reato di incendio

Il reato di incendio Reato di incendio (art. 423 c.p.): disciplina, fattispecie, profili sanzionatori e giurisprudenza

Reato di incendio art. 423 c.p. 

Il reato di incendio è disciplinato dall’articolo 423 del Codice penale, collocato all’interno del Titolo VI, Capo I, dedicato ai delitti contro la pubblica incolumità. La norma punisce con la pena della reclusione da tre a 7 anni chiunque cagioni un incendio e anche quando l’incendio riguardi una cosa propria del soggetto agente, se dal fatto deriva un pericolo per la pubblica incolumità

L’incendio presuppone un fuoco di ampie dimensioni, che tende a diffondersi e che sia difficile da spegnere,

Differenza tra incendio doloso e colposo

L’incendio doloso richiede il dolo, ossia la volontà dell’agente di causare l’incendio e di accettarne le conseguenze.  In tal caso, il soggetto è punibile ai sensi dell’art. 423 c.p. (dolo generico); 423 bis comma 1 (incendio boschivo doloso);.

L’incendio colposo è disciplinato da diverse norme:

art. 423 bis c.p comma 2: incendio boschivo colposo;

dall’art. 449 c.p., che prevede pene meno gravi. La condotta infatti è punita con la reclusione da uno a cinque  anniAnche in questa forma colposa il reato si configura solo se l’incendio è tale da costituire pericolo per l’incolumità pubblica.

Normativa di riferimento

  • Art. 423 c.p.: incendio;
  • Art 424 bis c.p. incendio boschivo;
  • Art. 424 c.p.: danneggiamento seguito da incendio;
  • Art. 449 c.p.: delitti colposi di danni tra cui figura l’incendio.

Elementi costitutivi del reato di incendio

Per la configurazione del reato ex art. 423 c.p. occorrono:

  • Condotta attiva: accensione del fuoco su cose proprie o altrui;
  • Pericolo concreato o astratto;
  • Nesso causale tra condotta e pericolo;
  • Elemento soggettivo: dolo generico;
  • Pericolo per la pubblica incolumità: anche potenziale.

Pena prevista

Il delitto di incendio, ai sensi dell’art. 423 c.p., è punito con:

  • la reclusione da tre a sette anni.

Se dall’incendio deriva un danno grave a  edifici pubblici, navi, edifici abitati, monumenti, cimiteri, navi, cantieri, ecc. trovano applicazione le aggravanti dell’art. 425 c.p., che comportano un aumento di pena.

Aspetti procedurali

  • Procedibilità d’ufficio.
  • Competenza del tribunale in composizione monocratica.

Giurisprudenza sul reato di incendio

La giurisprudenza ha è intervenuta in diverse occasioni per specificar gli aspetti più importanti del reato di incendio.

Cassazione n. 8598/2024: la sentenza distingue tra la definizione comune di incendio e la definizione giuridica del reato di incendio boschivo (art. 423-bis c.p.).

  • L’incendio comune si verifica solo quando il fuoco divampa in modo incontrollabile e su vasta scala, con fiamme distruttive che si propagano e mettono in pericolo un numero indeterminato di persone.
  • L’incendio boschivo (art. 423-bis c.p.): è un reato di pericolo presunto. Non è necessario che l’incendio si sviluppi completamente con le caratteristiche descritte sopra. È sufficiente che il fuoco appiccato abbia la potenzialità di diventare un incendio, manifestando la tendenza a diffondersi, la difficoltà di essere spento e la possibilità di creare pericolo per la pubblica incolumità.

Cassazione n. 5527/2024: ciò che distingue il reato di incendio doloso (art. 423 c.p.) dal reato di danneggiamento seguito da incendio (art. 424 c.p.) è l’elemento psicologico dell’autore.

  • L’incendio doloso (art. 423 c.p.) richiede il dolo generico, ovvero la volontà di causare un evento con fiamme che, per la loro natura e intensità, sono inclini a propagarsi incontrollabilmente, generando un reale pericolo per la sicurezza pubblica. L’obiettivo primario dell’agente è provocare un incendio con queste caratteristiche.
  • Il danneggiamento seguito da incendio (art. 424 c.p.): è caratterizzato dal dolo specifico di danneggiare una cosa altrui. L’intenzione principale dell’agente è quella di deteriorare o distruggere un bene appartenente ad altri, l’incendio è un risultato secondario, seppur prevedibile.

Rilevanza pratica e considerazioni conclusive

Il reato di incendio è di particolare rilevanza nei contesti urbani e rurali, soprattutto nei periodi di emergenza ambientale o in presenza di fenomeni di vandalismo. La sua disciplina mira a tutelare la sicurezza collettiva e a prevenire disastri con effetti potenzialmente estesi e incontrollabili.

In ambito processuale e difensivo, è fondamentale valutare con attenzione:

  • la natura del fuoco (incendio o semplice combustione),
  • l’intenzionalità della condotta,
  • l’esistenza del pericolo concreto per la collettività,
  • eventuali fattori di rischio connessi (uso di sostanze acceleranti, contesto di luogo e tempo).

 

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contenuto della querela

Il contenuto della querela spiegato dalla Cassazione Il contenuto della querela e la qualificazione giuridica del fatto: la Cassazione si pronuncia con la sentenza n. 4258/2025

Contenuto della querela

Contenuto della querela: la prima sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4258/2025, ha ribadito un principio fondamentale in materia di querela, stabilendo che essa deve limitarsi a contenere la notizia di reato con l’istanza di punizione, mentre la qualificazione giuridica del fatto spetta esclusivamente al giudice.

La vicenda processuale

Il caso in esame trae origine dalla sentenza del tribunale di Foggia che, previa riqualificazione del fatto contestato dal pubblico ministero come integrante la contravvenzione di cui all’art. 660 cod. pen. anziché il reato di cui all’art. 612-bis cod. pen., ha condannato un uomo concessegli le circostanze attenuanti generiche, alla pena di euro 200 di ammenda.
Il Tribunale ha anche precisato che non potesse essere accolta la richiesta,
formulata dal difensore dell’imputato prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, di definizione del procedimento mediante oblazione in caso di riqualificazione del reato di atti persecutori in quello di molestie. A tal proposito, il tribunale ha richiamato pronunce di legittimità secondo cui l’imputato può avere accesso all’oblazione solo quando avanzi, in via preventiva e cautelativa, una
sollecitazione al giudice circa la diversa qualificazione con contestuale richiesta di oblazione, incorrendo altrimenti nella decadenza.

Nel caso di specie, l’imputato si è limitato genericamente a sollecitare di essere ammesso all’oblazione nel caso in cui il giudice avesse in sentenza riqualificato i fatti.

Il ricorso

Avverso la predetta sentenza, ha proposto ricorso innanzi alla Cassazione, il difensore dell’imputato, articolando tre motivi.

Con il primo motivo, lamenta l’omessa declaratoria di improcedibilità per il difetto di querela, nonché la mancanza di motivazione. Nel secondo si duole del negato accesso all’oblazione. Con il terzo e ultimo motivo, infine, la mancanza di motivazione in ordine alla mancata concessione del beneficio della non menzione.

La motivazione della sentenza

Per gli Ermellini, il ricorso è parzialmente fondato, in ordine alla preclusione del diritto a fruire dell’oblazione.

Infondati invece gli altri motivi, soprattutto in ordine alla querela, osservano i giudici, dagli atti risulta che la persona offesa abbia presentato una valida querela contenente l’espressa richiesta di punizione.
Sotto questo profilo, proseguono, “non rileva che la querela fosse stata originariamente proposta per il reato di atti persecutori anziché per quello di molestie, in quanto è sufficiente che l’atto esprima la volontà di procedere nei confronti del responsabile di un fatto.
La querela, invero, rammentano dalla S.C., “deve contenere solo la notizia di reato con l’istanza di punizione, spettando esclusivamente al giudice il potere d’inquadrare il fatto storico, ossia la qualificazione giuridica del fatto stesso, indipendentemente da quella data dal querelante (cfr., tra le altre, Cass. n. 12159/1977; Cass. n. 27964/2020).

La decisione

Alla luce di quanto affermato, la sentenza impugnata per piazza Cavour va annullata limitatamente alla valutazione dell’istanza di ammissione all’oblazione, con rinvio al Tribunale di Foggia in diversa persona fisica per un nuovo giudizio sul punto. Nel resto, invece, il ricorso è rigettato.

Allegati

custodia cautelare

La custodia cautelare Custodia cautelare: cos'è, normativa di riferimento, requisiti di applicazione, durata, reati e giurisprudenza

Cos’è la custodia cautelare?

La custodia cautelare è una misura cautelare personale prevista dal codice di procedura penale (art. 285- art. 286 bis c.p.p). Si applica a un imputato quando sussistono gravi indizi di colpevolezza e specifiche esigenze cautelari, al fine di garantire il corretto svolgimento del processo.

Normativa di riferimento

Le disposizioni relative alla custodia cautelare sono contenute nel Titolo I, Capo II del Libro IV del Codice di procedura penale. Le principali norme di riferimento includono:

  • Art. 272 c.p.p.: sancisce che le libertà della persona possa essere limitata solo con misure cautelari nel rispetto delle disposizioni di legge dedicate presenti nel codice di procedura penale.
  • Art. 273 c.p.p.: le misure cautelari possono essere disposte solo in presenza di gravi indizi di colpevolezza.
  • Art. 274 c.p.p.: le principali esigenze cautelari sono rappresentate dal pericolo di fuga, da quello di reiterazione del reato, dal possibile inquinamento delle prove.
  • Art. 285 c.p.p.: contiene la disciplina della custodia cautelare in carcere.
  • Art. 286 c.p.p.: prevede la custodia cautelare in un luogo di cura.
  • Art 286 bis c.p.p: prevede in quali casi è previsto il divieto della custodia cautelare.

Requisiti per l’applicazione

La custodia cautelare è disposta dal giudice quando ricorrono tre presupposti fondamentali:

  1. Gravi indizi di colpevolezza (art. 273 c.p.p.).
  2. Esigenze cautelari concrete e attuali (art. 274 c.p.p.):
    • Pericolo di fuga;
    • Pericolo di reiterazione del reato;
    • Pericolo di inquinamento delle prove.
  1. Adeguatezza della misura: il giudice deve valutare se misure meno afflittive (es. arresti domiciliari, obbligo di firma) siano insufficienti. Il comma 2 dell’articolo 275 c.p.p sancisce infatti che “ogni misura deve essere proporzionata all’entità del fatto e alla sanzione che sia stata o che si ritiene possa essere irrogata.”

Durata della custodia cautelare

La custodia cautelare ha una durata massima stabilita dagli artt. 303 e 304 c.p.p., che varia in base alla gravità del reato e alla fase del processo:

  • Indagini preliminari: 3 mesi per delitti che prevedono la pena della reclusione non superiore nel massimo a sei anni, 6 mesi per reati puniti con la reclusione per un periodo non superiore a sei anni salvo quanto sancito dal punto 3), comma 1, art. 2303 c.p.p, 1 anno per reati puniti con l’ergastolo o con una pena non inferiore nel massimo a 20 anni;
  • Giudizio di primo grado: sei mesi per reati puniti con la reclusione non superiore nel massimo a sei anni; 1 anno per reati puniti con la pena della reclusione non superiore nel massimo a 20 anni; 1 anno e sei mesi se la pena prevista è l’ergastolo o la pena della reclusione superiore, nel massimo, a 20 anni.
  • Appello e Cassazione: i tempi sono ulteriormente ridotti.

Reati per cui si applica la custodia cautelare

La custodia cautelare può essere applicata per reati di particolare gravità, tra cui:

  • Mafia e associazione per delinquere (art. 416-bis c.p.).
  • Omicidio volontario (art. 575 c.p.).
  • Violenza sessuale aggravata (art. 609-bis c.p.).
  • Traffico di droga (art. 73 D.P.R. 309/90).
  • Rapina aggravata (art. 628 c.p.).

Giurisprudenza rilevante 

La Corte di Cassazione intervenuta spesso in materia di custodia cautelare per precisare le caratteristiche peculiari dell’istituto e la sua applicazione.

Cassazione n. 10925/2025

La misura della custodia cautelare in carcere va confermata nei confronti di un imputato accusato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, evidenziando che il semplice decorso del tempo non è, di per sé, sufficiente a escludere l’attualità delle esigenze cautelari. La decisione si basa sulla persistenza di elementi concreti e attuali che attestano la pericolosità del soggetto, come condotte recenti indicative di una propensione a reiterare reati della stessa natura. In questo contesto, la valutazione dell’autorità giudiziaria deve considerare non solo il tempo trascorso, ma anche eventuali comportamenti che confermino il mantenimento del legame con l’ambiente criminale o la possibilità di nuovi reati.

Cassazione SU n. 44060/2024

Nel caso in cui l’imputato, nei confronti del quale sia stata emessa ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere, divenuta inefficace per il proscioglimento pronunciato all’esito del giudizio di primo grado, venga successivamente sottoposto, ai sensi dell’art. 300, comma 5, cod. proc. pen., a nuova applicazione della custodia in carcere, il rimedio che egli può esperire per impugnare la relativa ordinanza è quello dell’istanza di riesame ex art. 309 cod. proc. pen.

Cassazione n. 32593/2021

In materia di misure cautelari personali, il limite di tre anni di pena detentiva necessario per l’applicazione della custodia in carcere, previsto dall’art. 275 c.p.p., comma 2-bis, opera non solo nella fase di applicazione, ma anche nel corso dell’esecuzione della misura, sicché la misura non può essere mantenuta qualora sopravvenga una sentenza di condanna, quantunque non definitiva, a pena inferiore al suddetto limite; in motivazione, la Corte ha precisato che i principi di proporzionalità ed adeguatezza devono essere costantemente verificati, al fine di attuare la minor compressione possibile della libertà personale, non potendo prevalere le valutazioni compiute in fase cautelar rispetto alla pronuncia adottata in fase di merito.”

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affettività in carcere

Affettività in carcere: le linee guida Affettività in carcere: dopo la pronuncia della Consulta arrivano le linee guida che riconoscono ai detenuti il diritto all'intimità

Affettività in carcere: linee guida post Consulta

Sull’affettività in carcere arrivano le linee guida sottoscritte dal Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Lina Di Domenico.

Il documento recepisce le indicazioni della Corte Costituzionale, che nella sentenza n. 10/2024 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18 della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui non prevede che la persona detenuta possa essere ammessa, nei termini di cui in motivazione, a svolgere i colloqui con il coniuge, la parte dell’unione civile o la persona con lei stabilmente convivente, senza il controllo a vista del personale di custodia, quando, tenuto conto del comportamento della persona detenuta in carcere, non ostino ragioni di sicurezza o esigenze di mantenimento dell’ordine e della disciplina, né, riguardo all’imputato, ragioni giudiziarie.”

Linee guida affettività in carcere: cosa prevedono

Le linee guida, alla luce di quanto sancito dalla Consulta, prevedono che i colloqui intimi saranno consentiti, a meno che non ci sia incompatibilità con l’assenza di un controllo visivo.

Il numero dei colloqui sarà il medesimo di quelli di cui i detenuti e gli internati fruiscono già mensilmente e la durata massima sarà di due ore.

Le amministrazioni penitenziarie dovranno individuare locali da destinare a questi colloqui, che siano in grado di garantire una certa riservatezza. Da preferire le aree vicino all’ingresso dell’istituto, ma la direzione può consentire lo svolgimento dei colloqui in locali distinti.

La stanza destinata ai colloqui intimi sarà arredata con un letto e servizi igienici. La stessa però non potrà essere chiusa dall’interno e sarà sorvegliata soltanto esternamente dalla Polizia penitenziaria equipaggiata per il controllo dei detenuti e dei soggetti ammessi ai colloqui intimi e all’ispezione della stanza prima e dopo l’incontro.

Via preferenziale per i detenuti che non beneficiano di permessi premio o di altri benefici che consentano loro di coltivare rapporti affettivi all’esterno e detenuti e imputati che, a parità di condizioni, devono scontare pene più lunghe e si trovano in uno stato di privazione della libertà da più tempo.

Per quanto riguarda i soggetti ammessi ai colloqui le linee guida indicano il coniuge, la parte dell’unione civile e il convivente, dopo gli opportuni controlli documentali e la firma del consenso informato del soggetto in visita.

Soggetti esclusi e possibili limitazioni

Sono esclusi dai colloqui intimi i detenuti sottoposti a regimi detentivi speciali come quelli previsti dall’artt. 41-bis O.P. e dall’art. 14-bis O.P.

Alle Direzioni il compito di individuare eventuali ragioni ostative per ragioni di sicurezza o per la necessità di mantenere l’ordine e la disciplina.

Colloqui intimi esclusi in ogni caso per i detenuti in isolamento sanitario. I colloqui infine potranno essere negati nelle ipotesi di detenzione, dal parte dell’internato, di sostanze stupefacenti, oggetti atti a offendere e cellulari e nei casi in cui il soggetto abbia manifestato un’indole violenta o tenuto condotte che potrebbero comportare rischi in sede di colloquio.

 

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dl sicurezza

Dl Sicurezza: le misure In vigore il dl sicurezza che rafforza tra le altre cose la tutela legale per le forze dell’ordine e introduce il reato di rivolta nelle carceri

Dl sicurezza: approvazione d’urgenza

Il Consiglio dei ministri nella giornata di venerdì 4 aprile 2025 ha approvato il dl Sicurezza. Il nuovo decreto contiene 39 articoli e presenta modifiche sostanziali rispetto al testo originario (ddl sicurezza), che sarebbe confluito in questo testo dopo i correttivi richiesti dal Colle.

Il decreto legge n. 48/2025 recante “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela personale in servizio, nonchè di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario” è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale l’11 aprile per entrare in vigore il 12 aprile 2025.

Le misure del nuovo provvedimento 

Una delle misure di maggiore interesse riguarda la tutela legale delle Forze di Polizia, dei Vigili del fuoco e delle Forze armate, che verranno sopportati economicamente con importi sino a 10.000 euro per ogni fase del procedimento.

Specificate le condotte che configurano il reato di “rivolta” nelle carceri e nei Centri per il rimpatrio, limitandolo a violazioni di ordini legati alla sicurezza.

Per i migranti viene meno l’obbligo di mostrare il permesso di soggiorno per ottenere una SIM: sarà sufficiente il documento d’identità.

Nei reati contro pubblici ufficiali, si dovranno considerare anche le attenuanti, superando l’automatismo a favore delle aggravanti previsto nel ddl.

Sul tema delle detenute incinte, il testo prevede che il giudice potrà valutare le esigenze del minore, anche in caso di gravi condotte della madre, superando l’obbligo rigido di custodia attenuata previsto nel disegno originario.

Prevista la procedibilità d’ufficio per il reato di occupazione abusiva di immobili se la condotta è perpetrata nei confronti di soggetto incapace per età o infermità.

Le forze di polizia potranno essere di bodycam per registrare lo svolgimento dell’attività di conservazione dell’ordine pubblico e del controllo del territorio. Possibilità estesa al personale addetto alla sicurezza a bordo dei treni.

Pene più severe per chi imbratta e deturpa gli immobili destinati all’esercizio delle funzioni pubbliche.

Le vittime di usura potranno avvalersi di un tutor nella gestione del mutuo loro concesso, per un reinserimento ottimale nel contesto economico legale.

 

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reato di peculato

Reato di peculato Il reato di peculato di cui all'art. 314 del codice penale: cos'è, come funziona e differenze con la concussione

Cos’è il reato di peculato

Il reato di peculato si verifica quando un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio si appropria, indebitamente, di denaro o beni mobili altrui, di cui ha il possesso o la disponibilità in virtù del suo ufficio o servizio. La norma si pone l’obiettivo di tutelare gli interessi di natura patrimoniale della PA e quindi il suo buon andamento.

Art. 314 c.p: reato di peculato

L’articolo 314 c.p, che punisce il reato di peculato, recita: “Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizi, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da quattro a dieci anni e sei mesi. Si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l’uso momentaneo, è stata immediatamente restituita.”

Questo articolo prevede quindi che, nel caso in cui un pubblico ufficiale (come un ministro, un funzionario pubblico, un agente della polizia, ecc.) o un incaricato di pubblico servizio (ad esempio, un consulente pubblico o un appaltatore) si appropri di denaro o cose mobili altrui in suo possesso per ragioni di servizio o ufficio, venga punito con la reclusione da 4 fino a 10 anni e sei mesi.

Elemento oggettivo 

L’elemento oggettivo del reato di peculato è rappresentato dall’appropriazione indebita di denaro o beni mobili altrui da parte di un pubblico ufficiale o di un incaricato di pubblico servizio. Perché il reato si configuri deve esserci una appropriazione del denaro o d altre cose mobili che sono nel suo possesso in ragione del suo ufficio o servizio.

Se il soggetto attivo del reato si appropria del denaro o dei beni mobili altrui, solo per farne un uso momentaneo e poi restituisce il tutto si configura il reato di peculato d’uso.

Elemento soggettivo

L’elemento soggettivo del reato di peculato è il dolo generico. Esso si traduce nella volontà di appropriarsi dei beni pubblici per un scopo personale, che può essere economico o materiale. È essenziale che l’appropriazione venga compiuta con consapevolezza e intenzionalità. La condotta deve essere volontaria e il pubblico ufficiale deve agire con l’intenzione di trarre un beneficio illecito.

Nel peculato d’uso invece il dolo è specifico e consiste nella volontà di fare un uso momentaneo del denaro e delle cose pubbliche.

Pena e procedibilità del reato di peculato

Per il reato di peculato è la reclusione da 4 a 10 anni e sei mesi. La pena può essere maggiorata in caso di circostanze aggravanti (es: danno particolarmente grave per la pubblica amministrazione o coinvolgimento di più persone). La reclusione può essere invece ridotta se il reo restituisce i beni o il denaro di cui si è appropriato prima del processo. In questo modo egli dimostra infatti la volontà di riparare il danno arrecato.

Il peculato è un reato procedibile d’ufficio. Non è necessaria quindi la querela della parte lesa per avviare il procedimento penale. In altre parole il processo penale può essere avviato anche senza che la pubblica amministrazione presenti una denuncia. Questo aspetto è importante per tutelare l’interesse pubblico e impedire che l’azione penale possa essere bloccata da eventuali interessi privati.

Peculato e concussione a confronto

Sebbene il peculato e la concussione abbiano entrambi, come protagonisti, i pubblici ufficiali, i due reati si differenziano in modo significativo sotto il profilo della condotta e dell’intento dell’agente.

  • Peculato: il pubblico ufficiale si appropria indebitamente di beni o risorse che gli sono stati affidati per ragioni di servizio o ufficio. In questo caso, la condotta è quella di appropriarsi di risorse pubbliche per fini personali.
  • Concussione (art. 317 c.p.): il pubblico ufficiale costringe una persona a dargli o promettergli indebitamente denaro o altre utilità, abusando delle sue qualità e dei suoi poteri.

Il peculato implica l’appropriazione di beni o denaro, mentre la concussione si fonda sull’intimidazione che il pubblico ufficiale esercita nei confronti di un terzo per farsi dare o promettere denaro o altre utilità.

Giurisprudenza

La giurisprudenza ha fornito importanti chiarimenti sul reato di peculato. Di seguito alcune sentenze significative.

Cassazione n. 11928/2025

Secondo l’orientamento costante della giurisprudenza di legittimità, confermato dai principi stabiliti dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 19054 del 20/12/2012, l’utilizzo di un’auto di servizio per scopi privati è generalmente vietato. Si presume che tali veicoli siano destinati esclusivamente all’uso pubblico, a meno che non esistano provvedimenti ufficiali che autorizzino deroghe specifiche e documentate. In assenza di tali autorizzazioni, l’uso dell’auto di servizio per fini personali costituisce reato di peculato.

Cassazione n. 4520/2025

Il delitto di indebita destinazione di denaro o cose mobili, disciplinato dall’articolo 314-bis del codice penale, punisce le azioni di distrazione dei beni menzionati che, in precedenza, la giurisprudenza considerava rientranti nell’abrogato reato di abuso d’ufficio; pertanto, l’introduzione di questa nuova fattispecie non ha modificato l’ambito di applicazione del reato di peculato.

Cassazione n. 39546/2024

Il reato di peculato protegge sia il patrimonio della pubblica amministrazione sia l’integrità del suo operato, sussistendo anche in assenza di danno economico se l’interesse alla legalità viene violato. Il fulcro del reato risiede nell’abuso del possesso del bene da parte del funzionario, che lo usa per fini personali anziché istituzionali, anche senza arrecare un danno economico all’ente pubblico. Tuttavia, l’uso simultaneo del bene per scopi privati e pubblici non configura peculato se non causa un apprezzabile danno economico o funzionale all’amministrazione, poiché in tal caso non si verifica l’interversione del possesso che costituisce l’essenza del reato.

 

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trattenimento dello straniero

Trattenimento dello straniero: più garanzie per i migranti Convalida del trattenimento dello straniero: la Consulta boccia il rito senza contraddittorio previsto dal d.l. n. 145/2024

Convalida del trattenimento dello straniero

Trattenimento dello straniero: con la sentenza n. 39 del 2025, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità parziale dell’art. 14, comma 6, del Testo unico sull’immigrazione (d.lgs. n. 286/1998), come modificato dal decreto-legge n. 145/2024, nella parte in cui richiama il rito camerale semplificato previsto per il mandato d’arresto europeo consensuale.

Il Giudice delle leggi ha ritenuto la disposizione lesiva degli articoli 3 e 24 della Costituzione, nella misura in cui nega alle parti la possibilità di partecipare all’udienza davanti alla Corte di cassazione nel giudizio sulla convalida del trattenimento dello straniero espulso o richiedente protezione internazionale.

La disciplina contestata

La norma impugnata prevedeva l’applicazione, anche al giudizio di legittimità sulla convalida del trattenimento, del procedimento camerale privo di contraddittorio previsto per il mandato d’arresto europeo consensuale (art. 22, comma 5-bis, quarto periodo, legge n. 69/2005). In base a tale schema, la Corte di cassazione decide in camera di consiglio, senza la presenza delle parti, entro sette giorni dalla ricezione degli atti.

Violazione del diritto di difesa

Secondo la Consulta, l’estensione di tale procedura al trattenimento amministrativo è manifestamente irragionevole, in quanto i due istituti presentano natura, finalità e struttura profondamente differenti.

Nel mandato d’arresto europeo consensuale, l’interessato presta il proprio consenso alla consegna, limitando l’oggetto del giudizio. Di contro, nel procedimento relativo alla convalida del trattenimento, vi è un confronto dialettico tra le parti e possono emergere profili di illegittimità sostanziale della misura restrittiva.

La soluzione indicata dalla Corte

A garanzia del diritto al contraddittorio e alla difesa, la Corte ha individuato nella disciplina prevista per il mandato d’arresto europeo ordinario (art. 22, commi 3 e 4, legge n. 69/2005) la norma più idonea a colmare la lacuna determinata dalla dichiarazione di illegittimità.

Tale procedura, pur mantenendo caratteri di celerità e semplificazione, prevede la partecipazione delle parti all’udienza camerale, salvaguardando così il nucleo essenziale delle garanzie giurisdizionali.

L’intervento del legislatore

La Corte costituzionale ha sottolineato che la sostituzione normativa operata ha valore provvisorio, nell’attesa di un eventuale intervento legislativo che possa rimodulare la disciplina del giudizio di legittimità in materia di trattenimento dello straniero, purché nel rispetto dei principi costituzionali e, in particolare, del diritto al processo e alla partecipazione attiva delle parti.

ddl sicurezza alimentare

Ddl Sicurezza alimentare: i nuovi reati Approvato il 9 aprile dal Consiglio dei Ministri un ddl che introduce tre nuovi reati in materia di agricoltura e pesca

Ddl sicurezza alimentare

Ddl sicurezza alimentare: il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste Francesco Lollobrigida e del Ministro della giustizia Carlo Nordio, ha approvato il 9 aprile 2025 un disegno di legge che introduce disposizioni sanzionatorie in materia di agricoltura e pesca.

Contraffazione e truffa nell’agroalimentare

Il testo mira a contrastare i fenomeni di contraffazione e truffa nel settore agroalimentare. A tal fine, da un lato “detta disposizioni volte alla riorganizzazione della categoria dei reati in materia alimentare, con modifiche che incidono sulla specificità delle condotte sanzionate, oltreché sull’inasprimento del relativo impianto sanzionatorio”. Dall’altro, “interviene sulla disciplina vigente in tema di tracciabilità dei prodotti e sul sistema dei controlli nel settore alimentare, in modo da salvaguardare la fiducia dei consumatori nell’accesso ad alimenti di elevata ed indiscussa qualità e tipicità e garantire la trasparenza e la concorrenza del mercato agroalimentare”.

I nuovi reati

In ambito penale, in particolare, con il Ddl Sicurezza alimentare:

  • si introducono nuove fattispecie di reato in materia agroalimentare al fine di intercettare le molteplici condotte criminose che possono annidarsi lungo l’intera filiera che va dalla produzione alla distribuzione dei prodotti;
  • si interviene sulla disciplina in materia di indagini, consentendo l’ispezione sulle cose senza preventivo avviso al difensore, laddove sia necessario prelevare un campione con urgenza;
  • si introducono disposizioni volte a consentire la destinazione a scopi benefici degli alimenti confiscati soggetti a rapido deterioramento;
  • si interviene in materia di intercettazioni, inserendo anche i nuovi reati di frode alimentare e commercio di alimenti con segni mendaci, nonché in materia di operazioni sotto copertura, ammettendole per le sole ipotesi di agropirateria e commercio di alimenti con segni mendaci.

Tracciabilità prodotti

In materia di tracciabilità dei prodotti recanti la denominazione di origine protetta o indicazione geografica tipica si istituisce una nuova piattaforma per la registrazione delle movimentazioni riguardanti il latte di bufala e i suoi derivati, nella quale i soggetti della filiera (ossia gli allevatori, i trasformatori e gli intermediari di latte di bufala) devono inserire quotidianamente i dati relativi alla produzione, trasformazione e commercializzazione del latte di bufala e dei prodotti da esso ottenuti, nonché i quantitativi di latte di bufala o derivati provenienti da Paesi UE e non UE.

Si inaspriscono, inoltre, le sanzioni amministrative pecuniarie previste in materia di tracciabilità dei prodotti agroalimentari, nonché per la violazione delle disposizioni in materia di produzione della mozzarella di bufala campana DOP. Queste sanzioni possono essere aumentate in caso di violazioni commesse da medie e grandi imprese e ridotte in caso di violazioni commesse da microimprese.

Blocco dei prodotti e cabina di regia

In materia di controlli nel settore agroalimentare e della pesca:

  • si introduce la misura del blocco ufficiale temporaneo dei prodotti agroalimentari e della pesca e dei mezzi tecnici di produzione, qualora vengano rilevate violazioni documentali di carattere formale che non comportano rischio per la salute umana, al fine di permettere agli organi accertatori di bloccare la merce in attesa delle verifiche necessarie per valutare la conformità o meno dei prodotti agli standard;
  • si istituisce presso il MASAF la “Cabina di regia per i controlli amministrativi nel settore agroalimentare”;
  • si introduce il divieto di costituzione di CAA (Centri autorizzati di assistenza agricola) per i soggetti che, nei sei mesi antecedenti alla richiesta di autorizzazione alla costituzione, abbiano partecipato alla compagine sociale di un diverso CAA cui sia stata revocata l’autorizzazione. Il medesimo divieto si applica in caso di reiterazione della condotta;
  • si introducono nuovi illeciti amministrativi, nelle ipotesi in cui i CAA richiedano, in qualsiasi forma, una remunerazione o qualsiasi altro tipo di compenso non dovuti per le prestazioni da rendere a favore delle imprese agricole in virtù delle citate convenzioni.
  • si introduce, con riferimento al piano dei controlli in materia di denominazione protetta, la possibilità di adottare una misura cautelare di carattere interdittivo, stabilendo che l’amministrazione possa inibire al soggetto inadempiente, in via cautelare e sino all’adozione del provvedimento definitivo, l’utilizzo della denominazione protetta;
  • si riordina la disciplina in materia di pesca marittima.

Nordio: “Tre reati per difendere i prodotti italiani”

“Si introducono tre reati nuovi”, ha annunciato il ministro della Giustizia Carlo Nordio nel corso della conferenza stampa dopo il Consiglio dei Ministri. Si tratta di nuove misure per contrastare le frodi nel settore agroalimentare: commercio di alimenti con segni mendaci, frode alimentare e il reato di “agropirateria”.

Il Guardasigilli ha inoltre sottolineato l’estensione della possibilità di ricorrere alle intercettazioni in questi ambiti: “È un segnale che vogliamo dare in un momento di necessità di tutelare il prodotto italiano e la buona fede del consumatore”.

maltrattamenti in famiglia

Maltrattamenti in famiglia controllare economicamente la moglie Maltrattamenti in famiglia: integra il reato di cui all'art. 572 c.p. ostacolare l'autonomia economica della moglie

Maltrattamenti in famiglia

Impedire alla moglie di essere economicamente indipendente integra il reato di maltrattamenti in famiglia. A questa conclusione è giunta la Corte di Cassazione con la sentenza n. 1268/2025. Gli Ermellini hanno infatti rigettato il ricorso di un uomo, condannato per aver maltrattato la moglie per quasi vent’anni, anche in presenza dei figli minori. Conclusione a cui è giunta più di recente sempre la Suprema Corte con la sentenza n. 12444 del 31 marzo 2025.

Violenza fisica e psicologica

Il caso di cui si sono occupati gli Ermellini riguarda un uomo, che negli anni ha perpetrato una serie di condotte illecite continuative ai danni della moglie. L’imputato ha esercitato violenza fisica, ha proferito minacce di morte, ha umiliato sessualmente e infine denigrato pubblicamente la moglie. L’uomo inoltre ha manipolato i figli per controllarla, anche dopo la separazione, ma soprattutto ha attuato un controllo psicologico ed economico opprimente.

Sfruttamento competenze lavorative

Nel corso del processo è emerso come l’imputato negli anni abbi sfruttato le competenze lavorative della moglie. L’ha costretta infatti a lavorare come contabile nella sua azienda per anni senza darle alcuna retribuzione. Le ha impedito quindi attivamente di raggiungere lindipendenza economica. Si è rifiutato inoltre di darle denaro per le sue necessità personali e le ha negato la possibilità di frequentare corsi di aggiornamento e di formazione. L’uomo ha persino molestato e perseguitato la moglie sul suo nuovo posto di lavoro. Lo stesso si è sottratto a ogni responsabilità familiare, delegando interamente le incombenze alla donna. Le azioni commesse dall’uomo e di cui è responsabile insomma sono molteplici e pervasive. Lo stesso ha addirittura installato una telecamera di sorveglianza intorno alla casa per monitorare ogni movimento della moglie e le ha imposto una serie di divieti. Il tutto accompagnato da minacce e umiliazioni.

Maltrattamenti in famiglia impedire l’autonomia

La Corte di Cassazione, dopo un’attenta analisi delle prove, concorda con le decisioni dei giudici precedenti, avallando un’interpretazione moderna (e in linea con le normative internazionali ed europee) dell’articolo 572 del codice penale. Questa interpretazione mira a proteggere efficacemente le persone che non possono sottrarsi agli abusi a causa del loro legame con l’aggressore.

La Corte di Cassazione, valutando attentamente tutti gli aspetti della violenza, ha infatti respinto il ricorso dell’uomo. Ha riconosciuto che le sue azioni miravano a limitare l’autonomia economica della moglie. Le condotte includono l’ostacolare la ricerca di un lavoro, controllare i suoi spostamenti con una telecamera, impedirle di coltivare relazioni esterne, imporle un ruolo casalingo discriminatorio, sottrarsi alle responsabilità domestiche e familiari, e non retribuire il lavoro svolto nell’azienda familiare. La componente economico-patrimoniale assume un rilievo particolare. Le decisioni economiche sono state prese unilateralmente dall’imputato, spesso attraverso manipolazioni e pressioni psicologiche. Questi comportamenti hanno inciso sull’autonomia, la dignità umana e l’integrità fisica e morale della vittima, beni giuridici tutelati dall’articolo 572 del codice penale e dalla Costituzione. Il controllo economico esercitato dal marito rientra quindi nelle forme di violenza domestica riconosciute a livello internazionale.La condanna dell’uomo per il reato di maltrattamenti è la logica conseguenza del suo totale disprezzo per i diritti e le libertà della moglie. La violenza economica del reato da tempo è riconosciuta come una forma specifica di violenza, equiparabile a quella fisica e psicologica. Non si può trascurare che questa forma di abuso, sebbene non lasci segni visibili, sia capace di prostrare le vittime e annientarne la capacità di agire.

 

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Allegati

valida la notifica

Valida la notifica effettuata alla moglie anzichè al difensore Per la Cassazione è valida la notifica effettuata alla moglie convivente anzichè al domicilio eletto perchè garantisce la conoscenza dell'atto

Notifica valida alla moglie convivente

È ritenuta valida la notifica effettuata alla moglie convivente della persona offesa, anche se non eseguita presso il domicilio eletto del difensore, giacché idonea a garantire la conoscenza dell’atto. Lo ha affermato la sesta sezione penale della Cassazione con la sentenza n. 12445/2025.

Il caso

Nella vicenda, il Tribunale di Nola, all’udienza dibattimentale del processo a carico di un imputato per i reati di cui agli artt. 570 e 570-bis cod. pen., dichiarava la nullità, ex art. 178, lett. c) c.p.p., del decreto di citazione emesso dal giudice dell’udienza predibattimentale. In particolare, dal verbale dell’udienza risultava che la difesa della persona offesa aveva eccepito l’omessa notifica del decreto che disponeva il giudizio (la persona l’aveva ricevuta a mani proprie, ma in sede di querela aveva nominato il difensore di fiducia), chiedendo la remissione in termini per la costituzione di parte civile.
lI Tribunale, nel dichiarare la nullità del decreto, riteneva di qualificarsi quale giudice predibattimentale e disponeva la rinnovazione delle notificazioni rinviando l’udienza.

Il ricorso

Avverso la suddetta ordinanza proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, denunciando l’abnormità del provvedimento e lamentando che erroneamente il tribunale aveva ritenuto la notifica alla persona offesa non
valida, nonostante la consegna a mani proprie e contrariamente alla giurisprudenza di legittimità sul punto. Pertanto, correttamente il giudice dell’udienza predibattimentale aveva ritenuto regolare la costituzione delle parti fissando la prosecuzione del giudizio alla fase dibattimentale. Mentre, il Tribunale dichiarando nullo il provvedimento di prosecuzione del giudizio e autodesignandosi giudice dell’udienza predibattimentale, aveva determinato una indebita regressione del procedimento.

Per la S.C., il ricorso è fondato.

Notifica alla moglie convivente

Va premesso, affermano i giudici, che non dava luogo ad alcuna nullità la notificazione “a mani” della persona offesa, anziché al domicilio legale. Si è infatti affermato “che è nullo, per violazione del diritto al contraddittorio, il decreto di archiviazione nel caso in cui l’avviso della richiesta avanzata dal pm sia stato notificato alla persona offesa, che ha chiesto di essere informata, presso la sua residenza per compiuta giacenza, nonostante abbia nominato un difensore di fiducia, perché, in tal caso, il domicilio si intende eletto presso il difensore stesso a meno che la notifica sia eseguita a mani di persona convivente (cfr. Cass. n. 15521/2019)”. Inoltre, “la notifica effettuata a mani della moglie convivente della persona offesa, anziché presso il difensore, è valida in quanto idonea a garantire la conoscenza dell’atto”. L’art. 33 disp. att. c.p.p. infatti “ha lo scopo di soddisfare esigenze di speditezza e di economia processuale e non di creare un assetto di garanzie a tutela della persona offesa di più ampio spessore rispetto a quello previsto per l’imputato, in conformità al principio generale per il quale alla certezza legale è equiparata la certezza storica (cfr. Cass. n. 10718/2016)”.

La decisione

Nella specie, osservano dalla S.C., il Tribunale poteva rilevare l’eventuale nullità della notificazione del decreto di citazione alla persona offesa, trattandosi di nullità a regime intermedio ex art. 180 c.p.p. e disporre la restituzione degli atti al giudice dell’udienza predibattimentale”.
L’art. 554-bis c.p.p. prevede infatti che spetti al Giudice dell’udienza predibattimentale disporre la rinnovazione delle notificazioni dichiarate nulle.
L’abnormità, ragionano da piazza Cavour, “piuttosto risiede nel fatto che il giudice del dibattimento si sia arbitrariamente investito della trattazione della fase predibattimentale (che in base all’art. 554-ter c.p.p. va trattata da un giudice diverso rispetto a quello dell’udienza dibattimentale)”.
Ne consegue che l’ordinanza impugnata deve essere annullata senza rinvio con la trasmissione degli atti al Tribunale di Nola per il giudizio in sede di udienza predibattimentale.

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