tirocini cassazione

Tirocinanti in Cassazione: pubblicato il bando Al via la selezione per 40 tirocinanti presso la procura generale della Corte di Cassazione. Per partecipare presentare domanda entro l'8 luglio

Tirocinio presso la procura della Cassazione

E’ stato pubblicato il bando per la selezione di 40 tirocinanti presso la procura generale della Cassazione ex articolo 73 del Dl 69/2013.

Il tirocinio si svolgerà a partire da ottobre e durerà sino ad aprile 2026 per una durata complessiva di 18 mesi.

Sono ammessi alla selezione i laureati e i laureandi in giurisprudenza, al di sotto dei trent’anni e con una media di esami di almeno 27/30, in determinate materie indicate dal bando, ovvero con un punteggio di laurea non inferiore a 105/110.

Il tirocinio non dà diritto a compensi nè determina il sorgere di un rapporto di lavoro o di obblighi previdenziali e assicurativi. Tuttavia, i partecipanti possono avere diritto all’assegnazione della borsa di studio prevista dai commi 8bis e 8ter dell’art. 73 del dl 69/2013.

La domanda

Per partecipare alla selezione occorre presentare domanda entro l’8 luglio prossimo, esclusivamente tramite la piattaforma predisposta dal ministero della Giustizia, cui si accede tramite Spid (https://tirociniformativi.giustizia.it/tirocini-formativi/).

Entro il 20 settembre sarà pubblicata la graduatoria definitiva unitamente alla comunicazione della data di inizio del tirocinio.

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fisco avvocati libero foro

Fisco difeso dagli avvocati del libero foro La Cassazione ha affermato che, con l’istituzione dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione, si è passati dal patrocinio esclusivo dell’Avvocatura dello Stato, alla devoluzione della difesa anche ad avvocati del libero foro

Inammissibile l’appello presentato da avvocati del libero foro

Il caso in esame prende avvio dalla decisione adottata dalla Commissione tributaria della Lombardia con la quale veniva dichiarata l’inammissibilità dell’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate- Riscossione dinanzi alla stessa, in quanto presentato a mezzo di un difensore del libero foro.

Avverso tale decisione l’Agenzia delle Entrate aveva proposto ricorso dinanzi alla Corte di cassazione, contestando, per quanto qui rileva, la sentenza della Commissione tributaria nella parte in cui la stessa aveva ritenuto che l’agente della riscossione non avrebbe potuto avvalersi del patrocinio di un avvocato del libero foro, stante quanto previsto dall’art. 4-nonies del d.l. n. 34/2019 e dal protocollo intercorso con l’Avvocatura generale dello Stato ove era stato stabilito che, per la difesa dinanzi alle Commissioni tributarie, l’ente avrebbe potuto stare in giudizio a mezzo di avvocati liberi professionisti.

La Cassazione ammette la possibilità di avvalersi di avvocati del libero foro

La Corte di cassazione, con ordinanza n. 15365-2024, ha accolto il ricorso proposto dall’Agente della riscossione e ha cassato la sentenza impugnata, rinviando, per un nuovo giudizio, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia.

In particolare, la Corte ha rilevato che “con l’istituzione dell’Agenzia delle Entrate- Riscossione (ADER) si è passati dalla previsione dell’integrale ed esclusiva devoluzione del suo patrocinio all’Avvocatura dello Stato (…) alla previsione di un patrocinio affidabile anche ad avvocati del libero foro; il legislatore, cioè, (…) ha delineato un sistema nel quale (…) in tutti i casi non espressamente riservati all’Avvocatura dello stato su base convenzionale, è consentito all’Agenzia delle Entrate- Riscossione di avvalersi anche di avvocati del libero Foro”.

Tale possibilità, ha precisato la Corte, avviene attraverso un meccanismo sostanzialmente automatico, posto che si deve ritenere che la costituzione in giudizio dell’ADER “a mezzo dell’Avvocatura dello Stato ovvero degli avvocati del libero Foro postuli necessariamente ed implicitamente la sussistenza dei relativi presupposti di legge, senza bisogno di allegare documenti o di fornire prove al riguardo”.

Agenzia Entrate-Riscossione difesa da avvocati del libero foro

L’interpretazione appena riferita, ha precisato il Giudice di legittimità, trova altresì conferma nel d.l. n. 34/2019, art. 4-nonies, che ha fornito nome d’interpretazione autentica in materia di difesa in giudizio dell’ADER. Inoltre, il protocollo d’intesa n. 36437/2017 tra l’Avvocatura dello Stato e l’Agenzia delle Entrate- Riscossione, ha previsto espressamente che l’ente possa stare in giudizio avvalendosi direttamente dei propri dipendenti o di avvocati del libero foro.

Alla luce del suddetto quadro normativo e giurisprudenziale, la Corte ha concluso il proprio esame ritenendo del tutto legittimo che l’Agenzia delle Entrate- Riscossione si sia avvalsa di un avvocato del libero foro nel proporre appello dinanzi alla Commissione tributaria.

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Magistratura onoraria: le nuove regole Approvato dal Cdm il disegno di legge che modifica la disciplina della magistratura onoraria: nuove disposizioni su orari di lavoro, compensi e regime contributivo

Ddl riforma magistratura onoraria

Nella seduta del 4 giugno 2024 il CdM ha approvato in esame definitivo il disegno di legge contenente le modifiche alla disciplina della magistratura onoraria. Il provvedimento, che passa ora al vaglio del Parlamento e che è stato emanato per scongiurare il deferimento alla Corte di Giustizia, introduce norme applicabili con riguardo ai giudici onorari che sono in servizio alla data di entrata in vigore del Decreto legislativo n. 116/2017.

Orario di lavoro e disciplina

Il disegno di legge disciplina in primo luogo l’impegno complessivo dei magistrati onorari confermati. La durata dell’orario di lavoro non deve superare le 36 ore per ogni settimana per i magistrati che hanno optato per il regime di esclusività e non deve superare le 16 ore per ogni settimana per i magistrati che non hanno optato per il regime di esclusività. Le ore devono essere svolte nel rispetto del programma lavorativo definito dal presidente del tribunale o dal procuratore della Repubblica presso il tribunale, in base alle indicazioni fornite dal Consiglio superiore della magistratura (CSM).

Compenso

Il disegno di legge disciplina anche il compenso spettante ai magistrati onorari confermati. Ai magistrati che svolgono le loro funzioni in via esclusiva, è corrisposto un compenso annuo di 58.840 euro, che viene corrisposto in tredici mensilità.

Ai magistrati che esercitano in via non esclusiva, è corrisposto il compenso annuo di 20.000 euro, erogato in dodici mensilità. Il compenso viene adeguato al costo della vita.

Inoltre, ai magistrati onorari è riconosciuta la spettanza dei buoni pasto nella misura spettante al personale dell’amministrazione giudiziaria, qualora venga superata la soglia delle sei ore di presenza all’interno dell’ufficio giudiziario.

Contributi e previdenza

Il disegno di legge prevede altresì specifiche disposizioni relative al regime contributivo e previdenziale. I magistrati onorari confermati che svolgono l’attività in via esclusiva sono assicurati all’INAIL contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, sono iscritti al Fondo pensioni lavoratori dipendenti dell’assicurazione generale obbligatoria dell’INPS e sono iscritti a specifiche forme di previdenza e assistenza sociale.

I magistrati onorari confermati che non esercitano in via esclusiva, invece, sono iscritti alla Gestione separata INPS e assicurati all’INAIL contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Inoltre, i magistrati onorari in regime di non esclusiva che hanno titolo per l’iscrizione alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense mantengono l’iscrizione alla Cassa medesima.

Incompatibilità

Il provvedimento prevede ex novo alcune cause di incompatibilità. I magistrati onorari che vengono confermati non possono svolgere la loro attività negli uffici giudiziari dello stesso circondario in cui il coniuge, i conviventi, i parenti fino al secondo grado o gli affini fino al primo grado esercitano la professione di avvocato.

Rimessione nei termini e conferma

Prevista infine una procedura di rimessione nei termini per la richiesta di conferma nella magistratura onoraria, riservata ai magistrati onorari che non l’avevano ancora presentata. Tale procedura è applicabile quando, all’esito delle procedure di conferma già concluse, residuano risorse disponibili. Il CSM bandisce con delibera una nuova procedura di valutazione per un numero di posti corrispondente alle risorse disponibili.

I magistrati onorari non confermati potranno presentare domanda entro sessanta giorni dalla pubblicazione della delibera, sino al compimento del settantesimo anno di età. Riguardo l’opzione per l’esclusività, si prevede che i magistrati confermati possano chiedere di esercitare l’opzione entro il 31 luglio di ogni anno successivo a quello di immissione nel ruolo. Questa domanda transitoriamente può essere esercitata nel termine di trenta giorni dall’entrata in vigore del provvedimento.

crisi impresa banche dati convenzioni

Crisi d’impresa: accesso agli uffici giudiziari Pubblicato il provvedimento 31 maggio 2024 del Ministero della Giustizia che attesta la funzionalità del collegamento telematico con la Agenzia delle entrate, l'INPS ed il Registro delle imprese

Crisi d’impresa: le Convenzioni per l’accesso alle banche dati

È stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 128 del 3.6.2024 il provvedimento adottato dal Ministero della Giustizia e recante “Convenzioni per l’accesso alle banche dati contenenti le informazioni utili per la gestione della crisi d’impresa e dell’insolvenza”

L’accesso alle banche dati in tema di crisi d’impresa

Il sopramenzionato provvedimento si occupa dell’accesso alle banche dati contenenti le informazioni utili per la gestione della crisi d’impresa e dell’insolvenza.

Nel provvedimento in questione viene dato atto che lo stesso è stato adottato sulla base di quanto previsto dall’articolo 367, comma 5 del decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14.

Inoltre, il provvedimento mette in luce come, allo stato attuale, “l’Agenzia delle entrate, INPS e Registro delle imprese non dispongono dei sistemi informatici per la cooperazione applicativa di cui al Codice dell’amministrazione digitale” e che, a causa di tale situazione “si è resa necessaria la stipulazione di apposite convenzioni finalizzate alla fruibilità dei dati informatici”.

Ciò posto, il provvedimento cita le convenzioni stipulate, in data 20 maggio 2024, con l’Agenzia delle entrate, in data 24 maggio 2024, con l’INPS ed in data 27 maggio 2024 con il Registro delle imprese.

Il Ministero ha riferito che il Garante per la protezione dei dati personali ha espresso parere favorevole in data 22 febbraio 2024 in ordine alle suddette convenzioni.

Parere favorevole del Garante

In particolare, il Garante della privacy ha precisato, in merito ai flussi di dati personali effettuati via PEC, di poter esprimere parere favorevole a condizione che:

1) nello schema di convenzione tra Ministero della giustizia e Agenzia delle entrate, sia previsto che i messaggi con i relativi allegati, unitamente ai relativi metadati e alle ricevute di accettazione e di consegna, siano conservati con modalità adeguate a garantire integrità e riservatezza, nonché per un periodo massimo (da individuarsi nello schema) proporzionato rispetto alle finalità per le quali tali dati personali debbano essere trattati;

2) nello schema di convenzione tra Ministero della giustizia e Agenzia delle entrate sia previsto che l’accesso alle informazioni sia effettuato da responsabili del trattamento e da persone autorizzate specificamente designate e destinatarie di apposite istruzioni;

3) nello schema di convenzione tra Ministero della giustizia e INPS, sia previsto che gli allegati al messaggio PEC inviato dall’INPS siano sottoposti a cifratura;

4) nello schema di convenzione tra Ministero della giustizia e INPS, sia previsto che i messaggi siano conservati, unitamente ai relativi metadati e alle ricevute di accettazione e di consegna, con modalità adeguate a garantire integrità e riservatezza, nonché per un periodo massimo (da individuarsi nello schema) proporzionato rispetto alle finalità per le quali tali dati personali debbano essere trattati.

 

 

 

mediazione faq avvocatura

Mediazione: “la quiete dopo la tempesta” Il ministero della Giustizia annuncia l'incontro con l'avvocatura dopo la bufera sulle faq relative alla mediazione e pubblica le nuove

Mediazione, riunione ministero- avvocatura

“Al contrario di quanto rappresentato mediaticamente, in materia di mediazione già lo scorso giovedì è avvenuta in via Arenula una riunione tra i vertici del Gabinetto del Ministero della Giustizia, gli uffici tecnici competenti, il presidente dell’Ocf e delegati Cnf specializzati sul tema”. Così in una nota via Arenula, annunciando la pubblicazione di nuove faq relative alla mediazione.

Le faq incriminate

Tutto ciò dopo la “bufera” scatenata dopo la pubblicazione sul sito del ministero della giustizia di alcune faq sugli organismi di mediazione. Nella sostanza, alcune risposte relative al decreto 150/2023, dipingevano un quadro a tinte fosche, regole che, secondo gli avvocati, potevano anche portare ad una “sospensione delle attività” degli organismi di mediazione e paralizzare l’intero procedimento “in danno dei cittadini”.

A lanciare l’allarme è stato l’OCF, che in una nota parlava di “sconcerto” per la previsione che l’avvocato “il quale intenda divenire responsabile di un organismo debba dimostrare di possedere la qualifica di mediatore, nonostante il chiaro disposto dell’art 16, comma 4-bis, del D. Lgs. 28/2010 secondo il quale gli avvocati iscritti all’albo sono di diritto mediatori”. Ma non solo. Si lamentava “il rischio di una complessiva privatizzazione della mediazione”, derivante da un’altra Faq, per la quale non potrebbe essere nominato responsabile dell’organismo il presidente del Consiglio dell’Ordine o un consigliere, “in danno della parità di trattamento tra Organismi pubblici e privati e della libera scelta per i cittadini di rivolgersi agli uni o agli altri”.

Da qui la richiesta al ministero di una “immediata revoca delle faq” quanto meno relativamente alle parti “censurate” e l’apertura di un confronto con le rappresentanze dell’avvocatura.

Tutto è bene …

E via Arenula, “in spirito di collaborazione” si è dimostrata disponibile a chiarire i punti delle faq sulla mediazione “considerati problematici dall’Avvocatura”. Come “unanimemente concordato nella riunione – ha affermato dunque il ministero – saranno pubblicate nuove Faq, per specificare ulteriormente i punti controversi e venire incontro alle esigenze rappresentate”.

Le nuove faq

Nella stessa giornata del 3 giugno sono state modificate, quindi, le risposte, andando incontro alle richieste dei legali. Nello specifico, tra l’altro: cade l’incompatibilità tra l’incarico di responsabile dell’organismo e quella di consigliere dell’Ordine degli avvocati e viene eliminato il passaggio che stabiliva che laddove l’organismo di mediazione fosse costituito da una fondazione creata dal COA non potesse avere sede nei locali dati dal tribunale all’ordine stesso; è stato precisato inoltre che l’ente istituente e l’organismo di mediazione possono avere unico bilancio.

Rimane il nodo della scadenza per l’iscrizione nel registro fissata al 15 agosto prossimo. L’avvocatura ha chiesto la proroga ma pesano sul rinvio i vincoli del PNRR.

Le nuove faq sul sito del ministero

incompetenza avvocati

L’avvocato incompetente viola il codice deontologico Il CNF conferma la decisione del CDD di Bologna, che ha sanzionato due avvocati, colpevoli di aver accettato un incarico senza avere la necessaria competenza

Illecito disciplinare avvocati

La sentenza n. 23-2024 del Consiglio Nazionale Forense ribadisce l’importanza del rispetto delle norme deontologiche nell’esercizio della professione forense, sottolineando come la richiesta di compensi non concordati e l’accaparramento di clientela tramite terzi siano pratiche inaccettabili. La decisione del CNF conferma però e soprattutto che gli avvocati devono operare con trasparenza, competenza e nel rispetto degli accordi stabiliti con i clienti e i terzi coinvolti.

Il procedimento che si conclude con la sentenza del CNF nasce dalla richiesta di opinamento della parcella di due avvocati relativa ad alcune prestazioni legali fornite in favore di un loro “assistito”. Quest’ultimo avrebbe incaricato gli avvocati di promuovere un’azione legale contro una Banca per un contratto di mutuo ritenuto usurario. Alla fine della causa, gli avvocati avevano inviato al cliente una nota pro-forma di € 14.170,17.

L’assistito si opponeva alla richiesta e chiedeva che la sua difesa fosse considerata anche come esposto contro i suoi avvocati. Egli dichiarava di non ricordare di aver mai incontrato gli avvocati personalmente, ma solo un loro collaboratore. Inoltre, sosteneva di non aver mai ricevuto copia dell’atto di citazione né informazioni sullo stato della causa, salvo la notizia della sentenza sfavorevole. Alcune informazioni le aveva ottenute solo tramite un’impiegata della società che aveva eseguito l’analisi contabile del rapporto con la banca e che aveva suggerito gli avvocati.

Incompetenza sanzionata dal codice deontologico forense

Il Consiglio di Distrettuale di Disciplina di Bologna avviava un procedimento disciplinare contro gli avvocati contestando loro tre violazioni:

  1. violazione dell’art. 9 del Codice Deontologico Forense: per aver richiesto al cliente una somma superiore a quella pattuita con la società di analisi contabile;
  2. violazione dell’art. 19 del Codice Deontologico Forense: per accaparramento di clientela tramite la stipula di un contratto con la società, impegnandosi a retrocedere alla stessa una percentuale dei compensi professionali.
  3. violazione dell’art. 12 del Codice Deontologico Forense: per mancanza di adeguata competenza tecnica nel patrocinare l’assistito nel giudizio contro la Banca.

Il CDD di Bologna, esaminati i documenti e sentite le testimonianze, riteneva provate tutte le condotte contestate. In particolare:

  • gli avvocati avevano richiesto al cliente somme diverse e maggiori rispetto a quelle stabilite con la società;
  • avevano sottoscritto un accordo con la società che prevedeva una retrocessione dei compensi e la limitazione dell’indipendenza professionale;
  • non avevano prodotto in giudizio la documentazione necessaria a sostenere le domande, mancando quindi di competenza. 

Il CDD di Bologna infliggeva la sospensione di due mesi dall’esercizio della professione per un avvocato e la censura per l’altro difensore.

Corrette le sanzioni irrogate

Gli avvocati presentavano ricorso al Consiglio Nazionale Forense, chiedendo l’annullamento o la riduzione delle sanzioni. Nelle memorie difensive, essi sostenevano:

  • l’assenza di un accordo per la determinazione del compenso con il cliente.
  • la revoca del mandato da parte dell’“assistito”che aveva fatto venir meno la copertura assicurativa prevista in caso di esito sfavorevole della causa;
  • l’assenza di un rapporto che potesse configurare il divieto di accaparramento di clientela, poiché la società era un semplice terzo che offriva servizi di supporto;
  • la correttezza e completezza della documentazione presentata a sostegno della causa.

Il CNF, esaminati i fatti e le memorie difensive, confermava in gran parte la decisione del CDD di Bologna. In particolare, il CNF riteneva che:

  • la richiesta di somme superiori a quelle concordate con la società costituisse una violazione del dovere di lealtà e correttezza;
  • la convenzione con la società che prevedeva la retrocessione di parte dei compensi, violasse il divieto di accaparramento di clientela;
  • la mancata produzione della documentazione necessaria in giudizio fosse un errore elementare, indicativo di mancanza di competenza. 

Confermata quindi la responsabilità degli avvocati e le sanzioni irrogate dal CDD.

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giustizia accelera ufficio processo

La giustizia accelera grazie all’ufficio per il processo La ricerca sugli effetti dell'ufficio per il processo sul funzionamento della giustizia civile mostra riflessi positivi sull'abbattimento dell'arretrato e la riduzione dei tempi dei processi

Ufficio per il processo, acceleratore della giustizia civile

L’assunzione degli addetti Upp prevista dal Pnrr ha avuto un impatto positivo sulla definizione dei processi, soprattutto i più complessi, con riflessi positivi anche sull’abbattimento dell’arretrato e la riduzione dei tempi. A dirlo, come riporta via Arenula sul proprio sito, sono i dati del lavoro “Gli effetti dell’ufficio per il processo sul funzionamento della giustizia civile” condotto da un gruppo di ricercatori del Ministero della Giustizia e della Banca d’Italia nell’ambito di un accordo di collaborazione per la valutazione dell’impatto delle misure del Pnrr.

Il testo completo della ricerca – curata da Mario Cannella, Marialuisa Cugno, Sauro Mocetti, Giuliana Palumbo, Gianluca Volpe – sarà pubblicato a breve.

Nel frattempo, spiega il ministero che le stime, sin dall’immissione del primo gruppo di addetti Upp, nel primo trimestre 2022, fino alla fine del 2023, “mostrano come i tribunali che hanno ricevuto un numero maggiore di addetti hanno registrato una variazione nel numero dei procedimenti definiti di circa 4 punti percentuali più elevata; per i procedimenti più complessi la variazione è di circa 10 punti percentuali”.

Un incremento complessivo valutabile in circa 100.000 procedimenti civili all’anno, pari a circa 1/3 dell’arretrato 2019.

“Il contributo degli addetti risulta essere maggiore nei tribunali che prima della pandemia avevano già livelli di produttività elevata – prosegue via Arenula -, segno che gli uffici con maggiore capacità organizzativa hanno saputo sfruttare meglio le nuove risorse”.

L’analisi ha messo in luce solo gli effetti di breve periodo, “nella consapevolezza che solo in un orizzonte temporale più lungo sarà possibile osservare a pieno i benefici – in termini di quantità e qualità – di una nuova organizzazione del lavoro all’interno degli uffici giudiziari”.

protocollo tutela professionisti

Minacce ai professionisti: siglato il protocollo E' stata firmata l'intesa al Viminale tra avvocati, notai e commercialisti e dipartimento della pubblica sicurezza per la tutela dei professionisti

Protocollo a tutela dei professionisti

“Monitorare gli episodi intimidatori compiuti nei confronti degli avvocati, dei commercialisti e dei notai chiamati a svolgere funzioni sussidiarie delle Autorità giudiziarie e indipendenti”. È questo l’obiettivo ispiratore dell’intesa firmata ieri pomeriggio al Viminale tra il Dipartimento della Pubblica Sicurezza, il Consiglio Nazionale Forense, il Consiglio Nazionale dei Commercialisti e il Consiglio Nazionale del Notariato.

L’accordo è stato firmato dal Capo della Polizia – Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, Prefetto Vittorio Pisani; dal Vicepresidente del Consiglio Nazionale Forense, Francesco Napoli; dal Presidente del Consiglio Nazionale dei Commercialisti, Elbano de Nuccio; dal Presidente del Consiglio Nazionale del Notariato, Giulio Biino. Presente anche il Prefetto Annunziato Vardé, Direttore dell’Ufficio per il Coordinamento e la Pianificazione delle Forze di Polizia.

Al via l’Osservatorio dedicato

“L’istituzione di un Osservatorio dedicato consentirà di avere un quadro completo del fenomeno e di mettere in campo azioni concrete per contrastarlo. L’intimidazione dei professionisti rappresenta un attacco al diritto di difesa e al corretto funzionamento della giustizia” spiega il presidente del CNF, Francesco Greco.

Il protocollo, conclude, è “un passo fondamentale nella tutela degli avvocati e di tutti i professionisti che, nell’esercizio delle loro funzioni, subiscono minacce e intimidazioni”.

scuola praticanti notai

Al via la scuola per praticanti notai Il notariato comunica l'apertura di una nuova scuola per la preparazione giuridica dei praticanti notai

Notariato, la scuola per i praticanti

E’ partito il progetto formativo della “Scuola Nazionale del Notariato Giancarlo Laurini” del Consiglio Nazionale del Notariato e della Fondazione Italiana del Notariato. L’obiettivo è quello di “indirizzare, sostenere e consolidare la preparazione giuridica dei praticanti notai, necessaria per il superamento delle prove di concorso e per lo svolgimento dell’attività notarile” si legge nella nota diffusa ieri dallo stesso Notariato.

Finalità essenziale della Scuola è quella di accompagnare lo studio teorico-pratico con l’acquisizione dei principi etici e deontologici fondamentali per l’esercizio corretto della funzione notarile.

L’offerta formativa

Due le proposte formative della Scuola:

  • il “Notary Camp 2024”, tre corsi intensivi della durata di cinque giorni ciascuno (dal lunedì al venerdì) in partenza il prossimo 24 giugno. Si tratta di incontri di studio solo “in presenza” dedicati all’approfondimento di tematiche giuridiche (diritto civile, diritto delle successioni e diritto commerciale) che potrebbero risultare di particolare interesse nell’imminenza delle prove di concorso. Sarà possibile iscriversi sul sito www.scuolanazionalenotariato.it da domani 29 maggio 2024, a partire dalle ore 11, fino al raggiungimento del numero dei posti disponibili. La partecipazione per quest’anno è gratuita.
  • il “Corso ordinario 2024-2025”, della durata di nove mesi (dal 7 ottobre 2024 al 26 giugno 2025), al quale si potrà partecipare sia “in presenza” che “a distanza”, tramite la piattaforma della Scuola. Il Corso sarà suddiviso in tre moduli corrispondenti alle tre prove scritte di concorso (diritto civile, diritto delle successioni e diritto commerciale), completati dallo studio delle materie necessarie per assicurare una preparazione completa e interdisciplinare, quali la legge notarile, la deontologia, la legislazione urbanistica e catastale, il diritto internazionale privato, il diritto dell’Unione Europea, l’informatica giuridica e il diritto tributario. I mesi di maggio e giugno saranno dedicati alle prove di “simulazione di concorso”, con la relativa correzione collettiva e individuale, e costituiranno un quarto modulo solo “in presenza”. Le iscrizioni saranno aperte a partire da metà giugno e saranno messe a disposizione 8 borse di studio: il bando delle borse di studio e tutte le informazioni sui requisiti e sulle modalità di partecipazione saranno disponibili sul sito ufficiale www.scuolanazionalenotariato.it.
titolo avvocato

Il titolo di avvocato non equivale a quello rilasciato dalle SSPL Il TAR afferma che il titolo d’avvocato non dimostra il possesso di tutte le conoscenze che le SSPL offrono, essendo queste dirette a formare figure professionali eterogenee, per la preparazione a concorsi ed esami diversi

SNA: esclusa candidata per assenza del titolo

Nel caso di specie, la ricorrente dopo aver superato le prove preselettive del corso-concorso selettivo di formazione dirigenziale per il reclutamento di dirigenti nelle amministrazioni statali, veniva contatta dagli uffici della Scuola Nazionale dell’Amministrazione (SNA) per le verifiche relative al possesso dei requisiti dichiarati nella domanda di partecipazione, con particolare riguardo alla natura e alle caratteristiche del titolo post lauream, poiché lo stesso non risultava riconducibile ad alcuno dei tre titoli tassativamente previsti dal bando.

Rispetto a tale richiesta di chiarimenti, la candidata aveva esposto le ragioni per cui il titolo posseduto rientrava tra quelli post-universitari considerati utili ai fini dell’accesso al corso concorso di formazione dirigenziale, avente le caratteristiche di cui all’art. 2 del D.P.C.M. 27 aprile 2018, n. 80.

A seguito di ulteriori verifiche istruttorie, la SNA aveva trasmesso alla ricorrente una nota nella quale aveva evidenziato che il titolo in questione non era ascrivibile, né ad un master universitario di secondo livello, né ad un diploma conseguito presso le scuole di specializzazione individuate con il D.P.C.M. 27 aprile 2018, n. 80. Ne conseguiva, pertanto, l’esclusione della candidata dalla procedura concorsuale.

Avverso il suddetto provvedimento di esclusione la candidata aveva proposto ricorso dinanzi al Tribunale Regionale per il Lazio.

Il titolo indicato nel bando di concorso

Il TAR Lazio, con sentenza n. 8767/2024, ha rigettato il ricorso proposto.

Per quanto qui rileva, la ricorrente ha affermato che il titolo post-universitario dalla stessa posseduto era stato rilasciato dalla “Scuola nazionale di Alta Formazione Specialistica” dell’Unione forense per la tutela dei diritti umani (UFDU), riconosciuta dal Ministero della Giustizia, dal Consiglio nazionale Forense in convenzione/consorzio, oltre che con la Scuola Superiore dell’Avvocatura e con cinque Istituti Universitari italiani, pertanto, tale scuola “non sarebbe un mero ente di formazione privato ma un’istituzione pubblico-privata riconosciuta costituita in un vero e proprio consorzio universitario sotto il diretto controllo del Ministero della Giustizia”.

Inoltre, elemento cruciale del ricorso proposto, l’aspirante candidata ha rilevato che, per l’accesso alla suddetta scuola non era sufficiente possedere un titolo di laurea, ma era altresì necessario essere iscritti all’albo degli Avvocati. Ne sarebbe conseguito che il titolo posseduto dalla ricorrente, non solo doveva essere qualificato come master di secondo livello, ma anche come titolo addirittura superiore ai diplomi di specializzazione richiamati dall’art. 4, D.P.C.M. n. 80/2018 sub lettera b), per il conseguimento dei quali è sufficiente il possesso della sola laurea.

La discrezionalità dell’amministrazione

Rispetto alle contestazioni formulate dalla ricorrente, il Giudice amministrativo ha anzitutto ricordato che “in linea di principio, l’amministrazione gode di ampia discrezionalità nell’individuazione dei requisiti per l’ammissione ad una procedura concorsuale, che va esercitata tenendo conto della professionalità e della preparazione culturale richieste per il posto da ricoprire o per l’incarico da affidare. Naturalmente, in quanto esercizio di discrezionalità, tale potere di scelta non può essere esercitato in modo arbitrario ed è suscettibile di sindacato giurisdizionale sotto i profili della illogicità, arbitrarietà, contraddittorietà e irragionevolezza”.

Ciò premesso, il TAR ha ritento che la previsione del bando, secondo cui “al corso-concorso selettivo di formazione di cui all’articolo 28, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, possono essere ammessi (…) i soggetti muniti di (…) master di secondo livello conseguito presso università italiane o straniere dopo la laurea magistrale”, non consente di ritenere che allo stesso possano accedere anche soggetti muniti di un titolo come quello posseduto dalla ricorrente, non qualificabile come “master rilasciato da Università, italiane o straniere, come richiesto dalla normativa di cui la SNA ha fatto corretta applicazione”.

Analogamente, ha proseguito il TAR, in ordine alla ritenuta qualificazione del titolo alla stregua di un diploma di specializzazione “il d.P.C.M. n. 80/18 (…), recante l’individuazione delle scuole di specializzazione che rilasciano i diplomi che consentono la partecipazione ai concorsi per la qualifica di dirigente di seconda fascia, prevede, all’art. 2, che i diplomi di specializzazione utili ai fini della partecipazione sono quelli rilasciati da scuole di specializzazione istituite presso le università o gli istituti universitari”, tale qualificazione, non appare, secondo il Giudice amministrativo “surrogabile dalla stipula di una semplice convenzione con le università per l’organizzazione e il funzionamento del corso da parte di altro ente, pubblico o privato”, come sarebbe stato il corso cui aveva partecipato la ricorrente e di cui si è dato sopra conto.

Il principio dell’assorbimento del titolo inferiore

Per quanto invece attiene all’operatività o meno, nel caso di specie, del principio dell’assorbimento del titolo inferiore in quello superiore, il TAR ha ricordato la tesi sostenuta dalla ricorrente secondo cui il superamento dell’esame di abilitazione all’esercizio della professione forense dovrebbe considerarsi assorbente rispetto ai titoli post-universitari richiesti dal bando e, segnatamente, al diploma conseguito presso le Scuole di Specializzazione per le Professioni Legali (SSPL), giacché queste ultime sarebbero preordinate all’acquisizione di conoscenze funzionali al superamento dell’esame di abilitazione.

Tuttavia il TAR ha affermato che, nel caso esaminato, il principio di assorbimento non verrebbe in rilievo, posto che il titolo c.d. ‘assorbente’, diversamente dal titolo ‘assorbito’, è costituito da un’abilitazione professionale conseguita all’esito dello specifico percorso formativo e di tirocinio disciplinato dalla legge professionale forense. Non si tratta, in altri termini, di un titolo di studio ma di un titolo professionale.

Quanto sopra riferito, ha precisato il Giudice amministrativo, è confermato dal fatto che “Il superamento dell’esame di abilitazione (…) non dimostra affatto il possesso di tutte le conoscenze che le Scuole offrono (..), essendo queste dirette a formare figure professionali eterogenee (e, soprattutto, a fornire gli strumenti necessari per la preparazione a concorsi ed esami diversi, ciascuno connotato da proprie peculiarità)”.

Il TAR ha pertanto concluso il proprio esame, affermando che deve ritenersi più corretto l’orientamento tradizionale secondo il quale “in materia di procedure concorsuali trova applicazione il principio dell’assorbimento del titolo inferiore in quello superiore in virtù del quale nel caso in cui il bando di concorso preveda quale requisito di partecipazione ad una selezione pubblica un determinato diploma tecnico, deve ritenersi dovuta l’ammissione di un candidato in possesso di laurea “coerente”, in quanto il possesso di un titolo superiore ed assorbente consente in via generale la partecipazione ai pubblici concorsi per i quali sia richiesto un titolo inferiore, dal momento che le materie di studio del primo comprendono, con un maggiore livello di approfondimento, quelle del secondo”.