Amministrativo, Il giurista risponde

Occupazione sine titulo: danno in re ipsa? È configurabile un danno in re ipsa nell’ipotesi di occupazione sine titulo di un immobile?

giurista risponde

Quesito con risposta a cura di Giusy Casamassima

 

Nell’ipotesi di occupazione sine titulo di un immobile, al proprietario spetta, in conseguenza della perdita della concreta possibilità di esercizio del diritto di godimento – diretto o indiretto – sulla cosa, il risarcimento sia del danno da perdita subita (liquidato dal giudice, ove non dimostrabile nel suo preciso ammontare, con valutazione equitativa, anche mediante il parametro del canone locativo di mercato) che del danno da mancato guadagno (corrispondente a quanto lo stesso avrebbe ottenuto se avesse concesso il bene in godimento ad altri verso un corrispettivo superiore al canone locativo di mercato ovvero lo avesse venduto ad un prezzo più conveniente di quello di mercato). – Cass. civ., Sez. Un., 13 dicembre 2022, n. 114.

Con la pronuncia in rassegna le Sezioni Unite della Corte di cassazione, nel comporre un contrasto interno tra sezioni semplici, hanno fatto luce sulla questione della configurabilità di un danno c.d. in re ipsa nell’ipotesi di occupazione sine titulo di un immobile chiarendo che il fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento è rappresentato dalla concreta possibilità di esercizio del diritto di godimento (diretto o indiretto mediante concessione del godimento ad altri dietro corrispettivo) che è andata perduta e, al contempo, specificando quali siano i criteri da seguire per la liquidazione del relativo danno, nella duplice componente della perdita subita e del mancato guadagno.

La Corte, nel formulare i principi di cui in massima, dopo aver riassunto gli opposti orientamenti formatisi in seno alla II e alla III Sezione civile, ha osservato quanto segue: a) la questione posta dal contrasto è, al fondo, se la violazione del contenuto del diritto di proprietà su un bene immobile in conseguenza dell’occupazione dello stesso sine titulo da parte di un terzo, in quanto integrante essa stessa un danno risarcibile, sia suscettibile di tutela non solo reale ma anche risarcitoria; b) a tale quesito deve darsi una risposta positiva nei termini emersi nella linea evolutiva seguita dalla giurisprudenza della II Sezione civile, secondo cui la locuzione “danno in re ipsa” va sostituita con quella di “danno presunto” o “danno normale”, privilegiando la prospettiva della presunzione basata su specifiche circostanze da cui inferire il pregiudizio allegato; c) detto esito interpretativo, per quanto riguarda la lesione della facoltà di godimento, resta coerente al significato di danno risarcibile quale perdita patrimoniale subita in conseguenza di un fatto illecito. In particolare la linea da perseguire è quella del punto di mediazione fra la teoria normativa del danno, emersa nella giurisprudenza della II Sezione civile, e quella della teoria causale, sostenuta dalla III Sezione civile, e, al fine di salvaguardare tale punto di mediazione, l’estensione della tutela dal piano reale a quello risarcitorio, per l’ipotesi della violazione del contenuto del diritto, deve lasciare intatta la distinzione fra le due forme di tutela; d) la distinzione fra azione reale e azione risarcitoria è, infatti, il riflesso processuale di quella sostanziale fra regole di proprietà (property rules) e regole di responsabilità (liability rules) sicché la tutela reale è orientata al futuro e mira al ripristino dell’ordine formale violato mediante l’accertamento dello stato di diritto e la rimozione dello stato di fatto contrario al diritto soggettivo (a parte la tutela inibitoria come negli artt. 844 e 1171 c.c.), nel mentre l’azione risarcitoria è orientata al passato e costituisce il rimedio per la perdita subita a causa della violazione del diritto costituendo la misura riparatoria per la concreta lesione del bene della vita verificatasi in conseguenza della condotta abusiva dei terzi; in altri termini, mentre la tutela reale costituisce il rimedio per l’alterazione dell’ordinamento formale, la tutela risarcitoria è compensativa del bene della vita perduto, secondo le modalità del danno emergente se la perdita patrimoniale (o non patrimoniale) è in uscita, del lucro cessante se la perdita è in entrata; e) la distinzione fra le due forme di tutela (reale e risarcitoria) comporta che il fatto costitutivo dell’azione risarcitoria non possa coincidere senza residui con quello dell’azione di rivendicazione ma debba contenere l’ulteriore elemento costitutivo del danno risarcibile; ciò significa tenere ferma la distinzione, espressione della teoria causale del danno, fra causalità materiale e causalità giuridica; in proposito va rilevato che: e1) la distinzione fra causalità materiale e causalità giuridica è un’acquisizione risalente della giurisprudenza delle sezioni unite della Corte di cassazione (Cass. civ. S.U. 11 gennaio 2008, n. 576; Id., 11 novembre 2008, n. 26972, pronunce che, muovendo entrambe dall’ipotesi del danno non patrimoniale, hanno differenziato nell’ambito dell’illecito aquiliano la causalità materiale, rilevante ai fini dell’imputazione del danno evento – dommage o damnum – ad una determinata condotta secondo i criteri di responsabilità previsti dalla disciplina del fatto illecito, e la causalità giuridica, di cui sono espressione gli artt. 1223 e 2056 c.c., la quale, in funzione di selezione delle conseguenze dannose risarcibili, attiene al nesso eziologico fra il danno evento ed il c.d. danno conseguenza – préjudice o praeiudicium –, costituente l’oggetto dell’obbligazione risarcitoria); ed invero, già prima delle appena richiamate pronunce delle sezioni unite, vi erano stati, nella medesima direzione, altri arresti delle sezioni semplici (cfr. Cass. civ., sez. III, 16 ottobre 2007 n. 21619; Id., 24 ottobre 2003, n. 16004; Id., 31 maggio 2003, nn. 8827 e 8828, tutte rese in materia di danno non patrimoniale) e della giurisprudenza costituzionale (secondo la linea evolutiva che va da Corte cost. 14 luglio 1986, n. 184 a Corte cost. 27 ottobre 1994, n. 372 e da cui è emersa la distinzione fra danno evento e danno conseguenza, da ultimo ripresa da Corte cost. 15 settembre 2022, n. 205); e2) la giurisprudenza delle sezioni unite della Corte di cassazione ha, altresì, chiarito che “se sussiste solo il fatto lesivo, ma non vi è un danno conseguenza, non vi è l’obbligazione risarcitoria” (Cass. civ. S.U. 11 gennaio 2008, cit.), così temperando l’originario rigorismo della tesi della causalità giuridica presente nella dottrina che la introdusse (ad avviso della quale la fattispecie della responsabilità risarcitoria si perfeziona con la verificazione del fatto, comprensivo dell’azione e dell’evento, mentre la causalità giuridica interviene solo in funzione selettiva del danno risarcibile all’esito di una responsabilità già accertata; visione che resta nell’alveo della prospettiva pan-penalistica dell’atto antigiuridico – non iure, nel senso di comportamento non giustificato dal diritto – mentre il punto di vista della moderna responsabilità civile, improntata al principio di solidarietà ex art. 2 Cost. è quello dell’allocazione del danno contra ius – “ingiusto” – secondo la qualifica dell’art. 2043 c.c.); al rigorismo dell’originaria tesi dottrinale va obiettato che in assenza delle conseguenze previste dall’art. 1223 c.c. non vi è alcuna responsabilità risarcitoria da accertare perché non vi è danno da risarcire; ciò in quanto la fattispecie del fatto illecito si perfeziona con il danno conseguenza sicché la perdita subita e il mancato guadagno (art. 1223 c.c.) non sono un posterius rispetto al danno ingiusto, ma sono i criteri di determinazione di quest’ultimo, secondo la lettera dell’art. 2056 c.c. con la conseguenza che, da un lato, il “danno” di cui fa menzione la seconda parte dell’art. 2043 c.c. non è altra cosa dal “danno ingiusto” di cui si parla nella prima parte e, dall’altro, se non c’è danno conseguenza non c’è danno ingiusto; e3) causalità materiale e causalità giuridica non sono, così, le fasi di una successione cronologica, ma sono i due diversi punti di vista in sede logico-analitica dell’unitario fenomeno del danno ingiusto (di “profili diversi” dell’unico danno già discorreva Cass. civ. S.U. 11 gennaio 2008, cit., punto n. 5.1), il quale non è identificabile se non alla luce di questa dualità di nessi causali, l’uno informato al criterio della regolarità causale, l’altro a quello della conseguenzialità immediata e diretta; cagionato l’evento di danno, la fattispecie del fatto illecito è, infatti, integrata con la realizzazione delle conseguenze pregiudizievoli, senza che fra evento e conseguenza vi sia un distacco temporale sicché la distinzione in parola è logica, non cronologica; f) così precisati i termini della distinzione fra evento di danno e danno conseguenza, quale caposaldo della teoria del risarcimento del danno, e chiarita la necessità dell’elemento costitutivo ulteriore nella causa petendi della domanda risarcitoria rispetto a quella della domanda di rivendicazione, occorre definire più specificatamente il danno risarcibile in presenza di violazione del contenuto del diritto di proprietà; in proposito deve rilevarsi che: f1) la circostanza che la violazione dell’ordine giuridico sia suscettibile di tutela non solo reale, ma anche risarcitoria, trova riscontro nel fatto che il diritto soggettivo appartiene al novero delle situazioni giuridiche mezzo, nelle quali il potere giuridico di cui è investito il soggetto rappresenta lo strumento, a sua disposizione, per la soddisfazione dell’interesse ad un determinato bene della vita; f2) la violazione del diritto può così comportare la lesione dell’interesse al bene della vita, che di quel diritto costituisce il substrato materiale e l’elemento teleologico, e configurare dunque l’illecito aquiliano; g) ai fini della definizione del danno risarcibile da violazione dell’ordine giuridico, deve muoversi dalla distinzione fra la lesione del bene costituente l’oggetto del diritto di proprietà e la lesione del contenuto stesso del diritto; in particolare: g1) quando l’azione dannosa attinge sulla base del nesso di causalità materiale il bene, l’evento di danno è rappresentato dalla lesione del diritto per il pregiudizio cagionato alla cosa oggetto del diritto di proprietà, ma affinché un danno risarcibile vi sia, perfezionandosi così la fattispecie del danno ingiusto, è necessario che al profilo dell’ingiustizia, garantito dalla violazione del diritto, si associ quello del danno conseguenza, e perciò la perdita subita e/o il mancato guadagno che, sulla base del nesso di causalità giuridica, siano conseguenza immediata e diretta dell’evento dannoso (come accade, ad esempio, nel caso del danno da c.d. “fermo tecnico di veicolo incidentato”, per il quale è richiesta la prova della spesa sostenuta per procacciarsi un mezzo sostitutivo su cui si vedano Cass. civ., sez. III, 14 ottobre 2015, n. 20620 e le altre conformi fino alla recente Cass. civ., sez. III, 19 settembre 2022, n. 27389); g2) quando l’azione lesiva attinge invece il contenuto del diritto di proprietà (“il diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo”), ciò che viene in primo luogo in rilievo è la violazione dell’ordine giuridico e l’ordinamento appresta lo strumento di ripristino dell’ordine formale violato, ossia la tutela reale di reintegrazione del diritto leso; questa tutela può eventualmente concorrere con la misura restitutoria del bene, di cui è pure espressione la fattispecie di cui all’art. 1148 c.c., la quale disciplina con riferimento ai frutti naturali separati e ai frutti civili maturati le conseguenze della restituzione della cosa da parte del possessore (nella specie di mala fede o comunque nello stato soggettivo di cui all’art. 1147, comma 2, c.c.) convenuto dal proprietario in sede di rivendicazione; sia la cosa (art. 810 c.c.), che i frutti (art. 820 c.c.), appartengono alla disciplina dei beni e perciò restano nell’alveo dell’azione di rivendicazione sotto il profilo degli effetti restitutori; h) la domanda risarcitoria presuppone che l’azione lesiva del contenuto del diritto di proprietà sia valutabile non solo come violazione dell’ordine formale, ma anche come evento di danno; in quest’ultimo caso il nesso di causalità materiale si stabilisce fra l’occupazione senza titolo dell’immobile e direttamente la lesione del diritto di proprietà, senza passare per l’intermediazione del pregiudizio cagionato alla cosa oggetto del diritto di proprietà sicché l’evento di danno riguarda non la cosa, ma proprio il diritto di godere in modo pieno ed esclusivo della cosa stessa ed il danno risarcibile è rappresentato dalla specifica possibilità di esercizio del diritto di godere che è andata persa quale conseguenza immediata e diretta della violazione, cagionata dall’occupazione abusiva, del “diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo”; il nesso di causalità giuridica si stabilisce così fra la violazione del diritto di godere della cosa, integrante l’evento di danno condizionante il requisito dell’ingiustizia, e la concreta possibilità di godimento che è stata persa a causa della violazione del diritto medesimo, quale danno conseguenza da risarcire; i) saldando il danno suscettibile di risarcimento alla concreta possibilità di godimento persa, per un verso si rende risarcibile il contenuto del diritto violato, in ossequio alla teoria normativa del danno, per l’altro si riconduce la violazione giuridica a una specifica perdita subita, in ossequio alla teoria causale; più segnatamente: i1) il riferimento alla specifica circostanza di godimento perso stabilisce la discontinuità fra il fatto costitutivo dell’azione di rivendicazione e quello dell’azione risarcitoria, preservando la distinzione fra la tutela reale e quella risarcitoria; diversamente si avrebbe l’inaccettabile conseguenza non del danno punitivo, come pure affermato dalla giurisprudenza della terza sezione civile, ma del danno irrefutabile che non ammette prova contraria; i2) affinché si abbia un danno punitivo è necessario un quid ulteriore che colleghi la riparazione della perdita subita alla riprorevolezza della condotta del danneggiante, con un’amplificazione della componente riparatoria in misura proporzionale al grado della colpa o all’intensità del dolo del danneggiante (mediante il cumulo di compensatory damage e punitive damage), e tale non può dirsi che sia l’esito della tesi del danno in re ipsa; i3) viceversa, se la causa petendi dell’azione risarcitoria viene fatta coincidere senza residui con quella dell’azione risarcitoria (rectius reale n.d.r.), il risarcimento spetterebbe sempre a fronte della denuncia della compressione del diritto di godere della cosa quale astratta posizione riconosciuta dall’ordinamento, senza che si dia possibilità della prova contraria; j) non è, invece, richiesta l’allegazione della concreta possibilità di godimento persa nell’ipotesi dell’occupazione sine titulo da parte della pubblica amministrazione, trattandosi di fattispecie retta da criteri del tutto differenti rispetto alla comune occupazione abusiva (sui connotati specifici dell’occupazione sine titulo da parte della pubblica amministrazione si vedano: Cons. Stato, Ad. Plen., 9 aprile 2021, n. 6; Id., 20 gennaio 2020, nn. 2 e n. 4; Id., 18 febbraio 2020, n. 5); in particolare: j1) l’art. 42bis del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, prevede che, in caso di utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico e di successivo provvedimento di acquisizione, sia corrisposto al proprietario un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, quest’ultimo forfetariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene; l’indennizzo per il pregiudizio patrimoniale è determinato in misura corrispondente al valore venale del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità e, se l’occupazione riguarda un terreno edificabile, sulla base delle disposizioni dell’art. 37 del medesimo D.P.R. 327/2001, per il periodo di occupazione senza titolo è computato a titolo risarcitorio, se dagli atti del procedimento non risulta la prova di una diversa entità del danno, l’interesse del cinque per cento annuo sul valore del bene come appena determinato; j2) anche nel caso di mancanza di formale acquisizione ai sensi dell’art. 42bis del D.P.R. 327/2001, o di procedimento non conclusosi con un valido ed efficace decreto di esproprio o con un accordo di cessione, è configurabile per la giurisprudenza un danno per il mancato godimento del fondo illegittimamente occupato, abitualmente determinato in via equitativa in favore del privato, ove non sia fornita la prova di un danno maggiore, in base al criterio degli interessi legali per ogni anno di occupazione sulla somma corrispondente all’indennità di espropriazione o sul prezzo di cessione volontaria del bene (fra le tante Cass. civ., sez. I, ord. 20 novembre 2018, n. 29990); j3) la determinazione legislativa in via forfettaria dell’indennizzo, senza esigere dal proprietario l’allegazione della mancata possibilità di godimento nel periodo di occupazione senza titolo, salva la possibilità per entrambe le parti del giudizio di dimostrare la diversa entità del danno in concreto (in melius o in pejus rispetto a quel limite – per il proprietario ad esempio la perdita di occasioni particolari di profitto), costituisce una valutazione legale tipica di pregiudizio e di relativa compensazione; si tratta di una valutazione, come anche quella del diritto vivente appena richiamato, tipizzata di pregiudizio al bene della vita, il cui presupposto di fatto è l’esplicazione del rapporto fra privato e pubblica amministrazione, istituzionalmente asimmetrico dal punto di vista del potere, secondo modalità ablatorie non rispettose della legge; ciò in quanto, come spiega Cass. civ. S.U., 20 luglio 2021, n. 20691, “nella materia espropriativa l’agire amministrativo è cadenzato da atti formali che sono, di per sé, evocativi di conseguenze pregiudizievoli per il privato, apprezzabili secondo l’id quod plerumque accidit, nel caso in cui la pubblica amministrazione non eserciti il potere autoritativo nei tempi e modi previsti dalla legge”; k) nella comune fattispecie di occupazione abusiva d’immobile è, al contrario, richiesta l’allegazione della concreta possibilità di esercizio del diritto di godimento che è andata persa; ciò significa che: k1) il non uso, il quale è pure una caratteristica del contenuto del diritto, non è suscettibile di risarcimento; ciò in quanto, se è pur vero che a fondamento dell’imprescrittibilità del diritto di proprietà vi è la circostanza che fra le facoltà riconosciute al proprietario vi è anche quella del non uso, l’inerzia resta una manifestazione del contenuto del diritto sul piano astratto, mentre il danno conseguenza riguarda il pregiudizio al bene della vita che, mediante la violazione del diritto, si sia verificato; k2) alla reintegrazione formale del diritto violato, anche nella sua esplicazione di non uso, provvede la tutela reale e non quella risarcitoria; l) la perdita subita attiene al godimento, diretto o indiretto mediante il corrispettivo del godimento concesso ad altri, e non alla vendita (per la quale, corrispondendo il relativo danno alla differenza fra il prezzo di mercato e quello maggiore che si sarebbe potuto ricavare dall’atto dispositivo mancato, non può che parlarsi di mancato guadagno); con riguardo alla perdita subita attinente al godimento va precisato che: l) l’allegazione che l’attore faccia della concreta possibilità di godimento perduta può essere specificatamente contestata dal convenuto costituito; 2) al cospetto di tale allegazione il convenuto ha l’onere di opporre che giammai il proprietario avrebbe esercitato il diritto di godimento; 3) la contestazione al riguardo non può essere generica, ma deve essere specifica, nel rigoroso rispetto del requisito di specificità previsto dall’art. 115, comma 1, c.p.c.; 4) in presenza di una specifica contestazione sorge per l’attore l’onere della prova dello specifico godimento perso, onere che può naturalmente essere assolto anche mediante le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza (art. 115, comma 2, c.p.c.) o mediante presunzioni semplici; 5) nel caso della presunzione l’attore ha l’onere di allegare, e provare se specificatamente contestato, il fatto secondario da cui inferire il fatto costitutivo rappresentato dalla possibilità di godimento persa; 6) sia nel caso di godimento diretto che in quello di godimento indiretto, il danno può essere valutato equitativamente ai sensi dell’art. 1226 c.c., attingendo al parametro del canone locativo di mercato quale valore economico del godimento nell’ambito di un contratto tipizzato dalla legge, come la locazione, che fa proprio del canone il valore del godimento della cosa; m) se, invece, la domanda risarcitoria ha ad oggetto il mancato guadagno causato dall’occupazione abusiva, l’onere di allegazione riguarda gli specifici pregiudizi, fra i quali si possono identificare non solo le occasioni perse di vendita a un prezzo più conveniente rispetto a quello di mercato, ma anche le mancate locazioni a un canone superiore a quello di mercato (una volta che si quantifichi equitativamente il godimento perduto con il canone locativo di mercato, il corrispettivo di una locazione ai correnti valori di mercato rientra, come si è visto, nelle perdite subite); nel dettaglio: m1) ove insorga controversia in relazione al fatto costitutivo del lucro cessante allegato, l’onus probandi anche in questo caso può naturalmente essere assolto mediante le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza o le presunzioni semplici; m2) per ogni altro aspetto può rinviarsi alla costante giurisprudenza in materia di maggior danno ai sensi dell’art. 1591 c.c. (fra le tante Cass. civ., sez. III, 3 febbraio 2011, n. 2552; Id., 26 novembre 2007, n. 24614; Id., 13 luglio 2005, n. 14753; Id., 23 maggio 2002, n. 7546); n) sia per la perdita subita che per il mancato guadagno va rammentato che l’onere di contestazione, la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova, sussiste soltanto per i fatti noti alla parte convenuta, non anche per quelli ad essa ignoti (Cass. civ, sez. VI, ord. 31 agosto 2020, n. 18074; Cass. civ., sez. lav. 4 gennaio 2019, n. 87; Cass. civ., sez. III, 18 luglio 2016, n. 14652; Id., 13 febbraio 2013, n. 3576); in particolare: n1) poiché non si compie l’effetto di cui all’art. 115, comma 1, c.p.c., per i fatti ignoti al danneggiante l’onere probatorio sorge comunque per l’attore, a prescindere dalla mancanza di contestazione, ma il criterio di normalità che generalmente presiede, salvo casi specifici, alle ipotesi di mancato esercizio del diritto di godimento, comporta che l’evenienza dei fatti ignoti alla parte convenuta sia tendenzialmente più ricorrente nelle ipotesi di mancato guadagno; n2) sul piano pratico ne consegue la maggiore ricorrenza per il convenuto dell’onere di contestazione, nel rigoroso rispetto del requisito di specificità previsto dall’art. 115, comma 1, c.p.c., in relazione alle controversie aventi ad oggetto la perdita subita e la maggiore ricorrenza per l’attore dell’onere probatorio, pur in mancanza di contestazione, nelle controversie aventi ad oggetto il mancato guadagno; n3) ciò vale a chiarire la portata eminentemente pratica delle nozioni di “danno normale” e “danno presunto” emerse nella recente giurisprudenza della seconda sezione civile, le quali rinviano, nelle controversie relative alla perdita subita, a una maggiore frequenza dell’onere del convenuto di specifica contestazione della circostanza di pregiudizio allegata e ad una minore frequenza per l’attore dell’onere di provare la circostanza in discorso, data la tendenziale normalità del pregiudizio al godimento del proprietario a seguito dell’occupazione abusiva.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cass. civ., sez. II, ord. 22 aprile 2022, n. 12865; Id., 20 gennaio 2022, n. 4936;
Cass. civ., sez. VI, ord. 7 gennaio 2021, n. 39
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