busta paga

Busta paga: cos’è e come si legge Busta paga: cos'è, caratteristiche principali, a cosa serve, come si compone e come si legge

Cos’è la busta paga?

La busta paga è un documento fondamentale per ogni lavoratore dipendente, poiché attesta il compenso percepito e fornisce dettagli sulle ritenute fiscali e previdenziali applicate. Tuttavia, leggere e comprendere una busta paga può risultare complesso a causa della presenza di numerose voci, sigle e codici.

La busta paga è un documento obbligatorio che il datore di lavoro fornisce ai dipendenti per certificare il pagamento dello stipendio. Contiene informazioni relative alla retribuzione lorda e netta, contributi previdenziali, trattenute fiscali e ore lavorate.

Caratteristiche principali  della busta paga

La busta paga presenta alcuni aspetti peculiari:

  • è un documento ufficiale con valore legale;
  • deve essere chiaro e dettagliato nelle sue voci;
  • deve essere consegnato ogni mese al lavoratore;
  • contiene dati anagrafici del lavoratore e del datore di lavoro.

A cosa serve la busta paga?

La busta assolve a una serie di importanti funzioni:

  • dimostrare il reddito del lavoro al fine di poter richiedere per mutui, prestiti e pagare affitti;
  • controllare il corretto pagamento dello stipendio da parte del datore;
  • verificare la regolarità dei contributi previdenziali e delle tasse versate;
  • calcolare il TFR (trattamento di fine rapporto).

Come leggere una busta paga: guida pratica

La busta paga è suddivisa in diverse sezioni, ognuna delle quali riporta informazioni specifiche. Essa si compone di una intestazione, di un corpo e di una parte finale. Vediamo nel dettaglio quali sono approssimativamente le principali voci e il loro significato, tenendo conto che il modello è variabile.

1. Intestazione e dati anagrafici

Nella parte superiore del documento si trovano le seguenti informazioni:

  • dati del datore di lavoro: nome dell’azienda, partita IVA e sede legale;
  • dati del lavoratore: nome, cognome, codice fiscale, qualifica e livello contrattuale;
  • periodo di riferimento: mese e anno della busta paga;
  • posizione Inail di lavoratore e datore;
  • coefficienti di retribuzione.

2. Retribuzione lorda

In questa sezione vengono indicati gli elementi che compongono lo stipendio lordo:

  • retribuzione base: stabilita dal CCNL di riferimento;
  • scatti di anzianità: aumenti retributivi legati agli anni di servizio.
  • straordinari: compensi per ore di lavoro extra rispetto all’orario normale.

Esempio di calcolo della retribuzione lorda

  • Stipendio base: 1.500€
  • Indennità di mansione: 100€
  • Straordinari: 50€
  • Totale lordo: 1.650€

3. Contributi previdenziali e trattenute fiscali

Dalla retribuzione lorda vengono sottratte alcune voci:

Contributi INPS:

  • a carico del lavoratore (attorno al 9%);
  • a carico del datore di lavoro (varia in base al contratto).

Trattenute IRPEF:

  • il calcolo viene effettuato  e in base alle aliquote fiscali in vigore.
  • possono variare in base alle detrazioni per carichi familiari.

Esempio di trattenute fiscali:

  • Reddito annuo: 25.000€
  • IRPEF al 27% = 6.750€ annui
  • Suddiviso in 12 mesi: 562,50€ trattenuti al mese.

Addizionali regionali e comunali: queste percentuali variano da regione e regione e da comune a comune  in base alla regione e al comune di residenza.

4. Retribuzione netta

Dopo aver sottratto contributi e tasse, si ottiene lo stipendio netto, ovvero l’importo effettivamente percepito dal lavoratore.

Esempio di calcolo dello stipendio netto

  • Retribuzione lorda: 1.650€
  • Contributi INPS: -150€
  • IRPEF: -200€
  • Totale netto: 1.300€ (circa)

5. Trattenute aggiuntive e voci accessorie

Oltre ai contributi previdenziali e fiscali, in busta paga possono comparire altre trattenute, come:

  • la quota sindacale (se il lavoratore è iscritto a un sindacato);
  • la cessione del quinto (rata di un prestito trattenuta dallo stipendio).
  • i contributi destinati al fondo pensione complementare.

6. TFR (Trattamento di Fine Rapporto)

La busta paga riporta l’accantonamento del TFR, ovvero la somma che il datore di lavoro mette da parte ogni mese e che verrà corrisposta al dipendente alla cessazione del rapporto di lavoro.

Come si calcola il TFR?
Il TFR annuo è pari a 1/13,5 della retribuzione lorda annua.

Esempio:

  • Retribuzione annua: 20.000€
  • TFR accantonato: 1.481€ annui

7. Dettaglio delle presenze e ferie

In questa sezione troviamo:
i giorni lavorati e le ore ordinarie;
le ferie e i permessi maturati e residui;
le malattie, i congedi e le assenze giustificate.

Esempio di busta paga

Un esempio di struttura di una busta paga potrebbe essere il seguente:

Voce

Importo (€)

Retribuzione base

1.500

Indennità mansione

100

Straordinari

50

Totale lordo

1.650

Contributi INPS

-150

IRPEF

-200

Addizionali regionali

-30

Stipendio netto

1.270

TFR accantonato

123

Considerazioni conclusive

La busta paga è un documento essenziale per ogni lavoratore dipendente, ma comprenderne le varie voci è fondamentale per verificare l’esattezza dello stipendio percepito e tenere sotto controllo tasse e contributi versati. Se si hanno dubbi sulla propria busta paga, è sempre consigliabile consultare un consulente del lavoro o un sindacato per ottenere chiarimenti.

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collegato lavoro

Collegato lavoro: le indicazioni del Ministero Il collegato lavoro ha introdotto diverse novità, il Ministero con la circolare n. 6/2025 chiarisce alcuni punti fondamentali

Collegato lavoro: circolare n. 6 del 27 marzo 2025

Con la circolare n. 6 del 27 marzo 2025 il Ministero del lavoro interviene per illustrare gli interventi principali del collegato lavoro.

La circolare fornisce importanti dettagli sui seguenti articoli della legge n. 203/2024:

  • articolo 10 che va a modificare la disciplina della somministrazione contenuta nel decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81;
  • articolo 11 che contiene la norma di interpretazione autentica dell’articolo 21 comma 2 del decreto legislativo n. 81/2015 in materia di lavoro stagionale;
  • articolo 13 che integra l’art. 7 comma 2 del decreto legislativo n. 104/2022;
  • articolo 14 modifica l’articolo 23 della legge n. 81/2017 che si occupa della comunicazione di avvio e di conclusione dello smart working;
  • articolo 19, che modifica l’articolo 26 del decreto legislativo n. 151/2015 che contiene le norme in materia di risoluzione del contratto di lavoro con particolare riferimento alle dimissioni volontarie del lavoratore e alla risoluzione consensuale.

Vediamo brevemente le principali indicazioni della circolare sul collegato lavoro, suddivise per argomenti.

Contratto di somministrazione

Per i contratti di somministrazione stipulati dopo il 12 gennaio 2025, il limite di 24 mesi per il lavoro tramite agenzia si calcola solo considerando i periodi di missione a tempo determinato iniziati dopo quella data. Non si contano i periodi di missione svolti prima del 12 gennaio 2025.

Le agenzie di somministrazione inoltre possono inviare a tempo determinato senza specificare la causale i seguenti soggetti:

  • disoccupati che percepiscono da almeno 6 mesi indennità di disoccupazione non agricola o ammortizzatori sociali;
  • lavoratori svantaggiati o molto svantaggiati definiti dalla normativa europea e da un decreto del Ministero del Lavoro.

Lavoro stagionale

Si deve considerare come lavoro stagionale l’attività a tempo determinato, svolta in specifici periodi dell’anno senza continuità, con alcune semplificazioni rispetto alla disciplina generale del lavoro a termine. Le attività stagionali includono quelle previste dal DPR n. 1525/1963 e quelle definite dai contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali sottoscritti dalle organizzazioni sindacali più rappresentative.

Periodo di prova

Per i contratti di lavoro iniziati dal 12 gennaio 2025, salvo condizioni più favorevoli previste dai contratti collettivi, il periodo di prova dura un giorno effettivo di lavoro ogni quindici giorni di calendario dall’inizio del rapporto. La durata minima è di due giorni, la massima è di quindici giorni per contratti fino a sei mesi e di trenta giorni per contratti tra sei e dodici mesi. I limiti massimo sono inderogabili anche da parte della contrattazione collettiva.

Comunicazioni smart working

Previsto il termine di cinque giorni per comunicare l’inizio, la fine e le modifichealla durata originario dello smart working.  Il nuovo termine è operativo per le comunicazioni obbligatorie del lavoro agile a partire dal 12 gennaio 2025 per i datori di lavoro privati.

Dimissioni e risoluzione consensuale

Il rapporto di lavoro si può concludere per dimissioni per fatti concludenti, in caso di assenza ingiustificata del lavoratore per un certo periodo di tempo. L’effetto si produce se il datore prende atto della presunta volontà del lavoratore e decide di concludere il rapporto. La durata dell’assenza che giustifica la conclusione del rapporto deve essere superiore ai 15 giorni se il CCNL non ne dispone una diversa.

 

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festività soppresse

Festività soppresse Festività soppresse: quali sono, quale legge le ha abolite e quali sono le conseguenze per i lavoratori in termini di riposo e retribuzione

Cosa sono le festività soppresse

Le festività soppresse sono giornate che in passato erano riconosciute come festività civili o religiose, ma che nel tempo sono state eliminate dal calendario festivo nazionale. Tuttavia, la loro abolizione non ha comportato la perdita del diritto al riposo o alla retribuzione per i lavoratori, poiché il legislatore ha previsto specifiche tutele in merito.  

Quali sono le festività soppresse?

Le festività soppresse erano originariamente riconosciute dalla Legge n. 260/1949, che disciplinava le festività nazionali. Successivamente, con la Legge n. 54/1977, alcune di queste sono state eliminate dal calendario, pur mantenendo delle compensazioni per i lavoratori. In Italia sono:

  • San Giuseppe (19 marzo)
  • Ascensione (quaranta giorni dopo la Pasqua, variabile): nel 2025 è il 29 maggio 2
  • Corpus Domini (giovedì successivo alla Pentecoste, variabile): nel 2025 è il 19 giugno
  • Unità Nazionale (4 novembre) – celebrazione senza chiusura lavorativa

Normativa di riferimento

La principale normativa sulle festività soppresse include:

  • Legge n. 260/1949: contiene le disposizioni in materia di ricorrenze festive
  • Legge n. 54/1977: contiene le disposizioni in materia di giorni festivi, ha soppresso alcune festività e ne ha regolato la compensazione;
  • P.R. n. 792/1985_ ha confermato la soppressione delle festività religiose;
  • Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL), che stabiliscono modalità di compensazione specifiche per ogni categoria di lavoratori.

Conseguenze per i lavoratori

Le festività soppresse sono state trasformate in permessi individuali retribuiti per i lavoratori. Questi permessi, noti come “ex festività”, ammontano a un totale di 32 ore annuali. Queste giornate, pur non essendo più considerate festive a livello civile, danno diritto ai lavoratori a godere di permessi retribuiti, permettendo loro di usufruire di un riposo equivalente. I permessi per le ex festività, derivanti dalle festività religiose soppresse, sono regolati dai contratti collettivi di lavoro. La retribuzione di questi permessi è calcolata con le stesse modalità utilizzate per i giorni di ferie.

Giurisprudenza

La giurisprudenza si è più volte espressa sulla questione delle festività soppresse e sulla loro gestione retributiva:

Cassazione n. 8926/2024: Anche in assenza di una specifica regolamentazione contrattuale per i dipendenti degli enti pubblici non economici, la mancata fruizione dei riposi per festività soppresse può essere monetizzata al termine del rapporto di lavoro, purché sussistano le stesse condizioni previste per la monetizzazione delle ferie. Ciò è possibile in virtù delle disposizioni dell’art. 2 della legge n. 937 del 1977, che equiparano sostanzialmente i riposi per festività soppresse alle ferie, consentendo così l’applicazione analogica delle norme relative a quest’ultime.

Cassazione n. 18425/2014: la maggiorazione retributiva per le festività soppresse non è automatica, ma dipende dalle previsioni del contratto collettivo applicato. In particolare, se il contratto prevede tale maggiorazione solo in caso di effettiva prestazione lavorativa durante la festività, come nel caso esaminato, in cui le lavoratrici avevano usufruito di permessi sindacali, la maggiorazione non spetta. La Corte ha inoltre ribadito che il principio di onnicomprensività della retribuzione, pur esistente, non è una regola assoluta e non impedisce all’autonomia privata di escludere determinati compensi dal calcolo della retribuzione per altri istituti contrattuali o legali, a meno che non vi sia una norma specifica che lo imponga.

Tribunale Napoli n. 23136/2011: La reintroduzione di una festività soppressa, come il 2 giugno, non autorizza il datore di lavoro a modificare unilateralmente un accordo che prevede ferie o permessi in sostituzione delle festività civili soppresse. Nemmeno la presupposizione, che richiederebbe la risoluzione del contratto o un nuovo accordo bilaterale, può giustificare tale modifica unilaterale.

reddito di cittadinanza

Reddito di cittadinanza: bastano 5 anni di residenza Reddito di cittadinanza: non è assistenza sociale, ma il requisito di residenza deve essere ridotto a cinque anni

Reddito di cittadinanza e requisito residenza

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 31/2025, ha chiarito che il reddito di cittadinanza (Rdc) – abrogato dal 1° gennaio 2024 – non può essere considerato una misura assistenziale, poiché non mira esclusivamente a soddisfare bisogni primari. Piuttosto, si tratta di una politica attiva per l’occupazione, caratterizzata da obblighi e condizionalità stringenti, il cui mancato rispetto comporta la perdita del beneficio.

Il reddito di cittadinanza non è assistenziale

Nella sua interpretazione costituzionalmente orientata, la Corte ha ribadito che il Rdc non rientra tra le prestazioni di puro sostegno economico, ma è finalizzato all’inclusione lavorativa e sociale. A tal proposito, la sentenza ha sottolineato che la recente pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 29 luglio 2024 (cause riunite C-112/22 e C-223/22) non pregiudica questa interpretazione, in quanto la CGUE si è limitata a valutare il diritto dell’Unione, senza sindacare la legittimità dell’interpretazione italiana del Rdc.

Requisito di residenza: da dieci a cinque anni

La questione principale esaminata dalla Corte riguardava la legittimità del requisito di residenza decennale per accedere al Reddito di Cittadinanza. Se da un lato un criterio di radicamento territoriale può essere giustificato per evitare discriminazioni indirette, la durata di dieci anni è stata ritenuta eccessiva e non proporzionata agli obiettivi della misura.

Diversamente da altre prestazioni assistenziali, come l’assegno sociale, che valorizza l’inserimento pregresso dello straniero nella società italiana, il Rdc ha un obiettivo futuro, mirato all’integrazione nel mercato del lavoro. Ridurre il requisito di residenza a cinque anni consente di mantenere un criterio di selezione equilibrato, evitando discriminazioni e rispettando il principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione.

L’equilibrio con il diritto dell’Unione Europea

L’adeguamento del requisito di residenza a cinque anni permette anche di armonizzare la normativa italiana con la giurisprudenza europea. La Corte di Giustizia dell’UE, infatti, aveva ritenuto il requisito decennale discriminatorio nei confronti dei cittadini di Paesi terzi, senza però esprimersi sul trattamento riservato ai cittadini dell’Unione Europea. La modifica evita quindi una discriminazione alla rovescia nei confronti di questi ultimi, garantendo un accesso equo alla misura.

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certificazione parità di genere

Certificazione parità di genere: le nuove Linee guida Certificazione parità di genere: aggiornate le linee guida per la programmazione e la progettazione della formazione

Certificazione parità di genere: linee guida

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha pubblicato il Decreto direttoriale n. 115 del 17 marzo 2025, che aggiorna le linee guida per la formazione finalizzata alla certificazione della parità di genere. L’obiettivo è supportare le imprese nel processo di certificazione, evidenziando l’importanza della parità di genere sia per l’equità sia per la competitività aziendale.

Struttura della formazione

Il provvedimento suggerisce un percorso modulare suddiviso in tre livelli:

  1. Formazione introduttiva – Aiuta le imprese a comprendere il sistema di certificazione, i suoi vantaggi e le procedure previste.
  2. Approfondimento sui KPI di parità – Analizza i sei ambiti chiave della certificazione (cultura e strategia, governance, processi HR, equità retributiva, genitorialità e conciliazione vita-lavoro).
  3. Formazione avanzata per il management – Destinata ai dirigenti, garantisce l’efficacia delle politiche aziendali per la parità di genere.

Modalità di attuazione

Le linee guida individuano tre possibili modalità per attuare la formazione:

  • accordi tra Regioni e Camere di Commercio per sfruttare le competenze territoriali.
  • bandi regionali specifici per selezionare progetti di formazione mirati.
  • finanziamenti in sinergia con il Fondo Sociale Europeo Plus (FSE+).

Certificazione parità di genere: obiettivo linee guida

L’aggiornamento mira a fornire strumenti pratici alle imprese, adattabili alle diverse realtà produttive. La certificazione non solo promuove l’equità, ma consente alle aziende di accedere a incentivi fiscali e premialità. Il documento rappresenta quindi un supporto strategico per integrare la parità di genere nei processi aziendali e migliorare la sostenibilità del sistema economico.

 

Leggi anche l’articolo che definisce la certificazione

licenziamento legittimo

Licenziamento legittimo per il dipendente che discrimina la collega Licenziamento legittimo quello irrogato al dipendente che offende ripetutamente e discrimina la collega per il suo orientamento sessuale

Licenziamento legittimo condotta discriminatoria

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 6345 del 10 marzo 2025, conferma il licenziamento legittimo del  dipendente disposto per motivi disciplinari, perché ritenuto responsabile di aver offeso reiteratamente l’orientamento sessuale di una collega.

Offese reiterate di contenuto sessista rivolte alla collega

Un dipendente si rivolge a una collega con frasi disonorevoli e immorali, lesive della sua dignità. Il comportamento, reiterato e aggravato dalla presenza di altri colleghi, ha portato all’espulsione del lavoratore dall’azienda. Il dipendente però ha impugnato il provvedimento davanti all’autorità giudiziaria.

In primo grado, il Tribunale respinge l’impugnazione del lavoratore. La Corte d’Appello invece dichiara illegittimo il licenziamento, ritenendolo una misura sproporzionata, ma risolve comunque  il rapporto di lavoro, condannando l’azienda a pagare 20 mensilità di retribuzione. La società presenta ricorso incidentale in Cassazione, la quale accoglie il primo motivo, rinviando il caso alla Corte d’Appello per riesaminare la sussistenza della giusta causa di licenziamento. In sede di riassunzione, la Corte d’Appello rigetta il reclamo del lavoratore, confermando la legittimità della sanzione disciplinare.

Moleste le offese discriminatorie

I comportamenti offensivi e discriminatori legati all’orientamento sessuale di un collega integrano infatti una forma di molestia. La valutazione si basa sul contenuto oggettivo della condotta e sulla percezione soggettiva della vittima. Non occorre dimostrare lintenzione di arrecare danno da parte dell’autore. In questo caso, il lavoratore ha violato l’articolo 45, punto 6, del DPR 148/1931, che sancisce l’obbligo di mantenere una condotta rispettosa e decorosa nei confronti dei colleghi. Le frasi pronunciate sono state considerate disonorevoli, immorali e discriminatorie, immeritevoli di pubblica stima.

La Cassazione non può rivalutare il merito

La Cassazione respinge quindi i motivi sollevati dal lavoratore nei confronti della sentenza della Corte d’Appello, pronunciatasi in sede di rinvio. I giudici hanno ritenuto inammissibili tali argomentazioni,  perché finalizzate a ottenere una diversa valutazione dei fatti. La Suprema Corte  conferma quindi l’importanza del rispetto della dignità dei colleghi e della tutela contro le discriminazioni sessuali, elemento fondamentale dell’ordinamento giuridico italiano.

 

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Allegati

politiche attive del lavoro

Politiche attive del lavoro: online il nuovo portale E' online dal 17 marzo 2025 il nuovo portale per le politiche attive del lavoro e viene disattivata la piattaforma MyANPAL

Nuovo Portale per le politiche del lavoro

Il Ministero del Lavoro, con avviso sul proprio sito del 14 marzo 2025, ha reso noto che dal 17 marzo 2025 è operativo il Portale per le politiche attive del lavoro, che ospiterà tutti i servizi digitali per l’inserimento e il reinserimento nel mondo del lavoro prima disponibili sulla piattaforma MyANPAL.

Come accedere

I servizi erogati, informa il dicastero, saranno fruibili dopo aver effettuato l’accesso dalla pagina dedicata del portale Servizi Lavoro del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Dopo aver effettuato la procedura di autenticazione occorrerà cliccare sulla voce “Portale per le politiche attive del lavoro”.

La piattaforma MyANPAL è quindi definitivamente disattivata dalle 8.30 di sabato 15 marzo 2025.

 

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certificazione unica

Certificazione Unica 2025 Inps: come scaricarla online L'Inps ha reso noto che è disponibile online la Certificazione Unica 2025, ecco come fare per ottenerla

Online la Certificazione Unica 2025

L’INPS ha reso noto che è disponibile online la Certificazione Unica 2025 relativa ai redditi percepiti nel 2024.

A cosa serve

Il documento è indispensabile per la presentazione della dichiarazione dei redditi.
La CU è accessibile a tutti i cittadini attraverso le modalità digitali e tradizionali, riflettendo così l’impegno dell’Istituto verso l’innovazione e la semplificazione dei servizi.

Le CU pubblicate all’apertura del servizio hanno raggiunto la cifra di 26.783.143.

Come ottenerla

Per visualizzare, scaricare e stampare il modello CU 2025 è necessario accedere con le proprie credenziali (SPID, CIE, CNS, eIDAS e PIN) all’area personale MyINPS e seguire il percorso: “I tuoi servizi e strumenti” > “Servizi fiscali e pagamenti ricevuti da INPS” > “Certificazione Unica 2025 (Cittadino)”.

I  pensionati possono scaricare il documento anche tramite il servizio online “Cedolino della pensione”.

La CU 2025 è disponibile anche via app su INPS Mobile per dispositivi Android e Apple iOS, utilizzando le credenziali personali e il servizio “Certificazione Unica”.

Altri metodi per ottenere la Certificazione Unica

In alternativa, la Certificazione Unica potrà essere richiesta tramite:

  • patronati, CAF e professionisti abilitati;
  • Posta Elettronica Certificata (PEC) all’indirizzo richiestacertificazioneunica@postacert.inps.gov.it, allegando una copia del documento di identità del richiedente. In questo caso, la Certificazione Unica sarà inviata dall’INPS direttamente alla casella di posta elettronica utilizzata per la richiesta;
  • numero verde dedicato 800 434320;
  • Contact center multicanale al numero 803 164 oppure al numero 06 164164.
infortunio sul lavoro

Infortunio sul lavoro Infortunio sul lavoro: cos'è, obblighi del lavoratore e del datore, procedura INAIL, risarcimento del danno e giurisprudenza recente

Cos’è l’infortunio sul lavoro

L’infortunio sul lavoro è un evento traumatico che si verifica durante lo svolgimento dell’attività lavorativa e che provoca un danno fisico o psichico al lavoratore. Secondo la definizione dell’INAIL, un infortunio sul lavoro deve presentare le seguenti caratteristiche:

  • causa violenta: evento improvviso e circoscritto nel tempo.
  • occasione di lavoro: deve avvenire durante l’espletamento delle mansioni lavorative.
  • lesione o danno alla salute: con conseguente inabilità temporanea, permanente o morte.

Normativa di riferimento infortunio sul lavoro

L’infortunio sul lavoro è regolato da diverse normative tra cui:

  • P.R. 1124/1965: contiene il Testo Unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali.
  • D. Lgs. 81/2008 (Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro): impone obblighi di prevenzione a carico del datore di lavoro.
  • 2087 Codice Civile: stabilisce l’obbligo del datore di lavoro di garantire la sicurezza dei lavoratori.
  • Circolari INAIL: regolano le procedure operative per la gestione degli infortuni.

Cosa fare in caso di infortunio sul lavoro

Vediamo quali sono i passaggi fondamentali che deve compiere il lavoratore in caso di infortunio.

  • Informare immediatamente il datore di lavoro: la comunicazione deve essere tempestiva per consentire l’avvio della procedura INAIL.
  • Recarsi al pronto soccorso, rivolgersi al medico dell’azienda se presente sul posto di lavoro o al proprio medico curante. Questo perchè è essenziale ottenere un certificato medico con diagnosi e prognosi. In alternativa il lavoratore
  • Trasmettere il certificato medico all’INAIL: la trasmissione è generalmente effettuata dal medico curante in via telematica.

Gli obblighi a carico del datore di lavoro

  • Comunicare l’infortunio all’INAIL entro 48 ore dalla ricezione del certificato medico (se l’assenza supera i tre giorni).
  • Annotare l’infortunio nel registro aziendale.
  • Adottare misure di prevenzione per evitare ulteriori incidenti.

Procedura per la domanda INAIL

Compilazione e invio della denuncia di infortunio: il datore di lavoro trasmette la segnalazione all’INAIL in modalità telematica.

Apertura della pratica INAIL: l’ente esamina il caso e determina il diritto alla copertura.

Visite mediche di controllo: per confermare l’invalidità temporanea o permanente.

Erogazione dell’indennizzo: in base alla durata e gravità dell’infortunio.

Risarcimento del danno

L’INAIL riconosce diverse forme di indennizzo:

  • Indennità giornaliera: pari al 60% della retribuzione giornaliera per i primi 90 giorni, e al 75% dal 91° giorno.
  • Rendita INAIL: se l’infortunio causa un’invalidità permanente pari o superiore al 16%.
  • Assegno per assistenza personale continuativa: per infortuni con invalidità grave.

Se l’infortunio è stato causato da colpa del datore di lavoro, il lavoratore può richiedere il risarcimento del danno differenziale, ovvero il risarcimento delle somme non coperte dall’INAIL.

Giurisprudenza rilevante

La giurisprudenza ha definito importanti principi in materia di infortunio sul lavoro:

Cassazione n. 25313/2024: la responsabilità del datore di lavoro per un infortunio sul lavoro può essere esclusa solo in caso di rischio elettivo, ossia quando il comportamento del lavoratore risulta “abnorme, inopinabile ed esorbitante” rispetto alle direttive ricevute. Il datore di lavoro ha l’obbligo di garantire la sicurezza del lavoratore, anche in presenza di imprudenza o negligenza da parte di quest’ultimo. Inoltre, l’eventuale mancanza di cautela del lavoratore non interrompe il nesso causale con la condotta colposa del datore di lavoro, qualora quest’ultimo non abbia adottato tutte le misure di prevenzione necessarie in base alle condizioni concrete del lavoro.

Cassazione n. 28428/2024: il tempo impiegato per raggiungere il luogo di lavoro può essere considerato parte dell’attività lavorativa e, quindi, sommato all’orario di lavoro come straordinario, quando lo spostamento è funzionale alla prestazione lavorativa. Ciò avviene, ad esempio, quando un dipendente è obbligato a recarsi presso la sede aziendale e successivamente inviato in diverse località per svolgere la sua attività.

Cassazione n. 6775/2025: in materia di infortuni sul lavoro, la responsabilità del datore di lavoro non viene esclusa dal comportamento negligente del lavoratore infortunato, se l’evento dannoso è riconducibile alla carenza di misure di sicurezza che, se adeguatamente adottate, avrebbero potuto prevenire il rischio derivante dalla condotta imprudente del lavoratore stesso.

 

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malattia e visite fiscali

Malattia e visite fiscali: tutte le info sul sito INPS Online la pagina dell'istituto dedicata all'indennità di malattia e visite fiscali per i lavoratori dipendenti e iscritti alla Gestione Separata

Malattia e visite fiscali

Malattia e visite fiscali: l’INPS ha pubblicato online sul proprio sito una nuova pagina interamente dedicata all’indennità di malattia, riconosciuta a lavoratori dipendenti e iscritti alla Gestione Separata, e alle visite mediche di controllo.

Nella pagina dedicata sul portale dell’istituto sono contenute tutte le informazioni d’interesse sia sull’indennità riconosciuta ai lavoratori dipendenti e a quelli iscritti alla Gestione Separata, quando un evento di malattia ne determina l’incapacità temporanea al lavoro, sia sulle visite fiscali.

Le info su indennità di malattia e visite mediche

Con riferimento all’indennità di malattia, per entrambe le categorie di lavoratori l’Istituto fornisce le informazioni su:

  • requisiti;
  • durata della prestazione;
  • quanto spetta;
  • modalità di pagamento;
  • come richiedere l’indennità.

La pagina, inoltre, fornisce le indicazioni sulle visite mediche di controllo. Per consentire i controlli di verifica dell’effettiva temporanea incapacità lavorativa, infatti, il lavoratore deve rendersi reperibile al proprio domicilio nelle fasce orarie previste.

L’assenza alla visita medica di controllo, se non giustificata, comporta l’applicazione di sanzioni.

Tramite la pagina, infine, informa l’istituto, è possibile scaricare diverse guide sulla tutela della malattia e sui certificati.

 

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