medici in quiescenza

L’Asl può ricorrere ai medici in quiescenza se c’è necessità La Corte costituzionale conferma la legittimità della legge della Regione Sardegna che consente l’impiego temporaneo di medici in quiescenza per garantire l’assistenza primaria nelle aree disagiate

Legittimo l’impiego straordinario di medici in quiescenza

Con la sentenza n. 84/2025, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata contro l’art. 1, comma 1, della legge regionale sarda n. 12/2024. La norma in questione consente l’impiego, sino al 31 dicembre 2024, di medici di medicina generale in quiescenza per progetti straordinari di assistenza primaria, anche mediante contratti libero-professionali.

Garantire l’assistenza nelle aree disagiate

La disposizione mira a garantire la copertura dell’assistenza sanitaria primaria nei territori con carenza di medici, attraverso l’attivazione di ambulatori straordinari di comunità territoriale. I medici coinvolti sono abilitati all’uso dei ricettari previsti dall’art. 50 del d.l. 269/2003.

Le critiche del Governo e la posizione della Corte

Il Presidente del Consiglio ha impugnato la norma sostenendo che essa violerebbe la competenza statale in materia di ordinamento civile e contrasterebbe con l’Accordo collettivo nazionale (ACN) del 2024, che vieta l’attività convenzionata ai medici in quiescenza. La Corte, tuttavia, ha rigettato la questione, riconoscendo alla Regione Sardegna una legittima competenza in materia di organizzazione sanitaria.

Medici in quiescenza per tutelare la salute

La Consulta ha chiarito che l’adozione di misure temporanee e straordinarie è compatibile con l’ordinamento, qualora serva a garantire l’effettività del diritto alla salute, specialmente in presenza di criticità nell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA). Negare questa possibilità impedirebbe alle Regioni di far fronte a situazioni emergenziali, compromettendo le garanzie minime costituzionali.

tolleranza del 5%

Tutor autostrade: la tolleranza del 5% è obbligatoria per legge La Cassazione chiarisce: le multe per eccesso di velocità rilevate col tutor devono applicare una tolleranza del 5%, con minimo di 5 km/h

Tutor e limiti di velocità

La Cassazione, con ordinanza n. 15894/2025, ha ribadito un principio fondamentale in materia di sanzioni per eccesso di velocità: anche quando l’infrazione è rilevata tramite sistema “tutor”, deve essere applicata la tolleranza del 5% prevista dal regolamento di esecuzione del Codice della Strada, in base all’art. 345, comma 2.

La riduzione ha un minimo garantito di 5 km/h, anche quando la percentuale applicata risulterebbe inferiore.

Il caso: contestazione di una multa per tutor

Nel caso esaminato, l’automobilista aveva impugnato una sanzione per eccesso di velocità accertata mediante sistema tutor, lamentando la mancata applicazione della prevista riduzione tecnica. I giudici di merito avevano respinto il ricorso, ma la Cassazione ha accolto il motivo, riconoscendo la violazione del diritto alla corretta applicazione della norma tecnica.

La normativa di riferimento

L’articolo 345 del Regolamento di esecuzione del Codice della Strada stabilisce che, per le rilevazioni elettroniche, i valori di velocità devono essere considerati al netto della tolleranza tecnica, pari al 5% della velocità rilevata, e comunque mai inferiore a 5 km/h.

La Corte sottolinea che non si tratta di una facoltà, ma di un obbligo normativo, che garantisce l’affidabilità della rilevazione automatica.

Tolleranza del 5%: più tutele per gli automobilisti

Con questa decisione, la Cassazione rafforza la tutela dei conducenti contro errori di calcolo o rigidità applicativa dei sistemi automatici. Chi riceve una multa con tutor può sempre verificare se è stata applicata correttamente la tolleranza e, in caso contrario, contestarla dinanzi al giudice di pace.

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responsabilità medica

Responsabilità medica: colpa del dentista per danni al “nervo” La Cassazione conferma la responsabilità medica penale del dentista per danni anatomici durante un’estrazione dentaria

Responsabilità medica

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 22474/2025, ha riconosciuto la responsabilità medica penale di un odontoiatra che, durante l’esecuzione di un intervento di estrazione dentaria, ha provocato l’interruzione della corticale ossea mandibolare. Il paziente ha riportato danni anatomici permanenti e sintomi post-operatori invalidanti, elementi che hanno portato alla condanna del professionista per lesioni colpose.

La condotta colposa: oltre il rischio consentito

Secondo i giudici, l’intervento è stato condotto con imperizia e negligenza, violando le regole di buona pratica clinica. L’interruzione della corticale, pur essendo un rischio teoricamente possibile, non rientrava tra gli eventi inevitabili in un’estrazione eseguita correttamente, come accertato dalla consulenza tecnica.

La motivazione della Cassazione

La Suprema Corte ha sottolineato che la responsabilità non deriva dalla scelta di procedere all’estrazione, ma dalla modalità con cui è stata eseguita la manovra chirurgica. L’odontoiatra ha omesso di adottare cautele e tecniche conservative volte a evitare il danno. Ne deriva una responsabilità per lesioni colpose, aggravata dalla natura permanente delle conseguenze subite dal paziente.

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furto d'auto

Furto d’auto in hotel? Niente risarcimento senza contratto di deposito La Cassazione nega l’indennizzo per il furto d’auto in hotel: serve un vero contratto di deposito, non basta il parcheggio all’interno della struttura

Furto d’auto nel parcheggio dell’hotel

Con l’ordinanza n. 12840/2025, la Corte di Cassazione ha stabilito che in caso di furto d’auto nel parcheggio di un hotel, l’albergatore non è automaticamente responsabile, a meno che non sia stato perfezionato un contratto di deposito. L’esistenza di tale contratto è infatti il presupposto imprescindibile per poter ottenere un indennizzo.

Il contratto di deposito: quando si perfeziona

Secondo il Codice civile (artt. 1766 ss.), il contratto di deposito è di natura reale: si perfeziona solo con la consegna della cosa mobile e, in certi casi, anche delle chiavi, quando necessarie alla custodia. Il depositario ha l’obbligo di custodire e restituire il bene, salvo eventi indipendenti dalla sua volontà.

Nel caso del furto, l’art. 1780 c.c. stabilisce che il depositario è liberato dalla responsabilità solo se denuncia immediatamente l’accaduto e dimostra che l’evento non gli è imputabile.

Il caso: furto d’auto e richiesta di risarcimento

Un cliente (Sempronio) aveva soggiornato in un albergo, parcheggiando la propria auto in un’area interna alla struttura. In seguito al furto del veicolo, aveva citato l’hotel per ottenere un risarcimento, sostenendo che il servizio di parcheggio fosse incluso nel soggiorno e che ciò integrasse un contratto di deposito.

La struttura alberghiera si è difesa sostenendo che non vi era stata alcuna consegna né dell’auto né delle chiavi, e che il cliente aveva solo usufruito di uno spazio delimitato, senza alcun accordo specifico di custodia.

Nessuna responsabilità dell’hotel

Sia il tribunale di primo grado che la Corte d’appello hanno respinto la richiesta di risarcimento. Il cliente ha proposto ricorso per Cassazione, invocando una presunta violazione dell’art. 1780 c.c., ma la Suprema Corte ha confermato le decisioni precedenti.

Gli Ermellini hanno chiarito che il solo fatto che il parcheggio sia interno alla struttura non implica la nascita automatica di un contratto di deposito. Senza consegna del veicolo e delle chiavi, e in assenza di specifiche condizioni pattuite, manca il presupposto giuridico per l’obbligo di custodia e, di conseguenza, per il risarcimento in caso di furto.

colpa medica

Colpa medica e mancata informazione: danno biologico va provato La Cassazione ha escluso il danno biologico per i genitori di due figlie malate, pur riconoscendo la lesione del diritto all'informazione

Colpa medica e diritto all’informazione

Con l’ordinanza n. 15076/2025, la terza sezione civile della Cassazione ha ribadito un principio chiave in tema di colpa medica: la violazione del dovere di informazione da parte del medico non implica, di per sé, il riconoscimento del danno biologico a favore dei pazienti o dei loro familiari. La decisione nasce da un caso complesso che ha coinvolto due genitori rimasti all’oscuro della patologia genetica delle figlie gemelle, nate affette da talassemia major.

Il diritto a essere informati

Il giudice del rinvio, confermando la responsabilità del sanitario, ha riconosciuto ai genitori il danno non patrimoniale derivante dalla lesione del diritto all’informazione, ma ha escluso il danno biologico in assenza di prova clinica di una compromissione dell’integrità fisica o psichica.

In particolare, la mancanza di informazione diagnostica prenatale non è stata ritenuta sufficiente per configurare un danno alla salute. Le sofferenze morali e le difficoltà pratiche affrontate dai genitori per curare le figlie (comprese le trasferte per il trapianto di midollo e la successiva inseminazione artificiale con selezione genetica) hanno giustificato un risarcimento per danno morale, ma non hanno soddisfatto i criteri per l’attribuzione del danno biologico.

Niente danno se manca la prova del nesso causale

La Corte ha chiarito che, per riconoscere un danno biologico, è indispensabile dimostrare un nesso di causalità tra la condotta del medico e la patologia insorta nei soggetti lesi. Nel caso concreto, le malattie successivamente sviluppate da entrambi i genitori non sono state ritenute direttamente collegate alla violazione del dovere informativo. In assenza di evidenze mediche che attestassero una compromissione dell’integrità fisica conseguente alla condotta sanitaria, il danno biologico è stato escluso.

Allo stesso modo, la maggior sofferenza morale riconosciuta alla madre per il peso psicofisico della gravidanza non spontanea, preceduta anche da aborti spontanei, è stata liquidata come danno morale differenziato rispetto al padre, ma non ha integrato un pregiudizio alla salute fisica certificabile.

No al diritto a nascere sani

Ulteriore aspetto rilevante dell’ordinanza riguarda il rigetto del ricorso proposto, una volta divenute maggiorenni, dalle stesse figlie gemelle contro medico e struttura sanitaria. La Cassazione ha ribadito che non esiste un diritto soggettivo a nascere sani, e che la presenza di una malattia genetica non è risarcibile se non è provocata da un comportamento medico colposo diretto alla persona del nato.

In questo senso, il danno lamentato dalle figlie non trova fondamento giuridico, mancando sia il presupposto del nesso eziologico che quello della titolarità di un diritto leso nella condotta sanitaria prenatalizia.

La liquidazione del danno morale non è duplicazione risarcitoria

Infine, la Suprema Corte ha rigettato anche il ricorso del medico e dell’Azienda sanitaria, che contestavano un presunto raddoppio risarcitorio per il danno morale. Secondo la Cassazione, il giudice del rinvio ha correttamente distinto le voci di pregiudizio non patrimoniale, riconoscendo un risarcimento pieno per:

  • la perdita del diritto all’autodeterminazione (non essere stati messi in condizione di decidere consapevolmente);

  • le conseguenze morali derivanti dalla gestione della malattia delle figlie.

Tutte le voci riconosciute rientrano nel danno morale, senza sconfinare in forme di risarcimento vietate o sovrapposte.

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polizze catastrofali

Polizze catastrofali: per grandi, medie, piccole e micro imprese Polizze catastrofali: cosa sono e in cosa consiste l’obbligo della stipula per le imprese di grandi, medie, piccole e micro dimensioni

Polizze catastrofali: cosa sono

Le polizze catastrofali sono polizze assicurative che la legge di bilancio 2024 (n. 213/2023) ha reso obbligatorie per tutte le imprese che hanno la sede legale in Italia, per proteggerle da eventi catastrofici e calamità naturali (Cat Nat). La normativa è conseguente ai fenomeni climatici che negli ultimi anni si sono abbattuti sul territorio italiano con ripercussioni negative anche sulle attività economiche e produttive.

Il decreto attuativo, DM n. 18 del 30 gennaio 2025 ha dettato le modalità di attuazione e di operatività degli schemi assicurativi dei rischi catastrofali.

Polizze catastrofali: il termine del 31 marzo 2025

L’articolo 1 comma 101 e successivi della legge di bilancio n. 213/2023 aveva stabilito l’obbligo di adeguamento al 31 dicembre 2024.

Il decreto Milleproroghe ha rinviato però tale obbligo al 31 marzo 2025.

Rinvio per medie, piccole e micro imprese

Il Senato il 21 maggio 2025 con 78 voti a favore, nessuno contrario e 53 astenuti ha approvato in via definitiva il “ddl di conversione con modificazioni, del decreto-legge 31 marzo 2025, n. 39, recante misure urgenti in materia di assicu­razione dei rischi catastrofali.” Il testo della nuova legge n. 78/2025 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale per entrare in vigore il 31 maggio 2025.

Fatta questa necessaria premessa, che cosa stabilisce il testo definitivo? Chi e quando deve sottoscrivere le polizze catastrofali?

Imprese obbligate e termini per la stipula

Le grandi imprese, con più di 250 dipendenti, devono stipulare dette polizze entro il termine del 30 giungo 2025, anche se l’obbligo è in vigore dal 31 marzo 2025. Il decreto infatti ha previsto per queste imprese un periodo transitorio di 90 giorni, fino al 30 giugno, per permettere alle aziende prive di contratto di adeguarsi.

Le medie imprese con un minimo di 50 dipendenti fino a un massimo di 250,   avranno invece altri sei mesi di tempo, ossia fino al 1° ottobre 2025, per stipulare i contratti assicurativi.

Per le micro e piccole imprese l’obbligo è  posticipato al 31 dicembre 2025.

La mancata stipula comporterà il mancato accesso a incentivi statali e risorse pubbliche per sviluppare l’attività. Le imprese che intendono chiedere determinati aiuti dovranno infatti dimostrare di essere in regola con la stipula.

Obbligo assicurativo: eccezioni

Sono esclusi dall’obbligo assicurativo gli immobili che non possono essere assicurati perchè:

  • costruiti o ampliati in assenza di un titolo edilizio valido o ultimati quando il titolo non era obbligatorio;
  • oggetto di sanatoria o con procedimento di sanatoria o condono in corso.

Indennizzo assicurativo

L’indennizzo spettante in caso di evento catastrofale spetta al proprietario dell’immobile se l’imprenditore assicura beni di proprietà altrui impiegati per l’attività di impresa, comunicando al proprietario la stipula della polizza. L’indennizzo, una volta corrisposto, deve essere impiegato solo per ripristinare i beni danneggiati. Se questa regola non viene rispettata all’imprenditore spetta comunque una somma per la riparazione del lucro cessante nel limite del 40% dell’indennizzo massimo indennizzabile.

Polizze catastrofali: le faq del MIMIT

Sul sito Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT) sono presenti le FAQ sulle polizze assicurative contro eventi catastrofali. Le risposte chiariscono aspetti essenziali in merito all’obbligo assicurativo per le imprese e agli effetti sull’accesso ai benefici pubblici.

Obbligo assicurativo e incentivi pubblici

Il Ministero precisa che la norma relativa allobbligo per le imprese di stipulare polizze assicurative contro calamità naturali – prevista dall’art. 1, comma 102 della Legge n. 213/2023 – non è immediatamente applicabile in modo automatico. Infatti, la disposizione stabilisce che la mancata sottoscrizione della polizza deve essere tenuta in considerazione nella concessione di contributi, agevolazioni e sovvenzioni pubbliche, ma non ne definisce in modo vincolante gli effetti.

Questo significa che l’inadempimento all’obbligo assicurativo non comporta automaticamente lesclusione dai benefici pubblici, ma richiede un’espressa valutazione da parte dell’ente erogatore, secondo i criteri stabiliti nei singoli provvedimenti attuativi.

Nessuna retroattività della norma

Il MIMIT chiarisce inoltre che la disciplina in questione non ha efficacia retroattiva. Pertanto, l’obbligo assicurativo e le eventuali conseguenze sulla concessione di agevolazioni pubbliche si applicano solo a partire dalla data di recepimento della norma da parte delle specifiche misure di incentivazione o dalle eventuali diverse decorrenze indicate nei relativi atti.

caso fortuito

Caso fortuito (art. 2051 c.c.) Caso fortuito (art. 2051 c.c.) nella responsabilità da cose in custodia: cos'è, come funziona e come provarlo

Responsabilità cose in custodia art. 2051 c.c

Prima di addentrarci nell’analisi del caso fortuito 2051 c.c è necessario precisare che nel sistema della responsabilità civile, l’art. 2051 del Codice civile disciplina la responsabilità del custode per i danni cagionati da cose in custodia. Si tratta di una forma di responsabilità oggettiva, che non richiede la colpa del custode, ma che può essere esclusa se il danno è causato dal caso fortuito.

Cos’è il caso fortuito 2051 c.c

Il caso fortuito 2051 c.c è un evento imprevedibile e inevitabile, che si verifica per una causa esterna alla cosa in custodia e che interrompe il nesso causale tra la cosa e il danno. Esso rappresenta l’unica causa di esonero dalla responsabilità del custode prevista espressamente dall’art. 2051 c.c.

In altre parole, anche se la cosa è sotto la custodia di un soggetto, quest’ultimo non risponde del danno se dimostra che esso è stato causato da un fattore estraneo alla propria sfera di controllo e gestione. Il caso fortuito può quindi consistere:

  • nel fatto di terzi (es. un danneggiamento doloso o colposo di un estraneo);
  • nella condotta imprevedibile della vittima (c.d. fatto del danneggiato);
  • in eventi naturali eccezionali (come nubifragi improvvisi o terremoti).

Responsabilità oggettiva del custode: una presunzione superabile

La responsabilità da cose in custodia, come stabilito dall’art. 2051 c.c., è presunta: non richiede prova della colpa del custode, ma la dimostrazione che:

  1. il danneggiante aveva la custodia della cosa;
  2. la cosa ha cagionato un danno;
  3. sussiste un nesso causale diretto tra la cosa e il danno.

Tuttavia, tale presunzione può essere superata se il custode riesce a provare il caso fortuito, ovvero a dimostrare che l’evento lesivo è dipeso da una causa a lui non imputabile, impossibile da prevedere e da evitare con la diligenza ordinaria.

Come si prova il caso fortuito 2051 c.c. 

La prova del caso fortuito 2051 c.c. grava sul custode. Egli deve dimostrare:

  • che l’evento che ha causato il danno era imprevedibile ed eccezionale;
  • che non vi era nessun nesso causale diretto tra la cosa e il danno;
  • che ha adottato tutte le misure di custodia idonee a prevenire il danno, ma l’evento si è verificato comunque.

Ad esempio, una caduta su una buca stradale può comportare la responsabilità dell’ente custode della strada. Tuttavia, se la buca si è formata per un evento imprevedibile (es. una rottura improvvisa causata da terzi) e il danno si è verificato prima che il custode potesse ragionevolmente intervenire, si può configurare il caso fortuito. In giurisprudenza, la valutazione avviene caso per caso: è necessario dimostrare che il comportamento diligente del custode non sarebbe comunque riuscito a evitare il danno.

Caso fortuito e fatto del terzo o della vittima

Come accennato sopra, il concetto di caso fortuito 2051 c.c include anche il cosiddetto:

  • fatto del terzo: quando un soggetto estraneo alla custodia interviene in modo autonomo e diretto nel causare il danno;
  • fatto del danneggiato: se la condotta della vittima è anormale, imprevedibile e determinante nella produzione dell’evento lesivo, può interrompere il nesso causale.

Tuttavia, affinché tali fatti abbiano efficacia esimente, devono essere autonomi, imprevedibili e dotati di forza causale esclusiva.

Quando non si configura il caso fortuito 2051 c.c. 

La giurisprudenza ha chiarito che non è sufficiente l’allegazione generica di eventi atmosferici o del comportamento di terzi per configurare il caso fortuito. In particolare:

  • l’omessa manutenzione (es. di scale, marciapiedi, impianti, ecc.) non è scusata dalla sola imprevedibilità del danno;
  • il custode non può invocare il caso fortuito se la cosa era in condizioni di degrado note o prevedibili.

Pertanto, anche eventi apparentemente accidentali possono non integrare il caso fortuito se rientrano nella normale prevedibilità o se derivano da una mancanza di vigilanza e custodia.

Considerazioni conclusive

Il caso fortuito 2051 c.c. costituisce una causa di esclusione della responsabilità oggettiva del custode, ma la sua applicazione è rigorosa e subordinata alla prova di un evento imprevedibile e inevitabile. Per evitare responsabilità, è fondamentale che il custode dimostri di aver adottato tutte le misure idonee alla corretta custodia della cosa e che il danno si sia verificato per cause totalmente estranee alla sua sfera di controllo.

 

Leggi anche: Caso fortuito e condotta del terzo o del danneggiato

linee guida

Linee guida nella responsabilità medica Linee guida nella responsabilità medica: cosa sono, come incidono e applicazione nella legge Gelli-Bianco

Cosa sono le linee guida in ambito sanitario

Le linee guida nella responsabilità medica costituiscono un pilastro fondamentale nel moderno sistema di valutazione della condotta sanitaria. La loro funzione è quella di orientare l’operato dei professionisti della salute, delineando criteri scientificamente validati che possano fungere da parametro per la verifica della diligenza, perizia e prudenza del sanitario.

Tuttavia, il loro ruolo nella valutazione della responsabilità, civile e penale, del medico è stato oggetto di un’evoluzione normativa e giurisprudenziale complessa, culminata con l’emanazione della legge 8 marzo 2017, n. 24, nota come legge Gelli-Bianco.

Esso consistono in raccomandazioni redatte da enti scientifici accreditati, che individuano percorsi diagnostico-terapeutici basati sulle migliori evidenze disponibili. Esse servono a:

  • uniformare le pratiche cliniche;
  • migliorare la qualità dell’assistenza;
  • ridurre gli errori sanitari;
  • offrire uno standard oggettivo per la valutazione dell’attività sanitaria.

Sono pubblicate e aggiornate dall’Istituto Superiore di Sanità attraverso il Sistema Nazionale Linee Guida (SNLG), istituito con decreto ministeriale 27 febbraio 2018.

L’incidenza sulla responsabilità medica

L’introduzione delle linee guida nel contesto giuridico ha comportato un mutamento nell’accertamento della colpa medica. In precedenza, la responsabilità del sanitario veniva valutata caso per caso, secondo criteri soggettivi. Con il riferimento a queste invece, il giudizio tende a fondarsi su un parametro oggettivo e scientificamente accreditato.

Secondo l’impostazione attuale, il sanitario:

  • è tenuto a rispettare le linee guida accreditate, salvo casi specifici che giustifichino il discostamento;
  • non è punibile qualora l’evento si sia verificato per imperizia, se ha agito conformemente alle stesse (art. 590-sexies c.p.).

La legge Gelli-Bianco (l. 24/2017)

La legge n. 24/2017 ha sistematizzato la materia attraverso l’introduzione di queste due norme:

  • art. 5: stabilisce che i professionisti sanitari devono attenersi, nell’esercizio della propria attività, alle linee guida pubblicate nel SNLG. In assenza, si applicano le buone pratiche clinico-assistenziali;
  • art. 6 (nuovo art. 590-sexies c.p.): esclude la punibilità per imperizia in caso di rispetto delle linee guida o delle buone pratiche.

Quando non bastano

La giurisprudenza ha chiarito che le stesse:

  • non sostituiscono il giudizio clinico individuale del medico;
  • possono essere derogate in presenza di situazioni specifiche, clinicamente giustificate e documentate;
  • la responsabilità può sussistere anche in caso di rispetto formale delle linee guida, se la condotta è priva di personalizzazione sul paziente.

Secondo la Cassazione n. 10175/2020: il rispetto delle linee guida mediche non esclude automaticamente la colpa del medico, è sempre necessario valutare se le specifiche condizioni cliniche del paziente avrebbero richiesto un percorso terapeutico differente rispetto a quello standard indicato dalle linee guida. Il medico ha quindi il dovere di considerare la particolarità di ogni singolo caso e, se necessario, discostarsi dalle linee guida per adottare la soluzione più appropriata per quel determinato paziente. Il rispetto delle stesse è un elemento importante da considerare, ma non è l’unico e non esonera il medico dalla responsabilità se, nel caso concreto, un approccio diverso si sarebbe rivelato necessario e avrebbe potuto evitare l’evento lesivo.

Linee guida e responsabilità della struttura

La legge Gelli-Bianco ha differenziato anche la responsabilità tra sanitario e struttura:

  • il medico risponde ai sensi dell’art. 2043 c.c., quindi in base alla prova del dolo o della colpa  e comunque “salvo che abbia agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente”;
  • la struttura sanitaria pubblica o privata “che, nell’adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa” risponde contrattualmente, ex art. 1218 c.c., con conseguente onere della prova a suo carico e prescrizione decennale.

Le linee guida assumono rilevanza anche per la struttura, sia come parametro di organizzazione, sia come strumento difensivo nella valutazione dell’adeguatezza delle cure erogate.

 

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incidente animale selvatico

Incidente animale selvatico: la responsabilità Incidente animale selvatico: chi risponde dei danni, conseguenze civili e penali e Cassazioni recenti

Responsabilità incidente con animale selvatico

Il dover affrontare le conseguenze di un incidente con un animale selvatico rappresenta un problema crescente in Italia. Questi incidenti possono causare danni materiali e fisici alle persone coinvolte, oltre che alla fauna selvatica.

La responsabilità per gli incidenti con animali selvatici dipende soprattutto dal luogo in cui si verifica l’incidente. La giurisprudenza negli ultimi anni ha sancito alcuni importanti principi al fine di individuare i soggetti responsabili.

  • Per regola generale i danni causati dalla fauna selvatica sono risarcibili dallo Stato (pubblica amministrazione) in base all’articolo 2052 del Codice Civile. Questo perché la responsabilità non si basa sulla custodia degli animali, ma sulla loro proprietà o utilizzo. Dato che le specie selvatiche protette dalla legge n. 157/1992 sono considerate patrimonio indisponibile dello Stato e la loro cura e gestione sono affidate a enti pubblici per la tutela ambientale, la responsabilità per i danni ricade su questi ultimi.
  • Diverse e recenti sentenze della Corte di Cassazione individuano nella Regione il soggetto pubblico responsabile, al fine di garantire una tutela effettiva al soggetto danneggiato.
  • Nell’ipotesi in cui il sinistro si dovesse verificare in autostrada il responsabile civile dei danni subiti dal conducente sarà l’Ente che ha in concessione il tratto autostradale, teatro dello scontro.

Conseguenze civili e penali

Gli incidenti con animali selvatici possono avere conseguenze sia civili che penali.

  • Conseguenze civili: le vittime di un incidente con un animale selvatico possono richiedere il risarcimento dei danni materiali e fisici subiti.
  • Conseguenze penali: in alcuni casi, gli incidenti con animali selvatici possono essere considerati reati penali, ad esempio se l’incidente è causato da imprudenza o negligenza.

Risarcimento del danno da fauna selvatica

Per ottenere il risarcimento del danno da fauna selvatica, è necessario dimostrare che l’incidente è stato causato da un animale selvatico e che si è verificato in un luogo pubblico o su un terreno di proprietà di terzi. È inoltre necessario dimostrare il nesso causale tra l’evento e il danno subito.

Cassazione su incidente animale selvatico

Ecco una serie di massime della Cassazione in materia:

Cassazione n. 197/2025

I danni provocati dalla fauna selvatica comportano la responsabilità risarcitoria della Pubblica Amministrazione, in quanto le specie protette sono considerate patrimonio indisponibile dello Stato e affidate alla cura e gestione di enti pubblici per la salvaguardia ambientale. Di conseguenza, l’azione di risarcimento e la legittimazione passiva spettano unicamente alla Regione. Questo deriva dal fatto che la Regione detiene la competenza legislativa in materia di patrimonio faunistico, anche se le attività amministrative di programmazione, coordinamento e controllo della tutela e gestione della fauna selvatica sono delegate ad altri enti. In altre parole, la responsabilità ultima e l’obbligo di risarcire i danni ricadono sulla Regione in virtù della sua competenza normativa sul patrimonio faunistico.

Cassazione n. 9043/2025

Per ottenere il risarcimento dei danni da fauna selvatica, il danneggiato deve provare sia il fatto dannoso e il legame causa-effetto con l’animale, sia di aver agito con la dovuta cautela in base al contesto ambientale. In un incidente veicolo-animale selvatico, la legge presume una pari responsabilità sia del conducente che del proprietario dell’animale, richiedendo una valutazione caso per caso per superare tali presunzioni. Se il danneggiato è anche il conducente, deve quindi dimostrare sia la dinamica dell’incidente e il ruolo dell’animale protetto, sia la propria condotta di guida prudente in relazione ai rischi ambientali.

Cassazione n. 17253/2024

Quando si chiede il risarcimento per danni causati dalla fauna selvatica, la decisione se applicare l’articolo 2043 o l’articolo 2052 del Codice Civile non cambia la natura della richiesta. Piuttosto, influisce su chi deve dimostrare cosa in tribunale. Di conseguenza, un eventuale errore nella scelta dell’articolo di legge da applicare non porta a una decisione definitiva sul merito della questione. In altre parole, la scelta tra i due articoli riguarda solo le regole sulla prova, non il diritto al risarcimento in sé.

Leggi anche: Incidente con animale selvatico e onere della prova

Il Ministero risarcisce gli alunni abusati dal prof Gli alunni abusati dagli insegnanti devono essere risarciti dal Ministero, gli abusi non sono sono imprevedibili nei rapporti di cura

Alunni abusati: il Ministero deve risarcire

La Cassazione torna a occuparsi di alunni abusati, precisando che quando un insegnante commette abusi sessuali sui suoi allievi a scuola, il Ministero deve risarcire il danno. Questo perché, secondo la legge, la condotta criminosa dell’insegnante, pur essendo contraria agli scopi educativi della scuola, non è considerata un evento così inatteso o impossibile da escludere la responsabilità dell’amministrazione pubblica. Il rischio che un abuso possa avvenire in un contesto scolastico non è così remoto da sollevare il Ministero dal suo dovere di risarcire le vittime. Lo ha chiarito la Cassazione nella sentenza n. 11614/2025.

Il Ministero risarcisca i danni agli alunni

I famigliari di alcuni alunni abusati da un loro insegnante citano in giudizio il MIUR (ora MIM), affermando la responsabilità civile del Ministero per abusi di un docente sui loro figli minori. Il docente infatti è stato condannato definitivamente per abusi su minori (anni 2003-2006) e gli attori si erano già costituiti parte civile nel processo penale contro il docente. Il Ministero però non aveva partecipato al processo penale come responsabile civile. Nell’incardinato giudizio civile però lo stesso si costituisce, eccependo la prescrizione dell’azione, deducendo l’inopponibilità del giudicato penale, rilevando l’erroneo richiamo all’art. 2049 c.c ed evidenziando la carenza delle allegazioni avversarie.

Ministero condannato in primo e secondo grado

Il Tribunale di Genova però condanna il Ministero e con la sentenza n. 2122/2021 riconosce il risarcimento per danno biologico e morale agli attori. La Corte d’appello di Genova riforma parzialmente la decisione di primo grado, ricalcola il danno e detrae le provvisionali già liquidate agli attori, confermando nella parte restante la decisione di primo grado. Gli attori ricorrono in Cassazione e il MIM resiste con controricorso.

Responsabilità ministero: nesso di causalità

La Cassazione nel rigettare il ricorso incidentale e accogliere quello degli attore fornisce importanti indicazioni interpretative. La stessa ricorda che la pronuncia a Sezioni Unite n. 13246/2019 ha chiarito che l’art. 2049 c.c.configura una responsabilità oggettiva per fatto altrui, un’applicazione moderna del principio cuius commoda eius et incommoda, in base al quale chi si avvale dell’attività di un altro ne subisce anche i danni. L’ordinamento in questo modo rialloca i costi delle condotte dannose, ponendoli a carico di chi si avvale dell’operato altrui.

A fondare la responsabilità del preponente è il nesso di occasionalità necessaria e lo stesso sussiste se le funzioni esercitate agevolano l’illecito. È irrilevante il superamento dei limiti o il dolo del dipendente, occorre che la condotta non costituisca uno sviluppo anomalo della funzione. Il contesto scolastico richiede accorgimenti preventivi, la dirigenza e tutto il personale devono adottarli e gli stessi vanno attuati in base all’età degli allievi e alle circostanze.

Alunni abusati: anomalia prevedibile

Le situazioni di affidamento di minori sono sicuramente insidiose. La normativa penale infatti distingue le condotte verso minori e aggrava le pene per chi ha compiti di cura, educazione o custodia. L’art. 609-quater c.p, che punisce gli atti sessuali con minori, prevede un trattamento specifico quando tra reo e vittima esiste un rapporto di fiducia o di autorità.

La Convenzione di Lanzarote all’art. 18 prevede sanzioni per chi commette abusi quando riveste posizioni di fiducia. L’abuso che viene attuato all’interno delle relazioni con figure professionali come insegnanti e medici merita un’attenzione particolare.

I minori in queste relazioni vanno protetti, anche se hanno raggiunto l’età per i rapporti sessuali e anche se non vi è coercizione. Le relazioni di cura o istruzione possono evolvere in abuso e questo non costituisce un’anomalia imprevedibile.  Statisticamente, chi abusa di minori spesso è proprio chi se ne occupa. L’assunzione di compiti di cura favorisce quindi i predatori sessuali.

Le condotte delittuose commesse ai danni dei ricorrenti quindi, nel caso di specie, non possono essere considerati “improbabili”. Esse non costituiscono un’anomalia imprevedibile e la Pubblica Amministrazione ha il dovere di prevenire i reati, adottando le misure opportune durante le prestazioni scolastiche.  La reiterazione degli abusi nell’ambiente scolastico evidenzia carenze nel controllo.

 

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