Quesito con risposta a cura di Mariarosaria Cristofaro e Alessandra Muscatiello
L’abitualità è un requisito ostativo all’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131bis, c.p. e, come si evince dal tenore letterale, sussiste nel caso in cui i reati commessi siano della stessa indole e nel caso in cui i reati abbiano ad oggetto condotte abituali, reiterative o plurime. – Cass., sez. III, 11 settembre 2023, n. 37046.
La questione sottoposta al vaglio della Suprema Corte trae origine da una condanna per omessa denuncia di materiale infiammabile – ex art. 679 c.p. – e per il mantenimento di un impianto di distribuzione carburanti privo del certificato antincendi (artt. 16 e 20, D.Lgs. 139/2006).
Il ricorrente, oltre a presentare censure in punto di fatto volte ad una alternativa ricostruzione probatoria (che, in quanto tale, non è consentita in sede di legittimità) e censure meramente procedurali, ha contestato la manifesta illogicità della motivazione per la mancata applicazione dell’art. 131bis, c.p.
Prima di procedere alla disamina della questione è opportuno ricordare (per quanto di interesse in questa sede) l’ambito applicativo e la ratio della causa di non punibilità in oggetto. L’istituto della particolare tenuità del fatto è stato introdotto dal D.Lgs. 28/2015 con lo scopo di «espungere dal circuito penale fatti marginali, che non mostrano bisogno di pena e, dunque, neppure la necessità di impegnare i complessi meccanismi del processo» (Cass., Sez. Un., 6 aprile 2016, n. 13682). Come chiarito dalle Sezioni Unite Coccimiglio il nuovo istituto integra una causa di non punibilità e persegue finalità connesse ai principi di proporzione ed extrema ratio, con effetti anche in tema di deflazione del processo penale. In quest’ottica proporzione e deflazione si intrecciano coerentemente.
Il perimetro di applicabilità è stato determinato in relazione alla pena edittale che, in modifica a quanto originariamente previsto, non rileva più in riferimento al limite massimo (“pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni”), ma in relazione al minimo edittale (“pena detentiva non superiore nel minimo a due anni”). L’ambito applicativo, tuttavia, non è delineato solo dalla gravità del reato desunta dalla pena edittale, ma anche da un profilo soggettivo afferente alla non abitualità del comportamento. In tal senso le Sezioni Unite Tushaj hanno chiarito che «la norma intende escludere dall’ambito della particolare tenuità del fatto comportamenti “seriali”» (Cass., Sez. Un., 6 aprile 2016, n. 13681). La nozione di abitualità è definita dallo stesso art. 131bis, c.p. e sussiste nel caso in cui i reati commessi siano della stessa indole o abbiano ad oggetto condotte abituali, reiterative o plurime. Il concetto di “reati della stessa indole” si desume, invece, dall’art. 101, c.p. che, oltre a considerare tali i reati che violano la medesima disposizione di legge, fa riferimento anche a quelli che presentano profili di omogeneità sia sul piano oggettivo, cioè in relazione al bene tutelato ed alle modalità esecutive, sia sul piano soggettivo, cioè in relazione ai motivi a delinquere che hanno avuto efficacia causale nella decisione criminosa. L’identità dell’indole, inoltre, deve essere valutata in concreto dal giudice, quindi verificando la presenza di caratteri fondamentali comuni (in tal senso Cass. 16 luglio 2018, n. 32577).
Le Sezioni Unite Tushaj hanno altresì evidenziato l’importanza del dato numerico. Più precisamente, l’abitualità del comportamento si concretizza in presenza di una pluralità di illeciti della stessa indole, quindi almeno due, diversi da quello per il quale si procede – ciò significa che in presenza del terzo illecito della stessa indole si può parlare di serialità della condotta che, in quanto tale, osta all’applicazione dell’istituto di cui all’art. 131bis, c.p. – (in senso conforme anche Cass. 30 dicembre 2022, n. 49678).
Nel caso in esame la questione controversa riguarda la presenza, o meno, di più reati della stessa indole in quanto i giudici di merito hanno negato il riconoscimento della particolare tenuità del fatto in ragione dell’abitualità della condotta, ossia alla luce dei precedenti penali annoverati dall’imputato (nello specifico i reati di cui agli artt. 612 e 614 c.p.). La difesa, per converso, ha contestato la mancata sussistenza del requisito dell’abitualità data la diversa identità dell’indole dei reati.
La doglianza suesposta è stata ritenuta fondata. Invero, i precedenti considerati ostativi al riconoscimento della causa di non punibilità non sono della stessa indole del reato oggetto del giudizio. Il Collegio, in conformità ai principi sanciti dalle Sezioni Unite, ha ribadito che il presupposto ostativo rappresentato dall’abitualità della condotta si concretizza quando l’autore, anche successivamente al reato per cui si procede, ha commesso almeno due illeciti della stessa indole oltre quello preso in esame (così anche Cass. 14 novembre 2022, n. 43065). L’omogeneità dei reati, inoltre, deve essere valutata in concreto, analizzando il profilo formale e quello sostanziale.
Dopo aver disposto l’annullamento con rinvio limitatamente a questo motivo di ricorso, la Cassazione si è soffermata sul rapporto tra prescrizione ed esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto. La prescrizione estingue il reato, mentre l’istituto di cui all’art. 131bis, c.p. lascia inalterato l’illecito penale nella sua materialità storica e giuridica, ragion per cui la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione prevale sull’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto. Tale precisazione si è resa necessaria in quanto, nel giudizio di rinvio, il reato non può essere dichiarato prescritto quando la causa estintiva sia sopravvenuta alla sentenza di annullamento parziale (come nel caso di specie).
Il Collegio, in conclusione, ha disposto l’annullamento con rinvio in relazione all’applicazione dell’art. 131bis, c.p. e ha dichiarato l’inammissibilità dei restanti motivi di ricorso.
PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI |
Conformi: Cass., Sez. Un., 6 aprile 2016, n. 13681; Cass., Sez. Un., 6 aprile 2016, n. 13682; Cass., sez. II, 16 luglio 2018, n. 32577; Cass., sez. V, 14 novembre 2022; Cass., sez. II, 30 dicembre 2022 |