liquidazione giudiziale

Liquidazione giudiziale Liquidazione giudiziale: procedura concorsuale disciplinata dal Codice della crisi e dell’insolvenza, che ha sostituito il fallimento

Liquidazione giudiziale: cos’è

La liquidazione giudiziale è una procedura prevista e disciplinata dal Codice della Crisi e dell’insolvenza di cui al Decreto legislativo n. 14/2019, che ha sostituito il fallimento. A questo proposito occorre però precisare che la disciplina contenuta nella legge fallimentare continua tuttavia ad applicarsi ai ricorsi che sono stati depositati anteriormente al 15 luglio 2022.

Ambito soggettivo della liquidazione giudiziale

La liquidazione giudiziale, come dispone l’art. 121 del Codice della Crisi e dell’insolvenza, riguarda gli imprenditori commerciali che non dimostriamo di essere in possesso, congiuntamente, dei requisì indicati dall’articolo 2, comma 1, lettera d):

  • attivo patrimoniale complessivo annuo non superiore a euro000,00 nei tre esercizi anteriori alla data di deposito della istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività se la durata è inferiore;
  • ricavi annui complessivi non superiori a euro000 nei tre esercizi anteriori alla data di deposito dell’istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività se la durata è inferiore;
  • debiti anche non scaduti non superiori a euro 500.000.

Gli organi della procedura di liquidazione

La liquidazione giudiziale è una procedura complessa, che vede protagonisti i seguenti soggetti:

  • il tribunale concorsuale, organo investito dell’intera procedura;
  • il giudice delegato, che esercita funzioni di vigilanza e di controllo affinché la procedura si svolga regolarmente;
  • il curatore, che gestisce la procedura di liquidazione sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori;
  • il comitato dei creditori, che svolge funzioni di vigilanza sull’attività del curatore.

Beni del debitore soggetti a liquidazione

La sentenza di liquidazione toglie al debitore l’amministrazione dei suoi beni, compresi quelli acquisiti durante la procedura. Il curatore può rinunciare ai beni con valore di realizzo inferiore ai costi di gestione.

Beni del debitore esclusi dalla liquidazione

Non tutti i beni del debitore però vengono liquidati. Non si liquidano infatti i beni personali e alimenti essenziali, gli stipendi, le pensioni e i salari necessari al mantenimento familiare, i beni non pignorabili e i patrimoni protetti da norme specifiche. I limiti vengono determinati dal giudice delegato. In mancanza di mezzi di sostentamento, il giudice delegato può concedere sussidi per il debitore e la famiglia. La casa del debitore resta utilizzabile fino alla liquidazione, se necessaria per l’abitazione.

Concorso dei creditori

La liquidazione giudiziale si regge su regole chiare e processi definiti che coinvolgono il patrimonio del debitore e il soddisfacimento dei creditori. La procedura attiva infatti il concorso dei creditori sul patrimonio del debitore. Ogni credito o diritto deve essere accertato secondo la normativa del capo III. Le stesse regole si applicano ai crediti esentati dal divieto di esecuzione.

Come si svolge la liquidazione giudiziale

Il curatore gestisce la liquidazione, affiancato da esperti per la stima dei beni. Le stime seguono regole specifiche e si depositano telematicamente. I beni di modesto valore possono evitare la stima.
La vendita si realizza tramite procedure competitive e adeguata pubblicità per garantire trasparenza e partecipazione. Il curatore può proporre rateizzazioni o ribassi del prezzo in caso di aste deserte. Deve inoltre liberare gli immobili occupati dal debitore o da terzi non opponibili. I beni mobili trovati nell’immobile sono considerati abbandonati se non rimossi entro i termini assegnati.
Il curatore informa il giudice delegato sull’andamento delle operazioni. Se vi sono procedure esecutive in corso, può subentrarvi o chiederne la chiusura.

Casi di chiusura della liquidazione giudiziale

Il sistema della liquidazione giudiziale mira a garantire il soddisfacimento dei creditori in modo equo, attraverso processi trasparenti e supervisionati. La chiusura della procedura avviene solo quando tutti i crediti sono risolti o le attività si dimostrano insufficienti.

La liquidazione giudiziale si chiude infatti nei seguenti casi:

  • nessuno ha presentato domanda di ammissione al passivo entro il termine stabilito;
  • tutti i crediti ammessi e i debiti sono stati soddisfatti o risultano estinti;
  • l’attivo è stato ripartito completamente;
  • mancano i fondi necessari per soddisfare i creditori o sostenere le spese della precedura;
  • in caso di chiusura della procedura giudiziale delle società di capitali (nei casi di cui alle lettere a) e b) comma 1 art. 233) il curatore convoca l’assemblea dei soci per decidere sulla ripresa o sulla cessazione dell’attività. Se la procedura invece si chiude dopo la riparazione dell’attivo o perché la prosecuzione dell’attività non soddisferebbe comunque i creditori concorsuali, allora il curatore procede alla cancellazione dal registro delle imprese.

 

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bancarotta fraudolenta

Bancarotta fraudolenta Il reato di bancarotta fraudolenta: la dichiarazione di liquidazione giudiziale, l’elemento soggettivo e i contrasti giurisprudenziali

Reato di bancarotta fraudolenta e liquidazione giudiziale

Il reato di bancarotta fraudolenta punisce l’imprenditore, o chi ricopre cariche societarie, che compia con dolo atti in danno del patrimonio dell’impresa o della parità di condizioni dei creditori.

L’art. 322 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (C.C.I.I.) dispone, sulla falsariga di quanto prevedeva l’art. 216 della Legge Fallimentare, che può essere punito per tale reato solo l’imprenditore dichiarato in liquidazione giudiziale (in precedenza, si faceva riferimento all’imprenditore fallito; la liquidazione giudiziale ha sostanzialmente sostituito il fallimento nella nuova disciplina posta dal Codice, come strumento procedurale teso a soddisfare i creditori dell’imprenditore insolvente).

Le diverse ipotesi di bancarotta fraudolenta

Le ipotesi di bancarotta fraudolenta individuate dall’art. 322 C.C.I.I. sono le seguenti:

  • la c.d. bancarotta patrimoniale, che ricorre quando l’imprenditore distrae, occulta, dissimula o distrugge o dissipa i propri beni, oppure quando espone o riconosce passività inesistenti per arrecare pregiudizio ai creditori;
  • la c.d. bancarotta documentale, quando l’imprenditore sottrae, distrugge o falsifica i libri o le scritture contabili, per trarne un ingiusto profitto o per recar danno ai creditori;
  • e la c.d. bancarotta preferenziale, che ricorre quando l’imprenditore favorisce alcuni creditori in danno di altri, eseguendo pagamenti o simulando titoli di prelazione.

Le pene previste dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza

Ciò che distingue il reato di bancarotta fraudolenta dalla semplice bancarotta è l’elemento psicologico, che consiste nel dolo, e cioè nell’intenzione, da parte del soggetto agente, di arrecare danno ai creditori.

La pena prevista per il reato di bancarotta fraudolenta è la reclusione da tre a dieci anni, nei casi di bancarotta patrimoniale o documentale, e da uno a cinque anni per la bancarotta preferenziale.

In ogni caso, il colpevole è punito anche con la condanna alla pena accessoria dell’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e all’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a dieci anni (art. 322 C.C.I.I., ultimo comma).

Dichiarazione di liquidazione giudiziale nella giurisprudenza

Particolare interesse ha suscitato in giurisprudenza il valore della dichiarazione di liquidazione giudiziale, che a volte è stata considerata come un vero e proprio elemento del reato, mentre altre volte come una mera condizione di punibilità.

In particolare, la sentenza n. 13910/2017 della quinta sezione penale della Corte di Cassazione aveva sancito che la sentenza dichiarativa di fallimento (oggi dichiarazione di liquidazione giudiziale) fosse semplicemente una condizione di punibilità, cioè un evento al verificarsi del quale il colpevole può essere punito. Ciò perché, a giudizio degli Ermellini, la dichiarazione di fallimento è cosa ben diversa dallo stato di insolvenza che ne è alla base e che solo costituisce l’offesa al patrimonio dei creditori.

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Orientamento più risalente della Cassazione

L’orientamento più risalente della Corte di Cassazione, che considerava invece la dichiarazione di fallimento come elemento costitutivo del reato di bancarotta fraudolenta, è stato invece riportato in auge da una successiva pronuncia della Suprema Corte (Cass. pen., sent. n. 40477/18), che considera la sentenza dichiarativa di fallimento (oggi dichiarazione di liquidazione giudiziale) come un elemento costitutivo della fattispecie di reato.

In proposito, la sentenza motiva tale scelta “in quanto il reato fallimentare, in assenza della sentenza dichiarativa di fallimento, non può essere considerato ontologicamente integrato in tutte le sue componenti essenziali”, ricollegandosi espressamente al risalente, ma autorevole, arresto delle Sezioni Unite (sent. n. 2 del 1958), che giustificava tale orientamento sostenendo che, mentre la condizione di punibilità presuppone un reato già perfetto, la dichiarazione di fallimento inerisce intimamente alla struttura del reato.

 

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