Diritto di proprietà: prova del danno tramite presunzioni In caso di limitazione delle facoltà insite nel diritto di proprietà, l'esistenza di un danno risarcibile può fondarsi su presunzioni

Diritto di proprietà

Il diritto di proprietà ha insite le facoltà di godimento e disponibilità del bene. Per cui una volta limitate le stesse, l’esistenza di un danno risarcibile può fondarsi su presunzioni. E’ quanto ha statuito la seconda sezione civile della Cassazione con l’ordinanza n. 17758-2024.

La vicenda

Nella vicenda, avente ad oggetto il risarcimento dei danni causati dall’installazione illegittima di una canna fumaria posta a 38 centimetri di distanza dal balcone dell’attore, la Corte d’appello rigettava la sua domanda risarcitoria ritenendo insussistente il danno alla salute e carente di prova il danno derivante dalla compromissione del godimento del bene.

Il ricorso in Cassazione

La proprietaria adiva quindi il Palazzaccio, dolendosi, con l’unico motivo di ricorso, del fatto che la corte territtoriale, pur avendo accertato l’intrinseca pericolosità della canna fumaria posta a distanza inferiore a quella legale, avesse rigettato la domanda risarcitoria “senza tener conto che l’esistenza di un manufatto in amianto limiterebbe il godimento del bene”. La ricorrente contesta la “fallacia del ragionamento inferenziale, che, in tema di violazione delle distanze, ammette il ricorso ad elementi presuntivi per l’accertamento e la determinazione del danno” e richiama l’orientamento di legittimità che riconosce il danno in re ipsa nell’ipotesi di violazione delle distanze.

Rispetto distanze

Per gli Ermellini, il motivo è fondato.
“Il rispetto della distanza prevista per fabbriche e depositi nocivi e pericolosi dall’art. 890 c.c. – affermano preliminarmente – è collegato ad una presunzione assoluta di nocività e pericolosità che è assoluta ove prevista da una norma del regolamento edilizio comunale, ed è invece relativa – e, come tale, superabile con la dimostrazione che, in relazione alla peculiarità della fattispecie ed agli accorgimenti usati, non esiste danno o pericolo per li fondo vicino – ove manchi una simile norma regolamentare (cfr. Cass. 15246/2017). Nel caso di specie, la Corte di merito, proseguono i giudici della S.C., “ha accertato la violazione delle distanze della canna fumaria dal balcone di proprietà dell’attrice e la sua intrinseca pericolosità, attesa la sua composizione in amianto e le pessime condizioni manutentive, pericolosità che era superabile con la dimostrazione da parte dei convenuti di aver adottato idonee cautele tecniche al fine di salvaguardare la dispersione nell’ambiente di sostanze nocive”.
La sentenza impugnata, ha escluso il risarcimento in assenza di un danno diretto alla salute, “omettendo però di valutare, anche in via presuntiva, se il pericolo concreto ed attuale derivante dall’esposizione ad amianto, abbia limitato il godimento del bene, a prescindere dalla verifica delle immissioni nocive”.

Prova del danno

Quanto alla tutela risarcitoria, le Sezioni Unite, con sentenza del 15.11.2022, n. 33645, in tema di prova del danno da violazione del diritto di proprietà e di altri diritti reali, ricordano ancora dalla S.C., “hanno optato per una mediazione fra la teoria normativa del danno, emersa nella giurisprudenza della I Sezione Civile, e quella della teoria causale, sostenuta dalla III Sezione Civile. La questione se la violazione del contenuto del diritto, in quanto integrante essa stessa un danno risarcibile, sia suscettibile di tutela non solo reale ma anche risarcitoria è risolta dalle Sezioni Unite in senso positivo”. E’ stato dato seguito al principio di diritto, più volte affermato dalla Cassazione, “secondo cui, in caso di violazione della normativa sulle distanze tra costruzioni, al proprietario confinante compete sia la tutela in forma specifica finalizzata al ripristino della situazione antecedente, sia la tutela in forma risarcitoria (ex multis Cass. Sez. 11, 18.7.2013, п.17635)”. La linea evolutiva della giurisprudenza della S.C., ha sostituito la locuzione “danno in re ipsa” con quella di “danno presunto” o “danno normale”, privilegiando la prospettiva della presunzione basata su specifiche circostanze da cui inferire il pregiudizio allegato. Ed è stato quindi definito “il danno risarcibile in presenza di violazione del contenuto del diritto di proprietà: esso riguarda non la cosa ma li diritto di godere in modo pieno ed esclusivo della cosa stessa sicché il danno risarcibile è rappresentato dalla specifica possibilità di esercizio del diritto di godere che è andata persa quale conseguenza immediata e diretta della violazione”. Per cui, il nesso di causalità giuridica si stabilisce “fra la violazione del diritto di godere della cosa, integrante l’evento di danno condizionante il
requisito dell’ingiustizia, e la concreta possibilità di godimento che è stata persa a causa della violazione del diritto medesimo, quale danno conseguenza da risarcire”.

Prova per presunzioni

Quindi, “nel caso in cui la prova sia fornita attraverso presunzioni, l’attore ha l’onere di allegare il pregiudizio subito, anche mediante le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza”. Per cui ha errato la Corte d’appello ad escludere la tutela risarcitoria “senza prima valutare se gli elementi presuntivi allegati fossero astrattamente idonei a
compromettere li godimento del bene, come l’intrinseca pericolosità della canna fumaria per la composizione in amianto, la difformità della canna alle prescrizioni di legge ed il suo cattivo stato di conservazione”. I giudici avrebbero dovuto accertare, invero, se “per le condizioni di tempo e di luogo, vi fosse stata una limitazione concreta nel godimento dell’immobile per il rischio di dispersione nell’aria di sostanze altamente nocive”.
La sentenza impugnata, quindi concludono dalla S.C., non si pone in linea con l’orientamento di legittimità in tema di presunzione di danno correlato alla normale utilità del bene, “basato sull’assunto che il diritto di proprietà ha insite
le facoltà di godimento e disponibilità del bene ne è oggetto, sicché una volta soppresse o limitate tali facoltà, l’esistenza di un danno risarcibile può fondarsi su presunzioni (Cassazione Civile, Sez. II, 23.6.2023, n.18108)”.

Il principio di diritto

Da qui l’accoglimento del ricorso con rinvio alla Corte d’Appello di Salerno in diversa composizione, che dovrà uniformarsi al seguente principio di diritto: “In caso di violazione delle distanze, l’esistenza del danno può essere provata attraverso il ragionamento presuntivo, tenendo conto di una serie di elementi – che concorrono anche alla valutazione equitativa del danno – dai quali possa evincersi una riduzione di fruibilità della proprietà, del suo valore e di altri elementi che devono essere allegati e provati dall’attore”.

Allegati

revisore legale funzioni

Revisore legale: chi è e cosa fa Chi e il revisore legale, che attività svolge, come si accede alla professione, a quali responsabilità può andare incontro

Chi è il revisore legale

Il revisore legale è un professionista che effettua la revisione legale del bilancio nel rispetto delle disposizioni del codice civile e del decreto legislativo n. 39/2010. L’esercizio della attività di revisione legale è riservata ai soggetti iscritti nel Registro dei revisori legali tenuto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, al quale sono iscritti sia i revisori legali persone fisiche che le società di revisione, soggette a regole in parte diverse rispetto a quelle a cui sono soggetti i revisori persone fisiche.

Riferimenti normativi

Il principale riferimento disciplinare della professione del revisore legale è il decreto legislativo n. 39/2010, che ha attuato la direttiva 2006/43/CE sulle revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati.

Abilitazione alla revisione legale

Come anticipato, l’esercizio della revisione legale può essere svolto solo da soggetti regolarmente iscritti nel Registro. Possono chiedere l’iscrizione al Registro le persone fisiche che:

  • possiedono i necessari requisiti di onorabilità definiti dal Ministro dell’economia e delle finanze sentita la Consob e sanciti da apposito regolamento;
  • abbiano conseguito una laurea della durata minima di tre anni tra quelle individuate dal Ministero dell’economia e delle finanze, sentita la Consob;
  • abbiano svolto regolare tirocinio;
  • abbiano superato l’esame di idoneità professionale.

Al Registro possono iscriversi anche le società che soddisfino tutta una serie di condizioni previste e dettagliate dal comma 4 dell’articolo 2 del decreto legislativo 39/2010.

Tirocinio formativo

Il tirocinio professionale ha lo scopo di far acquisire al futuro revisore la capacità di applicare le conoscenze teoriche al caso concreto per fargli superare l’esame di idoneità ed esercitare la professione. Il tirocinio ha una durata triennale e viene svolto presso un revisore legale o un’impresa di revisione legale abilitata, che siano in grado di garantire al tirocinante una formazione di tipo pratico. I tirocinanti sono iscritti nell’apposito registro in cui sono indicate le generalità, il recapito, la data di inizio del tirocinio, il soggetto presso il quale viene svolto e tutti gli eventi modificativi che incidono sul suo svolgimento. Il tirocinante è obbligato, entro 60 giorni dal termine di ogni anno di tirocinio, a redigere una relazione sull’attività svolta.

Esame di abilitazione

L’esame per l’abilitazione professionale all’esercizio della professione di revisore legale viene indetto almeno una volta all’anno dal Ministero dell’Economia delle Finanze d’intesa con il Ministero della Giustizia.

L’esame di idoneità, finalizzato a verificare la capacità di applicazione concreta delle conoscenze teoriche verte su diverse materie, tra le quali figurano la contabilità generale, quella analitica e di gestione, la disciplina del bilancio di esercizio e del bilancio consolidato, i principi contabili nazionali internazionali, i principi di revisione nazionale internazionale, la deontologia, il diritto civile, commerciale, fallimentare, tributario, del lavoro, della previdenza, la matematica e la statistica, i principi di gestione finanziaria e l’economia politica, aziendale e finanziaria.

Ai sensi del comma 4 bis dell’articolo. 4 del dlgs n. 39/2010 sono esonerati dallo svolgimento

dell’esame di idoneità ai fini dell’iscrizione nel Registro coloro che hanno superato l’esame di Stato per l’abilitazione alla professione di dottore commercialista, fermo restando l’obbligo del tirocinio.

La formazione continua

I revisori legali iscritti al Registro hanno l’obbligo della formazione continua, che consiste nel partecipare a programmi di aggiornamento professionale che vengono stabiliti ogni anno dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e che hanno la finalità di perfezionare e mantenere le conoscenze teoriche così come le capacità professionali. Il periodo di formazione continua ha una durata triennale e l’impegno è espresso in crediti formativi. Ogni anno l’iscritto deve acquisire un minimo di 20 crediti formativi per un totale minimo di 60 crediti durante il triennio.

La revisione legale: i principi

Nello svolgimento dell’attività di revisione legale i soggetti abilitati devono rispettare i principi di deontologia professionale. Nel corso dell’intera revisione il professionista deve esercitare lo “scetticismo professionale”, riconoscendo la possibilità che si verifichino errori significativi a fatti o comportamenti dei quali possono emergere irregolarità, ma anche frodi.

Le informazioni e i documenti a cui il revisore ha accesso sono coperti dall’obbligo della riservatezza e dal segreto professionale, che valgono anche dopo la partecipazione all’incarico di revisione. Il revisore legale deve essere indipendente dalla società soggetta a revisione e non deve essere coinvolto nel processo decisionale. Il  requisito dell’indipendenza deve sussistere per tutto il periodo a cui si riferiscono i bilanci da revisionare e durante l’intera attività di revisione legale.

Il requisito dell’indipendenza è talmente rilevante che il revisore legale, prima di accettare o proseguire l’incarico, deve valutare e documentare il possesso dei requisiti di indipendenza ed obiettività, la presenza eventuale di rischi per la sua indipendenza, la disponibilità di personale competente, di tempo e di risorse necessarie per svolgere adeguatamente l’incarico.

Il revisore legale esprime con relazione un giudizio sul bilancio di esercizio ed eventualmente su quello consolidato, illustrando i risultati dell’attività svolta, la corretta tenuta della contabilità e la corretta rilevazione dei fatti di gestione nelle scritture.

Responsabilità del revisore legale

Il revisore legale risponde in solido con gli amministratori nei confronti della società che gli ha conferito l’incarico per i danni derivanti dall’inadempimento dei propri doveri. Nei rapporti interni tra debitori solidali i revisori sono responsabili nei limiti del contributo effettivo al danno provocato. L’azione di risarcimento si prescrive nel termine di cinque anni, decorrenti dalla data della relazione di revisione sul bilancio.

società benefit legge 208 2015

Società benefit: la guida completa Le società benefit, previste e disciplinate dalla legge n. 208/2015, perseguono fini di lucro e una o più finalità di “beneficio comune” operando in modo sostenibile

Società benefit: cosa sono

Le società benefit sono previste e disciplinate dalla legge n. 208/2015 (legge di stabilità 2016) commi 376-384.

Si tratta di società che, pur perseguendo finalità lucrative tipiche delle società commerciali, perseguono anche il “beneficio comune” utilizzando metodologie sostenibili nel rispetto delle persone e dell’ambiente.

La principale caratteristica distintiva di queste società è infatti il perseguimento del beneficio comune, che consiste nella riduzione dell’impatto negativo o nell’aumento di un effetto positivo nei confronti di uno o più categorie di stakeholders.

Gli stakeholders a cui fa riferimento la legge sono le persone, le comunità, il territorio, l’ambiente, i beni e le attività di tipo culturale e sociale, gli enti e le associazioni. A queste categorie si aggiungono gli “altri portatori di interessi”, ossia coloro che vengono coinvolti dall’attività della società in modo diretto o indiretto come i lavoratori, i clienti, i finanziatori i creditori, la pubblica amministrazione e la società civile.

Le società benefit acquisiscono tale qualifica e natura se inseriscono nell’oggetto sociale anche il perseguimento dello scopo del “beneficio comune”, senza per questo compromettere le finalità lucrative. Si tratta infatti di obiettivi destinati a camminare in parallelo.

Il mancato ed effettivo perseguimento del beneficio comune è sanzionato dal decreto legislativo n. 145/2007, che si occupa della pubblicità ingannevole e dal Codice del Consumo.

Forme giuridiche delle società benefit

Le società benefit possono avere la forma giuridica tipica delle società commerciali di persone e di capitali.

Le stesse pertanto possono essere costituite nella forma della società semplice, della società in nome collettivo, della società in accomandita semplice, della società per azioni, della società in accomandita per azioni, della società a responsabilità limitata, della società cooperativa e della mutua assicuratrice.

Le società benefit non possono invece acquisire la forma di impresa sociale o di società sportiva dilettantistica perché queste strutture giuridiche sono prive dello scopo di lucro.

Responsabile d’impatto e collegio sindacale

Le società benefit si caratterizzano anche per la presenza, all’interno dell’assetto societario, del   responsabile di impatto, che può essere anche più di uno.

Si tratta di una figura addetta al monitoraggio dell’allineamento delle attività svolte con gli obiettivi di beneficio comune dichiarati al momento della costituzione della società.

Il responsabile deve raccogliere e analizzare i dati sull’impatto dell’attività, deve seguire il processo di rendicontazione e di sostenibilità e deve provvedere alla comunicazione dei risultati raggiunti agli stakeholders.

A questa figura sono pertanto richieste competenze  multidisciplinari. Deve essere infatti esperto di gestione aziendale, di rendicontazione e di sostenibilità.

La valutazione di questa figura, così come il suo trattamento economico, sono in genere influenzati dal raggiungimento degli obiettivi di beneficio comune previsti, così come i risultati ottenuti in termini di sostenibilità ambientale, condizioni di lavoro, relazioni con la società.

Qualora la società benefit presenti una struttura che prevede la presenza del collegio sindacale, a quest’organo è affidato il compito di vigilare sul rispetto della legge e delle clausole statutarie.

Amministrazione della società

Il comma 380 impone di amministrare le società benefit in modo da bilanciare gli interessi dei soci con il perseguimento del beneficio comune e degli interessi delle categorie nei cui confronti operano, al fine di garantire la sostenibilità. Il mancato rispetto di queste regole di amministrazione può configurare un inadempimento degli amministratori per violazione dello statuto e della legge, in questo caso in tema di responsabilità degli amministrazioni si applicano le disposizioni del codice civile previste per ogni tipologia societaria.

Obbligo di redazione relazione annuale

Il comma 382 della legge n. 208/2015 impone inoltre alle società benefit l’obbligo di redigere una relazione annuale sul perseguimento del beneficio comune, che deve essere allegata al bilancio societario.

La relazione deve descrivere gli obiettivi specifici, le modalità e le azioni messe in atto dagli amministratori per perseguire il beneficio comune, indicando le cause di eventuali impedimenti o rallentamenti. Il documento deve contenere anche la valutazione dell’impatto, che è stato generato utilizzando lo standard di valutazione esterno, con le caratteristiche descritte nell’allegato 4 della legge, che comprende le diverse aree di valutazione indicate nell’allegato 5, sempre della legge n. 208/2015.

La relazione, che deve essere pubblicata sul sito della società, se presente, deve infine contenere una sezione dedicata alla descrizione degli obiettivi che la società intende perseguire nell’esercizio successivo.

direttiva ue riparazione elettrodomestici

Diritto alla riparazione degli elettrodomestici La nuova direttiva europea sul diritto alla riparazione degli elettrodomestici rappresenta un passo avanti nella promozione della sostenibilità e nella tutela dei consumatori

Direttiva UE diritto alla riparazione degli elettrodomestici

Il 30 maggio, il Consiglio dell’Unione Europea ha approvato una direttiva rivoluzionaria sul diritto alla riparazione degli elettrodomestici. Questa normativa rappresenta un significativo passo avanti per i consumatori, che ora avranno maggiori possibilità di riparare i propri beni rotti o difettosi, riducendo la necessità di sostituirli.

La direttiva, in vigore venti giorni dopo la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, dovrà essere recepita dagli Stati membri entro due anni.

Obiettivi della Direttiva

L’introduzione di questa direttiva mira a raggiungere diversi obiettivi fondamentali:

  1. facilitare la riparazione: spesso i consumatori trovano complicato accedere ai servizi di riparazione, portandoli a preferire la sostituzione degli apparecchi. La nuova direttiva rende più agevole e rapido il processo di riparazione, incentivando i consumatori a riparare piuttosto che sostituire i loro elettrodomestici;
  2. combattere l’obsolescenza programmata: la direttiva affronta la problematica dell’obsolescenza programmata, pratica scorretta adottata da alcuni produttori per rendere difficile o impossibile reperire pezzi di ricambio. Con le nuove misure, i consumatori saranno maggiormente incentivati a riparare i propri beni.
  3. ridurre l’impatto ambientale: favorendo le riparazioni, la direttiva contribuisce a ridurre l’impatto ambientale derivante dalla produzione e dallo smaltimento di elettrodomestici. Ogni anno, i cittadini europei spendono circa 12 miliardi di euro per sostituire apparecchi anziché ripararli, producendo 35 milioni di tonnellate di rifiuti.

Misure specifiche della Direttiva

La direttiva introduce diverse misure concrete per raggiungere i suoi obiettivi:

  • piattaforma europea online per le Riparazioni: verrà creata una piattaforma online che permetterà ai consumatori di trovare facilmente riparatori qualificati nella propria località;
  • proroga della garanzia legale: in caso di riparazione di un prodotto difettoso, la garanzia legale verrà prorogata di 12 mesi;
  • riconsegna rapida: i prodotti riparati dovranno essere riconsegnati entro 30 giorni e, nel frattempo, i consumatori riceveranno un prodotto sostitutivo;
  • abolizione del divieto di componenti indipendenti: sarà possibile utilizzare componenti realizzati con la stampante 3D o acquistati da terze parti, e i produttori non potranno rifiutarsi di riparare dispositivi manipolati da terzi.

Impatti e prospettive per i consumatori e per l’ambiente

Questa direttiva è destinata a rivoluzionare il mercato europeo degli elettrodomestici, promuovendo pratiche più sostenibili e responsabili. I consumatori beneficeranno di un accesso più facile e conveniente ai servizi di riparazione e l’ambiente trarrà vantaggio da una significativa riduzione dei rifiuti elettronici. Inoltre, la direttiva apre la strada a nuove opportunità per le aziende specializzate in riparazioni e per i produttori che adotteranno pratiche più trasparenti e sostenibili.

Conclusione. La direttiva europea sul diritto alla riparazione rappresenta un passo fondamentale verso un’economia più circolare e sostenibile. Con l’attuazione di queste nuove regole, l’Unione Europea dimostra il suo impegno verso un futuro più verde e responsabile e si pone all’avanguardia nella lotta contro lo spreco e l’inquinamento, promuovendo un consumo più consapevole e sostenibile. I prossimi anni saranno cruciali per vedere l’implementazione di queste misure e i loro effetti positivi sulla società e sull’ambiente.

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Clausola visto e piaciuto Qual è l’efficacia della clausola visto e piaciuto nei contratti di compravendita? L’acquirente perde il diritto alla garanzia per i vizi del bene?

Clausola visto e piaciuto: cos’è e come funziona

Nelle compravendite di immobili e di veicoli usati come autovetture o motociclette, viene spesso inserita in contratto la clausola visto e piaciuto: di cosa si tratta? E quali sono gli effetti derivanti dalla sua sottoscrizione?

La clausola visto e piaciuto intende riferirsi, in sostanza, al fatto che l’acquirente, dopo avere esaminato il bene (“visto”), lo accetta così com’è (“piaciuto”): è, con tutta evidenza, una previsione contrattuale a tutela della posizione del venditore, che con tale disposizione intende evitare successive contestazioni da parte dell’acquirente e sottrarsi alla garanzia di cui all’art. 1490 c.c., primo comma.

Ma funziona davvero così? L’inserimento della formula vista e piaciuta vale effettivamente a privare l’acquirente della possibilità di lamentele circa le condizioni del veicolo, o dell’immobile, successive all’acquisto?

L’efficacia della clausola visto e piaciuto

In realtà, il valore della clausola visto e piaciuto e di altre simili – come, ad esempio, la clausola come visto e piaciuto nello stato in cui si trova – è piuttosto limitato e non protegge più di tanto il venditore dal rischio di subire contestazioni post-vendita.

Infatti, per essere realmente efficace in tal senso, la clausola dovrebbe accompagnarsi ad una più esplicita previsione contrattuale che prevedesse la rinuncia espressa dell’acquirente alle azioni conseguenti alla scoperta di un difetto del bene successiva all’acquisto.

In mancanza, il rischio è quello che un giudice – cui l’acquirente dovesse rivolgersi – possa considerare la disposizione contrattuale in questione come una mera clausola di stile, priva di qualsiasi potere cogente per le parti e pertanto inidonea a privare l’acquirente del diritto di agire per contestare i vizi del bene.

Come funziona la formula vista e piaciuta?

Ma v’è di più. Anche a voler considerare la clausola come vincolante – e non mancano, in giurisprudenza, giudici che l’abbiano ritenuta tale – la sua portata è comunque limitata.

Per comprendere, infatti, come funziona la formula vista e piaciuta bisogna pensare a cosa avviene al momento della vendita e della sottoscrizione del contratto: l’acquirente compie un esame visivo, necessariamente superficiale e limitato, del bene e si dichiara soddisfatto.

Difetti non notati durante le trattative

È ovvio, però, che, se durante l’utilizzo continuato del bene successivo all’acquisto, emergono dei difetti che era impossibile notare in sede di trattativa, la posizione dell’acquirente debba essere tutelata, anche quando abbia sottoscritto la clausola visto e piaciuto.

Si pensi al malfunzionamento di un veicolo che si manifesti solo dopo qualche giorno di utilizzo, o ad una traccia di umidità che affiori sulla parete dell’immobile appena acquistato. Se tali difetti sono conseguenti ad un vizio preesistente alla sottoscrizione del contratto (un difetto meccanico dell’auto, una tubatura difettosa dell’impianto idrico dell’appartamento), impossibile da rilevare ad un primo sguardo, allora sfuggono completamente all’operatività della formula di vendita vista e piaciuta.

Vizi occulti

Si tratta, infatti, dei c.d. vizi occulti, cioè di quei difetti che si possono rilevare solo con un utilizzo continuato del bene e che non erano riconoscibili dal normale esame del bene, per quanto diligente, in sede di compravendita.

Vendita visto e piaciuto: vizi occulti e art. 1490 c.c.

Le cose cambiano ulteriormente quando il vizio del bene fosse conosciuto dal venditore e da questi dolosamente taciuto: è evidente che, anche in tal caso e a maggior ragione, è impossibile riconoscere alcuna operatività alla clausola visto e piaciuto.

L’intera materia sopra descritta è ben riassunta dalle disposizioni dell’art. 1490 c.c., il quale, da una parte, al primo comma, prevede la responsabilità del venditore per i vizi della cosa che siano tali da renderla inidonea all’uso o che ne diminuiscano il valore. Dall’altra, al secondo comma, permette la possibilità di inserire clausole che escludano la garanzia di cui sopra, ma ne esclude l’efficacia in caso di mala fede del venditore che abbia taciuto l’esistenza del vizio.

Mutui: validi anche senza indicazione del TAN Per la Cassazione, il contratto di finanziamento è valido se sono riportate analiticamente tutte le condizioni economiche, anche se non è espressamente indicato, in termini numerici, il TAN

TAEG e TAN nel contratto di mutuo

Il caso in esame, riguardante l’ingiunzione di pagamento di una somma data in mutuo e dei relativi interessi, ha dato l’occasione alla Corte di Cassazione di pronunciarsi, con ordinanza n. 16456-2024, sulla validità dei contratti di finanziamento privi dell’indicazione del “Tasso Annuo Nominale” (Tan).

La Corte ha anzitutto premesso che il TAEG e il TAN sono entità giuridiche diverse. In particolare, e per quanto qui rileva, il TAN “è il tasso di interesse dovuto al netto della capitalizzazione” ai sensi dell’art. 117, comma 4, del TUB. Mentre, il TAEG indica, in percentuale annua il costo effettivo del credito.

Ciò posto la Corte è poi passata all’analisi della specifica questione sottoposta alla sua attenzione, vale a dire l’obbligatorietà o meno dell’indicazione del TAEG e del TAN nel contratto di finanziamento e le conseguenze della loro eventuale assenza.

La mancata indicazione del TAEG e del TAN

In punto di validità del contratto di mutuo, la Corte ha specificato che l’obbligo di indicare il tasso d’interesse applicato, sussiste sicuramente con riferimento al TAEG, posto che lo stesso, rappresentando il dato aggregato del costo del credito, consente all’interessato di confrontare le condizioni di finanziamento che gli operatori bancari offrono sul mercato.

La mancata indicazione nei contratti bancari del TAEG determina, pertanto, quale conseguenza sul piano negoziale e civile, l’invalidità del contratto stesso poiché colpito da nullità.

Per quanto invece attiene al TAN, la disciplina di settore non prevede espressamente la sanzione della nullità per il caso di sua mancata indicazione all’interno del contratto bancario e occorre pertanto valutare se la nullità del negozio sia da escludere qualora “l’ammontare del saggio di interesse, non specificamente individuato, possa ricavarsi, in base a un calcolo aritmetico, dal testo del contratto che individui il TAEG”.

Condizioni finanziamento

Rispetto al suddetto dubbio interpretativo la Corte, dopo aver ripercorso il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, ha condiviso gli esiti del Giudice di merito, in punto di validità del contratto, posto che nel caso specifico, anche se non era espressamente indicato in termini numerici il TAN, erano “analiticamente riportate tutte le condizioni relative al piano di finanziamento”.

Quanto sopra, ha riferito la Corte, può essere affermato in considerazione del fatto che nel contratto di finanziamento di cui trattasi erano indicati “il tasso di indicizzazione, gli interessi di mora, i criteri di indicizzazione, il TAEG o l’indicazione sintetico di costo richiesti dalle Istruzioni fornite dalla Banca d’Italia agli operatori di settore e che le condizioni contrattuali vanno integrate con il piano finanziario, anch’esso concordato dalle parti, dal quale si desume chiaramente il valore dell’operazione nel tempo attraverso il numero delle rate e l’ammontare di ciascuna di esse, con l’incidenza degli interessi, del tasso debitore, delle spese”. Con la conseguenza che, dal complesso del contratto, era possibile ricavare chiaramente il valore dell’operazione, nonché il TAN, desumibile dal piano di ammortamento approvato dalle parti.

La decisione

La Corte di Cassazione ha pertanto concluso il proprio esame condividendo la decisione adottata dalla Corte d’appello sul punto, ritenendo valido il contratto, posto che dal contratto ed i suoi allegati era possibile individuare agevolmente le condizioni economiche del contratto.

Allegati

pec rinnovo deposito telematico

Pec non funzionante: nuovo deposito entro 20 giorni Se la parte decade incolpevolmente dalla facoltà di depositare, la stessa può nuovamente depositare, entro venti giorni o domandare la rimessione in termini

Assenza di una delle pec previste per il deposito telematico

Il caso in esame prende avvio da un contenzioso avente ad oggetto il prestito di una somma di denaro da parte della banca e la connessa richiesta da parte del cliente, destinatario della stessa, di riduzione dell’ipoteca in ragione della riduzione del debito residuo.

Per quanto qui rileva, all’esito del giudizio di merito, la Banca, controricorrente dinanzi alla Corte di Cassazione, dopo aver notificato il controricorso, aveva depositato due istanze di remissione in termini, rilevando che il controricorso era stato depositato via pec e che il depositante, dopo avere ricevuto il messaggio di “avvenuta consegna”, non aveva ricevuto nessun ulteriore messaggio di superamento dei controlli automatici e manuali (c.d. “terza” e “quarta” busta). Solo successivamente, aveva appreso che nessun ricorso risultava pervenuto.

Deposito del controricorso avvenuto tempestivamente

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 16552/2024, ha ripercorso i fatti e le doglianze formulate in relazione all’istanza di remissione, affermando che, secondo la normativa vigente ratione temporis “il deposito telematico di atti del processo civile avvia una procedura informatica all’esito della quale il depositante deve ricevere quattro messaggi di posta elettronica certificata (PEC)”, vale a dire:

  • il messaggio che attesta l’inoltro del deposito (ricevuta di accettazione, comunemente detta “RAC”);
  • il messaggio di avvenuta consegna del messaggio alla posta elettronica dell’ufficio giudiziario ricevente (ricevuta di avvenuta consegna, comunemente detta “RdAC”);
  • il messaggio attestante il superamento dei controlli automatici da parte del gestore del sistema informatico dell’ufficio giudiziario ricevente (c.d. “terza PEC”);
  • il messaggio attestante il superamento dei controlli manuali, a cura della Cancelleria dell’ufficio giudiziario ricevente, e la definitiva accettazione del deposito e conseguente visibilità al giudice ed alle controparti (c.d. “quarta PEC”).

Inoltre, l’art. 13 del d.m. 21.2.2011 n. 44, così come vigente all’epoca dei fatti, da un lato prevedeva che il deposito telematico nel processo civile si intendesse ricevuto dall’ufficio “nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia”; e dall’altro stabiliva che “il gestore dei servizi telematici restituisce al mittente l’esito dei controlli effettuati dal dominio giustizia nonché dagli operatori della cancelleria o della segreteria, secondo le specifiche tecniche stabilite ai sensi dell’articolo 34”.

Ricevuta di avvenuta consegna

Posto tale quadro normativo, la Corte di legittimità ha rilevato che l’orientamento formatosi sull’argomento in seno alla stessa riteneva che, ai fini della tempestività del deposito, era sufficiente la generazione da parte del sistema della ricevuta di avvenuta consegna, fermo restando che tale ricevuta aveva solo un effetto “prenotativo”, mentre l’efficacia del deposito restava “subordinata al superamento dei successivi controlli automatici e manuali; se questi andranno a buon fine, il deposito si riterrà compiuto sin dal momento della generazione della ricevuta di avvenuta consegna; se invece i suddetti controlli non andassero a buon fine, invece, il deposito non potrà dirsi effettuato”.

Nuovo deposito telematico

Per quanto atteneva, invece, ai rimedi attivabili dalla parte che era incolpevolmente decaduta dalla facoltà di depositare l’atto, a causa della mancata o tardiva generazione della terza o della quarta PEC, era consentito alla stessa, o di procedere nuovamente al deposito, entro venti giorni decorrenti dal momento in cui il depositante aveva appreso dell’esito negativo del precedente deposito, oppure di domandare la rimessione in termini se erano risultate incolpevoli sia la violazione del termine per il deposito, sia la mancata ripresa della procedura.

Rimessione in termini

Facendo applicazione delle suddette regole e linee interpretative, la Corte ha ritenuto che, nel caso di specie, l’insuccesso del primo tentativo di deposito fu incolpevole. Rispetto a tale circostanza la Banca aveva ripreso la procedura di deposito in un termine che poteva ritenersi ragionevole. Con la conseguenza che il controricorso depositato con l’istanza di rimessione in termini aveva prodotto “gli effetti di un rinnovato e tempestivo deposito”.

atto di precetto art. 480 c.p.c.

Atto di precetto L’atto di precetto contiene un’intimazione al debitore di pagare spontaneamente quanto dovuto per evitare che venga avviata l’esecuzione forzata

Cos’è l’atto di precetto

Il precetto è l’atto con cui il creditore intima al debitore di pagare quanto dovuto, avvertendolo che in mancanza di adempimento spontaneo procederà con il pignoramento dei beni e quindi con l’esecuzione forzata.

In sostanza, il precetto ha la funzione di ultimo avvertimento, per consentire al debitore di pagare senza incorrere nell’esecuzione a danno dei beni rientranti nel suo patrimonio.

Come vedremo, l’atto di precetto, pur essendo teoricamente un atto stragiudiziale, perché precede il procedimento di esecuzione forzata, è sostanzialmente considerato dall’ordinamento il primo atto dell’esecuzione stessa, tanto da poter essere oggetto di opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. da parte del debitore.

La notifica del precetto

L’obbligo di cui il creditore chiede l’adempimento con l’atto di precetto è quello individuato dal titolo esecutivo cui il precetto stesso fa riferimento.

Tale obbligo può corrispondere a quanto indicato in una cambiale, un assegno o in un altro titolo esecutivo, come una sentenza o un decreto ingiuntivo. Questi ultimi provvedimenti, però, prima di essere notificati al debitore, devono essere muniti di formula esecutiva.

Il precetto può essere notificato unitamente al titolo esecutivo o successivamente alla notifica del titolo.

A questo proposito, giova ricordare cosa succede se non si ritira un precetto esecutivo: in tal caso, la notifica si considera comunque perfezionata, una volta decorsi dieci giorni dall’avviso con cui il servizio postale informa il destinatario della giacenza del precetto a causa della precedente mancata consegna.

Quanto tempo passa tra atto di precetto e pignoramento?

Come abbiamo detto, per espressa previsione di legge (art. 480 c.p.c.), il precetto deve contenere l’avvertimento al debitore che, in mancanza di adempimento, si procederà ad esecuzione forzata. Quest’ultima non può, però, essere avviata dal creditore (con l’atto di pignoramento) prima di 10 giorni dalla notifica del precetto, proprio per consentire al debitore l’eventuale adempimento spontaneo.

Non solo: l’art. 491 c.p.c. impone al creditore di iniziare l’esecuzione entro novanta giorni dalla ricezione della notifica da parte del debitore. Ciò è previsto proprio per sottolineare il valore di avvertimento dell’atto di precetto a beneficio del debitore ed evitare, quindi, che il pignoramento ai danni del patrimonio di quest’ultimo possa avvenire in un tempo lontano da quello in cui egli è stato avvisato dell’intenzione del creditore di procedere ad esecuzione forzata.

Sebbene, quindi, non sia tecnicamente corretto chiedersi quando va in prescrizione un atto di precetto (poiché non si tratta di prescrizione ma di perdita di efficacia), è pacifico che una volta trascorsi 90 giorni dalla sua notifica senza che sia avviata l’esecuzione, il precetto perde la sua efficacia.

Il contenuto del precetto ex art. 480 c.p.c.

Quanto al contenuto dell’atto di precetto, in esso devono essere indicate le parti e trascritto il contenuto del titolo esecutivo. Inoltre, deve esservi l’avvertimento che il debitore può rivolgersi ad un organismo di composizione della crisi per concludere con il creditore un accordo di composizione della crisi o per predisporre un piano del consumatore (si tratta dei rimedi previsti dalla l. 3 del 2012 per risolvere le situazioni di sovraindebitamento).

Il precetto deve, inoltre, essere sottoscritto dal debitore o dal suo difensore.

Come difendersi da un atto di precetto?

Il debitore che intenda contestare l’atto di precetto notificatogli, può proporre opposizione in giudizio.

A tal fine, egli seguirà la procedura dell’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., qualora ritenga di contestare il diritto del creditore di procedere ad esecuzione forzata; oppure avanzare opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. (come accennato all’inizio di questa breve guida), se solleva eccezioni sulla regolarità formale del titolo esecutivo e del precetto.

affitti brevi decreto turismo

Affitti brevi: cosa cambia con il nuovo decreto Emanato il decreto del ministero del Turismo sulla interoperabilità tra banche dati turistiche e strutture ricettive

Decreto del ministero del turismo

Il 6 giugno 2024, il Ministero del Turismo ha emanato il decreto ministeriale che mette in pratica le disposizioni dell’articolo 13-ter, comma 13, del Decreto legge del 18 ottobre 2023, n. 145, trasformato in Legge con modifiche il 15 dicembre 2023, n. 191. Questo provvedimento definisce le modalità di coordinamento tra le banche dati nazionali delle strutture turistico-ricettive e delle unità immobiliari affittate per brevi periodi o scopi turistici con quelle delle regioni e delle Province autonome.

Il Decreto ministeriale del 6 giugno 2024 segna un passo significativo verso una maggiore trasparenza e coordinamento nel settore turistico italiano. La BDSR e il CIN rappresentano strumenti cruciali per garantire la correttezza e la legalità delle attività ricettive, tutelando al contempo consumatori e operatori del settore.

Dettagli del decreto: Allegati A e B

Le specifiche tecniche per l’interoperabilità tra queste banche dati sono descritte negli allegati A e B del decreto, che ne costituiscono parte integrante.

BDSR e CIN: novità 2024

La Banca Dati nazionale delle Strutture Ricettive e degli immobili per locazioni brevi o scopi turistici (BDSR), istituita dall’articolo 13-quater, comma 4, del Decreto-legge del 30 aprile 2019, n. 34, convertito con modifiche nella legge del 28 giugno 2019, n. 58, è un elemento chiave per garantire la protezione dei consumatori, la concorrenza leale e la trasparenza nel mercato turistico.

Funzionalità della BDSR

La BDSR facilita il coordinamento delle informazioni tra amministrazioni statali e locali, offrendo una mappatura dettagliata delle strutture ricettive a livello nazionale e contribuendo a combattere l’ospitalità irregolare. I dati raccolti includono:

  • la tipologia tipo di alloggio;
  • l’ubicazione;
  • la capacità di accoglienza;
  • il gestore dell’alloggio;
  • il codice identificativo regionale, se presente, o codice alfanumerico unico.

La BDSR permette anche l’emissione del Codice Identificativo Nazionale (CIN), come previsto dalla normativa sulle locazioni turistiche e brevi.

Interoperabilità banche dati nazionali, regionali e province

Il Decreto del 6 giugno 2024 definisce due fasi principali per l’attivazione e il funzionamento della BDSR.

Fase 1: Pilota

Durante la fase “Pilota”, il Ministero del Turismo, in collaborazione con le Regioni e le Province autonome, prepara la BDSR per il funzionamento completo. I dati essenziali sono trasmessi entro 15 giorni dalla pubblicazione del decreto tramite un file CSV standardizzato e il Ministero fornisce supporto tecnico per risolvere eventuali criticità. In questa fase viene assegnato un Codice Identificativo Nazionale provvisorio (CIN 1).

Fase 2: Messa in esercizio

La Fase 2 prevede la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, entro il 1° settembre 2024, di un avviso che conferma l’attivazione della BDSR e del portale telematico del Ministero del Turismo per l’assegnazione del CIN.

Procedura di integrazione dati obbligatori

Una volta attivata la BDSR, i titolari e i gestori delle strutture ricettive, nonché i locatori, devono completare e aggiornare le informazioni relative alle loro proprietà per avere il CIN. L’accesso alla piattaforma avviene tramite SPID, e il sistema riconosce automaticamente le strutture associate all’utente, permettendo l’inserimento o la correzione dei dati mancanti.

Gestione delle anomalie

Se una struttura non è presente nella BDSR o se non si riesce ad accedere al database, è necessario segnalare il problema alle Regioni e Province autonome competenti tramite una procedura telematica. Le autorità hanno 30 giorni per verificare la conformità della struttura alle normative. Se la verifica è positiva, il dato viene aggiornato e il CIN verificato rilasciato. In caso contrario, il CIN non sarà rilasciato o sarà revocato se successivamente risulta non conforme.

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audio guida ciechi inps

Verbali di invalidità: il nuovo servizio Inps L'Inps ha reso noto di aver attivato il nuovo servizio di audio-guida personalizzata per i destinatari di verbali di cecità parziale e totale

Audio-guida per non vedenti

Nuovo servizio di audio-guida personalizzata e interattiva per i destinatari di verbali di cecità parziale e totale. E’ l’INPS a illustrare con il messaggio n. 2184/2024 la novità nell’ambito del PNRR.

L’audio-guida personalizzata e interattiva per i non vedenti, già in uso per l’utenza, segue a ruota gli altri servizi partiti in via sperimentale già nel dicembre scorso per gli invalidi civili.

Come funziona l’audio-guida

Il nuovo servizio mette a disposizione degli utenti le informazioni relative al giudizio medico-legale espresso e i dati più importanti riportati nel verbale sanitario, compreso l’eventuale riconoscimento di prestazioni economiche e le agevolazioni fiscali previste per legge. I contenuti sono stati altresì personalizzati con riferimento al nome del soggetto, ai diritti e agli obblighi nascenti dall’accertamento sanitario.

I servizi promossi tramite gli appositi link (call to action), spiega l’Inps, sono:

  • il servizio di Download del codice QRcode attestante lo status di invalidità civile (per richiedere subito le agevolazioni previste per legge);
  • il nuovo “Portale della disabilità” (punto di accesso unico alle informazioni e ai servizi in tema di invalidità civile, cecità civile, sordità, disabilità di cui alla legge 12 marzo 1999, n. 68, e handicap di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 104, per facilitare l’interazione degli utenti con l’Istituto);
  • il servizio “Fascicolo previdenziale” (per la verifica delle prestazioni erogate);
  • il servizio di richiesta “Deleghe identità digitale”;
  • il servizio di “Cassetta postale online” (per visualizzare/salvare la raccomandata inviata con allegato il verbale sanitario);
  • il servizio per richiedere la Disability card, che viene presentato con il relativo link di accesso al servizio solo nelle video-guide destinate a chi ne ha diritto.

Canali di accesso al servizio

L’utente con disabilità visiva in attesa di emissione del verbale sanitario, che abbia inserito i propri contatti nella sezione “Gestione consensi” dell’area riservata “MyINPS” con l’adesione ai Servizi Proattivi, riceve una notifica SMS o e-mail, non appena viene emesso il verbale, e trova depositato nella sua area riservata l’avviso “Il tuo verbale sanitario è stato emesso”, contenente un “Personal URL” che gli dà accesso all’audio-guida personalizzata con i dati principali del suo verbale sanitario.

Il testo della notifica SMS o e-mail invita l’utente ad accedere dal portale istituzionale www.inps.it all’area riservata “MyINPS”, autenticandosi con la propria identità digitale SPID, almeno di Livello 2, CNS o CIE 3.0.

L’utente, letto tramite “Jaws” il testo dell’avviso, interagendo con il link può aprire la propria audio-guida. Nella pagina del servizio trova un breve testo introduttivo che lo guida nell’ascolto delle tracce audio personalizzate e lo invita a utilizzare i link di accesso diretto ai servizi online dell’INPS dedicati.

Il servizio di audio-guida è accessibile anche mediante i servizi di notifica dell’avviso depositati nell’app “INPS Mobile” e nell’app “IO”. Pertanto, i destinatari possono accedere all’audio-guida tramite il link presente all’interno dell’avviso notificato anche dal proprio smartphone e tablet.

Il servizio di audio-guida resta a disposizione di ogni destinatario per sei mesi dall’emissione del verbale.

Infine, ricorda l’Inps, “l’aggiornamento dei propri contatti cellulare/e-mail nella sezione ‘Gestione consensi’ dell’area riservata MyINPS, con l’adesione ai Servizi Proattivi, è condizione necessaria per abilitare l’Istituto all’invio delle notifiche SMS/e-mail”.