vittime di violenza di genere

Vittime di violenza di genere: contributi dalla Cassa La Cassa dei Dottori Commercialisti stanzia 200.000 euro per un contributo economico destinato alle professioniste vittime di violenza di genere. Ecco requisiti, importo e modalità di domanda

Commercialiste vittime di violenza di genere

Vittime di violenza di genere: la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei Dottori Commercialisti ha previsto, per il 2025, un contributo economico di supporto dedicato esclusivamente alle Commercialiste che hanno subito violenza di genere. La finalità è sostenere il percorso di fuoriuscita dalla violenza e favorire il recupero dell’autonomia professionale, grazie a un fondo complessivo pari a 200.000 euro.

Chi può beneficiarne

L’accesso al contributo è riservato alle professioniste iscritte alla Cassa alla data del 31 dicembre 2025 e residenti sul territorio nazionale. Per ottenere il beneficio occorre trovarsi in una delle seguenti situazioni:

  • aver intrapreso dal gennaio 2021 un percorso di protezione e fuoriuscita dalla violenza, ancora in corso al momento della domanda;

  • oppure aver avviato azioni giudiziarie di tutela, concluse o pendenti.

Il requisito dello stato di bisogno si considera automaticamente sussistente in relazione alla particolare condizione di vulnerabilità derivante dalla violenza subita.

Importo e caratteristiche del contributo

L’ammontare del sostegno economico non è predeterminato in misura fissa: sarà stabilito caso per caso dal Consiglio di Amministrazione, che valuterà la situazione specifica della richiedente.

Qualora la professionista abbia percepito il “Reddito di Libertà” previsto dal D.P.C.M. 17 dicembre 2020, il nuovo contributo potrà integrare quanto già ricevuto. L’erogazione avverrà in un’unica soluzione tramite bonifico bancario sul conto corrente indicato nella domanda.

Come e quando presentare domanda

Le domande potranno essere inoltrate a partire dal 1° luglio 2025 fino al 30 giugno 2026, e comunque fino ad esaurimento delle risorse stanziate.

Le modalità di invio ammesse sono:

Documentazione da allegare

Alla richiesta è necessario allegare:

  • un documento di identità in corso di validità;

  • una dichiarazione firmata dal legale rappresentante di un centro antiviolenza, oppure dai Servizi Sociali o altro Ente preposto, che attesti l’avvio e il proseguimento di un percorso di protezione e l’effettivo stato di violenza;

  • se già percepito, il documento che comprovi l’erogazione del Reddito di Libertà.

In presenza di irregolarità contributive, l’erogazione del contributo resta sospesa fino alla regolarizzazione.

lesioni permanenti al viso

Lesioni permanenti al volto: pene troppo rigide La Corte costituzionale dichiara parzialmente illegittimo l'art. 583-quinquies c.p.: necessaria una “valvola di sicurezza” per punire con proporzionalità le lesioni permanenti al volto

La Consulta interviene sull’art. 583-quinquies c.p.

Lesioni permanenti al volto: con la sentenza n. 83/2025, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità parziale dell’art. 583-quinquies del codice penale, introdotto dalla legge n. 69/2019 (cd. “codice rosso”). La norma disciplina il reato di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, prevedendo una pena detentiva molto severa e una sanzione accessoria automatica.

Pene troppo rigide: violati i principi costituzionali

La Corte ha censurato la disposizione per eccessiva rigidità sanzionatoria, ritenendola in contrasto con gli articoli 3 e 27, commi 1 e 3, della Costituzione. In particolare, è stata giudicata incostituzionale:

  • la mancata previsione di una diminuzione di pena nei casi di lieve entità del fatto;

  • l’automatismo e la perpetuità dell’interdizione dagli uffici di tutela, curatela e amministrazione di sostegno.

Lesioni permanenti al volto: necessaria clausola di flessibilità

Secondo la Consulta, sebbene la ratio della norma sia condivisibile – tutelare l’identità personale legata all’aspetto del volto – essa non può prescindere da una “valvola di sicurezza” che consenta al giudice di adattare la pena alle circostanze concrete del caso.

La formulazione attuale, infatti, rischia di equiparare comportamenti molto diversi tra loro, anche privi di dolo intenzionale, imponendo sanzioni sproporzionate e inidonee alla funzione rieducativa della pena.

La pena accessoria deve essere discrezionale

Infine, è stato ritenuto incostituzionale il secondo comma dell’articolo, nella parte in cui prevede l’interdizione perpetua e automatica. Tale pena accessoria – osserva la Corte – deve essere discrezionalmente applicabile dal giudice, entro un limite massimo di dieci anni, in coerenza con i principi costituzionali.

vittimizzazione secondaria

Vittimizzazione secondaria Vittimizzazione secondaria: quando la vittima diventa nuovamente vittima, cosa dice la legge e la giurisprudenza

Cos’è la vittimizzazione secondaria

La vittimizzazione secondaria è un fenomeno complesso che si verifica quando la vittima di un reato subisce ulteriori danni a causa del modo in cui viene trattata dalle istituzioni, dai media o dalla società. Si tratta di una forma di violenza che si aggiunge al trauma originale, aggravando le conseguenze psicologiche e sociali per la vittima.

Fasi del processo di vittimizzazione secondaria

Il processo di vittimizzazione secondaria può essere suddiviso in diverse fasi.

  1. Negazione o minimizzazione del trauma: la vittima può sentirsi non creduta o sminuita nelle sue sofferenze.
  2. Colpevolizzazione della vittima (victim blaming): la vittima viene ritenuta responsabile dell’accaduto, insinuando che avrebbe potuto evitarlo.
  3. Giudizio morale: la vittima viene giudicata per le sue scelte o comportamenti, spesso basati su stereotipi e pregiudizi.
  4. Mancanza di supporto: la vittima si sente isolata e abbandonata, senza ricevere il sostegno necessario per superare il trauma.
  5. Rivittimizzazione istituzionale: la vittima subisce ulteriori traumi a causa di procedure legali, mediche o sociali inadeguate.

Cosa dice la legge

La legge italiana, in particolare il “Codice Rosso” (Legge n. 69/2019), mira a contrastare la vittimizzazione secondaria, prevedendo misure per tutelare le vittime di violenza domestica e di genere. La piena attuazione di queste misure richiede tuttavia un cambiamento culturale e una maggiore consapevolezza da parte di tutti gli operatori coinvolti.

Victim blaming: colpevolizzazione della vittima

Il victim blaming è una forma di vittimizzazione secondaria che consiste nell’attribuire la responsabilità del reato alla vittima stessa. Questo fenomeno è particolarmente diffuso nei casi di violenza sessuale, dove la vittima viene spesso giudicata per il suo abbigliamento, il suo comportamento o il suo stile di vita.

Conseguenze della vittimizzazione secondaria

La vittimizzazione secondaria può avere gravi conseguenze sulla salute mentale e sul benessere della vittima, tra cui:

  • disturbo da stress post-traumatico (PTSD);
  • depressione;
  • ansia;
  • isolamento sociale;
  • difficoltà a fidarsi degli altri;
  • riluttanza a denunciare altri reati.

Come contrastare la vittimizzazione secondaria

Per contrastare la vittimizzazione secondaria, è necessario:

  • promuovere una cultura del rispetto e della non colpevolizzazione delle vittime di determinati reati;
  • formare gli operatori delle istituzioni per garantire un trattamento adeguato alle vittime;
  • sensibilizzare l’opinione pubblica sui rischi del victim blaming;
  • offrire sostegno psicologico e legale alle vittime.

Giurisprudenza  di rilievo

Cassazione n. 11631/2024: nei procedimenti sulla responsabilità genitoriale, se si sospettano violenze domestiche, il giudice deve valutare attentamente. Anche per fatti precedenti alla nuova legge, se non esclude la violenza e decide di adottare provvedimenti, deve considerare un aspetto cruciale. Deve verificare che le misure prese non creino ulteriori sofferenze o danni alla vittima. Questo significa evitare la “vittimizzazione secondaria”.

Cassazione n. 12066/2023: la Cassazione ha esaminato il caso di una donna condannata per calunnia. La Corte d’Appello di Bari riteneva che avesse falsamente accusato l’ex marito di violenza sessuale sul figlio. La Corte motivava la condanna ipotizzando un movente legato al rifiuto dell’uomo di sposarla. La Cassazione ha annullato la sentenza. Ha riconosciuto che la decisione della Corte d’Appello ignorava il concetto di vittimizzazione secondaria. Questo fenomeno si verifica quando la vittima subisce ulteriori danni dal sistema giudiziario durante il processo. La Cassazione ha sottolineato l’importanza di considerare questo aspetto nei casi di presunta violenza.

Cedu caso J.L. c. Italia 27.05.2021: gli Stati devono “organizzare la procedura penale in modo da non mettere indebitamente in pericolo la vita, la libertà o la sicurezza dei testimoni, e in particolare quella delle vittime chiamate a deporre. Gli interessi della difesa devono dunque essere bilanciati con quelli dei testimoni o delle vittime chiamate a testimoniare (…)” Ciò significa che deve essere assicurata “una presa in carico adeguata della vittima durante la procedura penale, e questo al fine di proteggerla dalla vittimizzazione secondaria (…).”

 

Leggi anche gli articoli dedicati al Codice Rosso

violenza domestica

Violenza domestica: la Cassazione valorizza gli indizi La Cassazione chiarisce che anche un solo episodio di violenza domestica può giustificare la separazione con addebito. Fondamentali anche gli indizi e le testimonianze indirette

Violenza domestica e separazione

In ambito familiare, ai fini della ricostruzione dei fatti nei procedimenti giudiziari – in particolare nelle cause di separazione personale tra coniugi – il giudice non può limitarsi a considerare solo le prove dirette e palesi. È quanto ha stabilito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 10021/2025, affermando che la valutazione degli indizi è essenziale per accertare episodi di violenza domestica.

Un solo episodio può bastare per l’addebito

La vicenda trae origine da una causa di separazione in cui il Tribunale aveva addebitato la crisi coniugale al marito, ritenuto responsabile di atti di violenza contro la moglie. La Corte d’appello, tuttavia, aveva annullato tale addebito, non ravvisando prove sufficienti delle condotte contestate. Contro questa decisione la moglie ha proposto ricorso in Cassazione, che ha accolto la doglianza, cassando la sentenza impugnata e rinviando la questione a una diversa composizione della Corte territoriale.

La Suprema Corte ha ribadito un principio fermo nella sua giurisprudenza: anche un solo episodio accertato di percosse può giustificare la separazione con addebito, in quanto comportamento lesivo della dignità personale e tale da compromettere in modo irreversibile l’equilibrio della relazione coniugale.

Indizi strumenti fondamentali per accertare la verità

Nel confermare la centralità dell’approccio indiziario, la Cassazione evidenzia come, soprattutto nei procedimenti familiari, spesso legati a dinamiche intime e riservate, il giudice debba fondare il proprio convincimento anche su elementi indiretti. Tra questi:

  • le testimonianze de relato, provenienti dalla parte che denuncia i fatti;

  • le relazioni dei Servizi sociali, spesso fondamentali per rilevare situazioni di maltrattamento o disagio familiare.

La Corte sottolinea che queste fonti possono rappresentare indizi rilevanti, da valutare congiuntamente per ricostruire episodi di violenza fisica o psicologica difficilmente documentabili con prove dirette, come spesso accade nei contesti di abuso domestico.

Allegati

reddito di libertà

Reddito di libertà: cos’è e come ottenerlo Reddito di libertà: cos’è, a chi spetta, da quali norme è disciplinato e come presentare la domanda dal 12 maggio 2025

Reddito di libertà: cos’è

Il reddito di libertà è stato introdotto per aiutare le donne vittime di violenza. In relazione alle domande che verranno presentato a partire dal 5 marzo 2025, la misura consisterà in un supporto economico pari a 500 euro mensili (salvo incrementi previsti da disposizioni di legge successive) per un periodo massimo di 12 mesi.  Il pagamento delle 12 mensilità avverrà in un’unica soluzione. La misura non è soggetta a IRPEF. La circolare INPS n. 54 del 5 marzo 2025 fornisce le indicazioni necessarie per presentare la domanda.

Normativa di riferimento

  • Decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modifiche dalla legge 17 luglio 2020, n. 77: ha istituito il Fondo per il reddito di libertà delle donne vittime di violenza;
  • D.P.C.M del 17 dicembre 2020: ha definito i criteri di ripartizione delle risorse per il 2020 del “Fondo per il reddito di libertà per le donne vittime di violenza”;
  • messaggi INPS 4352 del 7 dicembre 2021; n. 1053 del 7 marzo 2022; n. 2453 del 16 giugno 2022 e n. 3363 del 13 settembre 2022: hanno fornito indicazioni per l’accoglimento delle domande anche dopo il trasferimento all’INPS delle risorse statali e regionali anni 2021- 2022 e 2023, ripartite con i criteri indicati nel D.P.C.M. 1° giugno 2022.
  • Legge di bilancio 2024 n. 213/2023 (art. 1 comma 187): ha reso strutturale il Reddito di libertà incrementando il Fondo di 10 milioni di euro per ogni anno 2024, 2025 e 2025 e sei milioni per il 2027 per garantire l’indipendenza economica e l’emancipazione delle donne vittime di violenza e in condizioni di povertà.
  • Decreto 2 dicembre 2024 ha definito i criteri di ripartizione delle risorse riferite agli anni 2024, 2025 e 2026, di 30 milioni di euro (10 milioni di euro ogni anno 2024, 2025 e 2026) e ha modificato la disciplina del contributo.

A chi spetta il reddito di libertà

Il reddito di libertà spetta alle donne con o senza figli, vittime di violenza domestica seguite dai centri antiviolenza e dai servizi sociali.

Le destinatarie devono essere residenti nel territorio italiano e avere la cittadinanza italiana, comunitaria o extracomunitaria (in possesso di carta di soggiorno per familiari extracomunitari di cittadini dell’unione europea o in possesso di regolare permesso di soggiorno UE o del permesso per protezione speciale). Alle cittadine italiane sono equiparate le straniere con status di rifugiate politiche o di protezione sussidiaria.

Requisiti di accesso

Per poter accedere al reddito di libertà sono necessarie due attestazioni:

  • il centro antiviolenza, nella persona del suo rappresentante legale, deve dichiarare che ha in carico la donna e che la stessa ha intrapreso un percorso di emancipazione e di autonomia;
  • il servizio sociale invece deve attestare lo stato di bisogno transitorio della donna a causa della situazione urgente e straordinaria che la stessa sta vivendo.

Regime transitorio

Abbiamo visto che il reddito di libertà è presente da qualche anno. Per questo la circolare INPS n. 54/2025 ricorda che le domande che erano state presentate e che non erano state accolte conservano priorità purché ripresentate entro 45 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto 2 dicembre 2024 (ossia entro il 18 aprile 2025) per dimostrare la permanenza dei requisiti necessari. La mancata ripresentazione della domanda comporterà infatti la decadenza definitiva, fatta salva la possibilità di presentare una nuova domanda.

Domande 2025: presentazione e esito

La domanda per il Reddito di Libertà 2025 deve essere presentata dalle donne interessate, direttamente o tramite un rappresentante, al Comune di riferimento, utilizzando il modulo SR208, disponibile sul sito INPS. Il Comune trasmette la richiesta all’INPS, che assegna un codice univoco determinante per la graduatoria regionale, nei limiti delle risorse disponibili. La domanda può essere inoltrata online tramite SPID, CIE o CNS. È ammessa una sola richiesta per ogni donna vittima di violenza. Devono essere compilati tutti i campi del modulo, inclusa l’attestazione del bisogno e la dichiarazione del percorso di emancipazione rilasciata da un centro antiviolenza. Nella richiesta deve essere indicato anche il metodo di pagamento prescelto tra conto corrente, libretto di risparmio, carta prepagata.

Il sistema verifica la correttezza dei dati nella domanda per il Reddito di Libertà prima dell’invio e della registrazione. Dopo la trasmissione, viene eseguita un’istruttoria automatizzata per controllare il budget disponibile e la titolarità dell’IBAN. L’esito può essere: “Accolta in pagamento”, “Accolta in attesa di IBAN” o “Non accolta per insufficienza di budget”. Se l’IBAN non è valido, la domanda resta in attesa.  Gli operatori comunali devono aggiornare eventuali IBAN errati e segnalare problemi tramite PEC. L’esito è consultabile dai Comuni e comunicato all’interessata. Un manuale comunque è disponibile nel servizio online dedicato.

Reddito di libertà: domande online dal 12 maggio 2025

L’INPS, con il messaggio 7 maggio 2025, n. 1429 informa che dal 12 maggio 2025 è attivo il servizio per la presentazione online delle nuove domande per il reddito di libertà.

Le donne in possesso dei requisiti, comprese quelle che non hanno ripresentato la domanda entro il 18 aprile 2025, possono presentare la domanda utilizzando il modulo SR208, tramite i comuni di riferimento.

Le domande sono accolte sulla base delle risorse disponibili a livello regionale tenendo conto della data e dell’ora di invio delle stesse. Quelle presentate nel 2025, comprese quelle ripresentate entro il 18 aprile 2025, restano valide fino al 31 dicembre 2025.

 

Leggi anche gli altri articoli dedicati allo stesso argomento

Allegati

convenzione di istanbul

La Convenzione di Istanbul Convenzione di Istanbul: uno strumento fondamentale per combattere la violenza di genere

Cos’è la Convenzione di Istanbul

La Convenzione di Istanbul è un trattato internazionale promosso dal Consiglio d’Europa, firmato nel 2011 a Istanbul e ratificato dall’Italia con la Legge n. 77 del 27 giugno 2013. Rappresenta il primo strumento giuridicamente vincolante a livello europeo per la prevenzione e il contrasto della violenza contro le donne e della violenza domestica.

Cosa prevede  

La Convenzione definisce la violenza contro le donne come una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione, includendo tutte le forme di violenza basate sul genere che colpiscono in modo sproporzionato le donne. Tra i punti chiave della Convenzione, troviamo:

  • definizione ampia di violenza: che include la violenza fisica, psicologica, sessuale, economica e la violenza domestica.
  • obblighi per gli Stati firmatari: di adottare misure legislative e politiche per prevenire la violenza, proteggere le vittime e perseguire i responsabili.
  • approccio integrato: che richiede la collaborazione tra diverse istituzioni e settori, come la polizia, la magistratura, i servizi sociali e sanitari.
  • protezione delle vittime: con l’istituzione di centri antiviolenza, case rifugio e servizi di assistenza.
  • perseguimento dei reati: con l’introduzione di norme penali specifiche per punire i responsabili di violenza.

Le 4 P della Convenzione di Istanbul

La Convenzione di Istanbul si basa su quattro pilastri fondamentali, noti come le “4 P”:

  • prevenzione (Prevention): prevenire la violenza attraverso l’educazione, la sensibilizzazione e la promozione dell’uguaglianza di genere.
  • protezione (Protection): proteggere le vittime fornendo loro assistenza, supporto e alloggio sicuro.
  • punizione (Prosecution): perseguire i responsabili dei reati di violenza e garantire che siano puniti.
  • politiche integrate (Integrated Policies): adottare politiche e misure coordinate a livello nazionale e internazionale per affrontare la violenza di genere.

Ratifica della Convenzione in Italia

L’Italia ha ratificato la Convenzione di Istanbul con la Legge n. 77 del 27 giugno 2013, impegnandosi così ad attuare le disposizioni del trattato. La ratifica ha comportato l’introduzione di nuove norme e misure per contrastare la violenza di genere, come il “Codice Rosso” (Legge n. 69/2019), che ha accelerato i tempi di intervento nei casi di violenza domestica.

L’importanza del documento

La Convenzione di Istanbul rappresenta uno strumento fondamentale per combattere la violenza di genere e proteggere le vittime. La sua attuazione richiede un impegno costante da parte delle istituzioni e della società civile, al fine di creare una cultura del rispetto e dell’uguaglianza.

Ti interessa l’argomento della violenza di genere? Leggi anche gli altri articoli dedicati all’argomento

violentometro

Violentometro: cos’è e come funziona Violentometro: che cos’è, come funziona, a che cosa serve, dove trovarlo e perché è importante utilizzarlo

Violentometro: cos’è

Il Violentometro è uno strumento ideato per aiutare le donne a riconoscere i segnali di allarme nelle relazioni e a chiedere aiuto. La sua finalità è di aiutare le donne a identificare i comportamenti violenti e a capire quando è il momento di allontanarsi da una situazione pericolosa.

Origini del violentometro

Il Violentometro è stato creato in Francia nel 2018 e da allora è stato utilizzato in molti paesi in tutto il mondo. In Italia, il Violentometro è stato introdotto nel 2013 e da allora è stato distribuito in migliaia di copie.

Come funziona 

E’ uno strumento grafico che illustra le diverse forme di violenza attraverso una scala cromatica che evidenzia i vari livelli di rischio. Questo strumento incoraggia la riflessione su comportamenti che spesso vengono minimizzati, permettendo di riconoscere la tossicità e la pericolosità delle dinamiche relazionali con il partner. Le condotte che vengono prese in considerazione riguardano diversi aspetti della relazione, come il controllo, la gelosia, le umiliazioni e le aggressioni fisiche. In base alle risposte fornite, il Violentometro fornisce un punteggio che indica il livello di rischio della relazione. Se il punteggio è alto, è importante cercare aiuto da un professionista.

Dove trovarlo

Il Violentometro è disponibile online e in molti centri anti-violenza. È anche possibile scaricarlo gratuitamente da Internet.

A cosa serve 

Si tratta di uno strumento utile per:

  • riconoscere i segnali di allarme nella propria relazione;
  • capire quando è il momento di allontanarsi da una situazione pericolosa;
  • cercare aiuto da un professionista in grado di fornire il giusto supporto;
  • rivolgersi a un centro anti-violenza per intraprendere il percorso di uscita dal contesto violento in cui si vive.

Importanza del violentometro

Il Violentometro è uno strumento importante per combattere la violenza sulle donne. Aiuta le donne a riconoscere i segnali di allarme e a chiedere aiuto prima che la situazione degeneri.

Leggi anche gli altri articoli dedicati al Codice Rosso

femminicidio

Femminicidio: reato autonomo Approvato dal Consiglio dei ministri che introduce il delitto di femminicidio e altri interventi normativi per il contrasto alla violenza nei confronti delle donne e per la tutela delle vittime

Il delitto di femminicidio

Il femminicidio diventa reato autonomo. Oggi, 7 marzo, 2025, il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge che introduce nel codice penale il delitto di femminicidio e altri interventi normativi per il contrasto alla violenza nei confronti delle donne e per la tutela delle vittime.

Cosa prevede il testo

Il testo, si legge nel comunicato stampa di palazzo Chigi, appronta un intervento ampio e sistematico per rispondere alle esigenze di tutela contro il fenomeno di drammatica attualità delle condotte e manifestazioni di prevaricazione e violenza commesse nei confronti delle donne.

Nuova fattispecie penale di femminicidio

Si introduce la nuova fattispecie penale di “femminicidio” che, per l’estrema urgenza criminologica del fenomeno e per la particolare struttura del reato, viene sanzionata con la pena dell’ergastolo. In particolare, si prevede che sia punito con tale pena “chiunque cagiona la morte di una donna quando il fatto è commesso come atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna o per reprimere l’esercizio dei suoi diritti o delle sue libertà o, comunque, l’espressione della sua personalità”. In linea con tale intervento, le stesse circostanze di commissione del reato sono introdotte quali aggravanti per i delitti più tipici di codice rosso, con la previsione di un aumento delle pene previste di almeno un terzo e fino alla metà o a due terzi, a seconda del delitto.

Le altre novità

Inoltre, il testo:

  • prevede l’audizione obbligatoria della persona offesa da parte del pubblico ministero, non delegabile alla polizia giudiziaria, nei casi di codice rosso;
  • introduce specifici obblighi informativi in favore dei prossimi congiunti della vittima di femminicidio;
  • prevede il parere, non vincolante, della vittima in caso di patteggiamento per reati da codice rosso e connessi obblighi informativi e onere motivazionale del giudice;
  • nei casi in cui sussistano esigenze cautelari, prevede l’applicazione all’imputato della misura della custodia cautelare in carcere o degli arresti domiciliari;
  • interviene sui benefici penitenziari per autori di reati da codice rosso;
  • introduce, in favore delle vittime di reati da codice rosso, un diritto di essere avvisate anche dell’uscita dal carcere dell’autore condannato, a seguito di concessione di misure premiali;
  • rafforza gli obblighi formativi dei magistrati, previsti dall’art. 6, comma 2, della legge n. 168 del 2023;
  • estende alla fase della esecuzione della condanna al risarcimento il regime di favore in tema di prenotazione a debito previsto per i danneggiati dai fatti di omicidio “codice rosso” e di femminicidio;
  • introduce una disposizione di coordinamento che prevede l’estensione al nuovo articolo 577-bis dei richiami all’articolo 575 contenuti nel codice penale.

Convenzione di Istanbul

L’intervento si inserisce anche nel quadro degli obblighi assunti dall’Italia con la ratifica della Convenzione di Istanbul e nel solco delle linee operative disegnate dalla nuova direttiva (UE) 1385/2024 in materia di violenza contro le donne, nonché delle direttive in materia di tutela delle vittime di reato.

Una svolta epocale

“Oggi il Governo compie un altro passo avanti nell’azione di sistema che sta portando avanti fin dal suo insediamento per contrastare la violenza nei confronti delle donne e per tutelare le vittime. Il Consiglio dei ministri ha varato un disegno di legge estremamente significativo, che introduce nel nostro ordinamento il delitto di femminicidio come reato autonomo, sanzionandolo con l’ergastolo, e prevede aggravanti e aumenti di pena per i reati di maltrattamenti personali, stalking, violenza sessuale e revenge porn. Norme che considero molto importanti e che abbiamo fortemente voluto per dare una sferzata nella lotta a questa intollerabile piaga.  Ringrazio i Ministri che hanno lavorato al provvedimento e che ci hanno permesso di raggiungere, alla vigilia della Festa della Donna, questo importante risultato”. Sono le parole della premier Meloni.

Il Guardasigilli Nordio nella conferenza stampa a margine del Cdm ha parlato di “grande svolta”, che oltre a risolvere problemi tecnici costituisce una “manifestazione potente di attenzione dello Stato a questa problematica che è emersa in questi ultimi anni in maniera così dolorosa, e che deve avere un riconoscimento penale di prima levatura”.

Violenza di genere e violazione del divieto di avvicinamento Violenza di genere: la Cassazione ritiene violato il divieto di avvicinamento anche se è la vittima a recarsi a casa dell'imputato

Violazione del divieto di avvicinamento

La sesta sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4936/2025, ha fornito un’importante interpretazione in materia di violenza di genere e rispetto delle misure cautelari. In particolare, la pronuncia chiarisce che l’indagato, sottoposto al divieto di avvicinamento alla vittima, viola tale disposizione anche se è la stessa vittima a recarsi presso la sua abitazione. Secondo la Suprema Corte, l’uomo avrebbe dovuto lasciare la propria casa o allertare le forze dell’ordine per evitare la violazione della misura cautelare.

La vicenda

Il caso riguarda un uomo sottoposto al divieto di avvicinamento alla sua ex compagna che vedeva annullata dal tribunale di Firenze l’ordinanza di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari per il reato di cui all’art. 387-bis c.p. Nonostante la misura cautelare, infatti, la donna si era recata presso l’abitazione dell’indagato. Ma secondo i giudici non si poteva esigere dall’indagato la condotta di allontanamento dalla propria abitazione nè tantomeno era ravvisabile l’obbligo di allertare le forze dell’ordine.

il PM ricorreva innanzi al Palazzaccio sostenendo che sebbene l’uomo non avesse cercato l’incontro con la donna, aveva comunque violato la prescrizione impostagli nel permetterle di intrattenersi nella sua abitazione, omettendo di adottare comportamenti, scarsamente onerosi e quindi esigibili, come quello di richiedere l’intervento delle Forze del’Ordine.

La posizione della Cassazione

La Cassazione, dopo aver compiuto un lungo excursus sul quadro normativo in materia, ha dato ragione al pubblico ministero.

Nel caso specifico, se non era esigibile la condotta di lasciare la propria abitazione, era, nondimeno, esigibile lo ius excludendi, affermano i giudici: l’uomo ha consentito alla ex di entrare nella sua abitazione ospitandola per l’intera giornata o addirittura verosimilmente per alcuni giorni. Per cui, il ricorrente, “ha – scientemente e volutamente – stabilito un contatto diretto e ravvicinato con al giovane donna, cooperando nella violazione ab initio effettivamente riferibile alla persona offesa e approfittando della situazione venutasi a creare”.
In un contesto caratterizzato da una relazione personale nettamente
“squilibrata”, anche per lo stato di conclamata vulnerabilità della donna, scrivono da piazza Cavour, “la preoccupazione principale deve essere quella di garantire la incolumità anche contro la volontà della stessa persona offesa: la volontà della vittima non può, dunque, avere efficacia scriminante e/o esimente nè portata liberatoria dagli obblighi, «…occorrendo sempre effettuare una corretta valutazione e gestione dei rischi di letalità, di gravità della situazione, di reiterazione dei comportamenti violenti in un’ottica di prioritaria sicurezza della vittima » (cfr. Sez. 6, n.46797 del 18/10/2023)”. Per cui, essendo grave il quadro indiziario sotto il profilo della dolosa violazione del contenuto precettivo della misura cautelare, la S.C. annulla l’ordinanza passando la parola al giudice del rinvio.

Allegati

codice rosso

Codice Rosso: l’allontanamento richiede il contraddittorio La Cassazione chiarisce che la misura dell'allontanamento dalla casa familiare del nuovo Codice Rosso è un provvedimento di natura giudiziaria che il giudice deve compiere dopo il contraddittorio tra le parti

Nuovo Codice Rosso

La sesta sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3892/2025, ha affrontato un tema centrale nell’applicazione del Codice Rosso: la natura del provvedimento di allontanamento dalla casa familiare adottato dal Pubblico Ministero ex 384-bis comma 2-bis c.p.p. introdotto dall’art. 11 comma 1 l. n. 168/2023 (nuovo Codice Rosso) e la necessità del contraddittorio nel procedimento di convalida.

Il caso esaminato dalla Cassazione

La pronuncia trae origine da un caso in cui il Pubblico Ministero aveva disposto l’allontanamento urgente di un soggetto dalla casa familiare, a seguito di gravi indizi di maltrattamenti in ambito domestico. Il provvedimento era stato adottato in via d’urgenza ai sensi del Nuovo Codice Rosso, al fine di tutelare la vittima da un pericolo imminente.

I principi affermati dalla Suprema Corte

La Cassazione ha chiarito che il provvedimento adottato dal Pubblico Ministero si configura come un atto di natura giudiziaria che incide significativamente sulla libertà personale dell’indagato. Di conseguenza, “la misura precauzionale adottata dal Pm dell’allontanamento dalla casa familiare è un provvedimento di natura giudiziaria che il giudice della convalida deve compiere dopo il contraddittorio tra le parti sulla base dei gravi indizi di colpevolezza e di reiterazione che mettono in grave pericolo la vita o l’integrità della persona offesa”, ha affermato la Suprema Corte nella sentenza.

Il ricorso del PM è rigettato.

 

Leggi gli altri articoli in materia di Codice Rosso

Allegati