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Sproporzione tra retribuzione e previsioni del contratto collettivo Quando la sproporzione tra la retribuzione corrisposta e la diversa previsione del contratto collettivo determina sfruttamento del lavoro?

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Quesito con risposta a cura di Annachiara Forte e Caterina Rafanelli

 

Per cogliere la sproporzione nel caso concreto il raffronto non va effettuato semplicemente tra la somma oggetto di effettiva retribuzione e quella astrattamente prevista dal contratto collettivo di lavoro, ma tra la quantità e qualità del lavoro prestato e, quindi, tenendo conto dell’attività, delle complessive condizioni di lavoro e della determinazione delle ore di lavoro prestate rispetto a quanto previsto contrattualmente. – Cass., sez. IV, 22 gennaio 2024, n. 2573 (sproporzione tra retribuzione corrisposta e previsioni del contratto collettivo).

 Nel caso di specie la Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi circa la logicità dell’interpretazione, fatta dai giudici di merito, dell’art. 603bis, comma 3, n. 1 c.p. In primo e in secondo grado gli imputati erano stati condannati per il reato di sfruttamento del lavoro, ai sensi del comma 1, n. 2 della citata disposizione, per avere reiteratamente conferito a quattro lavoratori extracomunitari una paga ritenuta sproporzionata per difetto rispetto alle previsioni del CCNL. Con il primo motivo i ricorrenti lamentavano, al contrario, l’insussistenza di suddetta caratteristica, con i conseguenti vizi di erronea applicazione della legge penale e di motivazione contraddittoria: le retribuzioni erogate non erano, infatti, di molto inferiori rispetto agli importi formalmente previsti dal contratto collettivo applicabile.

La Cassazione, dopo aver specificato che l’accertamento della palese difformità e della sproporzione della retribuzione è una valutazione riservata al giudice di merito, ha verificato l’assenza di contraddizioni nelle conclusioni tratte in primo e in secondo grado. In via preliminare la Corte ha richiamato la propria precedente giurisprudenza, alla luce della quale i vari indicatori delle condizioni di sfruttamento del lavoro, elencati nei n. 1)-4) della disposizione, disegnano insieme il perimetro del concetto stesso di sfruttamento. Ciascun indicatore è in sé sufficiente ma non necessario, essendo alternativo agli altri. Tali indici, inoltre, non sono tassativi: estranei al fatto tipico, valgono come linee guida per l’interprete nell’individuazione di condotte distorsive del mercato del lavoro anche a partire da circostanze di fatto diverse rispetto a quelle elencate (così anche Cass., sez. IV, 30 novembre 2022, n. 9473; Cass., sez. IV, 22 dicembre 2021, n. 46842).

Più nello specifico, la Corte ha poi chiarito, in linea con le proprie precedenti pronunce, che per retribuzione deve intendersi tutto ciò che è dovuto per la prestazione lavorativa, comprese le indennità da riconoscere a vario titolo. In passato è stato, infatti, stabilito che, ad esempio, costituiscono spie di un abuso anche le detrazioni operate in qualunque modo sulla retribuzione del lavoratore, tra le quali quelle per remunerare il locatore dell’alloggio o l’operatore del servizio di trasporto al luogo di lavoro (Cass., sez. IV, 22 dicembre 2021, n. 46842).

Per evitare disparità di trattamento, inoltre, il parametro in esame deve essere applicato non soltanto ai lavoratori subordinati ma a qualsiasi attività lavorativa accettata in uno stato di bisogno, quale che sia la formale qualificazione giuridica della stessa. Si deve, inoltre considerare che tale retribuzione, a decorrere dall’entrata in vigore della L. 29 ottobre 2016, n. 199, deve essere reiterata e non necessariamente sistematica. Di conseguenza, sottolineano i Supremi Giudici, la paga sproporzionata può anche non essere costante, bastando una seconda retribuzione per superare la soglia della punibilità.

Per quanto concerne, più da vicino, il grado di discostamento dai contratti collettivi applicabili a ciascun settore, la disposizione statuisce che debba trattarsi di una palese difformità. Il datore di lavoro, avvantaggiandosi del bisogno altrui, impone una retribuzione al ribasso rispetto alle prescrizioni del CCNL. In merito, invece, alla seconda parte della disposizione in oggetto, essa prevede che il giudice debba, in ogni caso, verificare se la paga sia proporzionata rispetto alla quantità e alla qualità del lavoro svolto. I Supremi Giudici hanno specificato, anzitutto, che si tratta di un corollario diretto dell’art. 36 Cost., stante l’obiettivo di garantire equità e dignità al lavoratore; in secondo luogo, hanno statuito che tale limite debba prevalere in ogni caso, cioè anche su una contrattazione collettiva che ipoteticamente non l’abbia rispettato. In questa evenienza, si può considerare che una parte della dottrina ha, tuttavia, sollevato dubbi circa la possibilità di provare il dolo del datore di lavoro che abbia fatto affidamento su un contratto collettivo qualificato.

In forza di queste premesse, la Cassazione ha concluso che l’inadeguatezza della paga e la sua natura abusiva non possono essere accertate ponendo l’attenzione esclusivamente sulla differenza tra somme corrisposte al lavoratore e importo astrattamente previsto dal contratto collettivo di riferimento. Bisogna, infatti, sempre completare l’indagine attraverso il vaglio della quantità e della qualità del lavoro prestato alla luce dell’attività in concreto svolta, delle complessive condizioni di lavoro e del confronto tra le ore effettivamente prestate rispetto alle previsioni contrattuali.

Con il secondo e con il terzo motivo di ricorso, invece, i ricorrenti lamentavano l’incompletezza della motivazione della sentenza in relazione alla pertinenzialità, rispetto al reato commesso, dei beni confiscati ai sensi dell’art. 603bis.2 c.p. I lavoratori sfruttati erano stati impiegati su terreni di proprietà di terzi, mentre oggetto di confisca erano stati appezzamenti diversi dai primi e di proprietà degli imputati. Al riguardo la Cassazione ha concluso nel senso che, poiché la confisca diretta ha ad oggetto tutti i beni funzionali a commettere il reato o da cui ne deriva un’utilità, il nesso di pertinenzialità non viene interrotto se i terreni oggetto di sequestro e di confisca sono diversi da quelli indicati in imputazione. Si tratta, infatti, pur sempre di fondi agricoli del medesimo compendio aziendale, nel quale e per l’utilità del quale i quattro lavoratori africani erano sfruttati.

In base alle considerazioni esposte, la Cassazione ha rigettato i ricorsi degli imputati.

*Contributo in tema di “ Sproporzione tra retribuzione corrisposta e previsioni del contratto collettivo”, a cura di Annachiara Forte e Caterina Rafanelli, estratto da Obiettivo Magistrato n. 72 / Marzo 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica

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