stalking

Stalking: se il reato connesso diventa a querela, cambia la procedibilità La Corte costituzionale dichiara illegittima la norma che manteneva d’ufficio gli atti persecutori connessi a un danneggiamento divenuto procedibile a querela

Stalking e riforma Cartabia: torna la procedibilità a querela

Con la sentenza n. 123/2025, la Corte costituzionale ha dichiarato parzialmente illegittima una norma contenuta nel decreto “correttivo” della riforma Cartabia, nella parte in cui impediva che la modifica del regime di procedibilità del reato di danneggiamento si riflettesse su quello degli atti persecutori a esso connessi.

Danneggiamento e stalking con remissione della querela

Il caso oggetto del giudizio prende avvio da un procedimento penale dinanzi al Tribunale di Verona, nel quale un imputato era accusato di atti persecutori (minacce e insulti reiterati) e, in aggiunta, del danneggiamento dell’auto della persona offesa – nello specifico, la rottura dei tergicristalli.

In origine, il danneggiamento su cose esposte alla pubblica fede era procedibile d’ufficio, rendendo tale anche il reato connesso di stalking. Tuttavia, la persona offesa aveva presentato e poi rimesso la querela, ma il giudice non poteva dichiarare l’estinzione del reato a causa della norma sopravvenuta che manteneva gli atti persecutori procedibili d’ufficio anche dopo la riforma.

La riforma Cartabia e il correttivo del 2024

Nel 2024, il decreto correttivo alla riforma Cartabia ha modificato la procedibilità del danneggiamento su cose esposte alla pubblica fede, rendendolo procedibile a querela. Tuttavia, una norma inserita nel decreto stabiliva che tale modifica non si estendesse ai delitti connessi, come gli atti persecutori, che continuavano a rimanere procedibili d’ufficio.

La violazione del principio di retroattività favorevole

La Corte costituzionale ha ritenuto che questa norma rappresenti una deroga ingiustificata al principio di retroattività della legge penale più favorevole, tutelato dall’art. 3 della Costituzione e riconosciuto a livello di diritto internazionale dei diritti umani.

In mancanza della deroga, ha spiegato la Corte, la modifica del regime del reato connesso avrebbe comportato il ritorno alla procedibilità a querela anche per lo stalking, come previsto dalla regola generale.

Incostituzionale la norma che cristallizza il regime d’ufficio

Secondo la Consulta, mancano valide ragioni giustificative per escludere la retroattività favorevole in questo caso. La norma impugnata è quindi costituzionalmente illegittima nella parte in cui prevede la procedibilità d’ufficio per gli atti persecutori connessi al danneggiamento, nonostante la sopravvenuta querelabilità di quest’ultimo.

reato di sfregio

Reato di sfregio Reato di sfregio: cos’è, l’art. 583 quinquies c.p, caratteristiche del delitto, deformazione e sfregio, la sentenza della  Consulta n.83/2025

Reato di sfregio: cos’è

Il reato di sfregio o più tecnicamente “Deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso” è un reato previsto dall’art. 583 quinques c.p. Questo illecito penale è stato inserito nel codice penale dall’articolo 12 della legge n. 69/2019, meglio nota come “Codice Rosso”.

Si tratta di un reato che è stato introdotto con lo scopo primario tutelare soprattutto le vittime di violenza domestica e di genere. La fattispecie però non si limita a questi soggetti ma protegge chiunque sia vittima di un comportamento così vile.

L’articolo 583 quinques c.p. 

L’articolo 583 quinques c.p che punisce il reato di sfregio  al primo comma dispone che chiunque provochi a un’altra persona lesioni che causano una deformazione permanente o uno sfregio permanente al viso venga punito con la reclusione da otto a quattordici anni.

Il comma 2 della norma prevede ulteriori conseguenze negative per il responsabile di questo reato. Se infatti una persona viene condannata per questo reato (o patteggia la pena secondo l’articolo 444 del Codice di Procedura Penale), subisce automaticamente anche l’interdizione perpetua da qualsiasi incarico legato alla tutela, alla curatela e all’amministrazione di sostegno. In pratica, non potrà mai più ricoprire ruoli che implicano la gestione e la protezione degli interessi di persone vulnerabili.

Caratteristiche del reato di sfregio

Dalla lettura della norma emerge che si tratta di un reato comune, che chiunque cioè può commettere. La fattispecie punisce la condotta di chi causa lesioni che si traducono in una deformazione o in uno sfregio permanente del viso della vittima.

Dal punto di vista dell’elemento soggettivo il reato richiede il dolo, cioè la volontà di recare lesioni al volto in grado di deformarlo o sfiguralo.

La pena per il reato è la reclusione da un minimo di otto anni fino a un massimo di 14 anni e in caso di condanna o patteggiamento l’interdizione perpetua dalla possibile di svolgere funzioni di curate, tutela e amministrazione di sostegno.

Deformazione e sfregio del volto: definizioni e differenze

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 35795/2023 è intervenuta per chiarire la differenza tra le le due tipologie di lesione contemplate dall’articolo 583 quinquies c.p.

Gli Ermellini hanno infatti previsto che quando si parla del reato di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso,  è fondamentale distinguere tra “deformazione” e “sfregio permanente”.

La deformazione o il deformismo implicano un’alterazione anatomica del viso di grave entità. Si tratta di un danno che ne modifica profondamente la simmetria e l’armonia complessiva, causando un vero e proprio sfiguramento. È una lesione che colpisce in modo irreversibile l’identità estetica del viso, rendendola irriconoscibile o gravemente compromessa. Lo sfregio permanente rappresenta invece un danno meno grave rispetto alla deformazione, ma comunque significativo e irreversibile. Non porta a uno sfiguramento completo, ma causa un turbamento irreversibile dell’armonia e dell’euritmia del viso. Un esempio classico è rappresentato una cicatrice permanente sul volto che, pur non stravolgendo i tratti somatici, altera in modo percettibile e duraturo l’estetica del viso.

Corte Costituzionale: pene troppo severe per casi meno gravi

Di recente la Corte Costituzionale è intervenuta su questo reato con la sentenza n. 83/2023 depositata il 20 giugno 2025.

Con questa decisione la Consulta ha dichiarato illegittimo il comma 1 dell’art. 583 quinques c.p. La pena (reclusione da 8 a 14 anni) potrà infatti essere ridotta fino a un terzo se il fatto, per circostanze o per la lieve entità del danno, risulta di minore gravità. L’assenza di un’attenuante per i fatti di lieve entità, a fronte di una pena minima molto elevata e di diverse possibili condotte punibili, rischiava di portare a condanne eccessive, rendendo la pena inefficace per la risocializzazione del condannato, non tenendo conto della sua personalità.

Illegittimo e quindi modificato anche il comma 2. L’interdizione da ruoli di tutela e curatela, prima automatica e perpetua, non è più obbligatoria. Il giudice potrà applicarla facoltativamente, basandosi su criteri discrezionali e con una durata massima di dieci anni. L’ampia descrizione del reato nel secondo comma permetteva di includere anche condotte meno gravi. Per queste, l’applicazione automatica e perpetua dell’interdizione da ruoli di tutela risultava ingiustificata, rendendo necessaria l’eliminazione dell’obbligatorietà e della perpetuità di tale pena accessoria.

 

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vittime di violenza di genere

Vittime di violenza di genere: contributi dalla Cassa La Cassa dei Dottori Commercialisti stanzia 200.000 euro per un contributo economico destinato alle professioniste vittime di violenza di genere. Ecco requisiti, importo e modalità di domanda

Commercialiste vittime di violenza di genere

Vittime di violenza di genere: la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei Dottori Commercialisti ha previsto, per il 2025, un contributo economico di supporto dedicato esclusivamente alle Commercialiste che hanno subito violenza di genere. La finalità è sostenere il percorso di fuoriuscita dalla violenza e favorire il recupero dell’autonomia professionale, grazie a un fondo complessivo pari a 200.000 euro.

Chi può beneficiarne

L’accesso al contributo è riservato alle professioniste iscritte alla Cassa alla data del 31 dicembre 2025 e residenti sul territorio nazionale. Per ottenere il beneficio occorre trovarsi in una delle seguenti situazioni:

  • aver intrapreso dal gennaio 2021 un percorso di protezione e fuoriuscita dalla violenza, ancora in corso al momento della domanda;

  • oppure aver avviato azioni giudiziarie di tutela, concluse o pendenti.

Il requisito dello stato di bisogno si considera automaticamente sussistente in relazione alla particolare condizione di vulnerabilità derivante dalla violenza subita.

Importo e caratteristiche del contributo

L’ammontare del sostegno economico non è predeterminato in misura fissa: sarà stabilito caso per caso dal Consiglio di Amministrazione, che valuterà la situazione specifica della richiedente.

Qualora la professionista abbia percepito il “Reddito di Libertà” previsto dal D.P.C.M. 17 dicembre 2020, il nuovo contributo potrà integrare quanto già ricevuto. L’erogazione avverrà in un’unica soluzione tramite bonifico bancario sul conto corrente indicato nella domanda.

Come e quando presentare domanda

Le domande potranno essere inoltrate a partire dal 1° luglio 2025 fino al 30 giugno 2026, e comunque fino ad esaurimento delle risorse stanziate.

Le modalità di invio ammesse sono:

Documentazione da allegare

Alla richiesta è necessario allegare:

  • un documento di identità in corso di validità;

  • una dichiarazione firmata dal legale rappresentante di un centro antiviolenza, oppure dai Servizi Sociali o altro Ente preposto, che attesti l’avvio e il proseguimento di un percorso di protezione e l’effettivo stato di violenza;

  • se già percepito, il documento che comprovi l’erogazione del Reddito di Libertà.

In presenza di irregolarità contributive, l’erogazione del contributo resta sospesa fino alla regolarizzazione.

lesioni permanenti al viso

Lesioni permanenti al volto: pene troppo rigide La Corte costituzionale dichiara parzialmente illegittimo l'art. 583-quinquies c.p.: necessaria una “valvola di sicurezza” per punire con proporzionalità le lesioni permanenti al volto

La Consulta interviene sull’art. 583-quinquies c.p.

Lesioni permanenti al volto: con la sentenza n. 83/2025, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità parziale dell’art. 583-quinquies del codice penale, introdotto dalla legge n. 69/2019 (cd. “codice rosso”). La norma disciplina il reato di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, prevedendo una pena detentiva molto severa e una sanzione accessoria automatica.

Pene troppo rigide: violati i principi costituzionali

La Corte ha censurato la disposizione per eccessiva rigidità sanzionatoria, ritenendola in contrasto con gli articoli 3 e 27, commi 1 e 3, della Costituzione. In particolare, è stata giudicata incostituzionale:

  • la mancata previsione di una diminuzione di pena nei casi di lieve entità del fatto;

  • l’automatismo e la perpetuità dell’interdizione dagli uffici di tutela, curatela e amministrazione di sostegno.

Lesioni permanenti al volto: necessaria clausola di flessibilità

Secondo la Consulta, sebbene la ratio della norma sia condivisibile – tutelare l’identità personale legata all’aspetto del volto – essa non può prescindere da una “valvola di sicurezza” che consenta al giudice di adattare la pena alle circostanze concrete del caso.

La formulazione attuale, infatti, rischia di equiparare comportamenti molto diversi tra loro, anche privi di dolo intenzionale, imponendo sanzioni sproporzionate e inidonee alla funzione rieducativa della pena.

La pena accessoria deve essere discrezionale

Infine, è stato ritenuto incostituzionale il secondo comma dell’articolo, nella parte in cui prevede l’interdizione perpetua e automatica. Tale pena accessoria – osserva la Corte – deve essere discrezionalmente applicabile dal giudice, entro un limite massimo di dieci anni, in coerenza con i principi costituzionali.

vittimizzazione secondaria

Vittimizzazione secondaria Vittimizzazione secondaria: quando la vittima diventa nuovamente vittima, cosa dice la legge e la giurisprudenza

Cos’è la vittimizzazione secondaria

La vittimizzazione secondaria è un fenomeno complesso che si verifica quando la vittima di un reato subisce ulteriori danni a causa del modo in cui viene trattata dalle istituzioni, dai media o dalla società. Si tratta di una forma di violenza che si aggiunge al trauma originale, aggravando le conseguenze psicologiche e sociali per la vittima.

Fasi del processo di vittimizzazione secondaria

Il processo di vittimizzazione secondaria può essere suddiviso in diverse fasi.

  1. Negazione o minimizzazione del trauma: la vittima può sentirsi non creduta o sminuita nelle sue sofferenze.
  2. Colpevolizzazione della vittima (victim blaming): la vittima viene ritenuta responsabile dell’accaduto, insinuando che avrebbe potuto evitarlo.
  3. Giudizio morale: la vittima viene giudicata per le sue scelte o comportamenti, spesso basati su stereotipi e pregiudizi.
  4. Mancanza di supporto: la vittima si sente isolata e abbandonata, senza ricevere il sostegno necessario per superare il trauma.
  5. Rivittimizzazione istituzionale: la vittima subisce ulteriori traumi a causa di procedure legali, mediche o sociali inadeguate.

Cosa dice la legge

La legge italiana, in particolare il “Codice Rosso” (Legge n. 69/2019), mira a contrastare la vittimizzazione secondaria, prevedendo misure per tutelare le vittime di violenza domestica e di genere. La piena attuazione di queste misure richiede tuttavia un cambiamento culturale e una maggiore consapevolezza da parte di tutti gli operatori coinvolti.

Victim blaming: colpevolizzazione della vittima

Il victim blaming è una forma di vittimizzazione secondaria che consiste nell’attribuire la responsabilità del reato alla vittima stessa. Questo fenomeno è particolarmente diffuso nei casi di violenza sessuale, dove la vittima viene spesso giudicata per il suo abbigliamento, il suo comportamento o il suo stile di vita.

Conseguenze della vittimizzazione secondaria

La vittimizzazione secondaria può avere gravi conseguenze sulla salute mentale e sul benessere della vittima, tra cui:

  • disturbo da stress post-traumatico (PTSD);
  • depressione;
  • ansia;
  • isolamento sociale;
  • difficoltà a fidarsi degli altri;
  • riluttanza a denunciare altri reati.

Come contrastare la vittimizzazione secondaria

Per contrastare la vittimizzazione secondaria, è necessario:

  • promuovere una cultura del rispetto e della non colpevolizzazione delle vittime di determinati reati;
  • formare gli operatori delle istituzioni per garantire un trattamento adeguato alle vittime;
  • sensibilizzare l’opinione pubblica sui rischi del victim blaming;
  • offrire sostegno psicologico e legale alle vittime.

Giurisprudenza  di rilievo

Cassazione n. 11631/2024: nei procedimenti sulla responsabilità genitoriale, se si sospettano violenze domestiche, il giudice deve valutare attentamente. Anche per fatti precedenti alla nuova legge, se non esclude la violenza e decide di adottare provvedimenti, deve considerare un aspetto cruciale. Deve verificare che le misure prese non creino ulteriori sofferenze o danni alla vittima. Questo significa evitare la “vittimizzazione secondaria”.

Cassazione n. 12066/2023: la Cassazione ha esaminato il caso di una donna condannata per calunnia. La Corte d’Appello di Bari riteneva che avesse falsamente accusato l’ex marito di violenza sessuale sul figlio. La Corte motivava la condanna ipotizzando un movente legato al rifiuto dell’uomo di sposarla. La Cassazione ha annullato la sentenza. Ha riconosciuto che la decisione della Corte d’Appello ignorava il concetto di vittimizzazione secondaria. Questo fenomeno si verifica quando la vittima subisce ulteriori danni dal sistema giudiziario durante il processo. La Cassazione ha sottolineato l’importanza di considerare questo aspetto nei casi di presunta violenza.

Cedu caso J.L. c. Italia 27.05.2021: gli Stati devono “organizzare la procedura penale in modo da non mettere indebitamente in pericolo la vita, la libertà o la sicurezza dei testimoni, e in particolare quella delle vittime chiamate a deporre. Gli interessi della difesa devono dunque essere bilanciati con quelli dei testimoni o delle vittime chiamate a testimoniare (…)” Ciò significa che deve essere assicurata “una presa in carico adeguata della vittima durante la procedura penale, e questo al fine di proteggerla dalla vittimizzazione secondaria (…).”

 

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violenza domestica

Violenza domestica: la Cassazione valorizza gli indizi La Cassazione chiarisce che anche un solo episodio di violenza domestica può giustificare la separazione con addebito. Fondamentali anche gli indizi e le testimonianze indirette

Violenza domestica e separazione

In ambito familiare, ai fini della ricostruzione dei fatti nei procedimenti giudiziari – in particolare nelle cause di separazione personale tra coniugi – il giudice non può limitarsi a considerare solo le prove dirette e palesi. È quanto ha stabilito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 10021/2025, affermando che la valutazione degli indizi è essenziale per accertare episodi di violenza domestica.

Un solo episodio può bastare per l’addebito

La vicenda trae origine da una causa di separazione in cui il Tribunale aveva addebitato la crisi coniugale al marito, ritenuto responsabile di atti di violenza contro la moglie. La Corte d’appello, tuttavia, aveva annullato tale addebito, non ravvisando prove sufficienti delle condotte contestate. Contro questa decisione la moglie ha proposto ricorso in Cassazione, che ha accolto la doglianza, cassando la sentenza impugnata e rinviando la questione a una diversa composizione della Corte territoriale.

La Suprema Corte ha ribadito un principio fermo nella sua giurisprudenza: anche un solo episodio accertato di percosse può giustificare la separazione con addebito, in quanto comportamento lesivo della dignità personale e tale da compromettere in modo irreversibile l’equilibrio della relazione coniugale.

Indizi strumenti fondamentali per accertare la verità

Nel confermare la centralità dell’approccio indiziario, la Cassazione evidenzia come, soprattutto nei procedimenti familiari, spesso legati a dinamiche intime e riservate, il giudice debba fondare il proprio convincimento anche su elementi indiretti. Tra questi:

  • le testimonianze de relato, provenienti dalla parte che denuncia i fatti;

  • le relazioni dei Servizi sociali, spesso fondamentali per rilevare situazioni di maltrattamento o disagio familiare.

La Corte sottolinea che queste fonti possono rappresentare indizi rilevanti, da valutare congiuntamente per ricostruire episodi di violenza fisica o psicologica difficilmente documentabili con prove dirette, come spesso accade nei contesti di abuso domestico.

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reddito di libertà

Reddito di libertà: cos’è e come ottenerlo Reddito di libertà: cos’è, a chi spetta, da quali norme è disciplinato e come presentare la domanda dal 12 maggio 2025

Reddito di libertà: cos’è

Il reddito di libertà è stato introdotto per aiutare le donne vittime di violenza. In relazione alle domande che verranno presentato a partire dal 5 marzo 2025, la misura consisterà in un supporto economico pari a 500 euro mensili (salvo incrementi previsti da disposizioni di legge successive) per un periodo massimo di 12 mesi.  Il pagamento delle 12 mensilità avverrà in un’unica soluzione. La misura non è soggetta a IRPEF. La circolare INPS n. 54 del 5 marzo 2025 fornisce le indicazioni necessarie per presentare la domanda.

Normativa di riferimento

  • Decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modifiche dalla legge 17 luglio 2020, n. 77: ha istituito il Fondo per il reddito di libertà delle donne vittime di violenza;
  • D.P.C.M del 17 dicembre 2020: ha definito i criteri di ripartizione delle risorse per il 2020 del “Fondo per il reddito di libertà per le donne vittime di violenza”;
  • messaggi INPS 4352 del 7 dicembre 2021; n. 1053 del 7 marzo 2022; n. 2453 del 16 giugno 2022 e n. 3363 del 13 settembre 2022: hanno fornito indicazioni per l’accoglimento delle domande anche dopo il trasferimento all’INPS delle risorse statali e regionali anni 2021- 2022 e 2023, ripartite con i criteri indicati nel D.P.C.M. 1° giugno 2022.
  • Legge di bilancio 2024 n. 213/2023 (art. 1 comma 187): ha reso strutturale il Reddito di libertà incrementando il Fondo di 10 milioni di euro per ogni anno 2024, 2025 e 2025 e sei milioni per il 2027 per garantire l’indipendenza economica e l’emancipazione delle donne vittime di violenza e in condizioni di povertà.
  • Decreto 2 dicembre 2024 ha definito i criteri di ripartizione delle risorse riferite agli anni 2024, 2025 e 2026, di 30 milioni di euro (10 milioni di euro ogni anno 2024, 2025 e 2026) e ha modificato la disciplina del contributo.

A chi spetta il reddito di libertà

Il reddito di libertà spetta alle donne con o senza figli, vittime di violenza domestica seguite dai centri antiviolenza e dai servizi sociali.

Le destinatarie devono essere residenti nel territorio italiano e avere la cittadinanza italiana, comunitaria o extracomunitaria (in possesso di carta di soggiorno per familiari extracomunitari di cittadini dell’unione europea o in possesso di regolare permesso di soggiorno UE o del permesso per protezione speciale). Alle cittadine italiane sono equiparate le straniere con status di rifugiate politiche o di protezione sussidiaria.

Requisiti di accesso

Per poter accedere al reddito di libertà sono necessarie due attestazioni:

  • il centro antiviolenza, nella persona del suo rappresentante legale, deve dichiarare che ha in carico la donna e che la stessa ha intrapreso un percorso di emancipazione e di autonomia;
  • il servizio sociale invece deve attestare lo stato di bisogno transitorio della donna a causa della situazione urgente e straordinaria che la stessa sta vivendo.

Regime transitorio

Abbiamo visto che il reddito di libertà è presente da qualche anno. Per questo la circolare INPS n. 54/2025 ricorda che le domande che erano state presentate e che non erano state accolte conservano priorità purché ripresentate entro 45 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto 2 dicembre 2024 (ossia entro il 18 aprile 2025) per dimostrare la permanenza dei requisiti necessari. La mancata ripresentazione della domanda comporterà infatti la decadenza definitiva, fatta salva la possibilità di presentare una nuova domanda.

Domande 2025: presentazione e esito

La domanda per il Reddito di Libertà 2025 deve essere presentata dalle donne interessate, direttamente o tramite un rappresentante, al Comune di riferimento, utilizzando il modulo SR208, disponibile sul sito INPS. Il Comune trasmette la richiesta all’INPS, che assegna un codice univoco determinante per la graduatoria regionale, nei limiti delle risorse disponibili. La domanda può essere inoltrata online tramite SPID, CIE o CNS. È ammessa una sola richiesta per ogni donna vittima di violenza. Devono essere compilati tutti i campi del modulo, inclusa l’attestazione del bisogno e la dichiarazione del percorso di emancipazione rilasciata da un centro antiviolenza. Nella richiesta deve essere indicato anche il metodo di pagamento prescelto tra conto corrente, libretto di risparmio, carta prepagata.

Il sistema verifica la correttezza dei dati nella domanda per il Reddito di Libertà prima dell’invio e della registrazione. Dopo la trasmissione, viene eseguita un’istruttoria automatizzata per controllare il budget disponibile e la titolarità dell’IBAN. L’esito può essere: “Accolta in pagamento”, “Accolta in attesa di IBAN” o “Non accolta per insufficienza di budget”. Se l’IBAN non è valido, la domanda resta in attesa.  Gli operatori comunali devono aggiornare eventuali IBAN errati e segnalare problemi tramite PEC. L’esito è consultabile dai Comuni e comunicato all’interessata. Un manuale comunque è disponibile nel servizio online dedicato.

Reddito di libertà: domande online dal 12 maggio 2025

L’INPS, con il messaggio 7 maggio 2025, n. 1429 informa che dal 12 maggio 2025 è attivo il servizio per la presentazione online delle nuove domande per il reddito di libertà.

Le donne in possesso dei requisiti, comprese quelle che non hanno ripresentato la domanda entro il 18 aprile 2025, possono presentare la domanda utilizzando il modulo SR208, tramite i comuni di riferimento.

Le domande sono accolte sulla base delle risorse disponibili a livello regionale tenendo conto della data e dell’ora di invio delle stesse. Quelle presentate nel 2025, comprese quelle ripresentate entro il 18 aprile 2025, restano valide fino al 31 dicembre 2025.

 

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convenzione di istanbul

La Convenzione di Istanbul Convenzione di Istanbul: uno strumento fondamentale per combattere la violenza di genere

Cos’è la Convenzione di Istanbul

La Convenzione di Istanbul è un trattato internazionale promosso dal Consiglio d’Europa, firmato nel 2011 a Istanbul e ratificato dall’Italia con la Legge n. 77 del 27 giugno 2013. Rappresenta il primo strumento giuridicamente vincolante a livello europeo per la prevenzione e il contrasto della violenza contro le donne e della violenza domestica.

Cosa prevede  

La Convenzione definisce la violenza contro le donne come una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione, includendo tutte le forme di violenza basate sul genere che colpiscono in modo sproporzionato le donne. Tra i punti chiave della Convenzione, troviamo:

  • definizione ampia di violenza: che include la violenza fisica, psicologica, sessuale, economica e la violenza domestica.
  • obblighi per gli Stati firmatari: di adottare misure legislative e politiche per prevenire la violenza, proteggere le vittime e perseguire i responsabili.
  • approccio integrato: che richiede la collaborazione tra diverse istituzioni e settori, come la polizia, la magistratura, i servizi sociali e sanitari.
  • protezione delle vittime: con l’istituzione di centri antiviolenza, case rifugio e servizi di assistenza.
  • perseguimento dei reati: con l’introduzione di norme penali specifiche per punire i responsabili di violenza.

Le 4 P della Convenzione di Istanbul

La Convenzione di Istanbul si basa su quattro pilastri fondamentali, noti come le “4 P”:

  • prevenzione (Prevention): prevenire la violenza attraverso l’educazione, la sensibilizzazione e la promozione dell’uguaglianza di genere.
  • protezione (Protection): proteggere le vittime fornendo loro assistenza, supporto e alloggio sicuro.
  • punizione (Prosecution): perseguire i responsabili dei reati di violenza e garantire che siano puniti.
  • politiche integrate (Integrated Policies): adottare politiche e misure coordinate a livello nazionale e internazionale per affrontare la violenza di genere.

Ratifica della Convenzione in Italia

L’Italia ha ratificato la Convenzione di Istanbul con la Legge n. 77 del 27 giugno 2013, impegnandosi così ad attuare le disposizioni del trattato. La ratifica ha comportato l’introduzione di nuove norme e misure per contrastare la violenza di genere, come il “Codice Rosso” (Legge n. 69/2019), che ha accelerato i tempi di intervento nei casi di violenza domestica.

L’importanza del documento

La Convenzione di Istanbul rappresenta uno strumento fondamentale per combattere la violenza di genere e proteggere le vittime. La sua attuazione richiede un impegno costante da parte delle istituzioni e della società civile, al fine di creare una cultura del rispetto e dell’uguaglianza.

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uomini violenti

Recupero uomini violenti: i percorsi di riabilitazione Uomini violenti con le donne: definiti con decreto i criteri di accreditamento degli enti che organizzano i percorsi di recupero

Corsi di recupero uomini violenti: il decreto

Il Ministro della Giustizia e la Ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità hanno firmato un decreto importante per contrastare la violenza contro le donne attraverso il recupero degli uomini violenti. 

Il provvedimento definisce particolare i criteri e le modalità per riconoscere e accreditare gli enti che organizzano percorsi di recupero per uomini autori di violenza di genere o domestica.

Questi percorsi possono essere svolti solo nei C.U.A.V. (Centri per Uomini autori o potenziali autori di violenza), inseriti in un elenco ufficiale gestito dal Ministero della Giustizia.

I centri possono essere organizzati da enti pubblici, servizi sanitari, organismi del terzo settore o da una loro collaborazione. Solo chi è accreditato potrà realizzare i programmi.

Il Dipartimento per la Giustizia minorile e di comunità è responsabile del riconoscimento degli enti e della gestione dell’elenco, pubblicato online.

L’Ispettorato generale del Ministero potrà effettuare controlli e vigilanza sulle attività svolte.

Percorso e sospensione condizionale della pena

La partecipazione a questi percorsi è fondamentale per i condannati che intendono accedere alla sospensione condizionale della pena, ma può coinvolgere anche imputati e indagati, come misura preventiva.

Il decreto introduce anche le linee guida nazionali per i percorsi di recupero, che saranno aggiornate ogni tre anni. Queste indicazioni si baseranno anche sui dati raccolti dall’Osservatorio sulla violenza contro le donne e sulla violenza domestica, con l’obiettivo di garantire interventi efficaci e mirati.

Il provvedimento interministeriale si pone l’obiettivo di combattere la violenza attraverso la prevenzione e la trasformazione comportamentale degli autori dei comportamenti violenti. Offrire loro un’opportunità di cambiamento è un passo fondamentale per proteggere le vittime e ridurre il rischio di recidiva.

Il decreto, se correttamente applicato, potrebbe offrire numerosi vantaggi per la società, il sistema giudiziario e soprattutto per la tutela delle vittime.

 

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violentometro

Violentometro: cos’è e come funziona Violentometro: che cos’è, come funziona, a che cosa serve, dove trovarlo e perché è importante utilizzarlo

Violentometro: cos’è

Il Violentometro è uno strumento ideato per aiutare le donne a riconoscere i segnali di allarme nelle relazioni e a chiedere aiuto. La sua finalità è di aiutare le donne a identificare i comportamenti violenti e a capire quando è il momento di allontanarsi da una situazione pericolosa.

Origini del violentometro

Il Violentometro è stato creato in Francia nel 2018 e da allora è stato utilizzato in molti paesi in tutto il mondo. In Italia, il Violentometro è stato introdotto nel 2013 e da allora è stato distribuito in migliaia di copie.

Come funziona 

E’ uno strumento grafico che illustra le diverse forme di violenza attraverso una scala cromatica che evidenzia i vari livelli di rischio. Questo strumento incoraggia la riflessione su comportamenti che spesso vengono minimizzati, permettendo di riconoscere la tossicità e la pericolosità delle dinamiche relazionali con il partner. Le condotte che vengono prese in considerazione riguardano diversi aspetti della relazione, come il controllo, la gelosia, le umiliazioni e le aggressioni fisiche. In base alle risposte fornite, il Violentometro fornisce un punteggio che indica il livello di rischio della relazione. Se il punteggio è alto, è importante cercare aiuto da un professionista.

Dove trovarlo

Il Violentometro è disponibile online e in molti centri anti-violenza. È anche possibile scaricarlo gratuitamente da Internet.

A cosa serve 

Si tratta di uno strumento utile per:

  • riconoscere i segnali di allarme nella propria relazione;
  • capire quando è il momento di allontanarsi da una situazione pericolosa;
  • cercare aiuto da un professionista in grado di fornire il giusto supporto;
  • rivolgersi a un centro anti-violenza per intraprendere il percorso di uscita dal contesto violento in cui si vive.

Importanza del violentometro

Il Violentometro è uno strumento importante per combattere la violenza sulle donne. Aiuta le donne a riconoscere i segnali di allarme e a chiedere aiuto prima che la situazione degeneri.

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