consigliere forense

Il Consigliere forense deve essere diligente e imparziale Il CNF chiarisce i doveri di imparzialità e indipendenza del Consigliere forense, ribadendo le responsabilità disciplinari

Adempimento incarico di Consigliere forense

Consigliere Forense: la sentenza n. 390/2024 del CNF, pubblicata il 4 maggio 2025 sul sito del Codice deontologico, affronta il tema dell’adempimento degli incarichi istituzionali da parte degli avvocati membri delle istituzioni forensi, sottolineando l’importanza dei principi di diligenza, indipendenza e imparzialità.

Il caso esaminato

Il procedimento disciplinare ha riguardato un avvocato che, in qualità di Consigliere dell’Ordine degli Avvocati (COA) di [OMISSIS], ha compiuto una serie di azioni ritenute in contrasto con i doveri deontologici. Tra le condotte contestate:

  1. Aver indotto il COA a deliberare l’iscrizione di oltre duecento avvocati rumeni con titoli rilasciati dalla cosiddetta “struttura Bota”, nonostante la consapevolezza dell’illegittimità della procedura, derivante da precedenti sentenze e circolari del CNF.

  2. Aver promosso, pur rivestendo la carica di Consigliere del COA, una causa risarcitoria contro lo stesso Consiglio, in nome e per conto di terzi.

  3. Aver assunto il patrocinio, davanti al CNF, di numerosi iscritti alla Sezione Speciale per l’impugnazione delle delibere di cancellazione dall’Albo, nonostante il conflitto di interessi derivante dalla sua posizione istituzionale. 

  4. Aver consentito che presso il proprio studio avesse sede un’associazione costituita per difendere gli interessi degli avvocati abilitati presso la “struttura Bota”, in contrapposizione ai deliberati del COA.

La decisione del CNF

Il CNF ha confermato la responsabilità disciplinare dell’avvocato per le condotte sopra descritte, ritenendo che esse violino l’art. 69, comma 1, del Codice Deontologico Forense (CDF), il quale impone agli avvocati chiamati a far parte delle istituzioni forensi di adempiere l’incarico con diligenza, indipendenza e imparzialità.

Inoltre, il CNF ha evidenziato che la violazione dell’art. 69 CDF non esclude la concorrente responsabilità disciplinare per la violazione di principi generali contenuti nel Titolo I del CDF, ai sensi dell’art. 20 CDF. Nel caso di specie, è stata riscontrata anche la violazione dell’art. 9 CDF, relativo ai doveri di probità, dignità, decoro e indipendenza. 

tax control framework

Tax control framework: avvocati e commercialisti certificatori Tax control framework: raggiunta l'intesa tra avvocati, commercialisti, ministero e Agenzia su competenze e titoli per i certificatori. Ecco il testo

Tax control framework: il protocollo d’intesa

Novità in materia di Tax control Framework. Il Consiglio Nazionale dei Commercialisti, il Consiglio Nazionale Forense, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate hanno siglato un protocollo d’intesa per definire come individuare i titoli e le competenze professionali necessarie per ottenere l’attestazione di certificatore del rischio fiscale.

Questa figura, riservata ad avvocati e commercialisti (iscritti alla sezione A dell’albo), è fondamentale per l’iscrizione all’elenco dei certificatori del sistema integrato di gestione e controllo del rischio fiscale.

Requisiti accesso elenco certificatori

L’iscrizione all’elenco richiede la partecipazione a un percorso formativo di almeno ottanta ore, suddiviso in tre moduli:

  • sistemi di controllo interno e gestione dei rischi (almeno la metà del corso);
  • principi contabili;
  • diritto tributario.

Al termine di ogni modulo è previsto un test di valutazione. I due Consigli nazionali attestano il superamento dei corsi e dei test per i propri iscritti. Lo svolgimento dei percorsi formativi e dei test è definito dai Consigli nazionali di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate.

Esoneri dalla frequenza dei test

Sono previste diverse esenzioni dalla frequenza e dai test. Ne beneficiano:

  • gli iscritti da almeno cinque anni (sezione A per i commercialisti) che hanno avuto incarichi formali nella progettazione di sistemi di controllo del rischio fiscale validati dall’Agenzia delle Entrate;
  • o che hanno collaborato per almeno cinque anni come responsabili dei rischi fiscali in imprese in adempimento collaborativo.
  • L’esonero si estende anche a chi, iscritto da almeno cinque anni, è stato membro di organismi di vigilanza o ha svolto audit aziendale per almeno due anni in società in adempimento collaborativo.
  • Esonerati anche i professori universitari di discipline economico-aziendali o di diritto tributario, iscritti da almeno cinque anni nei rispettivi albi (avvocati e commercialisti sezione A).

Esoneri totali da percorsi formativi e test

  • L’esenzione totale dalla frequentazione dei corsi e dai test è prevista per professori universitari abilitati e ricercatori a tempo determinato  nelle discipline economico aziendali o di diritto tributario, iscritti da almeno cinque anni agli albi, limitatamente ai moduli relativi al loro ambito disciplinare.
  • Stessa agevolazione per i revisori legali dei conti iscritti da almeno cinque anni (limitatamente al modulo sui principi contabili) e per chi ha conseguito un dottorato di ricerca o un master di II livello, sempre iscritti da almeno cinque anni e limitatamente ai moduli pertinenti al titolo.
  • Infine, sono esonerati gli iscritti da almeno cinque anni che per almeno due anni hanno ricoperto il ruolo di responsabile fiscale, supervisore di sistemi di controllo del rischio fiscale interno, di internal audit aziendale o di responsabile dei controlli II livello,  in grandi imprese con sede in Italia.

I due Consigli Nazionali gestiscono e aggiornano i rispettivi elenchi di certificatori, mentre l’Agenzia delle Entrate pubblica sul proprio sito l’elenco complessivo, distinto per avvocati e commercialisti.

 

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riforma della professione

Riforma della professione forense: cosa prevede Riforma della professione forense: pronto il testo elaborato da CNF, OCF e altre associazioni per porre rimedio alle difficoltà degli avvocati

Avvocati: in arrivo la riforma della professione

L’avvocatura italiana è in fase di trasformazione, pronta la riforma della professione forense.

I dati evidenziano del resto un calo degli iscritti alla Cassa Forense. Salgono invece l’età media e i redditi, ma non per tutti. Significative poi le disparità di genere e territoriali.

Proprio al fine di migliorare questo stato di cose, il Consiglio Nazionale Forense (CNF), in collaborazione con l’Organismo Congressuale Forense (OCF) e altre associazioni, ha completato una proposta di riforma dell’ordinamento professionale. Come annunciato nel corso dell’illustrazione del Rapporto del Censis sull’avvocatura 2025, l’obiettivo è di portarla in Parlamento entro quindici giorni per l’approvazione. La proposta è stata presentata ufficialmente il 29 aprile 2025 a Roma, nel corso dell’Agorà dei presidenti degli Ordini e delle unioni.

Tra le novità di maggiore rilievo spicca la possibilità per il professionista di accordarsi con il cliente e pattuire un compenso collegato al raggiungimento degli obiettivi, senza tuttavia superare il criterio di proporzionalità e il 20% del tetto massimo stabilito dai parametri in vigore.

Il rapporto Censis sull’avvocatura

Secondo il Rapporto Cassa Forense-Censis, presentato a Roma, gli avvocati iscritti nel 2024 sono  in calo dell’1,6% rispetto all’anno precedente. Dal 2020 la riduzione è di quasi 12.000 unità. Parallelamente, il numero di pensionati è aumentato di circa 5.000 unità, mentre gli iscritti attivi sono diminuiti di 15.000. L’età media degli avvocati ha raggiunto i 49 anni, confermando un progressivo invecchiamento della categoria.

Preoccupante anche il dato relativo alla professione: il 33% degli avvocati intervistati ha dichiarato di valutare l’idea di abbandonare l’attività, principalmente per difficoltà economiche e problemi di conciliazione tra vita professionale e familiare, soprattutto per le donne.

Redditi in crescita ma con forti disparità

Il reddito medio degli avvocati nel 2023 è stato di 47.678 euro, ma le differenze sono evidenti. Gli uomini hanno dichiarato in media 62.456 euro, mentre le donne si sono fermate a 31.115 euro. Le disparità emergono anche su base territoriale: in Lombardia il reddito medio è di 81.115 euro, mentre in Calabria scende a 24.203 euro.

Il nuovo Statuto dellAvvocatura

A tredici anni dalla legge professionale del 2012, il nuovo Statuto dell’Avvocatura è pronto. Tra le misure proposte, spicca l’obbligo per la Pubblica Amministrazione e le autorità giudiziarie di rispettare la parità di genere nell’assegnazione degli incarichi.

Arricchita la disciplina del segreto professionale che si estende ai nuovi supporti informatici, audio e video.

Nuove regole per chi decide di associarsi e disciplina dell’esercizio della professione tramite la partecipazione a contratti di rete tra avvocati o multidisciplinari. Apertura nei confronti delle collaborazioni continuative e coordinate per gli avvocati.

Cambia anche il percorso di formazione per esercitare la professione forense e la disciplina degli albi, degli elenchi e dei registri. Prevista anche una delega al Governo per riformare le difese d’ufficio.

Novità importanti e numerose in ambito disciplinare. Prevista la sospensione del procedimento disciplinare per i medesimi fatti per i quali viene aperta l’azione penale o vengono avviate le indagini penali.

Le comunicazioni, i provvedimenti e le notifiche del CDD avverranno a mezzo PEC, solo in mancanza si continueranno a effettuare a mezzo raccomandata A/R o ufficiale giudiziario. Cambia inoltre la disciplina della riabilitazione dell’avvocato che abbia commesso illeciti disciplinari, la quale verrà annotata nel fascicolo personale dell’iscritto.

La riforma è attesa con grande interesse dalla categoria, con la speranza che possa fornire strumenti concreti per garantire una professione più equa, sostenibile e attrattiva per le nuove generazioni.

 

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avvocati stabiliti

Avvocati stabiliti: serve la residenza o il domicilio Il CNF chiarisce che l'iscrizione nella sezione speciale degli Avvocati stabiliti richiede la residenza o il domicilio professionale nella circoscrizione del COA

Avvocati stabiliti e residenza

L’iscrizione nella Sezione Speciale per gli Avvocati Stabiliti dell’Albo degli Avvocati può essere effettuata e mantenuta solo qualora l’istante abbia stabilmente la residenza o il domicilio professionale nella circoscrizione territoriale dell’Ordine presso il quale viene chiesta l’iscrizione stessa: trattandosi di requisito indispensabile per l’iscrizione e il suo mantenimento, il COA può in ogni tempo verificarne la sussistenza, anche d’ufficio. Questo quanto affermato dal Consiglio Nazionale Forense nella sentenza n. 386/2024 (pubblicata il 28 aprile 2025 sul sito del Codice deontologico).

Le verifiche del COA durante il triennio

Inoltre, specifica il CNF, durante il triennio di stabilimento, “il COA può verificare unicamente il permanere dei requisiti per l’iscrizione nella Sezione speciale, come previsti dal D. Lgs. n. 96/2001”.

Altre circostanze (ad esempio, quelle attinenti allo svolgimento dell’attività professionale, nonché alla continuatività della stessa, alla mancanza o sospensione dell’attività professionale) potranno essere verificate e valutate, “unicamente al termine del triennio ed ai fini della decisione sulla successiva domanda d’integrazione nell’Albo degli Avvocati, dovendosi escludere che le stesse circostanze possano dar luogo alla revoca dell’iscrizione, permanendo in ogni caso, in presenza dei requisiti di legge, il diritto dell’Avvocato proveniente da Paese membro dell’Unione Europea a rimanere iscritto nella sezione speciale dell’Albo”.

 

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avvocato specialista

L’avvocato specialista Avvocato specialista: chi è, come si acquisisce e si conserva il titolo, come fare domanda per il titolo e quando viene revocato

Chi è l’avvocato specialista

L’avvocato specialista è un professionista del diritto che ha acquisito una particolare competenza in uno specifico settore del diritto, riconosciuta formalmente attraverso un percorso di formazione o una comprovata esperienza professionale.

Questa figura è stata introdotta per rispondere all’esigenza crescente di garantire maggiore qualità, trasparenza e tutela nell’esercizio della professione forense, soprattutto in materie complesse e altamente tecniche.

La figura dell’avvocato specialista rappresenta un’evoluzione dell’ordinamento forense verso una maggiore qualificazione e trasparenza professionale. I percorsi previsti, sia formativo che per esperienza, consentono a ogni professionista di costruire una carriera riconosciuta, anche formalmente, in ambiti giuridici specifici.

DM 144/2015 e regolamento CNF n. 3/2024

La disciplina dell’avvocato specialista è contenuta principalmente in due atti normativi:

  • Decreto Ministeriale n. 144 del 1° ottobre 2015, attuativo dell’art. 9 della legge n. 247/2012 (Nuova disciplina dell’ordinamento forense), che ha istituito il titolo di specialista in specifiche aree di competenza;
  • Regolamento n. 3/2024 del Consiglio Nazionale Forense che ha aggiornato la procedura per il rilascio e il mantenimento del titolo di specializzazione.

Le aree di specializzazione riconosciute

Secondo il DM 144/2015 vigente le principali aree di specializzazione sono le seguenti:

  • diritto civile;
  • diritto penale
  • diritto del lavoro e della previdenza sociale;
  • diritto tributario, doganale r fiscalità internazionale;
  • diritto amministrativo;
  • diritto dell’Unione Europea;
  • diritto internazionale;
  • diritto della concorrenza;
  • diritto dell’informazione, della comunicazione digitale e della protezione dei dati personali;
  • diritto della persona, delle relazioni familiari e dei minorenni;
  • tutela dei diritti umani e protezione internazionale;
  • diritto dello sport.

Al diritto civile, penale e amministrativo afferiscono diversi indirizzi.

Come si diventa avvocato specialista

L’avvocato può ottenere il titolo di specialista seguendo due percorsi alternativi, disciplinati dal DM 144/2015 e regolati più dettagliatamente dal regolamento CNF n. 3/2024:

1. Percorso formativo universitario

  • Frequenza di corsi di alta formazione specialistica organizzati da “Dipartimenti o dalle strutture di raccordo di cui all’articolo 2, comma 2, lettera c) della legge 30 dicembre 2010, n. 240 degli ambiti di giurisprudenza delle università legalmente riconosciute e inserite nell’apposito elenco del Ministero dell’istruzione, università e ricerca.
  • I corsi devono avere una durata minima di 200 ore, con almeno l’80% di frequenza obbligatoria.
  • Al termine è previsto un esame finale.

2. Comprovata esperienza professionale

  • Dimostrazione di almeno cinque anni di esperienza continuativa e prevalente in una delle aree di specializzazione.
  • Presentazione di un elenco di casi trattati (almeno 10 l’anno), con allegata documentazione dimostrativa (atti, sentenze, pareri, ecc.).
  • Conferimento del titolo da parte del CNF previa valutazione della regolarità dei documenti comprovanti il possesso dei requisiti da parte del Consiglio dell’Ordine di appartenenza.

Come richiedere il titolo di avvocato specialista

La domanda per ottenere il titolo di avvocato specialista, corredata della documentazione comprovante il possesso dei requisiti richiesti, deve essere presentata:

In caso di esito positivo, il CNF rilascia un certificato che attesta la specializzazione. I consigli dell’ordine formano e aggiornano gli elenchi degli avvocati specialisti.

Mantenimento e revoca del titolo

Il titolo di avvocato specialista non ha validità illimitata, ma è subordinato al mantenimento della competenza tramite la formazione continua.

  • L’avvocato specialista deve conseguire almeno 25 crediti formativi annui nella materia di specializzazione per un totale di 75 nel triennio.
  • La mancata formazione, così come l’irrogazione di sanzioni disciplinari definitive diverse dall’avvertimento, comportano la revoca del titolo.

Il CNF ha il potere di verificare periodicamente la sussistenza dei requisiti e, in caso di irregolarità, può avviare la procedura di revoca.

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lealtà e correttezza

Lealtà e correttezza: canoni generali dell’agire dell’avvocato Il Consiglio Nazionale Forense ha rammentato l'importanza di lealtà e correttezza quali canoni generali dell'agire dell'avvocato

Lealtà e correttezza dell’avvocato

Il Consiglio Nazionale Forense, con la sentenza n. 370/2024 pubblicata il 10 aprile 2025 sul sito del Codice deontologico, ha ribadito l’importanza del dovere di lealtà e correttezza che ogni avvocato deve osservare. Non solo nei confronti del proprio assistito, ma anche verso la controparte e i terzi. Questo principio mira a tutelare l’affidamento che la collettività ripone nell’avvocato quale professionista leale e corretto in ogni ambito della propria attività.

Il caso esaminato

La vicenda trae origine da un procedimento disciplinare avviato nei confronti di un avvocato del foro di Catania. Il legale era accusato di aver introdotto un giudizio utilizzando un mandato alle liti con firma apocrifa del cliente, deceduto anni prima, e di non aver adempiuto al dovere di informazione prima dell’iniziativa giudiziale.

Il Consiglio Distrettuale di Disciplina di Catania aveva comminato la sanzione della sospensione dall’esercizio della professione per un anno.

L’avvocato aveva impugnato la decisione, ma il CNF ha confermato la sanzione, evidenziando la gravità delle violazioni commesse.

Il principio affermato dal CNF

La sentenza sottolinea che l’avvocato deve svolgere la propria attività con lealtà e correttezza non solo nei confronti della parte assistita, ma anche verso i terzi e la controparte. Il dovere di lealtà e correttezza nell’esercizio della professione è un canone generale dell’agire di ogni avvocato, volto a tutelare l’affidamento che la collettività ripone nell’avvocato stesso quale professionista leale e corretto, appunto, in ogni ambito della propria attività. Evitando “comportamenti che compromettano gravemente l’immagine che la classe forense deve mantenere nei confronti della collettività al fine di assicurare responsabilmente la funzione sociale che l’ordinamento le attribuisce”.

i principi della deontologia forense

I principi della deontologia forense secondo il CNF Il CNF coglie l'occasione per affrontare i temi fondamentali dei principi della deontologia forense, con particolare riferimento ai doveri di probità, dignità e decoro

I principi della deontologia forense

La sentenza n. 352/2024 del Consiglio Nazionale Forense, pubblicata il 26 marzo 2025 sul sito del Codice deontologico, affronta i fondamentali principi della deontologia forense, con particolare riferimento ai doveri di probità, dignità e decoro che l’avvocato è tenuto a osservare, anche al di fuori dell’esercizio della professione.

Contesto e fatti della vicenda

L’avvocato protagonista della vicenda è stato sottoposto a procedimento disciplinare per violazione dei doveri deontologici sanciti dall’articolo 9 del Codice Deontologico Forense (CDF). Le accuse mosse riguardavano gravi reati, tra cui il riciclaggio di rifiuti tossici e il concorso esterno in associazione camorristica, commessi tra il 2001 e il 2019. Tali condotte, sebbene non direttamente legate all’attività professionale, hanno sollevato preoccupazioni circa l’integrità e l’immagine dell’intera classe forense.

La decisione del Consiglio Nazionale Forense

Il CNF, nella sua decisione, ha ribadito che i principi disciplinati dall’articolo 9 del CDF rappresentano valori fondamentali che l’avvocato deve rispettare non solo nell’esercizio della professione, ma anche al di fuori, nella vita privata. L’articolo 9, infatti, stabilisce che l’avvocato deve esercitare l’attività professionale con indipendenza, lealtà, correttezza, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo costituzionale e sociale della difesa e rispettando i principi della corretta e leale concorrenza. Inoltre, impone che l’avvocato, anche al di là dell’attività professionale, osservi i doveri di probità, dignità e decoro, salvaguardando la propria reputazione e l’immagine della classe forense.

Il CNF ha sottolineato che tali principi sono essenziali per tutelare l’affidamento che la collettività ripone nell’intera classe professionale. Comportamenti contrari a questi valori, anche se estranei all’attività professionale, possono ledere la fiducia pubblica nell’avvocatura e compromettere l’immagine della professione. Pertanto, l’avvocato è tenuto a mantenere una condotta irreprensibile in ogni ambito della propria vita, a tutela della dignità e del decoro dell’intera categoria. Da qui il rigetto del ricorso. 

sostituto procuratore

Il sostituto procuratore può impugnare le decisioni disciplinari Il Consiglio Nazionale Forense ha chiarito che il sostituto procuratore è legittimato a proporre impugnazione al CNF

Sostituto procuratore e legittimazione ad impugnare

Il Consiglio Nazionale Forense, con la sentenza n. 353/2024 pubblicata il 13 marzo 2025 sul sito del Codice deontologico, ha chiarito che il Sostituto Procuratore della Repubblica è legittimato a proporre impugnazione avverso le decisioni dei Consigli Distrettuali di Disciplina. Tale pronuncia assume particolare rilievo nell’interpretazione dell’art. 61 della legge n. 247/2012, che indica il Procuratore della Repubblica quale titolare dell’iniziativa ad impugnare dinanzi al CNF ogni decisione del CDD.

Il caso concreto

La vicenda trae origine da un esposto presentato al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Frosinone da parte di un assistito nei confronti del proprio avvocato. L’uomo lamentava che il professionista, incaricato di promuovere un’azione risarcitoria, avrebbe omesso di riassumere nei termini previsti una causa non iscritta a ruolo per difetto di notifica. Avrebbe fornito nel contempo informazioni fuorvianti sullo stato del procedimento e richiedendo compensi per attività non svolte. 

Il CDD di Roma disponeva l’archiviazione del procedimento per “manifesta infondatezza della notizia di illecito disciplinare”. Successivamente, il Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Frosinone impugnava tale decisione dinanzi al CNF, chiedendo l’annullamento dell’archiviazione e la prosecuzione del procedimento disciplinare. 

Le motivazioni del CNF

Il CNF ha ritenuto ammissibile l’impugnazione proposta dal Sostituto Procuratore, evidenziando che, nonostante l’art. 61 della legge n. 247/2012 attribuisca formalmente al Procuratore della Repubblica il potere di impugnare le decisioni dei CDD, tale facoltà deve essere interpretata alla luce del principio di impersonalità dell’ufficio del Pubblico Ministero. Pertanto, anche i Sostituti Procuratori, in quanto componenti dell’ufficio, sono legittimati a esercitare tale potere.

Nel merito, il CNF ha rilevato che la decisione di archiviazione adottata dal CDD risultava carente di motivazione, soprattutto alla luce della pendenza di un procedimento penale a carico dell’incolpato, relativo ai medesimi fatti. Di conseguenza, il CNF ha annullato la delibera di archiviazione e ha disposto la trasmissione degli atti al CDD per il seguito. 

rigetto tardivo

Rigetto tardivo istanza iscrizione all’albo degli avvocati Per il Consiglio Nazionale Forense, il rigetto tardivo dell'istanza di iscrizione all'albo degli avvocati non comporta la nullità

Rigetto tardivo iscrizione albo avvocati

Il rigetto tardivo dell’istanza di iscrizione all’albo degli avvocati non ne comporta la nullità. Si tratta, infatti di un termine di natura ordinatoria che può avere ricadute sulla tempestività del ricorso, eventualmente prolungando i termini per la sua proponibilità. Così si è espresso il Consiglio Nazionale Forense, nella sentenza n. 350/2024, pubblicata il 10 marzo 2025 sul sito del Codice deontologico, affronta la questione relativa alla notifica dei provvedimenti di rigetto delle istanze di iscrizione all’albo o registro professionale.

Contesto normativo

L’articolo 17, comma 7, della Legge n. 247/2012 prevede che il provvedimento di rigetto dell’istanza di iscrizione all’albo o registro debba essere notificato all’interessato entro 15 giorni dalla sua adozione. Tale disposizione riprende quanto già stabilito dall’articolo 37, comma 3, del Regio Decreto Legge n. 1578/1933.

La decisione del Consiglio Nazionale Forense

Nella sentenza in esame, il CNF ha chiarito che il termine di 15 giorni per la notifica del provvedimento di rigetto ha natura ordinatoria e non perentoria. Di conseguenza, una notifica tardiva o addirittura la mancata notifica del provvedimento non ne determina la nullità. Tuttavia, tali ritardi possono influire sulla tempestività del ricorso da parte dell’interessato, estendendo eventualmente i termini per la sua proposizione. 

vietato divulgare i nomi

Avvocati: vietato divulgare i nomi dei clienti Vietato divulgare i nomi dei clienti: l'avvocato non può divulgarli, neppure utilizzando toni autocelebrativi e promozionali

Vietato divulgare i nomi dei clienti

Vietato divulgare i nomi dei clienti: l’articolo 35, comma 8 del Codice Deontologico Forense vieta all’avvocato di indicare, nelle informazioni al pubblico, i nominativi dei clienti o delle parti assistite, anche con il loro consenso. Tale divieto si applica anche quando i nominativi siano già di dominio pubblico. Inoltre, non è consentito eludere questa norma riproducendo in modo enfatico, autocelebrativo o promozionale informazioni già diffuse da media o terzi non soggetti alle regole deontologiche forensi.

Nel caso specifico, l’avvocato ha violato questa disposizione pubblicando sul proprio sito web e tramite una newsletter uno scritto che riprendeva una notizia di stampa relativa all’assistenza legale prestata in una complessa acquisizione societaria, includendo dettagli sui nominativi delle parti coinvolte. Questo quanto emerge dalla sentenza del CNF n. 294/2024.

Violato il divieto di divulgare i nomi dei clienti

Un esposto anonimo avvia un procedimento disciplinare nei confronti del titolare di uno studio legale perchè ritenuto responsabile di aver divulgato i nomi di clienti e parti assistite.

Il CDD ritiene sussistente la responsabilità disciplinare dell’avvocato tanto che gli irroga la sanzione disciplinare dell’avvertimento.

L’avvocato ritenuto responsabile però, nel ricorso al CNF precisa che “le notizie pubblicate sul sito web del suo studio legale, così come i relativi comunicati stampa, conseguivano alla pubblicazione di identici articoli già diffusi dai media. Laddove, quindi, come nel caso di specie, la “disclosure” del nominativo del cliente sia già stata fatta da terzi e con il consenso del cliente medesimo, non sarebbe ravvisabile la violazione dellart. 35 comma 8 del NCDF essendosi il difensore incolpato solo limitato a pubblicare notizie rese di pubblico dominio da altri”. 

Divieto di divulgazione art. 35 CDF

Il CNF nel respingere il ricorso dell’avvocato fornisce importanti precisazioni sul divieto di divulgazione dei nominativi di clienti e parti assistite. L’interpretazione fornita dal ricorrente dell’articolo 35 comma 8 del Codice deontologico Forense risulta infatti del tutto errata.

In primis occorre ricordare come la formulazione del comma 8 dell’articolo 8 sia rimasta nel tempo pressoché invariata. In secondo luogo il CNF rileva come la pubblicazione in prima istanza sulla stampa non qualificata (newsletter, siti ecc…) potrebbe ben essere utilizzata come escamotage dallo stesso avvocato per ritenersi poi autorizzato a riprodurre le stesse informazioni, eludendo in questo modo ogni divieto.

Vietato divulgare i nomi

Non coglie nel segno la tesi del ricorrente per il quale non sussisterebbe alcuna violazione ogni volta in cui il nominativo delle parti assistite dal legale e diffuso dallo stesso sia stato già reso di dominio pubblico da terzi.

Come chiarito correttamente dal CDD “il rapporto tra cliente e avvocato non è soltanto un rapporto privato di carattere libero-professionale e non può perciò essere ricondotto puramente e semplicemente al contratto dopera ed ad una logica di mercato.” L’avvocato  non è solo un libero professionista, manche un soggetto che partecipa attivamente allo svolgimento della funzione giurisdizionale pubblica.

Il principio di tutela dell’autonomia e del decoro della professione forense giustifica quindi il divieto per gli avvocati di pubblicare i nominativi dei propri clienti a fini pubblicitari, anche con il consenso degli stessi. L’articolo 35, comma 8 del Codice Deontologico Forense vieta questa pratica per prevenire interferenze, condizionamenti e strumentalizzazioni che potrebbero derivare dalla diffusione di tali informazioni.

Il tono autocelebrativo non rileva

Nel caso specifico esaminato dal Consiglio Distrettuale di Disciplina (CDD) , l’Avv. ricorrente fondatore dello Studio Legale Omonimo & Associati, ha pubblicato sul sito web dello studio e inviato tramite newsletter comunicazioni relative a incarichi professionali svolti, indicando espressamente i clienti assistiti. Ad esempio, nella pubblicazione di gennaio 2022 si menzionava l’assistenza prestata a un certo Consorzio, mentre nella seconda comunicazione si faceva riferimento all’assistenza fornita a due soggetti specifici nei concordati preventivi.

Il CDD ha ritenuto che tali comunicazioni non si limitassero a riprodurre articoli di stampa o comunicati ufficiali dei clienti, ma fossero redatte in maniera autonoma, con toni promozionali e autocelebrativi. In particolare, l’avvocato ha attribuito il buon esito dell’operazione alla “tecnicalità adottata da ……..” e ha invitato a contattarlo per ulteriori informazioni sul leveraged buyout.

Infine, la newsletter, inviata a destinatari iscritti tramite il sito web dello studio, conferma la natura di informazione pubblica e la responsabilità diretta dello studio legale nella diffusione dei nominativi dei clienti assistiti, in violazione delle norme deontologiche.

 

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