Genitori responsabili dei profili social dei figli Genitori responsabili dei profili social dei figli: spetta a loro vigilare sulle attività, facendo attenzione anche ai software di manipolazione

Profili social dei figli

Genitori responsabili di quanto fanno i figli sui social. Essi hanno l’obbligo di controllare i profili social dei figli, anche se falsi, soprattutto se la prole è fragile o immatura. Il controllo serve a prevenire comportamenti illeciti o pericolosi. Non basta chiedere le password o dire di aver fatto il possibile. I genitori devono sorvegliare in modo attivo e costante. Il Tribunale di Brescia, con la recente sentenza n. 879/2025, ribadisce questo principio e condanna i genitori di una ragazza con un lieve ritardo intellettivo a risarcire 15mila euro alla vittima del comportamento della figlia.

Diffamazione aggravata e altri reati

Una ragazza crea più profili fake e con questi insulta una compagna e pubblica immagini pornografiche ottenute con un software di manipolazione delle immagini. Le indagini penali per diffamazione aggravata, atti persecutori e detenzione di materiale pedopornografico portano alla giovane.

I genitori della vittima decidono quindi di agire in giudizio e chiedono il risarcimento dei danni subiti dalla figlia. La giovane racconta infatti di aver ricevuto insulti continui su Instagram. A causa di questi episodi inoltre ha iniziato ad avere paura a uscire di casa da sola e ha temuto in diverse occasioni di essere  perseguitata da malintenzionati.

Genitori responsabili: attenzione massima ai social

Il Tribunale nel decidere sulle responsabilità e sul risarcimento richiesto, chiarisce quali sono i doveri dei genitori nella sorveglianza dei dispositivi digitali dei figli. Nel caso di specie la ragazza frequentava le superiori, aveva un’insegnante di sostegno e un’educatrice. Quest’ultima in particolare aveva avviato un percorso educativo sull’uso dei social, avvisando anche i genitori sui rischi di questi strumenti. Tutto questo però evidentemente non è bastato. La ragazza infatti ha creato molti profili falsi e sconosciuti alla famiglia e tramite questi ha commesso gli illeciti di rilievo penale che le sono stati contestati in sede penale.

I genitori si difendono dalle accuse loro rivolte, affermando di aver fatto il possibile. Il giudice però ritiene che quanto affermato non sia sufficiente. Per evitare la responsabilità genitoriale (art. 2047 c.c.) serve infatti dimostrare di non aver creato o tollerato situazioni pericolose. Il compito dei genitori è di prevenire i rischi, non di reagire solo quando è troppo tardi.

Massima attenzione anche alle immagini manipolabili

Il Tribunale si sofferma inoltre sull’impiego dei contenuti manipolati con software. I ragazzi oggi possono accedere facilmente a strumenti di intelligenza artificiale per modificare immagini o video. Per questo motivo i genitori devono aumentare ancora di più il controllo sui figli in relazione a questi strumenti. Lasciare i figli soli davanti allo schermo può avere infatti gravi conseguenze legali.

La giurisprudenza recente è concorde nel rafforzare l’obbligo di vigilanza dei genitori sull’utilizzo dei social da parte dei figli. I genitori sono chiamati a limitare sia il tempo sia le modalità di accesso ai social da parte dei figli. L’educazione digitale deve essere concreta e continua. Non basta dire ai figli cosa è giusto: è necessario verificare che lo mettano in pratica.

La precoce autonomia digitale dei minori non solleva i genitori dalle loro responsabilità. Al contrario, li obbliga a educare in modo ancora più attento e moderno. Serve un impegno reale nell’insegnare e verificare l’uso corretto delle tecnologie, inclusa l’intelligenza artificiale.

 

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ascolto del minore

L’ascolto del minore dopo la riforma Cartabia Ascolto del minore d’età: cosa è cambiato con la riforma Cartabia e cosa dice la giurisprudenza

Ascolto del minore

L’ascolto del minore è un principio fondamentale nei procedimenti giudiziari che lo riguardano. La normativa italiana, in conformità con le convenzioni internazionali, garantisce al minore capace di discernimento il diritto di esprimere la propria opinione in tutte le questioni che lo coinvolgono. Con la riforma Cartabia (D.lgs. 149/2022), il legislatore ha rafforzato e precisato le modalità di ascolto, introducendo importanti novità procedurali.

Normativa di riferimento

L’ascolto del minore trova fondamento in diverse fonti normative, tra cui:

  • Art. 12 della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo (1989): riconosce al minore il diritto di essere ascoltato in tutti i procedimenti che lo riguardano.
  • Art. 315-bis c.c.: sancisce il diritto del minore ad essere ascoltato nei procedimenti che lo riguardano.
  • Art. 473-bis.4 c.p.c. (introdotto dalla riforma Cartabia): disciplina le modalità di ascolto nei procedimenti di famiglia e minorili.

Ascolto del minore: novità della riforma Cartabia

La riforma Cartabia ha introdotto significativi cambiamenti nella disciplina dell’ascolto del minore, tra cui:

  1. generalizzazione dell’obbligo di ascolto: l’ascolto è ora obbligatorio per tutti i minori capaci di discernimento, salvo che sia manifestamente contrario al loro interesse;
  2. formalizzazione della procedura: l’ascolto deve avvenire in un ambiente idoneo, con modalità tali da evitare qualsiasi forma di pressione psicologica sul minore;
  3. ruolo del giudice e dei consulenti tecnici: il giudice deve provvedere all’ascolto personalmente, con l’eventuale supporto di esperti in psicologia dell’infanzia;
  4. maggior attenzione alla tutela del minore: il minore può essere affiancato da un curatore speciale in caso di conflitto tra i genitori;
  5. nullità del provvedimento in assenza di ascolto: se l’ascolto non viene effettuato senza una giustificazione adeguata, il provvedimento può essere dichiarato nullo.

Giurisprudenza rilevante sull’ascolto del minore

Numerose pronunce giurisprudenziali hanno sottolineato l’importanza dell’ascolto del minore.

Cassazione n. 4561/2025

L’ascolto del minore rappresenta un principio fondamentale, ma non è un obbligo assoluto. Nei procedimenti riguardanti l’affidamento e la regolamentazione dei rapporti familiari, il giudice deve sempre valutare l’interesse del minore, potendo escludere l’audizione solo con una motivazione rigorosa e adeguata. La Riforma Cartabia ha introdotto maggiori tutele per garantire il diritto del minore a esprimere la propria opinione, ma ha comunque mantenuto un margine di discrezionalità per il giudice, il quale deve decidere caso per caso in base alle specifiche circostanze del procedimento.

Cassazione n. 3537/2024

Nel contesto dell’affidamento del minore, il suo ascolto non può essere considerato superfluo solo perché il giudice ritiene di aver già individuato la soluzione migliore per il suo interesse. Al contrario, il principio generale impone che il minore venga ascoltato prima che il giudice maturi una decisione sull’affidamento.L’unica eccezione a questa regola si verifica quando il minore rifiuta esplicitamente l’audizione, quando vi è un concreto rischio di pregiudizio da accertare in modo specifico e non astratto, oppure quando l’ascolto risulti superfluo, ossia non apporti alcun ulteriore beneficio ai suoi interessi, pur senza arrecare danno.

Cassazione n. 3456/2023

L’ascolto del minore è un diritto soggettivo che gli riconosce la possibilità di essere informato ed esprimere la propria opinione nei procedimenti che lo riguardano. Questo diritto integra una forma di partecipazione alle decisioni che incidono sulla sua sfera individuale e rappresenta uno strumento di tutela dei suoi interessi (Cass. n. 6129/2015). Pur non essendo formalmente parte del processo, il minore è considerato parte sostanziale, poiché portatore di interessi propri, che possono essere distinti o in contrasto con quelli delle altre parti. Pertanto, la legge impone che gli sia garantito il diritto al contraddittorio attraverso l’ascolto. Il mancato ascolto costituisce una violazione di tale diritto e vizia il provvedimento giudiziale (Cass. n. 16410/2020). Tuttavia, l’ascolto non è obbligatorio in tutti i procedimenti, ma solo in quelli che incidono su aspetti rilevanti della vita, della crescita o della tutela degli interessi del minore.

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diritti e doveri dei coniugi

Diritti e doveri dei coniugi Diritti e doveri dei coniugi: quali sono, le norme di riferimento, le conseguenze previste dalla legge in caso di violazione

Diritti e doveri derivanti dal matrimonio

Il matrimonio in Italia comporta una serie di diritti e doveri dei coniugi, così come sanciti dall’articolo 143 del Codice Civile. Tali obblighi hanno lo scopo di garantire la stabilità e la collaborazione all’interno del rapporto coniugale, regolando gli aspetti fondamentali della vita matrimoniale.

L’articolo 143 del Codice Civile stabilisce che “con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri”. In particolare, i coniugi sono tenuti a rispettare i seguenti obblighi:

1. Obbligo di fedeltà

  • I coniugi devono mantenere reciproca fedeltà, evitando comportamenti che possano compromettere la fiducia e l’integrità del rapporto matrimoniale.

2. Obbligo di assistenza morale e materiale

  • I coniugi devono sostenersi reciprocamente, sia dal punto di vista morale che economico. Ciò implica un dovere di cura e supporto nei momenti di difficoltà.

3. Obbligo di collaborazione nell’interesse della famiglia

  • I coniugi devono contribuire al benessere familiare, sia attraverso il lavoro domestico che mediante attività lavorative esterne.

4. Obbligo di coabitazione

  • La convivenza è un elemento essenziale del matrimonio, salvo giustificati motivi che ne impediscano l’attuazione (ad esempio, esigenze lavorative o motivi di salute).

5. Obbligo di contribuire ai bisogni della famiglia

I coniugi devono infine contribuire ai bisogni della famiglia, ciascuno in base alle proprie sostanze e alle rispettive capacità professionali o di lavoro casalingo.

Normativa diritti e doveri dei coniugi

Oltre all’articolo 143 del Codice Civile, ci sono altre norme che regolano i diritti e doveri dei coniugi:

  • Articolo 144 c.c.: disciplina l’accordo tra i coniugi sull’indirizzo della vita familiare e sulla residenza della famiglia in base alle esigenze di entrambi e della stessa.
  • Articolo 145 c.c.: regola l’intervento del giudice in caso di disaccordo sulla convivenza o su altri affari essenziali della famiglia.
  • Articolo 146 c.c.: prevede l’esonero dall’assistenza morale e materiale nei confronti del coniuge che si allontana senza giusta causa dalla residenza familiare.
  • Articolo 147 c.c.: sancisce i doveri dei coniugi verso i figli.

Violazione doveri coniugali 

La violazione dei doveri matrimoniali può comportare diverse conseguenze di natura giuridica:

1. Separazione per colpa

Se uno dei coniugi viene meno ai propri doveri matrimoniali in maniera grave, l’altro coniuge può richiedere la separazione con addebito. Questo significa che il coniuge responsabile perderà alcuni diritti, come l’eventuale assegno di mantenimento.

2. Domanda di divorzio

In caso di rottura irreversibile del rapporto coniugale, il mancato rispetto dei doveri coniugali può essere una delle cause scatenanti il divorzio.

3. Riflessi economici

La violazione degli obblighi di assistenza materiale può portare a richieste di risarcimento danni o all’obbligo di versare un assegno di mantenimento in favore del coniuge economicamente più debole.

 

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comunione dei beni

La comunione dei beni Comunione dei beni: regime patrimoniale legale della famiglia: come funziona e differenza con la separazione dei beni

Cos’è la comunione dei beni

La comunione dei beni è il regime patrimoniale legale previsto dall’ordinamento italiano per le coppie sposate, disciplinato dagli articoli 159 e seguenti del Codice Civile. In assenza di una diversa scelta espressa dai coniugi, questo regime si applica automaticamente al matrimonio, determinando la condivisione dei beni acquisiti durante la vita coniugale.

Cos’è il regime patrimoniale della famiglia?

Il regime patrimoniale della famiglia stabilisce le norme che regolano la proprietà e la gestione dei beni dei coniugi durante il matrimonio. In Italia, i principali regimi patrimoniali sono la comunione dei beni e la separazione dei beni. La scelta del regime influisce significativamente sulla titolarità e sull’amministrazione del patrimonio familiare.

Come funziona

In virtù di questo regime i beni acquistati dai coniugi durante il matrimonio, sia congiuntamente che separatamente, diventano automaticamente di proprietà comune. Questo implica che entrambi i coniugi possiedono una quota indivisa del 50% su tali beni, indipendentemente dal contributo economico effettivamente apportato da ciascuno.

Beni rientranti nella comunione

Secondo l’articolo 177 del Codice Civile, rientrano nella comunione legale:

  • i beni acquistati dai coniugi durante il matrimonio, ad eccezione di quelli personali;
  • gli utili e gli incrementi delle aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio;
  • i frutti dei beni propri di ciascun coniuge, se percepiti e non consumati al momento dello scioglimento della comunione.

Beni esclusi dalla comunione

Sono esclusi dalla comunione e considerati beni personali:

  • i beni posseduti prima del matrimonio dal singolo coniuge;
  • i beni acquisiti durante il matrimonio per donazione o successione, salvo diversa volontà del donante o del testatore di destinarli alla comunione.
  • i beni di uso strettamente personale e quelli necessari all’esercizio della professione di ciascun coniuge.
  • i beni ottenuti a titolo di risarcimento per danni e pensioni attinenti alla perdita parziale o totale della capacità lavorativa.

Vantaggi e svantaggi della comunione dei beni

L’istituto della comunione applicata ai coniugi presenta vantaggi e svantaggi. Vediamoli più in dettaglio.

Vantaggi

  • parità patrimoniale: entrambi i coniugi beneficiano equamente dei beni acquisiti durante il matrimonio;
  • tutela del coniuge economicamente più debole: garantisce una protezione patrimoniale a chi ha contribuito meno finanziariamente.

Svantaggi

  • responsabilità condivisa: i debiti contratti per esigenze familiari ricadono su entrambi i coniugi;
  • limitazioni nella gestione autonoma: per atti di straordinaria amministrazione è necessario il consenso di entrambi.

Differenze con la separazione dei beni

Nel regime di separazione dei beni, ciascun coniuge mantiene la proprietà esclusiva dei beni acquisiti sia prima che durante il matrimonio. Questo comporta una netta distinzione patrimoniale, offrendo maggiore autonomia nella gestione dei propri beni. Tuttavia, in caso di scioglimento del matrimonio, il coniuge che ha contribuito meno economicamente potrebbe trovarsi in una posizione svantaggiata.

Principali differenze

  • Proprietà dei beni: nella comunione, i beni acquisiti durante il matrimonio sono condivisi; nella separazione, ogni coniuge è proprietario esclusivo dei beni acquistati a proprio nome.
  • Gestione patrimoniale: nella comunione, per atti di straordinaria amministrazione è richiesto il consenso di entrambi; nella separazione, ciascun coniuge gestisce autonomamente i propri beni.
  • Responsabilità sui debiti: i debiti contratti per esigenze familiari gravano su entrambi; nella separazione, ciascun coniuge risponde dei propri debiti, salvo quelli contratti per necessità familiari.

 

 

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separazione dei beni

La separazione dei beni Cos’è la separazione dei beni, come funziona, quando è opportuna, vantaggi e svantaggi, differenze con la comunione

Cos’è la separazione dei beni

La separazione dei beni è un regime patrimoniale matrimoniale in cui ciascun coniuge mantiene la proprietà esclusiva dei beni acquisiti sia prima che durante il matrimonio. Questo implica che ogni coniuge gestisce autonomamente il proprio patrimonio, senza condivisione automatica con l’altro.

Come funziona il regime

Nel regime di separazione dei beni, ogni coniuge è proprietario esclusivo dei beni acquistati a proprio nome, sia prima che dopo il matrimonio. Tuttavia, è possibile che i coniugi decidano di acquistare beni in comune; in tal caso, la proprietà sarà condivisa secondo le quote stabilite al momento dell’acquisto. È importante sottolineare che, indipendentemente dal regime patrimoniale scelto, entrambi i coniugi hanno l’obbligo di contribuire alle necessità della famiglia in proporzione alle proprie capacità economiche e lavorative.

Normativa di riferimento

In Italia, il regime patrimoniale legale previsto in assenza di diversa scelta è la comunione dei beni. Per adottare la separazione dei beni, i coniugi devono esprimere una volontà esplicita. Questa scelta può essere effettuata:

  • prima del matrimonio: mediante una dichiarazione resa davanti a un notaio in presenza di testimoni;
  • al momento del matrimonio: dichiarando la scelta all’ufficiale di stato civile o al ministro di culto che celebra il matrimonio, affinché venga annotata nell’atto matrimoniale;
  • dopo il matrimonio: modificando il regime patrimoniale attraverso un atto notarile.

Quando scegliere la separazione dei beni

La scelta del regime di separazione dei beni può essere opportuna in diverse situazioni, tra cui:

  • attività imprenditoriali o professionali a rischio: per proteggere il patrimonio personale del coniuge non coinvolto da eventuali obbligazioni o debiti derivanti dall’attività dell’altro coniuge;
  • differenze patrimoniali significative: quando uno dei coniugi possiede un patrimonio significativamente superiore e desidera mantenerne la gestione separata.
  • secondo matrimonio o famiglia allargata: per tutelare gli interessi patrimoniali dei figli avuti da precedenti unioni.

Vantaggi del regime di separazione

  • autonomia patrimoniale: ogni coniuge mantiene il controllo esclusivo sui propri beni e sulle decisioni economiche correlate.
  • tutela dalle obbligazioni altrui: i creditori di un coniuge non possono aggredire il patrimonio dell’altro, limitando così i rischi finanziari.

Svantaggi della separazione dei beni

  • mancata condivisione automatica: i beni acquistati non sono automaticamente condivisi, il che potrebbe richiedere accordi specifici per la gestione di patrimoni comuni.
  • gestione separata delle risorse: potrebbe risultare più complesso coordinare le finanze familiari, soprattutto in presenza di figli o spese comuni significative.

Differenze con la comunione dei beni

La principale differenza tra separazione e comunione dei beni risiede nella titolarità dei beni acquisiti durante il matrimonio:

  • Comunione dei beni: i beni acquistati dopo il matrimonio, ad eccezione di quelli personali, sono di proprietà comune di entrambi i coniugi.
  • Separazione dei beni: i beni acquistati da ciascun coniuge restano di proprietà esclusiva di chi li ha acquistati.

Inoltre, nel regime di comunione, i creditori possono rivalersi sui beni comuni per debiti contratti da uno dei coniugi nell’interesse della famiglia, mentre nella separazione dei beni, i creditori possono aggredire solo il patrimonio del coniuge debitore.

La scelta tra comunione e separazione dei beni dovrebbe essere ponderata attentamente, considerando le specifiche esigenze e situazioni patrimoniali della coppia, al fine di adottare la soluzione più idonea alla tutela degli interessi di entrambi i coniugi.

 

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promessa di matrimonio

Promessa di matrimonio Promessa di matrimonio: significato, definizione, riferimenti normativi, valore giuridico, procedura, documenti ed effetti

Cos’è la promessa di matrimonio

La promessa di matrimonio, disciplinata dagli articoli 79 e seguenti del Codice Civile, rappresenta un impegno reciproco tra due persone di contrarre matrimonio in futuro. Sebbene abbia un valore morale e sociale, il nostro ordinamento non la considera un obbligo giuridico vincolante, salvo specifiche eccezioni.

Tipologie di promessa di matrimonio

Si tratta, dunque, di un impegno che due persone assumono reciprocamente con l’intento di sposarsi. Essa può essere:

  • semplice, quando si traduce in un accordo informale tra le parti;
  • solenne, se formalizzata attraverso un atto ufficiale davanti all’ufficiale di stato civile o con scrittura privata autenticata.

Nonostante il suo carattere vincolante dal punto di vista etico e sociale, la promessa non obbliga legalmente al matrimonio, evitando qualsiasi forma di costrizione nell’unione coniugale.

Valore giuridico e conseguenze della rottura

Secondo l’art. 79 c.c., questo istituto non ha effetti vincolanti sul futuro matrimonio.

La norma prevede infatti che la mera promessa, di fatto, non obbliga le parti a contrarlo, così come non prevede di eseguire quanto convenuto in caso di mancato adempimento.

L’art. 80 c.c prevede però alcune conseguenze in caso di revoca:

se la promessa è stata formalizzata e revocata senza giusta causa, l’altra parte può chiedere il risarcimento delle spese sostenute per i preparativi delle nozze e delle eventuali obbligazioni assunte in vista del matrimonio.

ai sensi dell’art. 80 c.c., i regali fatti in previsione del matrimonio devono essere restituiti se le nozze non vengono celebrate per cause non imputabili a chi li ha ricevuti.

Procedura e documenti necessari

Sebbene la promessa non sia obbligatoria, nei casi in cui si decida di formalizzarla, la procedura prevede:

  • dichiarazione davanti all’ufficiale di stato civile, che registra l’intento dei promessi sposi;
  • documenti richiesti:
    • carta d’identità e codice fiscale di entrambi i futuri sposi;
    • certificati di nascita;
    • certificati di residenza e stato libero;
    • eventuale documentazione aggiuntiva in caso di precedenti matrimoni.

Dopo la formalizzazione, la promessa può essere utilizzata come presupposto per richiedere le pubblicazioni di matrimonio, un passaggio obbligatorio prima delle nozze.

Effetti della promessa di matrimonio

La promessa ha effetti limitati dal punto di vista legale, ma può avere conseguenze  sotto il profilo patrimoniale e morale, come abbiamo potuto vedere:

  • obbligo di risarcimento in caso di revoca ingiustificata, ma solo se la promessa è stata resa in forma solenne;
  • restituzione dei doni ricevuti in previsione delle nozze;
  • non può essere imposta l’esecuzione forzata del matrimonio, in quanto lederebbe la libertà personale garantita dalla Costituzione.

 

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minore emancipato

Il minore emancipato Minore emancipato: in cosa consiste l’emancipazione del minore, normativa di riferimento, acquisto, atti consentiti e limiti

Emancipazione del minore

Il minore emancipato diventa tale in virtù dell’ emancipazione, un istituto giuridico che consente a un soggetto di età inferiore ai 18 anni di acquisire una parziale capacità di agire, anticipando alcune facoltà tipiche della maggiore età. Questa condizione è disciplinata dal Codice Civile italiano, in particolare dagli articoli 390 e seguenti.

Cos’è l’emancipazione del minore

L’emancipazione è un istituto che consente a un minore di almeno 16 anni, che contrae matrimonio, di ottenere una capacità giuridica più ampia rispetto a quella ordinaria, pur rimanendo soggetto a determinate limitazioni. L’obiettivo è permettere al giovane di gestire autonomamente alcuni aspetti della propria vita, pur sotto la tutela di un curatore.

Normativa di riferimento

L’art. 390 del Codice Civile stabilisce che il minore diventa emancipato automaticamente con il matrimonio. Tuttavia, essendo il matrimonio tra minorenni un’eccezione nel nostro ordinamento, l’emancipazione è un fenomeno piuttosto raro. Per sposarsi prima dei 18 anni, il minore deve ottenere l’autorizzazione del Tribunale per i minorenni, che valuta la maturità del soggetto e l’idoneità della sua scelta matrimoniale.

Come si acquista lo status di minore emancipato

L’emancipazione si verifica nei seguenti casi:

  • matrimonio del minore: il minore che ha compiuto 16 anni può sposarsi solo con il consenso del Tribunale per i minorenni, che valuta la maturità psicologica ed emotiva del soggetto;
  • pronuncia del Tribunale: in casi eccezionali, il giudice può dichiarare l’emancipazione per garantire una maggiore autonomia al minore in situazioni particolari.

Una volta ottenuta l’emancipazione, il minore non acquisisce la piena capacità di agire, ma ottiene alcuni diritti tipici di un maggiorenne, sempre con l’affiancamento di un curatore, che in caso di matrimonio con un maggiorenne è il coniuge.

Cosa può fare il minore emancipato

Il minore emancipato gode di una capacità di agire limitata, che gli consente di compiere atti giuridici autonomamente, salvo alcune eccezioni:

  • può esercitare attività lavorativa e firmare contratti di lavoro;
  • può amministrare i propri beni e gestire il proprio patrimonio;
  • può stipulare contratti e obbligazioni, ma per quelli di particolare importanza (ad esempio, vendere un immobile) è necessario il consenso del curatore e, in alcuni casi, l’autorizzazione del giudice;
  • può esercitare in autonomia un’’impresa commerciale previa autorizzazione del giudice tutelare, dopo aver sentito il curatore.

Limiti del minore emancipato

Il minore emancipato, pur avendo maggiore autonomia rispetto a un minore non emancipato, incontra alcune restrizioni:

  • non può compiere atti di straordinaria amministrazione senza l’approvazione del curatore;
  • non può disporre liberamente del proprio patrimonio senza il consenso del giudice tutelare;
  • non può contrarre matrimonio senza autorizzazione se ha ottenuto l’emancipazione per via giudiziaria.

 

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rapporto nonni-nipoti

Rapporto nonni-nipoti: un genitore può chiedere di regolarlo Rapporto nonni-nipoti: se nel corso della separazione giudiziale un genitore si oppone l’altro può chiedere che venga regolato

Regolamentato il rapporto nonni-nipoti

La Cassazione, con l’ordinanza n. 3539/2025, ha chiarito che in un giudizio di separazione, un genitore può chiedere al giudice di regolamentare il rapporto nonni -nipoti, se l’altro genitore li impedisce. Questo diritto esiste nonostante l’articolo 317-bis del Codice civile, che riconosce ai nonni il diritto di vedere i nipoti e di rivolgersi direttamente al Tribunale per i Minorenni. Per la Cassazione i genitori, responsabili legali dei figli, possono agire per tutelare l’interesse dei minori a mantenere rapporti con i nonni, anche durante una separazione.

Inammissibile la richiesta sul rapporto con i nonni

Una separazione giudiziale si conclude in primo grado con l’affido congiunto dei minori con domicilio prevalente presso la madre e con la regolamentazione del diritto di visita del padre. Il giudice obbliga inoltre il padre a versare l’importo mensile di 650 euro per il contributo al mantenimento dei figli e della moglie.

L’uomo ricorre la decisione in sede di appello dolendosi delle decisioni e della mancata pronuncia sulla domanda relativa alla conservazione dei rapporti dei minori con i parenti e nonni della linea paterna. La Corte d’appello dichiarata inammissibile questa richiesta poiché solo i parenti pretermessi possono formulare detta richiesta.

Ricorso per regolazione rapporti nonni-nipoti

Il padre e marito ricorre la decisione in Cassazione e con il quarto motivo contesta le conclusioni a cui è giunta la Corte d’Appello nel punto in cui gli ha negato la possibilità di chiedere la regolamentazione dei rapporti dei figli con i nonni e i parenti della linea paterna.

Diritto al rapporto dei minori con gli ascendenti

Per la Cassazione questo motivo di ricorso è fondato. Gli Ermellini ricordano a tale fine che l’articolo 317 bis del codice civile riconosce agli ascendenti il diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni. Se tale diritto viene impedito, l’ascendente può rivolgersi al giudice, ricordando che, in ogni caso, la legge pone l’interesse del minore al di sopra di ogni altro diritto.

Questa norma quindi non si applica nei giudizi di separazione o divorzio, dove i genitori rappresentano esclusivamente i figli. Sono gli ascendenti a dover avviare un procedimento separato se vogliono conservare la relazione con i minori.

La Cassazione ricorda di aver già chiarito che il diritto dei nipoti a mantenere rapporti con gli ascendenti non modifica i giudizi di separazione o divorzio. I nonni non possono infatti intervenire in queste  cause per sostenere le ragioni dell’uno o dell’altro genitore. Solo i genitori possono agire per questioni relative alla responsabilità genitoriale.

Tutela rapporto con i minori

Se poi la questione di tutelare il rapporto con i minori sorge, come nel caso di specie, nel corso della procedura di separazione esche l’altro genitore ostacola questa relazione, allora l’altro genitore può richiedere la regolamentazione dei rapporti tra nipoti e ascendenti.

La Cassazione ricorda che la Corte Costituzionale ha stabilito che le controversie relative all’articolo 317 bis del codice civile, che riguardano il diritto degli ascendenti a conservare rapporti significativi con i nipoti minorenni, sono di competenza del Tribunale per i Minorenni e che pertanto non è possibile unire tali controversie ai giudizi di separazione o divorzio.

Le parti e gli interessi in gioco sono diversi e unendoli si rischierebbe di aumentare la conflittualità tra i coniugi e di complicare l’ascolto dei minori.

In conclusione, nei giudizi di separazione, il genitore può chiedere la regolamentazione dei rapporti tra nipoti e ascendenti se l’altro genitore lo ostacola.

 

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Allegati

nucleo familiare

Il nucleo familiare Il nucleo familiare: definizione, composizione, importanza ai fini ISEE e fiscali e giurisprudenza di rilievo

Il concetto di nucleo familiare

Il concetto di nucleo familiare è centrale in numerosi ambiti legali, economici e fiscali. Spesso utilizzato per calcolare l’ISEE (Indicatore della Situazione Economica Equivalente) e per determinare l’accesso a prestazioni sociali e benefici fiscali. Si tratta di un concetto che può sembrare semplice, ma che in realtà presenta alcune complessità, soprattutto per quanto riguarda le definizioni giuridiche e le implicazioni pratiche.

In questo articolo, esploreremo cosa si intende per nucleo familiare, chi ne fa parte e quale importanza riveste ai fini dell’ISEE e della fiscalità, facendo riferimento anche alla giurisprudenza pertinente.

Cos’è il nucleo familiare

Il nucleo familiare è definito come il gruppo di persone che, pur non essendo necessariamente legate da vincoli di parentela diretti, vivono insieme stabilmente e condividono le risorse economiche. La composizione è determinata dalla convivenza e dalla condivisione del reddito, ma anche da relazioni di affetto e supporto reciproco.

Secondo la normativa vigente, il nucleo familiare comprende, a titolo principale, le seguenti persone:

  1. il richiedente: la persona che richiede il beneficio (ad esempio, l’ISEE).
  2. il coniuge: se il richiedente è sposato, il coniuge fa parte del nucleo familiare.
  3. i figli: sono considerati membri del nucleo familiare i figli, sia minorenni che maggiorenni, se conviventi e non economicamente autosufficienti.
  4. i genitori: se i figli vivono con i genitori, questi ultimi sono inclusi nel nucleo familiare.

In alcune circostanze esso può includere anche altri membri, come i fratelli o altri parenti, se questi vivono insieme e contribuiscono al sostentamento comune.

Composizione ed eccezioni

In generale, il concetto di nucleo familiare si basa sulla convivenza e sul reddito condiviso. Tuttavia, la normativa prevede alcune eccezioni in casi particolari. Ad esempio, nel calcolo dell’ISEE, non sono considerati parte del nucleo familiare i figli che sono sposati o che vivono in autonomia, anche se continuano a risiedere nella stessa abitazione.

La definizione di nucleo familiare può differire leggermente a seconda dell’ente o della prestazione sociale per cui viene utilizzato. Ad esempio, per l’ISEE, il nucleo familiare comprende tutti i membri della famiglia che convivono stabilmente e che hanno un reddito condiviso, mentre per altri benefici fiscali o sociali, le regole possono variare.

Il nucleo familiare ai fini ISEE

L’ISEE è uno degli strumenti più importanti per determinare l’accesso a prestazioni sociali, bonus e agevolazioni fiscali. La sua formulazione dipende dalla composizione del nucleo familiare, quindi è essenziale conoscere correttamente chi ne fa parte per calcolare l’ISEE in modo accurato, visto che le regole relative alla composizione del nucleo famigliare per quanto riguarda questo indicatore sono piuttosto complesse.

Secondo la normativa ISEE, il nucleo familiare è composto dai membri della famiglia anagrafica alla data di presentazione della Dichiarazione Sostitutiva Unica (DSU), con alcune eccezioni. La famiglia anagrafica include persone legate da vincoli di matrimonio, unione civile, parentela, affinità, adozione, tutela o affettivi, che coabitano o hanno dimora abituale nello stesso comune. Il nucleo familiare ISEE però è diverso dal concetto di “familiare a carico” ai fini fiscali.

Per calcolare l’ISEE, si può affermare in generale che devono sommarsi i redditi e i patrimoni di tutti i membri del nucleo familiare per poi dividerli per un parametro che tiene conto del numero dei componenti del nucleo stesso, dando così un valore equivalente. Questo valore determina l’accesso a benefici come:

  • Bonus Famiglia: agevolazioni fiscali per le famiglie con figli a carico.
  • Assegni Familiari: prestazioni economiche erogate dallo Stato alle famiglie con determinati requisiti di reddito.
  • Agevolazioni per servizi sociali: accesso a sussidi per la salute, l’istruzione, e altre prestazioni comunali.

Un nucleo familiare numeroso, ad esempio, può beneficiare di una riduzione dell’ISEE, mentre un nucleo familiare con pochi componenti, ma con redditi elevati, avrà un ISEE più alto, limitando l’accesso a prestazioni agevolate.

Importanza in ambito fiscale

Oltre agli aspetti relativi all’ISEE, il nucleo familiare riveste una notevole importanza anche in ambito fiscale. Le detrazioni fiscali e le agevolazioni per il carico familiare sono determinate in base alla composizione del nucleo, come nel caso delle detrazioni per figli a carico.

In particolare, le detrazioni per familiari a carico (come per i figli minorenni o per i coniugi non lavoratori) sono applicabili ai contribuenti che dichiarano di avere un nucleo familiare che soddisfa i requisiti previsti dalla normativa fiscale.

Alcune delle principali agevolazioni fiscali legate al nucleo familiare includono:

  • detrazione per figli a carico: permette di ottenere una riduzione dell’imposta dovuta in base al numero di figli che fanno parte del nucleo familiare;
  • bonus asilo nido: le famiglie con un ISEE basso possono beneficiare di questo bonus per coprire le spese di iscrizione e frequenza a strutture educative per bambini;
  • altri bonus e sgravi: le famiglie numerose o con determinate caratteristiche possono beneficiare di altre agevolazioni, tra cui il bonus famiglia e i bonus per la casa.

Giurisprudenza di rilievo

La giurisprudenza italiana ha contribuito a chiarire numerosi aspetti di questo istituto, specialmente in relazione ai benefici economici e fiscali. Le decisioni delle corti sono fondamentali per interpretare correttamente la legge in caso di contenziosi:

Cassazione n. 16786/2024: in tema di IMU, il concetto di abitazione principale non richiede necessariamente che l’intero nucleo familiare risieda e dimori nello stesso immobile. Questo significa che un contribuente può beneficiare dell’agevolazione IMU se risiede e dimora abitualmente in un determinato immobile, anche se il coniuge risiede in un comune diverso. Tuttavia, è fondamentale che l’immobile in questione sia l’unica abitazione principale del contribuente. Non è possibile, infatti, che entrambi i coniugi rivendichino l’agevolazione IMU per due abitazioni principali distinte, sia nello stesso comune che in comuni diversi.

Tar Lazio n. 4584/2025: per individuare i parametri che consentono al titolare della pensione di vecchiaia di essere esonerato dal pagamento delle spese sanitarie è possibile interrogare le – banche dati telematiche a disposizione del Ministero dell’Interno (Punto Fisco, Anagrafe Tributaria, Ufficio Attività Produttive, INPS, Agenzia delle Entrate etc.), che “permettono di individuare in tempo reale il quadro completo della posizione economica del soggetto e di tutti i componenti del proprio nucleo familiare ovvero addivenire a tutte le informazioni descrittive del reddito, del patrimonio, degli affari, degli scambi, della produzione e dei consumi di ogni singolo contribuente, ovvero i dati identificativi di tutte le ditte regolarmente censite.”

 

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bonus genitori separati

Bonus genitori separati: dopo 4 anni arriva il pagamento Bonus genitori separati: previsto dal decreto n. 41/2021, è stato attuato a fine 2022, ma l’INPS riuscirà a pagare nei prossimi mesi

Bonus genitori separati: norma di riferimento

Il bonus genitori separati nasce con l’articolo 12-bis del decreto-legge 22 marzo 2021, n. 41, convertito dalla legge 21 maggio 2021, n. 69. Per la misura il decreto ha istituito un fondo da 10 milioni di euro per il 2022, destinato ai genitori separati o divorziati in difficoltà economica. Il contributo doveva garantire la continuità dell’assegno di mantenimento non ricevuto durante la pandemia.

Ragioni del bonus genitori separati

Il Governo ha introdotto questa misura per sostenere i genitori separati che, a causa della crisi pandemica, non hanno ricevuto l’assegno di mantenimento. L’obiettivo era garantire un aiuto economico ai genitori in stato di bisogno, con figli minori o con disabilità grave a carico conviventi. La pandemia ha infatti aggravato la precarietà lavorativa di molte persone, rendendo impossibile per alcuni ex coniugi rispettare gli obblighi di mantenimento.

A chi spetta la misura

Il bonus è stato previsto in favore dei genitori separati o divorziati che non hanno ricevuto l’assegno di mantenimento nel periodo 8 marzo 2020 – 31 marzo 2022. I beneficiari devono aver convissuto con figli minori o figli maggiorenni con disabilità grave e trovarsi in stato di bisogno economico.

Il reddito annuo del richiedente non deve superare 8.174 euro. Inoltre, l’ex coniuge o ex convivente deve aver subito una riduzione del reddito di almeno il 30% rispetto al 2019, una sospensione lavorativa di almeno 90 giorni o la cessazione dell’attività lavorativa.

In cosa consiste il bonus genitori separati

Il bonus prevede un contributo massimo di 800 euro al mese per un anno, con un pagamento in un’unica soluzione fino a 9.600 euro. L’importo dipende dalla somma non ricevuta dell’assegno di mantenimento. Le risorse sono limitate e saranno erogate fino all’esaurimento del fondo.  

Quando verrà corrisposto

Dopo quattro anni di attesa, l’INPS ha sbloccato i fondi. I genitori che hanno presentato domanda entro il 2 aprile 2024 riceveranno il pagamento nei prossimi mesi. L’erogazione avverrà in un’unica soluzione. Se il fondo sarà rifinanziato, potrebbero aprirsi nuove finestre per le domande.

Fondi nei prossimi mesi

La misura ha subito ritardi a causa di problemi burocratici. Il testo iniziale del decreto Sostegni era vago e inapplicabile. Servivano modifiche per includere le coppie di fatto e chiarire i criteri di accesso. Il decreto attuativo è arrivato solo a fine 2022.

La fase operativa è partita nel 2024 con l’apertura delle domande online. La verifica dei requisiti ha richiesto un grande lavoro, rallentando ulteriormente i tempi di pagamento. Ora l’Inps assicura che i fondi saranno distribuiti nei prossimi mesi.

 

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