maltrattamenti in famiglia

Maltrattamenti in famiglia Maltrattamenti in famiglia: quando sia configura, analisi dell’art. 572 c.p, elementi del reato, pena, procedibilità e sentenze

Maltrattamenti in famiglia art. 572 c.p.

Il reato di maltrattamenti in famiglia, disciplinato dall’art. 572 del Codice Penale, tutela l’integrità fisica e psicologica delle persone all’interno del nucleo familiare o in rapporti assimilabili. Questa fattispecie punisce chiunque sottoponga un familiare o un convivente a sofferenze fisiche o morali in modo abituale, creando un clima di sopraffazione e paura.

Quando si configura il reato di maltrattamenti in famiglia

Il reato di maltrattamenti si configura quando vi è una condotta abituale di vessazioni, violenze fisiche o psicologiche, ingiurie, umiliazioni o privazioni nei confronti di un soggetto appartenente al nucleo familiare o convivente. Per l’integrazione del reato non è sufficiente un singolo episodio di violenza, ma è necessaria la reiterazione dei comportamenti vessatori nel tempo.

Le vittime possono essere:

  • il coniuge o il convivente;
  • i figli, anche adottivi;
  • gli ascendenti o gli altri parenti conviventi;
  • le persone sottoposte alla tutela, vigilanza o autorità dell’autore del reato (ad esempio, una badante nei confronti di un anziano assistito).

Cosa prevede l’art. 572 c.p.?

L’art. 572 c.p. punisce “chiunque (…) maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia”. Per la configurazione del reato è essenziale che i maltrattamenti siano continuativi e creino un perdurante stato di sofferenza nella vittima.

Elementi del reato: oggettivo e soggettivo

Analizziamo distintamente l’elemento oggettivo e quello soggettivo del reato.

Elemento oggettivo

Il reato di maltrattamenti si caratterizza per:

  • condotta abituale: comportamenti reiterati e non un singolo atto di violenza;
  • vessazioni fisiche o morali: umiliazioni, minacce, percosse, privazioni affettive, isolamento.

Elemento soggettivo

Il dolo richiesto è generico, ossia la consapevolezza e volontà di infliggere sofferenze alla vittima. Non è necessario che l’autore del reato abbia un fine specifico, ma è sufficiente che agisca intenzionalmente.

Pena prevista per i maltrattamenti in famiglia

L’art. 572 c.p. prevede una pena da 3 a 7 anni di reclusione, che viene aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o ai danni di minori, donne in stato di gravidanza, disabili o con l’uso delle armi. La pena della reclusione sale dai 4 ai 9 anni, se i maltrattamenti provocano lesioni gravi o gravissime. Se dai maltrattamenti deriva la morte della vittima, la pena può arrivare fino a 24 anni di reclusione.

Procedibilità del reato

Il reato di maltrattamenti in famiglia è procedibile d’ufficio, il che significa che l’azione penale viene avviata automaticamente non appena le autorità ne vengono a conoscenza, senza necessità di querela da parte della vittima.

Giurisprudenza rilevante

La Corte di Cassazione ha fornito diverse interpretazioni significative sul reato di maltrattamenti.

Cassazione n. 1268/2025: integra il delitto di maltrattamenti contro familiari o conviventi il comportamento di chi impedisce alla vittima di raggiungere l’indipendenza economica, a condizione che tali condotte vessatorie provochino nella vittima uno stato di prostrazione psico-fisica e che le decisioni economiche e organizzative familiari, imposte unilateralmente e non condivise, siano il risultato di comprovati atti di violenza o prevaricazione psicologica.

Cassazione n. 20352/2024: le condotte vessatorie nei confronti del coniuge, che hanno avuto origine in ambito domestico e persistono dopo la separazione di fatto o legale, rientrano nel reato di maltrattamenti in famiglia, anziché in quello di atti persecutori, poiché il coniuge rimane parte della famiglia fino alla cessazione degli effetti civili del matrimonio o allo scioglimento del vincolo matrimoniale, indipendentemente dalla convivenza.

Cassazione n. 16543/2017: il reato di maltrattamenti configura un’ipotesi di reato necessariamente abituale, caratterizzato dalla presenza di una serie di azioni, prevalentemente commissive ma anche omissive, che, considerate singolarmente, potrebbero non essere punibili (come atti di infedeltà o umiliazioni generiche) o non perseguibili (come percosse o minacce lievi, perseguibili solo su querela), ma che nel loro insieme sono in grado di provocare nella vittima sofferenze fisiche e morali durature.

 

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rapina a mano armata

Il reato di rapina a mano armata Il reato di rapina a mano armata nel diritto penale italiano: quando si configura, la pena prevista e la giurisprudenza

Rapina a mano armata: art. 628 codice penale

La rapina a mano armata rappresenta una forma aggravata del reato di rapina, disciplinato dall’articolo 628 del Codice Penale italiano. Questo delitto si configura quando un individuo, mediante l’uso di un’arma, sottrae con violenza o minaccia un bene mobile altrui, al fine di trarne profitto per sé o per altri.

Quando si configura la rapina a mano armata

La rapina a mano armata si concretizza quando l’autore del reato utilizza un’arma per intimidire la vittima e ottenere la consegna del bene desiderato. L’arma può essere di vario tipo, inclusi oggetti atti a offendere che, per le loro caratteristiche, possono incutere timore nella vittima.

Pene previste per la rapina a mano armata

La legge italiana prevede pene severe per chi commette una rapina a mano armata. In particolare, l’articolo 628, terzo comma, n. 1) del Codice Penale stabilisce una reclusione da sei a venti anni e una multa da 2.000 a 4.000 euro. Questa sanzione è più elevata rispetto a quella prevista per la rapina semplice, a causa dell’uso dell’arma che aumenta la pericolosità del reato e l’allarme sociale.

Il caso della pistola giocattolo

La giurisprudenza ha chiarito che l’aggravante dell’uso dell’arma si applica anche quando l’arma utilizzata è una pistola giocattolo, purché questa non sia immediatamente riconoscibile come tale. In altre parole, se la pistola giocattolo appare reale e incute timore nella vittima, l’aggravante è configurabile. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 39253/2021, ha ribadito questo principio, affermando che l’aggravante sussiste quando l’azione minatoria risulta aggravata dal ricorso a uno strumento che appare come un’arma da sparo. La riconoscibilità dipende sia alle circostanze oggettive dell’ambiente che incidono sulla visibilità dei segni presenti sul giocattolo come il tipico tappo rosso e caratteristiche similari, sia dalla percezione che la vittima ha avuto di quei segni specifici.

Giurisprudenza rilevante

Oltre alla sentenza sopra citata, è importante menzionare altre pronunce che hanno affrontato il tema della rapina a mano armata:

  • Cassazione Penale n. 32473/2024: in relazione all’aggravante dell’arma nel reato di rapina a mano armata tutti i partecipanti, inclusi gli autori materiali e coloro che hanno fornito assistenza necessaria (i cosiddetti basisti), sono responsabili anche del reato di porto illegale di armi e della relativa circostanza aggravante. Questo perché l’ideazione del crimine include l’uso delle armi e il loro porto abusivo, necessari per realizzare la minaccia o la violenza tipiche di tale reato.
  • Cassazione Penale n. 35953/2022: per la configurabilità dell’aggravante dell’arma in un delitto circostanziato, è sufficiente che il reo sia visibilmente armato, senza necessità che l’arma venga effettivamente impugnata per minacciare. L’aggravante sussiste quando l’arma è portata in modo tale da incutere timore, lasciando presagire un suo possibile utilizzo come strumento di violenza o minaccia per costringere la vittima a sottostare alle intimazioni.

 

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reato di percosse

Il reato di percosse Reato di percosse art. 581 c.p: elemento oggettivo e soggettivo, procedibilità, pene, giurisprudenza e differenze con il reato di lesioni

Reato di percosse: art. 581 c.p.

Il reato di percosse è previsto dall’art. 581 del Codice Penale e punisce chiunque percuota un’altra persona, ossia agisca con violenza, senza provocare tuttavia lesioni personali nel corpo o nella mente. Questo reato si configura quando un soggetto colpisce un’altra persona, generando dolore o fastidio, senza determinare un danno fisico permanente.

Come precisa il comma 2 dell’articolo 581 c.p il reato di percosse non si configura quando per legge, la violenza rappresenta un elemento costituivo della fattispecie di reato o una circostanza aggravante.

Elemento oggettivo e soggettivo del reato di percosse

Analizziamo separatamente l’elemento oggettivo e soggettivo del reato.

Elemento oggettivo

L’elemento oggettivo consiste in una violenza fisica esercitata su un’altra persona senza provocarle malattie o ferite. Rientrano in questa categoria atti come:

  • schiaffi, pugni o calci senza conseguenze fisiche durature;
  • spinte o strattonamenti;
  • contatti fisici aggressivi incapaci di generare una lesione documentabile.

Se dall’azione deriva una lesione, anche lieve, il reato di percosse si trasforma in reato di lesioni personali (art. 582 c.p.).

Elemento soggettivo

L’elemento soggettivo richiesto è il dolo generico, ossia la coscienza e la volontà di tenere una condotta violenta capace di provocare una sensazione di dolore alla persona offesa. Non è necessario che l’agente abbia l’intenzione di causare dolore o fastidio, basta che compia l’atto consapevolmente.

Competenza e procedibilità del reato di percosse

  • Competenza: Il reato di percosse è di competenza del Giudice di Pace Penale.
  • Procedibilità: è un reato perseguibile a querela di parte, il che significa che la vittima deve presentare querela entro tre mesi dallevento per avviare il procedimento penale.

Pena prevista per il reato di percosse

L’art. 581 c.p. prevede per il reato di percosse le seguenti pene base:

  • pena della reclusione fino a sei mesi oppure multa fino a 309 euro.

Se le percosse vengono commesse in presenza di aggravanti (ad esempio, contro un minore o un pubblico ufficiale), la pena può essere aumentata.

Giurisprudenza in materia

Cassazione n. 27737/2019: il termine “percuotere” non si limita al significato letterale di colpire fisicamente, ma include qualsiasi forma di violenta manomissione dell’altrui persona. Gli schiaffi, quindi, rientrano nella nozione di percosse a causa della loro natura intrinsecamente violenta. Se gli schiaffi causano una malattia, si configura il reato di lesioni; se invece sono simbolici e mirano solo a offendere moralmente, si tratta di ingiuria reale. Per il reato di percosse, è sufficiente che la condotta sia idonea a produrre una sensazione dolorifica, senza che il dolore effettivo si verifichi. La differenza con le lesioni personali sta nel fatto che queste ultime causano una malattia fisica o mentale.

Cassazione n. 33492/2019: affinché si possa parlare di lesioni personali, non basta una semplice alterazione fisica, ma è necessario che questa comporti una limitazione funzionale, un processo patologico significativo, un peggioramento di una condizione preesistente o una compromissione delle funzioni dell’organismo, anche temporanea, ma rilevante. Se la violenza altrui provoca solo dolore, senza limitazioni funzionali, si configura il reato di percosse. In sostanza, la differenza tra lesioni personali e percosse risiede nella gravità delle conseguenze fisiche sulla vittima.

Cassazione n. 13145/2022: l’aggressione fisica di un insegnante verso un alunno, anche se motivata da intenti correttivi, non rientra nella fattispecie specifica dell’articolo 571 del codice penale (abuso dei mezzi di correzione o di disciplina). Piuttosto, tale condotta può configurare reati quali percosse (articolo 581 c.p.) o lesioni personali (articolo 582 c.p.), oppure altre fattispecie di reato rilevanti a seconda delle circostanze specifiche. La legge non giustifica la violenza fisica come mezzo di correzione, per cui l’insegnante che la utilizza è passibile di sanzioni penali.

Differenza tra percosse e lesioni personali

Il reato di percosse si distingue dal reato di lesioni personali (art. 582 c.p.) per l’assenza di conseguenze fisiche permanenti. Vediamo le principali differenze:

Caratteristica Percosse (art. 581 c.p.) Lesioni personali (art. 582 c.p.)
Conseguenze fisiche Nessuna lesione permanente Ferite, contusioni, malattie documentabili
Procedibilità Querela di parte D’ufficio per lesioni aggravate, quando la malattia superi i 20 giorni se la vittima è un incapace per età o per un’infermità. Si procede a querela in caso di lesioni lievi
Pena Reclusione fino a 6 mesi o multa fino a 309,00 euro Reclusione da 6 mesi a 3 anni. La pena aumenta in presenza di circostanza aggravanti di cui all’art. 583 c.p.

 

reato di concussione

Reato di concussione Reato di Concussione art. 317 codice penale: normativa, elementi, pena e procedibilità, differenza con peculato e corruzione, giurisprudenza

In cosa consiste il reato di concussione

Il reato di concussione, disciplinato dall’articolo 317 del Codice Penale, si configura quando un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio, abusando della propria qualità o dei propri poteri, induce taluno a dare o promettere indebitamente, a sé o a un terzo, denaro o altra utilità.

Il reato di concussione è un reato proprio che può essere commesso solo da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio. Il soggetto attivo abusa del proprio ruolo per costringere o indurre un soggetto privato a dare o promettere una somma di denaro o altra utilità.

Differenza tra costrizione e induzione

  • Costrizione: il pubblico ufficiale impone al privato un comportamento mediante minaccia o pressione diretta.
  • Induzione: il pubblico ufficiale convince il privato, sfruttando la propria posizione di autorità, a compiere un’azione che non avrebbe compiuto spontaneamente.

Un esempio classico di concussione è il caso di un funzionario pubblico che minaccia un imprenditore di ostacolare la sua attività se non riceve una somma di denaro.

Elemento oggettivo e soggettivo

L’elemento oggettivo della concussione è dato:

  • dalla qualità soggettiva dell’autore (pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio);
  • dall’abuso di potere;
  • dal danno subito dal soggetto passivo, indotto a dare o promettere denaro o altra utilità.

Ai fini dell’elemento soggettivo, invece, il dolo richiesto è specifico, ossia la volontà del pubblico ufficiale di ottenere un vantaggio personale o per un terzo.

Pena e procedibilità reato di concussione

Secondo l’articolo 317 c.p., la concussione è punita con la reclusione da sei a dodici anni.

  • Il reato è procedibile dufficio, quindi non è necessaria una denuncia per avviare le indagini.
  • La competenza è del Tribunale collegiale.
  • Il tentativo di concussione è punibile (art. 56 c.p.).

Differenza con peculato e corruzione

Il reato di concussione si distingue da altri reati contro la pubblica amministrazione:

  • Peculato (art. 314 c.p.): consiste nell’appropriazione indebita di denaro o beni pubblici da parte del pubblico ufficiale.
  • Corruzione (art. 318 e 319 c.p.): implica un accordo tra pubblico ufficiale e privato per ottenere vantaggi reciproci (senza costrizione o induzione).

In sintesi, la concussione è caratterizzata dall’abuso di potere con costrizione o induzione, mentre la corruzione è basata su un accordo illecito e il peculato su un’appropriazione indebita.

Giurisprudenza sul reato di concussione

Ecco alcune sentenze fondamentali in materia di concussione.

Cassazione n. 17918/2023: Nel reato di concussione, anche un soggetto privo della qualifica di pubblico agente può concorrere nella condotta illecita, purché, in accordo con il pubblico ufficiale, agisca in modo da indurre nel soggetto passivo uno stato di costrizione o soggezione finalizzato a un atto di disposizione patrimoniale. È inoltre necessario che la vittima sia consapevole che l’utilità richiesta è destinata e voluta dal pubblico ufficiale.

Cassazione n. 10805/2021: il reato di concussione si configura quando un pubblico ufficiale, abusando della propria posizione, con violenza o minaccia induce un soggetto a compiere un’azione che altrimenti non avrebbe compiuto. Ciò avviene a causa dello stato di soggezione psicologica in cui la vittima si trova e dell’assenza di un’alternativa ragionevole, come prospettato dal pubblico agente.

Cassazione n. 21019/2021: nel reato di concussione, il concetto di “utilità” comprende qualsiasi vantaggio, anche non patrimoniale, purché sia oggettivamente apprezzabile. Questo include, ad esempio, l’aumento del prestigio professionale o della considerazione all’interno dell’ambiente lavorativo. Nel caso specifico, la Corte ha riconosciuto la concussione (e non la violenza privata) nella condotta di un carabiniere che, attraverso minacce, ha costretto un cittadino straniero ad acquistare eroina per effettuare un arresto in flagrante, con l’obiettivo di ottenere riconoscimenti utili per avanzamenti di carriera e incarichi di fiducia.

 

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getto pericoloso di cose

Il getto pericoloso di cose Il  getto pericoloso di cose: analisi del reato 674 c.p., elementi, pena, procedibilità e giurisprudenza di rilievo

Cos’è il reato di getto pericoloso di cose?

Il getto pericoloso di cose previsto e punito dall’art. 674 c.p. è un reato che si verifica quando una persona getta oggetti, materiali o altre cose in un luogo pubblico o in una situazione in cui essi potrebbero provocare danni a cose o persone. In altre parole, il soggetto compie un atto in grado di creare un pericolo concreto per la sicurezza delle persone, senza la necessità di un danno effettivo. L’elemento fondamentale di questo reato è la pericolosità dell’atto compiuto.

L’art. 674 c.p.

Secondo l’art. 674 del Codice Penale, il reato si configura quando: “Chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti, è punito con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda fino a euro 206.” 

L’elemento oggettivo del reato

L’elemento oggettivo del reato consiste nell’atto materiale di gettare o versare cose in luoghi pubblici, come strade, piazze o luoghi frequentati da pubblico. La pericolosità dell’atto si riferisce alla possibilità che l’oggetto gettato possa provocare un danno o un pericolo, anche senza che si verifichi un danno concreto o immediato.

Il codice penale non specifica esattamente che tipo di oggetto debba essere gettato, ma il concetto di “cose” è ampio e include qualsiasi tipo di materiale che possa rappresentare un pericolo. Gli oggetti potrebbero essere materiali contundenti, rottami, attrezzi, o anche rifiuti che possano scivolare o creare ostacoli per chi transita in quel luogo.

Inoltre, l’atto deve avvenire in un luogo di pubblico transito. Questo implica che l’atto sia posto in essere in un contesto che coinvolge il pubblico, come una strada, una piazza o un altro luogo frequentato da persone.

L’elemento soggettivo del reato

L’elemento soggettivo si riferisce all’intenzione del soggetto nel compiere il reato. In questo caso, non è necessario che l’autore dell’atto abbia l’intenzione di causare un danno diretto o che voglia fare del male a qualcuno. L’intento che interessa è quello di creare una situazione di pericolo, anche se non necessariamente il danno si concretizzerà.

La colpa (ossia la negligenza o imprudenza) è un elemento che può entrare in gioco nel reato di getto pericoloso di cose. Infatti, il soggetto potrebbe non avere l’intenzione di danneggiare direttamente qualcuno ma, a causa della sua condotta, mette comunque in pericolo la sicurezza altrui.

Le pena per il reato di getto pericoloso di cose

L’art. 674 del codice penale prevede una pena di reclusione da tre mesi a un anno per chi compie l’atto di getto pericoloso di cose. La pena prevista l’arresto fino a un mese e l’ammenda fino a 206,00 euro.

È importante notare che la pena può essere aumentata nei casi in cui il pericolo si concretizzi in un danno effettivo, ma la legge punisce comunque la condotta pericolosa, anche se non c’è danno. Questo aspetto tutela l’incolumità pubblica e scoraggia comportamenti che possano generare pericoli per i cittadini.

La procedibilità del reato

Il reato di getto pericoloso di cose è procedibile d’ufficio, il che significa che non è necessario che la vittima presenti una denuncia per avviare un’azione legale. Le autorità competenti (forze dell’ordine o la pubblica accusa) possono avviare il procedimento penale anche senza una denuncia da parte di chi ha subito il pericolo.

Questa caratteristica è rilevante perché l’ordinamento penale vuole tutelare la sicurezza pubblica senza dover aspettare che un danno si verifichi. Di fatto, la legge punisce già l’atto pericoloso, non l’eventuale danno che ne deriva.

Giurisprudenza sul getto pericoloso di cose

La giurisprudenza italiana ha trattato numerosi casi riguardanti il reato di getto pericoloso di cose.

Cassazione n. 19605/2024: la contravvenzione prevista dall’art. 674 c.p. non si applica se l’azione causa esclusivamente danni o disturbo a oggetti, senza coinvolgere direttamente le persone.

Cassazione n. 44458/2015: va condannato all’ammenda il condomino del piano superiore per aver ripetutamente gettato dal proprio balcone bottiglie di plastica e altri rifiuti, sporcando il cortile condominiale al piano terra. Secondo la terza sezione penale, tale condotta, oltre a essere incivile, integra il reato di getto pericoloso di cose previsto dall’art. 674 c.p., poiché idonea a imbrattare e arrecare disturbo agli altri condomini.

Cassazione n. 15956/2014: chi, innaffiando i propri fiori, fa cadere acqua (specialmente se mista a terriccio) sul balcone o il davanzale sottostante può essere multato ai sensi dell’art. 674 del Codice Penale per getto pericoloso di cose. Questa norma punisce chiunque getti o versi, in un luogo di pubblico transito o in un’area privata altrui, cose atte a imbrattare o molestare persone.

 

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reato di rapina impropria

Reato di rapina impropria Reato di rapina impropria: definizione, differenze con la rapina propria, configurabilità del tentativo e giurisprudenza

Cos’è la rapina impropria

La rapina impropria è disciplinata dall’articolo 628, comma 2, del Codice Penale italiano. Si configura quando, dopo aver commesso un furto, l’autore utilizza violenza o minaccia per assicurarsi il possesso della refurtiva o garantirsi l’impunità. Questo reato si distingue dalla rapina propria, prevista dal comma 1 dello stesso articolo. Nella rapina propria infatti la violenza o la minaccia precedono o accompagnano l’atto di sottrazione del bene.

Differenza tra rapina impropria e rapina propria

La principale differenza tra rapina impropria e rapina propria risiede nel momento in cui si manifesta la violenza o la minaccia:

  • Rapina propria: la violenza o la minaccia sono utilizzate per vincere la resistenza della vittima e appropriarsi del bene.
  • Rapina impropria: la sottrazione del bene avviene senza l’uso di violenza o minaccia. Queste vengono impiegate successivamente, al fine di mantenere il possesso del bene sottratto o per assicurarsi l’impunità.

Configurabilità del tentativo di rapina impropria

La giurisprudenza ha affrontato la questione della configurabilità del tentativo per questo tipo di reato. La Corte di Cassazione, con sentenza n. 35425 del 27 giugno 2023, ha stabilito che il tentativo è configurabile quando l’agente, dopo aver compiuto atti idonei e inequivocabili diretti alla sottrazione della cosa altrui, utilizza violenza o minaccia per assicurarsi l’impunità, anche se la sottrazione non si è concretamente realizzata. Questo orientamento conferma che, ai fini della configurabilità del reato, è sufficiente l’uso di violenza o minaccia in seguito ad atti preparatori al furto, indipendentemente dal completamento della sottrazione.

Giurisprudenza rilevante

  • Cassazione Penale, Sezioni Unite, sentenza n. 34952 del 19 aprile 2012: ha chiarito che, per il perfezionamento della rapina impropria, è sufficiente l’apprensione del bene altrui, senza necessità di un effettivo impossessamento, inteso come acquisizione di una signoria autonoma sul bene sottratto.
  • Corte Costituzionale, sentenza n. 190 del 31 luglio 2020: nel confrontare questo tipo di rapina con figure similari la Consulta ha affermato: 1. Il ricorso alla violenza o alla minaccia nella rapina propria e impropria non segue sempre uno schema fisso. Spesso un furto inizialmente non violento degenera in rapina propria se la vittima oppone resistenza o se l’oggetto è difficile da sottrarre. Al contrario, una rapina impropria può essere pianificata, prevedendo l’uso della violenza per garantirsi la fuga. 2.La rapina impropria non richiede il pieno possesso del bene da parte dell’agente per consumarsi, ma ciò non giustifica un trattamento giuridico diverso dalla rapina propria. Ciò che rileva è la contestualità tra la violenza e l’aggressione patrimoniale, che rende il reato più grave del semplice furto. 3. L’immediatezza della violenza è essenziale per equiparare la rapina impropria a quella propria, giustificando misure come l’arresto in flagranza e il diritto alla legittima difesa, che cessano quando tale contestualità viene meno.
  • Corte Costituzionale n. 86/2024: illegittimo dal punto di vista costituzionale l’ 628, secondo comma, del codice penale, poiché non prevede una riduzione di pena fino a un terzo nei casi in cui il fatto di rapina risulti di lieve entità, considerando natura, mezzi, modalità o circostanze dell’azione, nonché la tenuità del danno o del pericolo. Per effetto di questa decisione, la corte ha esteso l’illegittimità anche al primo comma dello stesso articolo, con analoga previsione di riduzione della pena in presenza di fatti di minore gravità.

 

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violenza privata

Violenza privata: guida al reato ex art. 610 c.p. Il reato di violenza privata: in cosa consiste, normativa di riferimento, configurazione del reato e giurisprudenza

Cos’è il reato di violenza privata?

Il reato di violenza privata è previsto e punito dall’art. 610 del codice penale italiano. Questo reato si configura quando un soggetto, mediante violenza o minaccia, costringe un altro soggetto a fare, tollerare o omettere qualcosa contro la propria volontà. La violenza privata è considerata un delitto contro la libertà personale. La norma tutela infatti la libertà morale, ossia il diritto di ciascun individuo a decidere autonomamente delle proprie azioni.

Normativa di riferimento

L’articolo 610 del codice penale stabilisce che “chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare o omettere qualcosa, è punito con la reclusione fino a quattro anni”. La pena è aumentata se il fatto è commesso ad esempio con l’uso di armi o da più persone riunite.

Come si configura il reato di violenza privata?

Il reato si configura attraverso due elementi principali:

  1. Violenza o minaccia: l’uso della forza fisica o la prospettazione di un male ingiusto e imminente per costringere la vittima.
  2. Costrizione: la vittima è obbligata a compiere, tollerare o omettere un’azione contro la propria volontà.

Elemento oggettivo e soggettivo del reato

Elemento oggettivo: consiste nella condotta violenta o minacciosa che porta alla costrizione della vittima. La violenza può essere fisica o morale, mentre la minaccia deve essere tale da incutere il timore nella vittima di un male ingiusto.

Elemento soggettivo: richiede il dolo generico, ossia la volontà cosciente di costringere un’altra persona a compiere un atto contro la propria volontà. Non è necessario che il soggetto agente persegua un fine specifico, ma basta la consapevolezza della natura costrittiva dell’atto.

Come viene punito il reato di violenza privata?

Il reato di violenza privata è punito con la reclusione fino a quattro anni. La pena può essere aumentata in presenza di aggravanti, come:

  • l’uso di armi;
  • il compimento del fatto da più persone riunite;
  • la recidiva specifica o reiterata del reato.

Aspetti procedurali del reato di violenza privata

Azione penale: il reato è punibile previa querela della persona. Offesa. E’perseguibile d’ufficio invece quando il reato viene commesso in danno di un soggetto incapace a causa dell’età o dell’infermità o quando è commesso in presenza delle aggravanti indicate nel comma 2 della norma.

Competenza: la competenza per il giudizio è del tribunale monocratico.

Prescrizione: il reato si prescrive in sei anni, salvo interruzioni dovute a atti processuali.

Misure cautelari: In presenza di gravi indizi di colpevolezza, il giudice può disporre misure cautelari personali.

Giurisprudenza rilevante

La giurisprudenza italiana ha fornito interpretazioni significative per chiarire i confini del reato di violenza privata:

Cassazione n. 10360/2019: l’elemento oggettivo del reato previsto dall’art. 610 c.p. consiste nell’uso della violenza o della minaccia con lo scopo di costringere qualcuno a compiere, tollerare o omettere un’azione. Affinché si configuri il reato, la violenza o la minaccia devono essere finalizzate a determinare un effetto ulteriore, ossia la costrizione della vittima. Ne consegue che l’atto violento o minaccioso non deve coincidere con l’evento stesso di costrizione: se la violenza si esaurisce nella mera imposizione a tollerare, senza un ulteriore effetto coercitivo, il delitto di cui all’art. 610 c.p. non può ritenersi integrato.

Cassazione penale n. 32534/2020: il reato di violenza privata previsto e disciplinato dall’art. 610 c.p è integrato anche dalla condotta di chi parcheggia l’auto all’interno del cortile condominiale in modo da impedire agli altri condomini l’accesso ai propri garage.

Cassazione penale n. 1174/2020: Il reato di violenza privata ha natura istantanea e si perfeziona nel momento in cui la vittima subisce una costrizione che limita la sua libertà di scelta e di azione. Non ha rilevanza il fatto che gli effetti di tale costrizione possano perdurare nel tempo o che la persona offesa possa successivamente liberarsene.

 

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Legittima difesa Legittima difesa: cos’è, quali sono i suoi presupposti, cosa è cambiato con la riforma del 2019, eccesso e giurisprudenza rilevante

Cos’è la legittima difesa

La legittima difesa, disciplinata dall’art. 52 del Codice Penale, è una causa di giustificazione che esclude la punibilità di chi commette un reato per proteggere un diritto proprio o altrui da un’aggressione ingiusta. Il principio si fonda sull’idea che la reazione difensiva sia necessaria e proporzionata all’offesa ricevuta.

Con la riforma della legittima difesa introdotta nel 2019 (L. 36/2019), il legislatore ha introdotto significative novità, soprattutto in tema di difesa domiciliare. Tuttavia, la giurisprudenza continua a giocare un ruolo cruciale nel definire i limiti tra difesa legittima ed eccesso colposo.

Definizione e disciplina (art. 52 c.p.)

L’articolo 52 del Codice Penale prevede:

“Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa.”

In sintesi, per essere legittima, la difesa deve avere queste caratteristiche:

  • Necessità: non esiste un’altra via per proteggere il diritto minacciato.
  • Attualità del pericolo: la minaccia deve essere imminente e concreta.
  • Ingiustizia delloffesa: l’aggressione deve essere illegittima.
  • Proporzionalità: la reazione deve essere commisurata all’offesa subita.

Presupposti

Perché possa applicarsi la scriminante della difesa legittima, devono sussistere contemporaneamente i seguenti presupposti:

  1. Pericolo attuale di un’offesa ingiusta:
    • Il pericolo deve essere immediato e concreto. Non è sufficiente un semplice timore generico.
    • L’offesa deve riguardare un diritto proprio o altrui (vita, integrità fisica, proprietà).
  2. Necessità della difesa:
    • La difesa è legittima solo se è l’unica possibilità per evitare il danno.
    • Non devono esserci alternative come la fuga o la richiesta immediata di aiuto.
  3. Proporzionalità tra offesa e difesa:
    • La reazione deve essere adeguata e commisurata alla gravità della minaccia.
    • Non è necessario che ci sia simmetria, ma la difesa non deve essere eccessiva rispetto al pericolo.

La riforma del 2019: cosa è cambiato

Nel 2019, la Legge n. 36/2019 ha modificato l’art. 52 c.p., introducendo nuove disposizioni, soprattutto in materia di difesa domiciliare.

  1. Presunzione di legittima difesa in casa (art. 52, comma 2 e 3 c.p.)
  • È sempre considerata legittima la difesa quando l’offesa avviene nella propria abitazione.
    o in un luogo di privata dimora (es. ufficio, negozio, garage).
  • Si presume la proporzionalità della difesa se l’aggressore entra con violenza, minaccia o inganno.
  1. Esclusione della punibilità per eccesso colposo (art. 55 c.p.)
  • L’eccesso colposo (reazione sproporzionata per errore o paura) è escluso quando l’azione difensiva è avvenuta in una situazione di grave turbamento, determinata dal pericolo per la propria o altrui incolumità.

Quando c’è eccesso di legittima difesa (art. 55 c.p.)

L’eccesso colposo di legittima difesa, previsto dall’art. 55 c.p., si verifica quando la reazione:

  • È sproporzionata rispetto al pericolo.
  • Non è necessaria per evitare l’
  • È frutto di colpa (imprudenza, negligenza, errore nella valutazione del pericolo).

Esempi concreti:

  • Sparare all’aggressore in fuga, quando il pericolo è cessato.
  • Colpire mortalmente un ladro disarmato, che non rappresenta una minaccia immediata.

Riforma 2019:
In caso di grave turbamento emotivo (es. un’aggressione notturna in casa), l’eccesso colposo può essere non punibile.

La legittima difesa putativa

La legittima difesa putativa (art. 59 c.p.) si verifica quando il soggetto:

  • Crede erroneamente di trovarsi in una situazione di pericolo attuale.
  • Reagisce come se fosse necessario difendersi.

È rilevante solo se l’errore è giustificabile dalle circostanze (es. buio, rumori sospetti, contesto minaccioso).

Esempio:

Una persona spara a un intruso credendo sia armato, ma si scopre che l’aggressore era disarmato. La legittima difesa putativa potrebbe essere riconosciuta, se l’errore era oggettivamente plausibile.

Giurisprudenza sulla legittima difesa

Ecco una serie di massime della Cassazione in materia:

Cassazione, sentenza n. 49883/2019

La legge 26 aprile 2019, n. 36 ha introdotto una specifica causa di non punibilità per chi, agendo per la salvaguardia della propria o altrui incolumità, si trovi in stato di minorata difesa ovvero in stato di grave turbamento derivante dalla situazione di pericolo in atto. Tuttavia, tale causa di non punibilità non è applicabile quando l’azione difensiva illecita, pur riconducibile a un eccesso colposo, non sia motivata dalla volontà di proteggere la propria o altrui incolumità, ma sia invece esclusivamente finalizzata alla difesa dei beni propri o altrui. In altre parole, se l’azione difensiva, pur viziata da un eccesso colposo, è volta a salvaguardare l’incolumità personale, essa può rientrare nella causa di non punibilità prevista dall’art. 55, co. 2, c.p., anche in presenza di uno stato di minorata difesa o grave turbamento.

Cassazione n. 37427/2020

L’attenuante della provocazione e l’esimente della legittima difesa si distinguono nonostante entrambe derivino da un’offesa ingiusta altrui. La differenza principale risiede nella necessità, per la legittima difesa, che l’offesa sia in corso al momento della reazione, mentre per la provocazione ciò non è richiesto. In particolare, la provocazione può essere riconosciuta anche quando l’offesa si è già conclusa, purché permanga nello stato d’animo dell’agente un’ira determinata da essa. Al contrario, la legittima difesa presuppone un pericolo attuale: se l’offesa è cessata, non può essere invocata. Tuttavia, se l’offesa è ancora in atto e la reazione è proporzionata, la legittima difesa risulta applicabile.

Cassazione n. 46921/2023

La legittima difesa putativa si basa sugli stessi presupposti di quella reale, con la differenza che il pericolo, anziché essere effettivo, è solo supposto dall’agente a causa di un errore nella valutazione dei fatti. Tale errore esime da responsabilità se scusabile, mentre comporta colpa ai sensi dell’art. 59 u.c. c.p. se dovuto a negligenza. In ogni caso, deve derivare da circostanze concrete che, sebbene mal interpretate, possano giustificare la convinzione di trovarsi in pericolo. Non basta, quindi, il solo stato d’animo dell’agente: l’errore deve trovare riscontro in elementi oggettivi che abbiano indotto la falsa percezione del pericolo. La legittima difesa putativa è dunque configurabile solo se l’erronea convinzione della necessità di difendersi si basa su dati reali, seppur inidonei a creare un pericolo attuale, ma tali da rendere plausibile la percezione soggettiva di una minaccia, in relazione al contesto in cui si svolge l’azione difensiva.

Casistica: quando è legittima difesa e quando no

Caso È legittima difesa? Motivazione
Spara a un ladro che entra di notte con un’arma  Sì Difesa proporzionata e pericolo attuale.
Colpisce un aggressore che lo minaccia con un coltello  Sì Necessità di difendere l’incolumità.
Insegue e spara all’aggressore in fuga  No Pericolo cessato, è eccesso colposo.
Spara per errore a una persona che credeva armata Dipende Possibile difesa putativa.
Reagisce a un’aggressione notturna in casa, colpendo mortalmente l’aggressore Sì (2019) Applicabile la presunzione di legittima difesa.

Differenze con lo stato di necessità (art. 54 c.p.)

Aspetto Legittima difesa (art. 52 c.p.) Stato di necessità (art. 54 c.p.)
Pericolo Proviene da un’aggressione ingiusta di terzi Deriva da cause naturali o situazioni indipendenti da terzi
Reazione Contro l’aggressore Può danneggiare anche soggetti innocenti
Necessità Difesa di sé o di altri Salvaguardia della propria o altrui incolumità
Esempio Difesa da un ladro armato Sfonda una porta per salvarsi da un incendio

 

 

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Il processo penale minorile Il processo penale minorile in Italia: disciplina, principi ispiratori, e fasi procedurali e esiti possibili

Processo penale minorile: disciplina

Il processo penale minorile in Italia è disciplinato dal D.P.R. 448/1988, noto come Codice del processo penale minorile, e dal D.Lgs. 272/1989, che ne stabilisce le disposizioni di attuazione, coordinamento e transitorie. Questo sistema processuale è stato concepito con un approccio educativo e rieducativo, ponendo al centro il minore e la sua crescita, piuttosto che la sola punizione.

Principi fondamentali del processo penale minorile

Il processo penale minorile si basa su alcuni principi fondamentali:

Prevalenza della funzione rieducativa: l’obiettivo principale è il recupero sociale del minore, evitando la stigmatizzazione, anche nel rispetto di quanto sancito dall’art. 27 della Costituzione.

Specializzazione degli organi giudiziari: la competenza, dopo la riforma Cartabia, è affidata alle sezioni distrettuali dei Tribunali per le persone, per i minorenni e per le. Famiglie, composto da magistrati e giudici onorari. Al Tribunale si affiancano altri organismi della magistratura i cui ruoli vengono integrati dai Servizi minorili.

Personalizzazione del procedimento: le decisioni devono tenere conto della personalità del minore e delle sue esigenze educative.

Minimizzazione dell’intervento giudiziario: si privilegia l’applicazione di misure alternative al processo.

Le fasi del processo penale minorile

Il processo penale minorile si sviluppa in modo simile al processo penale ordinario, attraverso fasi determinate che  possono concludersi con esiti diversi.

Indagini preliminari e misure cautelari

Le indagini preliminari nel processo minorile presentano alcune peculiarità.

Il pubblico ministero può disporre accertamenti sulla personalità del minore (art. 9 D.P.R. 448/1988).

Il minore deve essere assistito da un difensore fin dal primo atto.

Le misure cautelari devono essere adottate con estrema cautela e privilegiano soluzioni non detentive, come la permanenza in casa o il collocamento in comunità.

Udienza preliminare

L’’udienza preliminare, che nel processo minorile funge da filtro per smaltire i giudizi dibattimentali può concludersi con:

  • Sentenza di condanna a pena pecuniaria o sanzione sostitutiva su richiesta del PM,
  • Sentenza di non luogo a procedere per concessione del perdono giudiziale o irrilevanza del fatto.
  • Messa alla prova, una misura alternativa che sospende il processo per consentire al minore di partecipare a un percorso rieducativo (art. 28 D.P.R. 448/1988).
  • Rinvio a giudizio, se vi è un quadro probatorio sufficiente.

Dibattimento e sentenza

Se il processo prosegue, perché nella fase precedente il minore non ha scelto un rito alternativo o è stato ritenuto non colpevole, si arriva alla fase dibattimentale, che si svolge con rito camerale a porte chiuse per garantire la riservatezza del minore. Le sentenze possono prevedere:

  • lassoluzione, se non viene dimostrata la colpevolezza.
  • la  condanna con misure rieducative, come la libertà vigilata o il collocamento in comunità.
  • la sospensione del processo e messa alla prova del minore, con successiva estinzione del reato in caso di esito positivo.

Le misure alternative e la messa alla prova

Uno degli strumenti più innovativi del processo minorile è la messa alla prova, che consente di sospendere il procedimento per verificare se il minore possa essere rieducato senza necessità di condanna. Se il percorso viene completato con successo, il reato viene estinto.

 

 

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La violazione di domicilio Il reato di violazione di domicilio: definizione, elementi costitutivi, sanzioni penali e giurisprudenza della Corte di Cassazione

Cos’è la violazione di domicilio

Il reato di violazione di domicilio, disciplinato dall’art. 614 del Codice Penale, tutela il diritto inviolabile all’intimità domestica, sancito anche dall’art. 14 della Costituzione. Si configura quando un soggetto si introduce o si trattiene indebitamente nel domicilio altrui, senza il consenso del titolare o contro la sua volontà.

L’art. 614 c.p.

L’articolo 614 c.p. punisce chiunque si introduce o si trattiene nellabitazione altrui o nei luoghi privati destinati ad attività domestiche, senza autorizzazione. È considerata reato anche l’introduzione mediante inganno, minaccia o violenza.

Come è punito il reato di violazione di domicilio

Le sanzioni penali variano in base alle modalità di commissione del reato:

  • reclusione da 1 a 4 anni, se l’introduzione nell’abitazione o nel luogo di privata dimora avviene contro la volontà espressa o tacita del soggetto che ha il diritto di escluderne l’ingresso o se il soggetto agente si introduce in luoghi suddetti e poi vi si intrattiene con inganno o in clandestinamente e contro l’espressa volontà di chi ha il diritto di escluderlo;
  • Reclusione da 2 a 6 anni, se il fatto è commesso con violenza sulle cose o sulle persone, se il soggetto agente è palesemente armato.

Quando si configura il reato: elementi costitutivi

Elemento oggettivo

  • Condotta: introduzione o permanenza abusiva nel domicilio altrui;
  • Domicilio: qualsiasi luogo destinato alla vita privata, inclusi giardini, garage e uffici privati.

Elemento soggettivo

  • Dolo generico: consapevolezza e volontà di violare il diritto altrui, indipendentemente dallo scopo.

Bene giuridico tutelato

Il reato di violazione di domicilio protegge la sfera privata e il diritto alla riservatezza di chi abita o possiede un immobile.

Procedibilità e denuncia

È un reato perseguibile a querela, salvo casi aggravati (es. violenza, minaccia, o violazione commessa da un soggetto palesemente armato), in cui si procede dufficio.

Giurisprudenza sulla violazione di domicilio

La Cassazione nelle sue sentenze ha delineato diversi e importanti aspetti di questo reato:   

Cassazione, sentenza n. 31276/2020

In un domicilio condiviso, tutti i coabitanti hanno diritto all’inviolabilità dello stesso. Il dissenso, anche tacito, di un solo coabitante è sufficiente a impedire l’ingresso di terzi, configurando il reato di violazione di domicilio. Il consenso di un coabitante permette l’accesso solo agli spazi comuni e ai propri spazi esclusivi, mentre per gli spazi di esclusiva pertinenza di altri coabitanti è necessario il consenso di questi ultimi. La presunzione di consenso non si applica agli spazi individuali ed esclusivi.

Cassazione n. 33860/2021

Commette il reato di violazione di domicilio chiunque entri in un appartamento altrui, anche se usato come deposito e visitato solo occasionalmente, senza il consenso di chi ne ha il diritto. L’uso effettivo dell’appartamento non deve essere necessariamente continuo e non viene meno se il proprietario è assente. La “privata dimora” è un concetto ampio che include qualsiasi luogo utilizzato per atti di vita privata, anche temporaneamente.

Cassazione, sentenza n.  29742/2024

Chi è accolto per convivenza familiare in un’abitazione rischia il reato di violazione di domicilio (art. 614 c.p.) se, invitato a lasciare la casa, vi rimane senza consenso. Il diritto di escludere qualcuno dall’abitazione spetta a chi ha titolo per occuparla. In caso di permanenza illegittima, può essere emesso un ordine di allontanamento, poiché l’alloggio è assimilato a casa familiare.

 

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