativa edilizia che deve essere rispettata. I regolamenti locali possono prevedere ulteriori specifiche, come le modalità di presentazione della domanda, i documenti necessari e le procedure per il rilascio.

Quando viene rilasciato il permesso di costruire?

Il permesso viene rilasciato quando si ha intenzione di realizzare interventi edilizi che comportano una modificazione sostanziale del territorio, come la costruzione di nuovi edifici, la ristrutturazione o l’ampliamento di edifici esistenti, qualsiasi intervento che modifichi l’assetto urbanistico di un’area.
La richiesta viene presentata al comune, il quale deve verificarne la conformità rispetto al piano regolatore e ad altre normative settoriali (sicurezza, ambiente, paesaggio, salute pubblica, ecc.).

Una volta ottenuto il permesso, il richiedente ha un termine per avviare i lavori e, generalmente, è obbligato a completare l’opera entro i termini stabiliti.

Differenza tra permesso di costruire e SCIA

Una delle principali distinzioni nel panorama delle autorizzazioni edilizie riguarda la differenza tra permesso di costruire e SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività). Mentre il permesso di costruire è obbligatorio per le opere più rilevanti e che impattano maggiormente sull’urbanistica, la SCIA si applica a interventi più semplici che non modificano in modo sostanziale il territorio o la struttura edilizia esistente.

Permesso di costruire vs SCIA

• Permesso di Costruire: richiesto per interventi edilizi complessi o per nuove costruzioni che possano influire sul piano regolatore, sull’assetto urbano o sull’ambiente. L’amministrazione pubblica ha il compito di valutare la conformità del progetto con le normative urbanistiche e ambientali.
• SCIA: la SCIA è una dichiarazione che il soggetto interessato presenta per avviare determinati lavori edilizi. L’intervento deve essere conforme agli strumenti urbanistici vigenti, ma, in questo caso, non è necessaria l’autorizzazione preventiva da parte dell’amministrazione, che potrà solo controllare la correttezza dell’intervento successivamente.

La SCIA è spesso usata per interventi di minore impatto, come lavori di manutenzione ordinaria, interventi di ristrutturazione leggera o modifiche interne a edifici esistenti, mentre il permesso si applica in casi in cui l’opera comporta una vera e propria trasformazione del territorio.

Giurisprudenza rilevante

Nel corso degli anni, la giurisprudenza ha avuto un ruolo fondamentale nell’interpretare e applicare la normativa, risolvendo le controversie relative alla sua applicazione:

Consiglio di Stato n. 962/2025

Il soggetto legittimato a impugnare un permesso di costruire, come un proprietario confinante, deve rispettare termini specifici per presentare il ricorso. Questi termini decorrono dal momento in cui i lavori hanno inizio (c.d. an dell’edificazione) o, eventualmente, da quando l’interessato ne viene a conoscenza.
Trascorsi i 60 giorni previsti per l’impugnazione, il ricorso è considerato tardivo e non può essere esaminato dal giudice, indipendentemente dalla conformità dell’opera al titolo edilizio.

Cassazione n. 23186/2018

La totale difformità dal permesso di costruire, secondo l’articolo 31 del Testo Unico dell’Edilizia (DPR 380/2001), si verifica quando l’intervento edilizio realizzato si discosta completamente da quello autorizzato. Questo avviene in due casi principali:

1. Modifica sostanziale dell’organismo edilizio – Se l’opera costruita differisce integralmente per tipologia, forma, volumetria o destinazione d’uso rispetto a quanto previsto nel permesso di costruire.

2. Superamento dei volumi autorizzati – Se vengono realizzati volumi edilizi eccedenti i limiti approvati, tali da costituire un’unità edilizia autonoma o comunque significativa rispetto al progetto iniziale. In sintesi, la totale difformità si ha quando l’opera costruita è radicalmente diversa da quella autorizzata, tanto da configurare un nuovo organismo edilizio.

TAR Campania – Salerno n. 1611/2015

E’ illegittimo che un’Amministrazione richieda, come condizione per il rilascio del permesso di costruire, la dimostrazione della regolarità del richiedente nei confronti dei tributi comunali. Tale pretesa altera la finalità del potere amministrativo, utilizzandolo per scopi estranei rispetto a quelli stabiliti dalla legge, che disciplina il permesso di costruire con criteri specifici e autonomi.

 

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Legittimazione a impugnare e azione popolare (Art. 9 D.lgs. 267/2000) Ciascun elettore può far valere in giudizio le azioni e i ricorsi che spettano al comune e alla provincia?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante

 

Sì, ciascun elettore può far valere in giudizio le azioni e i ricorsi che spettano al comune e alla provincia se si presuppone l’esistenza di una situazione giuridica attiva in capo all’ente da tutelare mediante azione giudiziale e l’inerzia dello stesso ente nel far valere detta situazione giuridica in sede processuale (Cons. Stato, sez. V, 12 novembre 2024, n. 9046 – Legittimazione a impugnare, azione popolare, art. 9 d.lgs. 267/2000).

Nella fattispecie concreta il ricorrente ha agito in giudizio ai sensi dell’art. 9, comma 1, D.Lgs. 267/2000, e cioè in via sostitutiva dell’ente comunale e provinciale.

La suddetta disposizione prevede che ciascun elettore può far valere in giudizio le azioni e i ricorsi che spettano al comune e alla provincia. Dunque, si tratta di un particolare meccanismo di sostituzione processuale dell’ente locale a beneficio degli elettori che presuppone l’esistenza di un’azione giudiziale di spettanza dell’ente e la sua inerzia nell’esercitarla.

La natura dello strumento non è correttiva, bensì suppletiva e il suo presupposto necessario va rinvenuto nell’omissione, da parte dell’ente, dell’esercizio delle proprie azioni e ricorsi. Infatti, l’attore non può porsi in contrasto con l’ente stesso al fine di rimuovere gli errori e le illegittimità da questo commessi.

Pertanto, occorre che l’azione e il ricorso siano volti alla tutela di posizioni giuridiche dell’ente locale cui l’elettore si sostituisce, in specie nei confronti di possibili pregiudizi derivanti da azioni od omissioni di terzi, da fatti o atti compiuti da privati o anche da altre pubbliche amministrazioni.

L’iniziativa sostitutiva postula dunque, da un lato, una situazione giuridica attiva in capo all’ente da tutelare mediante azione giudiziale, dall’altro, l’inerzia dello stesso ente nel far valere detta situazione giuridica in sede processuale.

 

(*Contributo in tema di “Legittimazione a impugnare, azione popolare, art. 9 d.lgs. 267/2000”, a cura di Claudia Buonsante, estratto da Obiettivo Magistrato n. 82 / Febbraio 2025 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

giurista risponde

Offerte anomale, discrezionalità tecnica e sindacato del giudice Il giudice accertata l’intrinseca irrazionalità/illogicità del giudizio di anomalia può disporre immediatamente l’annullamento dell’aggiudicazione e dichiarare l’inefficacia del contratto?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante

 

No, il giudice, accertata l’irrazionalità del giudizio di anomalia, non può disporre immediatamente l’annullamento dell’aggiudicazione in luogo del rinvio degli atti all’Amministrazione, per la rinnovazione globale del subprocedimento di verifica dell’anomalia, da estendersi ad ogni aspetto riguardante l’attendibilità dell’offerta economica (Cons. Stato, sez. V, 21 ottobre 2024, n. 8437 (Offerte anomale, discrezionalità tecnica e sindacato del giudice).

I Giudici di Palazzo Spada evidenziano che il Giudice di prime cure, rilevando profili di criticità, non ha esorbitato dai limiti delle proprie attribuzioni. Nel far ciò, dunque, non si è in alcun modo sostituito alle valutazioni dell’Amministrazione, formulando un proprio giudizio di anomalia diverso da quello svolto in sede di gara – la qual cosa determinerebbe senz’altro uno straripamento del potere giurisdizionale in ambiti riservati alla discrezionalità amministrativa – bensì, si è limitato ad accertare i suddetti elementi di criticità riguardante la stima dei ricavi.

Il Giudice di prime cure si è dunque attenuto al principio giurisprudenziale secondo il quale: “Il procedimento di verifica dell’anomalia non ha per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell’offerta economica, mirando piuttosto ad accertare se in concreto l’offerta, nel suo complesso, sia attendibile e affidabile in relazione alla corretta esecuzione dell’appalto; pertanto la valutazione di congruità deve essere globale e sintetica, senza concentrarsi esclusivamente e in modo parcellizzato sulle singole voci di prezzo” (Cons. Stato, sez. V, 2 maggio 2019, n. 2879).

Senonché, nella fattispecie in esame, il Giudice di prime cure dopo aver correttamente accertato l’intrinseca irrazionalità/illogicità del giudizio di anomalia, ha esorbitato le proprie attribuzioni, disponendo l’immediato annullamento dell’aggiudicazione e dichiarando altresì l’inefficacia del contratto eventualmente stipulato, in luogo di disporre rinvio degli atti all’Amministrazione, per la rinnovazione globale del sub-procedimento di verifica dell’anomalia, da estendersi ad ogni aspetto riguardante l’attendibilità dell’offerta economica.

La Sezione ha, dunque, aderito ad un precedente orientamento: “L’accertamento di una carenza di istruttoria da parte della stazione appaltante nella verifica di anomalia dell’offerta aggiudicataria comporta sempre la riapertura del relativo sub-procedimento e la valutazione anche delle giustificazioni degli altri concorrenti. Tale sindacato giurisdizionale non può incontrare pertanto un limite nell’art. 34, comma 2, Cod. proc. amm., in quanto, per il solo fatto di determinare un prosieguo procedimentale, non integra una pronuncia su poteri amministrativi non ancora esercitati, limitandosi piuttosto ad un effetto conformativo sulla riedizione del potere”.

Pertanto, l’accertamento di carenze istruttorie nel corso del sub-procedimento di verifica di anomalia non ridonda nel sindacato su poteri non ancora esercitati, poichè l’esito di tale accertamento è la riedizione del potere da parte dell’Amministrazione.

Dunque, solo a seguito di questa ulteriore e completa verifica sarà possibile considerare effettivamente consumata la discrezionalità tecnica dell’Amministrazione, con conseguente possibilità, da parte del giudice amministrativo, di un sindacato diretto sul modo di esercizio di detta discrezionalità da parte dell’Amministrazione.

(*Contributo in tema di “Offerte anomale, discrezionalità tecnica e sindacato del giudice”, a cura di Claudia Buonsante, estratto da Obiettivo Magistrato n. 82 / Febbraio 2025 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

atto amministrativo

Atto amministrativo valido anche senza firma Atto amministrativo: l'assenza di formale sottoscrizione non elide la possibilità di attribuire comunque la provenienza dell'atto alla competente PA

Atto amministrativo senza firma

E’ valido l’atto amministrativo senza firma se il responsabile è comunque individuabile. Questo quanto si ricava dalla sentenza n. 8141/2024 del Consiglio di Stato.

La vicenda

A ricorrere a palazzo Spada, è una donna che aveva chiesto l’assegnazione in regolarizzazione di un alloggio ERP abusivamente occupato.

La domanda veniva rigettata, dal Comune di Barletta, per assenza del “presupposto temporale” ossia l’abusiva occupazione dell’immobile per almeno un triennio precedente alla entrata in vigore della legge regionale n. 10 del 2014.

Il provvedimento veniva impugnato dinanzi al TAR Bari il quale rigettava il ricorso della richiedente per le seguenti ragioni: pur in assenza di firma autografa, il provvedimento di rigetto risulta comunque attribuibile alla competente PA; non è stata fornita la benché minima dimostrazione circa l’abusiva occupazione dell’alloggio nel triennio precedente all’entrata in vigore della legge regionale citata.

L’appello

Da qui l’appello, dove la donna si doleva dell’erroneità della sentenza nella parte in cui non sarebbe stato considerato che alcuna firma digitale sarebbe stata apposta sul gravato provvedimento. In ogni caso, anche a voler ritenere apposta la firma digitale, l’atto non era poi stato trasmesso in via telematica ma soltanto a mezzo del messo notificatore.

L’assenza di formale sottoscrizione

“L’assenza di formale sottoscrizione del provvedimento di rigetto non elide la possibilità di attribuire comunque, all’amministrazione comunale appellata, la effettiva provenienza del medesimo atto” afferma preliminarmente il Consiglio di Stato.

Al riguardo, prosegue il giudice amministrativo, la giurisprudenza sull’assenza di firma dei provvedimenti tributari o amministrativi in generale, è pacifica nell’affermare che “Sebbene la firma apposta in calce ad un provvedimento o ad un atto amministrativo costituisce lo strumento per la sua concreta attribuibilità, psichica e giuridica, all’agente amministrativo che risulta averlo formalmente adottato, è pur vero che la giurisprudenza ha recentemente (e condivisibilmente) osservato, anche in omaggio al più generale principio di correttezza e buona fede cui debbono essere improntati i rapporti tra pubblica amministrazione e cittadino, che non solo la ‘non leggibilità’ della firma, ma anche la stessa autografia della sottoscrizione non possono costituire requisiti di validità dell’atto amministrativo, ove concorrano elementi testuali (indicazione dell’ente competente, qualifica, ufficio di appartenenza del funzionario che ha adottato la determinazione, emergenti anche dal complesso dei documenti che lo accompagnano), che permettono di individuare la sua sicura provenienza (C.d.S., sez. IV, 7 luglio 200, n. 4356; sez. VI, 29 luglio 2009, n. 4712)”.

La decisione

La giurisprudenza ha anche rilevato (Cass. sez. lav., 10 giugno 2009, n. 13375) che “l’atto amministrativo esiste come tale allorché i dati emergenti dal procedimento amministrativo consentano comunque di ritenerne la sicura provenienza dall’amministrazione e la sua attribuibilità a chi deve esserne l’autore secondo le norme positive, salva la facoltà dell’interessato di chiedere al giudice l’accertamento dell’effettiva provenienza dell’atto stesso dal soggetto autorizzato a firmarlo” (Cons. Stato, sez. V, 2 gennaio 2024, n. 29; n. 3119/2012).

Pertanto, l’appello è infondato e va rigettato. Spese compensate.