assegno divorzile

Assegno divorzile: 25 mesi di matrimonio non bastano Assegno divorzile: la breve durata del matrimonio non esclude l’assegno a meno che manchi la comunione morale e materiale

Assegno divorzile: l’assenza di comunione di vita può escluderlo

Sull’assegno divorzile torna a pronunciarsi la Cassazione nella sentenza n. 21955-2024. Gli Ermellini precisano che la breve durata del matrimonio influisce sulla determinazione della misura dell’assegno divorzile, ma non sulla sussistenza del diritto allo stesso. Questa regola vale a meno che tra i coniugi non si sia realizzata una comunione di vita materiale e spirituale.

Assegno divorzile per l’ex moglie malata

Due coniugi restano uniti in matrimonio per pochi mesi. La moglie chiede la separazione, ma poco dopo la coppia si riconcilia. A distanza di poco più di due anni i due si separano per una seconda volta. La coppia non ha figli. Nel giudizio di divorzio il Tribunale riconosce alla moglie un assegno divorzio di Euro 450,00 con funzione assistenziale. Il Tribunale precisa però che la malattia da cui è  affetta la donna non è invalidante e non rappresenta un ostacolo allo svolgimento di un’attività lavorativa.

Ridotto l’assegno divorzile: comunione spirituale e materiale quasi assente

Il marito impugna la decisione per contestare il riconoscimento dell’assegno di divorzio. La Corte d’Appello accoglie il ricorso del marito e riduce l’importo dell’assegno a 350 euro mensili. Per la il giudice dell’impugnazione non sussistono i presupposti necessari per riconoscere un assegno divorzile con funzione perequativa e compensativa.

Matrimonio breve e convivenza assente

Tra i coniugi non si è mai instaurata una comunione di vita affettiva a causa della brevissima durata del matrimonio. La coppia non ha mai convissuto stabilmente insieme, perché la donna ha conservato una sua abitazione. Da questi fatti si può anche desumere che la donna non abbia mai partecipato e contribuito alla formazione di un patrimonio comune, in effetti del tutto inesistente, o del patrimonio personale del marito. Il coniuge infatti al momento del matrimonio ha ereditato i beni di famiglia e risulta nudo proprietario dell’abitazione gravata dall’usufrutto in favore della madre. Il marito inoltre, di professione avvocato da vari decenni, ha un suo patrimonio. La moglie  in tutto questo non ha dato alcun contributo, neppure morale, al marito.

Assegno divorzile con funzione assistenziale

L’assegno di 350,00 euro è riconosciuto solo in funzione assistenziale, dopo aver valutato le condizioni di salute della donna. La certificazione medica prodotta attesta infatti la presenza di sclerosi multipla nella forma relapsing remittente, caratterizzata dall’alternanza di periodi acuti con periodi di rimessione. Per la Corte però la donna potrebbe lavorare, anche grazie a una laurea in lingue e a pregresse esperienze lavorative. La donna potrebbe conseguire un reddito discreto, ma non risulta che si sia attivata nella ricerca di un lavoro o di prestazioni assistenziali dopo la fine del matrimonio. L’assegno non può essere eliminato, ma sicuramene va ridotto considerata la ridotta capacità lavorativa della moglie nei periodi di recidiva della malattia.

Assenza di comunione di vita e matrimonio breve: niente assegno

Il marito impugna la sentenza davanti alla Cassazione per contestare il riconoscimento dell’assegno divorzile.

La Cassazione accoglie i primi due motivi del ricorso perché fondati. Corretta la deduzione della non spettanza dell’assegno divorzile alla luce della mancata instaurazione di una comunione di vita conseguente alla scarsissima durata del matrimonio e all’assenza di una convivenza effettiva. La Corte di Appello ha infatti rilevato la breve durata del matrimonio, l’assenza di una costante convivenza e la conseguente assenza di una comunione di vita, che è l’essenza del matrimonio. Il giudice dell’impugnazione tuttavia ha riconosciuto l’assegno, seppur in misura ridotta rispetto al giudice di primo grado.

Sulla questione però la Cassazione afferma da tempo che “in tema di divorzio, la durata del matrimonio influisce sulla determinazione della misura dell’assegno … ma non anchesalvo nei casi eccezionali in cui non si sia realizzata alcuna comunione materiale spirituale tra i coniugi – sul riconoscimento dellassegno divorzile”.

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assegno di maternità

Assegno di maternità Assegno di maternità dei Comuni 2024: importo, requisiti soggettivi e reddituali e indicazioni per fare domanda

Assegno di maternità: che cos’è

L’assegno di maternità è un contributo economico previsto per ogni figlio nato a partire dal 1° gennaio 2001 o per ogni minore in affidamento preadottivo o in adozione che alla data indicata non sia stato dato in affidamento.

A chi spetta l’assegno di maternità

Le donne residenti in Italia, con cittadinanza italiana o comunitaria o straniere in possesso di determinati requisiti hanno diritto all’assegno di maternità.

L’assegno spetta alle madri disoccupate o che, pur lavorando, non godono di altre indennità di maternità erogate dall’INPS o dal datore di lavoro. La misura spetta anche alle madri che beneficiano di indennità  di maternità in misura inferiore all’assegno di maternità. In quest’ultimo caso l’assegno è erogato per la differenza.

Importo dell’assegno di maternità nel 2024

La circolare INPS n. 40 del 29 febbraio 2024 ha reso noto che, la variazione dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati da applicare nel 2024 all’assegno di maternità è del 5,4%.

L’importo mensile dell’assegno di maternità per nascite, affidamenti e adozioni verificatesi dal 1° gennaio al 31 dicembre del 2024 è quindi di Euro 404,17, per 5 mesi. L’importo complessivo per i 5 mesi di durata dell’assegno invece è di Euro 2.020,85.

Requisito economico ISEE per l’assegno di maternità

La stessa circolare INPS n. 40/2024 ha reso noto altresì il requisito economico richiesto nel 2024 per accedere all’assegno di maternità. Per le nascite, gli affidamenti preadottivi e le adozioni senza affidamenti verificatisi dal 1 gennaio fino al 31 dicembre 2024 l’ISEE non deve superare  Euro 20.221,13.

Domanda: come e quando farla

La domanda per richiedere l’assegno di maternità deve essere presentata al Comune di residenza entro 6 mesi. Il termine decorre dalla nascita o dalla data di ingresso effettivo in famiglia del minore adottato o in affidamento.

Quando la domanda può essere presentata da soggetti diversi dalla madre

  • Se la madre del bambino è minorenne, il padre, se maggiorenne, può presentare domanda. Se anche il padre del bambino è minorenne il genitore della madre, che ne ha la responsabilità genitoriale o un legale rappresentante, può fare domanda.
  • Se la madre del minore o colei che lo avuto in adozione o in affido è deceduta, la domanda può essere inoltrata dal padre che lo abbia riconosciuto (o dal coniuge della donna adottiva o affidataria). Il minore però deve collocato presso la famiglia anagrafica del soggetto che fa la domanda e deve essere sottoposto alla sua responsabilità genitoriale.
  • Se la madre ha abbandonato il bambino o il minore è stato dato in affidamento esclusivo al padre, la domanda può essere presentata da quest’ Il minore in questo caso deve trovarsi presso la famiglia anagrafica del padre e deve essere sottoposto alla sua responsabilità genitoriale. La madre deve risultare residente o soggiornante in Italia al momento del parto, in questo caso l’assegno spetta al padre.
  • Se i coniugi si sono separati la domanda può essere presentata dall’adottante o dall’affidatario preadottivo. Il minore tuttavia deve far parte della famiglia anagrafica del soggetto che presenta la domanda e l’assegno non deve essere già stato riconosciuto alla madre adottiva o affidataria.
  • In caso di adozione speciale (art. 44 comma 3 legge n. 184/1983) la domanda può essere presentata dall’adottante non sposato. Il minore però deve essere collocato presso la famiglia anagrafica del richiedente e deve essere sottoposto alla sua responsabilità genitoriale.
  • Se il minore non è riconosciuto o non è riconoscibile dai genitori la domanda può essere presentata dal soggetto a cui il minore è stato affidato dal giudice. In questo caso il bambino deve rientrare nella famiglia anagrafica del soggetto a cui è stato affidato.

Documenti da produrre per la domanda

Chi presenta la domanda per l’assegno di maternità deve anche produrre alcuni documenti.

  • Una DSU valida che indichi i redditi percepiti dal nucleo famigliare nell’anno precedente.
  • Un’autocertificazione che dichiari il possesso dei requisiti richiesti dalla legge per fare domanda, l’assenza di altri trattamenti economici e di non aver fatto domanda per l’assegno di cui all’ 75 dlgs n. 151/2001 per lavori atipici e discontinui. Qualora il soggetto dichiari di beneficiare di qualche indennità legata alla maternità deve indicarne l’importo.

 

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spese per i figli

Spese per i figli: quali vanno concordate La Cassazione chiarisce che le spese per i figli da concordare preventivamente con l'ex coniuge sono quelle che non rientrano nel regime di spesa ordinario

Spese per i figli: vanno concordate solo quelle eccezionali

I genitori non devono concordare tutte le spese per i figli. Il genitore collocatario non deve chiedere il consenso dell’ex prima di sostenerle, se hanno natura ordinaria. L’accordo preventivo è richiesto solo per quelle spese che “per rilevanza, imprevedibilità e imponderabilità” non rientrano nel regime di spesa ordinario per i figli. In ogni caso, se il genitore collocatario non informa sempre e preventivamente l’ex, anche in relazione a queste spese, non significa che non possa richiedere il rimborso della quota a carico dell’altra parte, dopo averle sostenute. Questa la decisione della Cassazione nella sentenza n. 21785-2024.

Non dovute le spese per i figli straordinarie se non concordate

Un padre si oppone a un decreto ingiuntivo con cui l’ex coniuge gli ingiunge di pagare la somma di 1687,25 euro, oltre accessori. La donna chiede la somma a titolo di rimborso, nella misura del 50%, delle spese straordinarie sostenute per figlie minori.

Le spese si riferiscono alle rette della scuola privata, alla quota della palestra, ai corsi in un centro sportivo e alle gite scolastiche. Il Giudice di pace revoca il decreto e condanna l’opponente a pagare la minore somma di Euro 1.626,25.

Il padre appella la decisione e in questa sede l’autorità giudiziaria precisa che le rette per la scuola sono spese straordinarie da concordare. Le spese relative all’attività sportiva invece hanno natura di spese straordinarie routinarie, che il padre non ha mai contestato. Per quanto riguarda infine le spese per le gite scolastiche il tribunale rileva come il giudice di Pace abbia già decurtato dall’importo del decreto ingiuntivo modificato il 50% delle stesse.

Solo alcune spese straordinarie vanno concordate

Il padre però, ancora insoddisfatto dell’esito del giudizio, impugna la decisione in Cassazione.

Con il secondo motivo contesta al Tribunale di aver inserito nel protocollo delle spese straordinarie assunto in sede di divorzio anche le rette per la scuola privata e le spese sportive.

Con il terzo invece critica la decisione del Tribunale relativa alle spese sportive che hanno comportato l’acquisto della necessaria attrezzatura e di averle fatte rientrare tra quelle che non richiedono un accordo preventivo tra i coniugi.

La Cassazione rigetta il ricorso e si esprime poi sulla natura straordinaria delle spese e sulla necessità del preventivo accordo tra genitori.

Gli Ermellini rilevano come il tribunale abbia ritenuto che l’utilizzo del termine “tasse” per la scuola privata, come indicato nel protocollo, fosse improprio. Tale termine non può non comprendere le rette, da intendersi come spese straordinarie. Per quanto riguarda invece le spese per l’attività sportiva il tribunale ha ritenuto che il mancato riferimento nel protocollo di queste voci di spesa non attribuiva alle stesse la natura di spese ordinarie. Era necessaria una valutazione più in linea con gli orientamenti della giurisprudenza.

Spese da concordare: giurisprudenza recente

La Cassazione ricorda comunque che la decisione del tribunale sul preventivo accordo sulle spese straordinarie è conforme alla recente giurisprudenza.

Quest’ultima afferma infatti che: riguardando il preventivo accordo solo quelle spese straordinarie che per rilevanza, imprevedibilità ed imponderabilità esulano dall’ordinario regime di vita della prole, fermo restando che, anche per queste ultime, la mancanza della preventiva informazione ed assenso non determina automaticamente il venir meno del diritto del genitore che le ha sostenute, alla ripetizione della quota di spettanza dell’altro, dovendo il giudice valutarne la rispondenza all’interesse preminente del minore e al tenore di vita familiare.”

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convivente di fatto familiare

Il convivente di fatto è un familiare La disciplina dell'impresa familiare si applica dunque anche al convivente di fatto. Illegittimi gli artt. 230bis e 230-ter c.c.

Convivente di fatto e impresa familiare

Il convivente di fatto è un familiare perciò si applica la disciplina dell’impresa di famiglia. E’ quanto ha affermato la Corte Costituzionale (sentenza n. 148/2024) dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’articolo 230-bis, terzo comma, del codice civile, nella parte in cui non prevede come familiare – oltre al coniuge, ai parenti entro il terzo grado e agli affini entro il secondo – anche il «convivente di fatto» e come impresa familiare quella cui collabora anche il «convivente di fatto».

Inoltre, in via consequenziale, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 230-ter del codice civile, che, introdotto dalla legge n. 76 del 2016 (cosiddetta legge Cirinnà), riconosceva al convivente di fatto una tutela significativamente più ridotta.

Conviventi di fatto: la legge e la giurisprudenza

Per «conviventi di fatto» – secondo la definizione prevista dall’art. 1, comma 36, di tale legge – si intendono «due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale».

Le Sezioni unite civili della Corte di cassazione, avevano sollevato questioni di legittimità costituzionale della disciplina dell’impresa familiare – in riferimento, in particolare, agli articoli 2, 3, 4, 35 e 36 della Costituzione – nella parte in cui il convivente more uxorio non era incluso nel novero dei «familiari».

La Corte costituzionale ha accolto le questioni rilevando che, in una società profondamente mutata, vi è stata una convergente evoluzione sia della normativa nazionale, sia della giurisprudenza costituzionale, comune ed europea, che ha riconosciuto piena dignità alla famiglia composta da conviventi di fatto.

L’impresa familiare

“Rimangono – osserva ancora la Corte – le differenze di disciplina rispetto alla famiglia fondata sul matrimonio; ma quando si tratta di diritti fondamentali, questi devono essere riconosciuti a tutti senza distinzioni”.

Tale è il diritto al lavoro e alla giusta retribuzione; diritto che, “nel contesto di un’impresa familiare, richiede uguale tutela, versando anche il convivente di fatto, come il coniuge, nella stessa situazione in cui la prestazione lavorativa deve essere protetta, rischiando altrimenti di essere inesorabilmente attratta nell’orbita del lavoro gratuito”.

La decisione

Nel sottolineare che “la tutela del lavoro è strumento di realizzazione della dignità di ogni persona, sia come singolo che quale componente della comunità, a partire da quella familiare” la Consulta ha quindi ritenuto irragionevole la mancata inclusione del convivente di fatto nell’impresa familiare.

“All’ampliamento della tutela apprestata dall’art. 230-bis del codice civile al convivente di fatto è conseguita l’illegittimità costituzionale dell’art. 230-ter del codice civile, che – nell’attribuire allo stesso una tutela ridotta, non comprensiva del riconoscimento del lavoro nella famiglia, del diritto al mantenimento, nonché dei diritti partecipativi nella gestione dell’impresa familiare – comporta un ingiustificato e discriminatorio abbassamento di protezione”.

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matrimonio breve niente mantenimento

Matrimonio breve? Niente mantenimento Per la Cassazione, la breve durata del matrimonio deve essere valutata per stabilire la spettanza del diritto e quantificare l’assegno di mantenimento

Durata matrimonio e assegno di mantenimento

Se il matrimonio è di breve durata l’assegno di mantenimento può non spettare al coniuge richiedente. Lo ha precisato la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 20507-2024. 

La vicenda

La vicenda nasce nell’ambito di un giudizio di separazione giudiziale relativa a un rapporto coniugale da cui non sono nati i figli. La Corte d’Appello respinge l’impugnazione del marito gravato dal dover contribuire al mantenimento della moglie corrispondendo un assegno mensile di 3000 euro. Respinta la richiesta del marito di addebito della separazione alla moglie la Corte conferma il mantenimento in favore della donna alla luce dello squilibrio economico delle parti.

L’uomo nel ricorrere in Cassazione solleva quattro motivi di doglianza, tra i quali assume particolare rilievo e interesse il terzo, con il quale invoca la nullità della sentenza per l’omesso esame di due fatti storici decisivi come la breve durata del matrimonio e la giovane età della richiedente, al fine di stabilire la spettanza e il quantum dell’assegno di mantenimento.

Esclusione diritto al mantenimento

La Cassazione dichiara inammissibile il primo, il secondo e il quarto motivo sollevati dal ricorrente, accoglie invece il terzo perché fondato.

Sull’assegno di mantenimento conseguente alla separazione la Cassazione a Sezioni Unite, nella pronuncia n. 32914/2022 ha osservato che “La separazione personale tra i coniugi non estingue il dovere reciproco di assistenza materiale, espressione del dovere, più ampio, di solidarietà coniugale, ma il venir meno della convivenza comporta significativi mutamenti:

  1. a) il coniuge cui non è stata addebitata separazione ha diritto di ricevere dall’altro un assegno di mantenimento, qualora non abbia mezzi economici adeguati a mantenere il tenore di vita matrimoniale, valutate la situazione economica complessiva e la capacita concreta lavorativa del richiedente, nonché le condizioni economiche dell’obbligato, che può essere liquidato in via provvisoria nel corso del giudizio, ai sensi dell’art. 708 del codice di procedura civile;
  1. b) il coniuge separato cui è addebitata la separazione perde, invece, il diritto al mantenimento e può pretendere solo la corresponsione di un assegno alimentare se versa in stato di bisogno”. 

Ai fini della corresponsione dell’assegno di mantenimento rileva anche la durata del matrimonio, anche se la Cassazione fino al 2017 ha circoscritto questo profilo alla quantificazione dell’assegno di mantenimento.

Con pronunce successive a questa data però la Corte ha stabilito che la breve durata del rapporto coniugale, se da una parte non esclude automaticamente il diritto all’assegno, dall’altra può non instaurare una comunione spirituale e materiale tra i coniugi. In queste ipotesi può quindi rappresentare una causa di esclusione del diritto al mantenimento.

La decisione

La decisione impugnata dal marito in effetti non ha preso in considerazione la durata estremamente breve del rapporto coniugale sotto il profilo della spettanza e della quantificazione, anche se in sede di merito era stato accertato che la donna si era allontanata dalla casa coniugale a pochi mesi dal matrimonio. La sentenza va quindi cassata affinché la Corte d’appello riesamini la decisione alla luce dei principi suddetti relativi al mantenimento conseguente alla separazione, tra i quali assume rilievo la breve durata del matrimonio.

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stop mantenimento figlio

Stop mantenimento al figlio iscritto da 14 anni all’università Linea dura della Cassazione contro i figli "bamboccioni": non spetta il mantenimento al figlio ultratrentenne che in 14 anni di università ha dato solo un esame

Mantenimento figlio maggiorenne

Il figlio ultratrentenne, che ha trascorso 14 anni all’università sostenendo un solo esame, non ha più diritto all’assegno di mantenimento a carico del padre. Lo stesso non è stato in grado di dimostrare di essersi impegnato nel conseguire una qualificazione professionale o nella ricerca di un impiego per collocarsi nel mondo del lavoro e acquisire la propria indipendenza economica. Lo ha stabilito la corte di Cassazione nell’ordinanza n. 19955-2024.

Revoca mantenimento figlio

Nell’ambito di una procedura di separazione coniugale il Tribunale stabilisce a carico del padre l’obbligo di versare al figlio maggiorenne, ma non economicamente autosufficiente, il mantenimento di 500 euro mensili, oltre al pagamento del 70% delle spese straordinarie.

Alla separazione segue il divorzio e la sentenza riduce a 350 euro mensili il mantenimento dovuto dal padre al figlio maggiorenne, ma conserva il contributo nella misura del 70% delle spese straordinarie e l’assegnazione della casa familiare alla moglie, che convive con il figlio.

Il padre appella la decisione, chiedendo anche la revoca dell’assegno di mantenimento per il figlio.

Mancata ricerca di un lavoro

La Corte d’appello però respinge la richiesta, limitandosi a ridurre il mantenimento per il figlio a 200 euro mensili.

Per la Corte il mantenimento al figlio non deve essere ancorato al raggiungimento della maggiore età, ma a quello della autosufficienza economica. Per far cessare l’obbligo del mantenimento è sufficiente che il figlio percepisca delle entrate, anche derivanti da un lavoro non stabile o che lo stesso possegga un patrimonio tale da garantirgli un reddito corrispondente alla professionalità acquisita e che abbia un’appropriata collocazione nel contesto economico in cui lo stesso è inserito adeguata alle attitudini e alle aspirazioni.

Incontestato che il ragazzo ormai ultratrentenne risulti privo di un’occupazione lavorativa in grado di garantirgli la propria indipendenza economica. Lo stesso ha più volte cambiato percorso di studi e ha cercato lavoro, prestando attività presso la Croce Rossa senza però conseguire una stabilità lavorativa. In seguito ha lasciato l’università, è  tornato a vivere con la madre, ma ha avuto difficoltà a inserirsi nel mondo del lavoro anche a causa della sopravvenuta pandemia. Lo stesso è stato anche vittima di un infortunio, che ha comportato un intervento chirurgico e una prognosi di 60 giorni. Queste le ragioni per le quali la Corte, in considerazione dell’età del figlio, si è limitata a ridurre il mantenimento a 200 euro, lasciando invariata la misura del contributo per le spese straordinarie.

Il padre, insoddisfatto della decisione della Corte di Appello, la impugna di fronte alla Cassazione.

Onere della prova

Gli Ermellini ritengono fondato il motivo del ricorso con il quale il padre lamenta la mancata revoca del mantenimento dovuto al figlio. Per il ricorrente il fatto che il figlio abbia sostenuto un solo esame in 14 anni di università sufficiente a giustificare la revoca del mantenimento. Di fatto il figlio non ha mai dimostrato di aver messo in atto dei tentativi seri per trovare un’occupazione e collocarsi in modo stabile nel mondo del lavoro.

La Cassazione ricorda di aver affermato di recente che l’onere della prova relativa alle ragioni che fondano il mantenimento sono a carico del richiedente. Spetta infatti al figlio dimostrare di aver curato con impegno la propria preparazione professionale e tecnica o di essersi attivato nella ricerca di un lavoro. È sempre onere del richiedente inoltre provare la mancanza di indipendenza economica perché pre-condizione necessaria ai fini della richiesta del mantenimento.

L’onere della prova dei presupposti necessari per il mantenimento però è più facile quando il figlio ha da poco superato la maggiore età e negli anni successivi, soprattutto se ha iniziato un percorso di studi, perché in questo modo dimostra l’impegno di entrare a far parte del mondo degli adulti. Con l’avanzare dell’età l’onere della prova diventa più gravoso. La decisione sul mantenimento rende necessaria la valutazione del caso concreto e un’indagine sulle scelte di vita compiute e sull’impegno del figlio nell’acquisire una qualificazione professionale.

La decisione

Nel caso di specie la Corte di merito ha ritenuto conclusa la formazione universitaria del figlio anche senza il conseguimento di un risultato e ha ritenuto incontestato il fatto che lo stesso,  ultratrentenne, fosse senza lavoro e senza autonomia economica. La Corte non ha indagato se nel corso di tutti questi anni abbia comunque cercato una sua collocazione nel mondo del lavoro. La stessa si è accontentata nel considerare come esistenti e giustificate le difficoltà riscontrate negli ultimi anni e imputate al COVID, all’infortunio e alla crisi del mercato.

 

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carta dedicata a te inps

Carta dedicata a te: pagamenti da settembre 2024 L'INPS fornisce le indicazioni per l'erogazione della "Carta Dedicata a te", la misura di sostegno ai nuclei familiari in stato di bisogno

Carta dedicata a te: le istruzioni INPS

La “Carta Dedicata a te“, la misura di sostegno ai nuclei familiari in stato di bisogno per l’acquisto di beni di prima necessità, carburanti o in alternativa di abbonamenti ai servizi di trasporto pubblico locale, introdotta dalla legge di bilancio 2023, diventa pienamente operativa.

Vedi anche la guida Social Card: chi ne ha diritto e come ottenerla

Dopo la pubblicazione del decreto interministeriale del 4 giugno 2024, l’INPS, infatti, con il messaggio n. 2575 del 10 luglio 2024 ha fornito le indicazioni operative per l’accesso alla misura.

Requisiti di accesso alla social card

I beneficiari della carta Dedicata a te, che non devono presentare domanda, sono i cittadini appartenenti ai nuclei familiari, residenti nel territorio italiano, in possesso dei seguenti requisiti alla data della pubblicazione del medesimo decreto interministeriale (24 giugno 2024):

  • iscrizione di tutti i componenti del nucleo familiare nell’Anagrafe della Popolazione Residente (Anagrafe comunale);
  • titolarità di una certificazione ISEE ordinario, di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 5 dicembre 2013, n. 159, in corso di validità, con indicatore non superiore ai 15.000,00 euro annui.

Il contributo non spetta ai nuclei familiari che alla data di entrata in vigore del decreto 4 giugno 2024 includano percettori di: Assegno di inclusione, Reddito di cittadinanza, Carta acquisti o di qualsiasi altra misura di inclusione sociale o sostegno alla povertà che preveda l’erogazione di un sussidio economico di livello nazionale, regionale o locale.

Non spetta, inoltre, ai nuclei familiari nei quali almeno un componente risulti percettore di: NASPI, DIS-COLL, Indennità di mobilità, Fondi di solidarietà per l’integrazione del reddito, (CIG) o qualsivoglia differente forma di integrazione salariale o di sostegno nel caso di disoccupazione involontaria, erogata dallo Stato.

Importo della carta e modalità di erogazione

La misura, ricorda l’istituto, consiste in un contributo economico per nucleo familiare di importo complessivo pari a 500,00 euro, erogato attraverso carte elettroniche di pagamento, prepagate e ricaricabili, messe a disposizione da Poste Italiane S.p.A. per il tramite della società controllata Postepay.

Erogazione da settembre 2024

Le carte, assegnabili in numero complessivo pari a 1.330.000, vengono consegnate agli aventi diritto presso gli uffici postali abilitati al servizio, sono nominative e rese operative con l’accredito del contributo erogato a partire dal mese di settembre 2024.

Il primo pagamento deve essere effettuato entro il 16 dicembre 2024, pena la decadenza dal beneficio (cfr. l’art. 5, comma 4, del D.I.). Le somme, inoltre, devono essere interamente utilizzate entro e non oltre il 28 febbraio 2025 (cfr. l’art. 8, comma 1, del D.I.).

Cosa si può acquistare

Il contributo è destinato all’acquisto di beni alimentari di prima necessità, con esclusione di qualsiasi tipologia di bevanda alcolica, e all’acquisto di carburanti, nonché, in alternativa a questi ultimi, di abbonamenti ai servizi di trasporto pubblico locale.

Tale contributo può essere speso presso gli esercizi commerciali che vendono generi alimentari e, per i carburanti, presso le imprese autorizzate alla vendita, individuati con apposita convenzione sottoscritta dalla competente Direzione generale del Ministero dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste.

reddito di emergenza rem

Reddito di emergenza: la guida Il Reddito di emergenza (REM) concesso in piena pandemia ha rappresentato un sostegno economico importante per le famiglie in maggiore difficoltà

Reddito di emergenza: cos’è

Il Reddito di emergenza (REM), ad oggi non più in vigore,  ha rappresentato un’importante forma di sostegno economico in epoca Covid per aiutare i nuclei familiari in difficoltà a causa della pandemia. Il REM è stato introdotto dal decreto legge n. 34/2020. Il decreto legge n. 104/2020 ha previsto poi la possibilità di poter richiedere una mensilità ulteriore di REM. Il successivo decreto n. 137/2020 ha previsto infine la possibilità di ottenere due quote ulteriori di REM per le mensilità di novembre e dicembre 2020.

Quest’ultima tranche di reddito di emergenza è stata riconosciuta:

  • d’ufficio ai nuclei familiari che avevano già beneficiato della misura in base al decreto legge n. 104/2020;
  • su domanda di parte per quei nuclei familiari che non avevano mai ottenuto il REM o che lo avevano ottenuto solo in virtù del primo decreto legge n. 34/2020.

La misura del beneficio prevista dai decreti n. 134/2020 e n. 137/2020 è stata riconosciuta in favore di quei nuclei familiari titolari di un reddito inferiore all’ammontare del beneficio.

Requisiti soggettivi ed economici dei beneficiari

Il reddito di emergenza è stato riconosciuto a quei nuclei familiari che, nel momento di presentazione  della domanda, presentavano i seguenti requisiti soggettivi, reddituali e patrimoniali:

  • residenza in Italia verificata in relazione al soggetto richiedente;
  • reddito familiare nei mesi di aprile, maggio e settembre 2020 inferiore all’importo del beneficio potenziale riconosciuto;
  • patrimonio immobiliare familiare riferito al 2019 inferiore a 10.000 euro, soglia che saliva di 5000 euro in presenza di un componente aggiuntivo rispetto al primo (fino a un massimo di 20.000 euro) o in presenza di un componente familiare affetto da disabilità grave o non autosufficiente;
  • ISEE documentato da DSU valida inferiore a 15.000 euro.

I primi tre requisiti potevano essere autocertificati all’interno della domanda, la veridicità di quanto dichiarato comportava la revoca del REM o la restituzione di quanto già percepito. Il requisito dell’ISEE era invece oggetto di verifica da parte dell’INPS nella DSU.

REM: modalità di presentazione della domanda

La domanda per la prima tranche di REM, prevista dal decreto legge n. 34/2020, poteva essere presentata entro il 30 giugno 2020, termine poi prorogato al 31 luglio 2020. La domanda per la mensilità prevista dal decreto legge 104/2020 poteva essere presentata dal 15 settembre al 15 ottobre 2020. La domanda per il REM prevista dal decreto legge n. 137/2020 poteva essere presentata infine dal 10 al 30 novembre 2020.

Le modalità di presentazione della domanda erano le seguenti:

  • in modalità telematica dal sito ufficiale dell’INPS, dopo essersi autenticati con il Pin, lo SPID almeno di livello 2, la Carta Nazionale dei Servizi o la Carta d’Identità Elettronica,
  • avvalendosi dei servizi offerti dai CAF e dai Patronati.

Importo del Reddito di emergenza

Per il calcolo del reddito di emergenza mensile si doveva moltiplicare l’importo di 400 euro per il valore della scala di equivalenza. La scala di equivalenza presentava i seguenti valori di riferimento:

  • 1 per il primo componente del nucleo familiare, con un incremento:
  • di 0,4 per ogni altro componente oltre il primo purché maggiore di anni 18;
  • di 0,2 per ogni componente minore di età, fino a un massimo di 2, o di 2,1 in presenza di componenti familiari gravemente disabili o non autosufficienti.

L’importo massimo in ogni caso non poteva superare gli 800,00 euro mensili, che potevano salire a 840 euro, solo se nel nucleo familiare erano presenti disabili gravi o non autosufficienti.

Facciamo un esempio per comprendere meglio il funzionamento. In presenza di un nucleo familiare composto da due adulti e da un minore la scala di equivalenza è pari a 1,6, risultato che si ottiene sommando al primo componente familiare di valore 1, il secondo componente maggiorenne di valore 0,4 e il terzo componente familiare minorenne di valore 0,2. Moltiplicando l’importo base di 400 euro per il valore della scala di equivalenza di 1,6 l’importo  del REM era pari a 640 euro.

Durata del reddito di emergenza

Il reddito di emergenza, come anticipato, ha rappresentato una misura straordinaria prevista durante il periodo della pandemia in favore delle famiglie in difficoltà. Il decreto n. 34/2020 e il decreto n. 137/2020 hanno previsto l’erogazione di due mensilità. Il decreto legge n. 104/2020 ha previsto invece il riconoscimento di tre mensilità.

Aiuti incompatibili con il REM

Il R.E.M. era incompatibile con altre forme di aiuti previsti in epoca COVID, come l’indennità per i lavoratori che erano stati danneggiati dalla dall’emergenza epidemiologica. Pertanto, se all’interno del nucleo familiare, un soggetto era già percettore della suddetta indennità, il reddito di emergenza non poteva essere concesso.

La misura inoltre era incompatibile con la titolarità di una pensione diretta o indiretta, con la titolarità di un rapporto di lavoro subordinato con retribuzione lorda superiore alla soglia massima del reddito familiare e infine con la titolarità del reddito o della pensione di cittadinanza.

revisione assegno divorzio convivenza

Assegno di divorzio all’ex moglie “indigente” anche se convive Per la Cassazione, qualora sia instaurata una stabile convivenza tra un terzo e l’ex coniuge indigente, se quest’ultimo è privo dei mezzi adeguati, conserva il diritto all'assegno divorzile

Revisione delle condizioni di divorzio

Il caso in esame attiene al tema della revisione delle condizioni di divorzio in relazione al quale la Cassazione, chiamata a pronunciarsi sul caso di specie, con ordinanza n. 13739/2024, ha accolto il ricorso proposto dall’ex moglie e ha cassato il decreto impugnato, rinviando la causa alla Corte d’appello.

Nella specie, la Corte ha anzitutto ripercorso la giurisprudenza di legittimità formatasi in relazione alle condizioni necessarie affinché si possa procedere alla revisione dell’assegno divorzile.

Ciò posto, il Giudice di legittimità ha avuto modo di affermare che la Corte d’appello, nella precedente fase di giudizio, aveva sminuito, nell’ambito della propria decisione, l’elemento costitutivo della convivenza della beneficiaria dell’assegno.

La giurisprudenza in materia di convivenza

In particolare, ha precisato la Corte, la giurisprudenza di legittimità formatasi in materia di revisione dell’assegno divorzile, afferma costantemente che “In tema di divorzio, ove sia richiesta la revoca dell’assegno in favore dell’ex coniuge a causa dell’instaurazione da parte di quest’ultimo di una convivenza “more uxorio”, il giudice deve procedere al relativo accertamento tenendo conto (…) non atomisticamente ma nel loro complesso l’insieme dei fatti secondari noti, acquisiti al processo nei modi ammessi dalla legge, e gli eventuali ulteriori argomenti di prova, rilevanti per il giudizio inferenziale in ordine alla sussistenza della detta convivenza”.

Componente compensativa dell’assegno di divorzio

Proseguendo l’esame in ordine alla possibile revoca dell’assegno divorzile nel caso di specie, la Corte ha ricordato che “qualora sia instaurata una stabile convivenza di fatto tra un terzo e l’ex coniuge economicamente più debole questi, se privo anche nell’attualità di mezzi adeguati e impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi, conserva il diritto al riconoscimento dell’assegno di divorzio, in funzione esclusivamente compensativa”.

Sulla scorta del percorso argomentativo offerto dalla Corte, la stessa ha dunque concluso il proprio esame affermando che “la revisione dell’assegno richiede la presenza di ‘giustificati motivi’ e impone la verifica sopravvenuta, effettiva e significativa modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi sulla base di una valutazione comparativa delle rispettive situazioni reddituali e patrimoniali”.

La decisione

Per le ragioni sopra brevemente rappresentate, la Corte ha dunque accolto il ricorso proposto dall’ex moglie avverso il provvedimento adottato dal Giudice di prime cure con cui veniva rigettato il reclamo, proposto dalla beneficiaria, in relazione alla riduzione dell’assegno divorzile in suo favore.

Allegati

tribunale famiglia cartabia

Tribunale per le famiglie: rinviato a ottobre 2025 Rinviata di un anno l'entrata in vigore del tribunale per le famiglie. La norma contenuta nel decreto carcere sicuro ne fa slittare l'operatività ad ottobre 2025

Slitta di un anno il tribunale per le famiglie

Il decreto “carcere sicuro” approvato il 3 luglio 2024 dal Consiglio dei ministri, su proposta del guardasigilli Carlo Nordio e del presidente del consiglio Giorgia Meloni, oltre alla serie di misure dedicate al personale penitenziario e ai detenuti, contiene anche una norma che rinvia di un anno l’entrata in vigore del Tribunale delle persone e della famiglia previsto dalla Riforma Cartabia.

La decisione è stata presa dopo aver ascoltato le doglianze della magistratura e dell’avvocatura che hanno rilevato, tra i vari problemi attuativi della riforma, l’assenza di fondi sufficienti.

Proroga per carenza di fondi e personale

Si ritiene che la proroga ad ottobre del 2025 consentirà di porre rimedio agli aspetti più critici della riforma messe in luce anche dai magistrati dei minori.

Alla carenza dei fondi necessari si accompagna infatti la carenza di personale necessaria per fronteggiare i cambiamenti introdotti, sia in relazione ai provvedimenti ordinari che a quelli urgenti.

Incremento magistrati specializzati

L’ex ministro Cartabia aveva infatti previsto la necessità di incrementare di 292 unità i magistrati, di 2130 le unità di personale amministrativo e di 47le  unità addette ai ruoli dirigenziali.

Un altro problema segnalato dagli addetti ai lavori è rappresentato dalla mancata specializzazione dei magistrati in materia e dalla abolizione di decisioni collettive sulla responsabilità genitoriale.