rendita vitalizia

La rendita vitalizia Rendita vitalizia: cos'è, cosa la distingue dalla rendita perpetua, a chi spetta, come funziona e giurisprudenza di rilievo in materia

Cos’è la rendita vitalizia?

La rendita vitalizia è un contratto disciplinato dagli articoli 1872 e seguenti del Codice Civile, con il quale una parte (denominata costituitore) si obbliga a corrispondere periodicamente una somma di denaro o una quantità di beni a un’altra parte (beneficiario o vitaliziato), per tutta la durata della vita di quest’ultimo o di un terzo.

Il contratto può essere a titolo oneroso, quando il vitaliziato trasferisce un bene o versa una somma in cambio della rendita, oppure a titolo gratuito, se costituito come donazione.

Tipologie di rendita

Il nostro codice civile prevede e disciplina due tipi di rendite:

  • perpetua: non è legata alla durata della vita di una persona specifica (art. 1861 c.c.) e si costituisce tramite contratto. Essa conferisce il diritto a esigere in modo perpetuo una prestazione periodica di denaro o di cose fungibili, quale corrispettivo della vendita di un immobile o della cessione di un capitale;
  • vitalizia: quando dipende dalla vita di un individuo determinato (art. 1872 c.c.). Ai sensi del comma 2 dell’art. 1873 del Codice Civile la rendita può essere costituita anche per la durata della vita di più persone.

Quando e a chi spetta

La rendita vitalizia può essere pattuita tra privati, derivare da specifiche disposizioni testamentarie o da una donazione. È uno strumento spesso utilizzato:

  • nell’ambito della pianificazione successoria, per garantire un reddito stabile a un familiare;
  • nei contratti di cessione di beni immobili con riserva di rendita a favore del cedente;
  • per assicurare un sostegno economico in caso di cessione d’azienda o quote societarie;
  • in ambito previdenziale, con rendite assicurative legate ai piani pensionistici.

La rendita spetta al beneficiario designato, il quale ha diritto a percepirla secondo le condizioni stabilite nel contratto. In caso di premorienza del beneficiario, la rendita si estingue, salvo diversa pattuizione.

Giurisprudenza in materia di rendita vitalizia 

La giurisprudenza ha spesso affrontato controversie relative alla rendita vitalizia.

Cassazione n. 8116/2024

Per accertare la validità di una rendita vitalizia, elemento essenziale è l’alea, ovvero l’equivalenza del rischio tra le parti al momento della stipula. Questa equivalenza si valuta considerando l’entità della rendita e la presumibile durata della vita del beneficiario. Il contratto è nullo se, per l’età e la salute del vitaliziato, era prevedibile con certezza il suo decesso, rendendo calcolabili guadagni e perdite per entrambe le parti. Nel caso specifico, la Cassazione ha confermato la nullità perché la vitaliziata di 48 anni, conoscendo la situazione economica della società vitaliziante, non presentava un rischio equivalente per quest’ultima.

Cassazione n. 10031/2023

L’accordo stipulato in sede di separazione e recepito nel divorzio congiunto, in cui un coniuge cede quote societarie all’altro in cambio di un assegno vitalizio a favore del cedente e dei figli, senza interruzione anche dopo la maggiore età di questi ultimi, non è soggetto a revisione ai sensi dell’articolo 8 della legge sul divorzio. La Corte qualifica tale pattuizione non come un assegno divorzile, ma come la costituzione di una rendita vitalizia, con conseguente inapplicabilità delle norme sulla revisione dell’assegno divorzile.

Cassazione n. 11290/2017

Secondo il consolidato indirizzo interpretativo della Corte di Cassazione, il vitalizio alimentare è un contratto atipico che si distingue dalla rendita vitalizia per la sua aleatorietà più accentuata. Questa alea non riguarda solo la durata del contratto, legata alla vita del beneficiario, ma anche la quantità e la natura delle prestazioni dovute (vitto, alloggio e assistenza), che possono variare nel tempo in base a fattori imprevedibili come le condizioni di salute del beneficiario. Inoltre, le prestazioni di assistenza hanno una natura spiccatamente personale e richiedono un vitaliziante specificamente scelto in base alle sue qualità individuali. Nel vitalizio alimentare, una parte si obbliga a fornire queste prestazioni in cambio del trasferimento di un immobile o di altri beni.

 

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opposizione di terzo

Opposizione di terzo all’esecuzione Opposizione di terzo all’esecuzione art. 619 c.p.c.: cos’è, chi la può proporre, come funziona la procedura e sentenze di rilievo

Cos’è l’opposizione di terzo all’esecuzione

L’opposizione di terzo all’esecuzione è un rimedio processuale a tutela di soggetti estranei a un’esecuzione forzata, che rivendicano un diritto di proprietà o altro diritto reale su un bene pignorato. Secondo l’art. 619 c.p.c., se un terzo sostiene di avere un diritto incompatibile con l’esecuzione in corso, può proporre opposizione per ottenere la liberazione del bene.

Chi può proporre l’opposizione di terzo

Sono legittimati a proporre opposizione di terzo:

  • il proprietario del bene pignorato, se dimostra che il bene non appartiene al debitore esecutato;
  • chi vanta sul bene dei diritti reali di godimento (usufrutto, uso, abitazione, servitù);
  • il creditore pignoratizio o il titolare di altri diritti di garanzia;
  • chi ha stipulato un contratto opponibile ai terzi (es. locazione registrata prima del pignoramento).

L’onere della prova del diritto vantato sul bene spetta all’opponente, che deve dimostrare la titolarità mediante documentazione idonea (es. atti notarili, contratti, registrazioni nei pubblici registri).

Procedura di opposizione di terzo all’esecuzione

L’opposizione si propone con ricorso al giudice dell’esecuzione. Tale atto deve contenere seguenti elementi:

  • l’individuazione del bene pignorato;
  • la natura del diritto vantato;
  • le prove documentali a supporto della domanda. L’articolo 621 ccc dipone infatti che il terzo opponente non possa dimostrare il suo diritto per mezzo di testimoni, a meno che l’esistenza del diritto non sia verosimile in relazione alla professione o al commercio svolti da terzo o dal debitore.

Il giudice, esaminata l’istanza, può decidere di:

  • accogliere l’opposizione e disporre l’esclusione del bene dal pignoramento;
  • rigettare l’opposizione, se il diritto vantato non è sufficientemente provato;
  • sospendere l’esecuzione in via cautelare, in attesa della decisione.

Se l’opposizione è respinta, l’opponente può impugnare la decisione dinanzi alla Corte d’Appello.

Come opporsi?

Per proporre l’opposizione di terzo all’esecuzione, l’opponente deve compiere i seguenti passaggi:

  1. raccogliere la documentazione che attesti la titolarità del diritto;
  2. depositare il ricorso presso il Tribunale competente (dove si svolge l’esecuzione);
  3. notificare il ricorso alle parti coinvolte (creditore procedente e debitore);
  4. partecipare all’udienza, ove il giudice valuterà la fondatezza della richiesta.

Il giudice, su istanza del terzo, può anche, in presenza di gravi motivi, sospendere il processo con o senza cauzione.

Giurisprudenza rilevante

Alcune sentenze significative della Corte di Cassazione in tema di opposizione di terzo all’esecuzione:

Cassazione n. 40751/2021: l’azione prevista dall’articolo 619 del codice di procedura civile, essendo qualificata in questo modo, implica che essa rimane soggetta al principio generale secondo cui l’onere della prova ricade su chi, attraverso una propria affermazione, intende far derivare conseguenze giuridiche a suo favore. Pertanto, spetterà all’opponente dimostrare il fatto giuridico su cui basa il suo presunto diritto sui beni mobili soggetti a esecuzione, come stabilito anche dalla sentenza n. 1506/1972 della Sezione 3 della Corte di Cassazione.

Cassazione n. 17913/2022: nonostante la sua struttura bifasica, il giudizio di opposizione di terzo all’esecuzione, disciplinato dall’articolo 619 del codice di procedura civile, presenta una natura unitaria. Di conseguenza, l’atto di citazione per la fase di merito, che eventualmente segue la fase sommaria dinanzi al giudice dell’esecuzione, è validamente notificato presso il difensore nominato con la procura alle liti rilasciata già nella prima fase, a meno che la parte destinataria non abbia espresso una volontà diversa e esplicita di limitare la validità del mandato difensivo a tale fase.

Cassazione civile n. 4005/2022: se un terzo vanta un diritto reale su un bene immobile soggetto a esecuzione forzata, la sua possibilità di azione varia a seconda della sua partecipazione al procedimento esecutivo: se ha preso parte al procedimento, può presentare solo opposizione agli atti esecutivi; se non ha partecipato, può presentare opposizione di terzo ai sensi dell’articolo 619 del codice di procedura civile durante il giudizio di esecuzione e, dopo la vendita e l’aggiudicazione, può rivendicare il bene nei confronti dell’aggiudicatario.

 

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fermo tecnico

Il fermo tecnico Fermo tecnico: significato, normativa di riferimento, danno risarcibile e prova dello stesso, tipologie e giurisprudenza rilevante

Cos’è il fermo tecnico?

Il fermo tecnico è il periodo di tempo durante il quale un veicolo, un macchinario o un’attrezzatura non può essere utilizzato. Il mancato utilizzo può dipendere da un guasto o da un incidente che ne ha compromesso il normale funzionamento. Esso si verifica quindi quando un bene è immobilizzato per cause impreviste e necessita di riparazioni o interventi per tornare operativo.

Nel contesto di un incidente stradale, il fermo tecnico si riferisce al periodo in cui un veicolo non è utilizzabile perché danneggiato. Il proprietario quindi deve essere risarcito per i danni economici derivanti dalla perdita d’uso. Non si tratta di un danno fisico diretto al bene, ma di una perdita economica che può avere un impatto significativo sul reddito o sull’attività professionale.

Normativa di riferimento

Il fermo tecnico non ha una disciplina specifica all’interno del Codice Civile italiano. Esso si inserisce nel contesto delle disposizioni generali sui danni patrimoniali e sul risarcimento dei danni derivanti da incidenti e da responsabilità civile. Esso è collegato agli articoli 2043 e seguenti del Codice Civile, che trattano della responsabilità civile per i danni causati da fatti illeciti.

Nel caso di un incidente stradale, il danno da fermo tecnico viene generalmente risarcito dal responsabile dell’incidente. Costui infatti dovrà risarcire il danno subito dal proprietario del veicolo danneggiato. Il danneggiato può chiedere il risarcimento del fermo tecnico anche per il periodo in cui il veicolo o l’attrezzatura è inutilizzabile. La prova del danno può essere fornita da un preventivo di riparazione o da un certificato di inidoneità rilasciato da un professionista.

In cosa consiste il danno da fermo tecnico

Il danno da fermo tecnico consiste nella perdita di guadagni o nella riduzione della produttività a causa dell’incapacità di utilizzare il veicolo, il macchinario o l’attrezzatura. Ad esempio, nel caso di un incidente che danneggia un veicolo utilizzato per il lavoro, il danno da fermo tecnico si concretizza nel periodo in cui il mezzo non può essere impiegato, con conseguente perdita economica per l’azienda o per il professionista.

Nel caso di un veicolo, il danno può essere calcolato in base al costo del noleggio di un altro mezzo equivalente o al guadagno perso durante il periodo in cui il veicolo è stato immobilizzato. Per un macchinario, il danno da fermo tecnico può essere determinato attraverso una stima del valore economico che l’azienda perde per l’impossibilità di utilizzare l’attrezzatura, considerando la durata del fermo e il tipo di attività che viene impedita.

Tipologie di danno da fermo tecnico

  • Fermo tecnico di un veicolo: il danno si calcola sulla base della perdita economica derivante dall’impossibilità di utilizzare il mezzo (Es: attività commerciale che dipende dal trasporto).
  • Fermo tecnico di un macchinario: in questo caso, il danno riguarda il fermo produttivo e viene calcolato sulla base dei guadagni che l’impresa non è riuscita a realizzare a causa dell’impossibilità di utilizzare l’
  • Fermo tecnico in ambito professionale: può riguardare anche il caso di un libero professionista che non può utilizzare il proprio veicolo o attrezzatura per lavorare, con la conseguente perdita di reddito.

Come va dimostrato il danno

Dimostrare il danno da fermo tecnico è essenziale per poter chiedere il risarcimento. Per ottenere un risarcimento, il danneggiato deve fornire prove adeguate del periodo di fermo, della causa che ha provocato l’immobilizzazione del bene e della perdita economica derivante da tale fermo.

Documenti utili per dimostrare il danno

  • Certificato di inidoneità (nel caso di incidenti stradali): serve a documentare il danno subito dal veicolo o dal macchinario.
  • Preventivo o fattura di riparazione: serve per provare i costi necessari per riparare il danno e far tornare il bene operativo.
  • Testimonianze: nel caso di incidenti o guasti, può essere utile avere testimonianze di persone che hanno assistito all’incidente o che possono confermare il periodo di fermo del bene.
  • Documentazione commerciale: come contratti, ordini e fatture che provano la perdita economica derivante dal fermo tecnico, ad esempio la mancata esecuzione di un servizio.
  • Contratti di noleggio: in caso di sostituzione del veicolo danneggiato con uno a noleggio, i contratti di noleggio possono dimostrare il periodo di immobilizzazione e i costi sostenuti.

Giurisprudenza sul fermo tecnico

La giurisprudenza italiana ha trattato diversi casi relativi al fermo tecnico e al risarcimento dei danni derivanti da tale immobilizzazione. Di seguito alcune sentenze significative:

Cassazione n. 15262/2023: il danno da “fermo tecnico” di un veicolo incidentato non può considerarsi automaticamente sussistente (“in re ipsa”). Esso richiede un’adeguata prova. A tal fine, è sufficiente dimostrare l’effettiva spesa sostenuta per il noleggio di un mezzo sostitutivo, la cui riconducibilità causale all’illecito può essere desunta attraverso un ragionamento presuntivo.

Cassazione n. 7358/2023: il danno da fermo tecnico di un veicolo incidentato deve essere adeguatamente allegato e dimostrato. Non è sufficiente la sola prova della sua indisponibilità. Spetta al danneggiato fornire evidenza della spesa sostenuta per il noleggio di un veicolo sostitutivo o del mancato guadagno derivante dall’impossibilità di utilizzare l’auto. Nella fattispecie, la Corte ha ritenuto erronea la decisione del giudice di merito che aveva richiesto anche la prova della necessità della spesa, nonostante fosse già stata dimostrata l’effettiva erogazione dell’importo

Cassazione n. 27343/2024: nel caso di illegittimo fermo amministrativo, il danno non patrimoniale, anche se invocato per la presunta violazione di diritti di rango costituzionale, non è risarcibile quando si limita a incidere sulla quotidianità con disagi, fastidi, frustrazioni, ansie o altre forme di insoddisfazione di lieve entità. Tali conseguenze, non configurandosi come gravi, restano prive di rilevanza risarcitoria in quanto di natura bagatellare e non suscettibili di una quantificazione economica.

 

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impresa individuale

Impresa individuale Cos’è l’impresa individuale, qual è la normativa di riferimento e le caratteristiche, come aprirla e con quali costi

Cos’è l’impresa individuale

L’impresa individuale è una forma giuridica in cui un singolo individuo esercita un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi. In questo contesto, il titolare dell’impresa assume personalmente tutte le decisioni e le responsabilità connesse all’attività.

Caratteristiche dell’impresa individuale

  • Semplicità di costituzione: l’avvio è relativamente semplice e non richiede un capitale minimo iniziale;
  • Gestione autonoma: il titolare ha il pieno controllo sulle decisioni aziendali e può avvalersi di collaboratori o dipendenti per lo svolgimento dell’attività;
  • Responsabilità illimitata: il titolare risponde con tutto il suo patrimonio personale per le obbligazioni assunte dall’impresa.

Normativa di riferimento

In Italia, questo istituto è regolato dal Codice Civile, in particolare dagli articoli 2082 e seguenti, che definiscono l’imprenditore e le modalità di esercizio dell’attività d’impresa.

Differenza tra ditta e impresa individuale

I termini “ditta individuale” e “impresa individuale” sono spesso utilizzati erroneamente come sinonimi. La “ditta” però è uno dei segni distintivi di un’impresa, è infatti il nome che l’impresa utilizza per identificarsi sul mercato. L’impresa individuale invece caratterizza l’attività svolta dall’imprenditore in modo organizzato, economico e professionale.

Vantaggi e svantaggi dell’impresa individuale

Vantaggi

  • Costi di avvio ridotti: non è necessario un capitale sociale minimo e le procedure burocratiche sono meno complesse rispetto ad altre forme giuridiche.
  • Gestione semplificata: il titolare ha il controllo diretto su tutte le operazioni e decisioni aziendali.

Svantaggi

  • Responsabilità personale illimitata: il titolare risponde con il proprio patrimonio personale per i debiti dell’impresa.
  • Capacità finanziaria limitata: essendo basata su un’unica persona, l’impresa potrebbe avere accesso limitato a risorse finanziarie rispetto a società con più soci.

Come aprire un’impresa individuale

Per avviare un’impresa individuale, è necessario seguire questi passaggi:

  1. Apertura della Partita IVA: richiedere l’attribuzione del numero di Partita IVA presso l’Agenzia delle Entrate.
  2. Iscrizione al Registro delle Imprese: registrare l’impresa presso la Camera di Commercio competente territorialmente.
  3. Comunicazione di inizio attività: presentare la Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA) al Comune dove ha sede l’impresa.
  4. Iscrizione agli enti previdenziali: Registrarsi presso l’INPS e, se previsto, all’INAIL per le coperture assicurative obbligatorie.

Numero di dipendenti

Non esiste un limite specifico al numero di dipendenti che un’impresa individuale può assumere. Il titolare può decidere liberamente in base alle esigenze operative e alle capacità finanziarie dell’impresa.

Responsabilità per i debiti

Il titolare è personalmente responsabile per tutti i debiti e le obbligazioni dell’impresa. Ciò significa che, in caso di insolvenza, i creditori possono rivalersi sia sul patrimonio aziendale che su quello personale dell’imprenditore.

Costi di avvio

I costi per avviarla possono variare, ma generalmente includono:

  • Imposta di bollo e diritti di segreteria: circa 120€ – 400€, a seconda della Camera di Commercio locale;
  • Diritto annuale camerale: importo variabile in base al tipo di attività e alla provincia;
  • Spese per consulenze professionali: eventuali costi per commercialisti o consulenti per l’assistenza nelle pratiche burocratiche;

È consigliabile consultare gli enti locali o professionisti del settore per ottenere informazioni aggiornate sui costi specifici.

 

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quietanza di pagamento

La quietanza di pagamento Quietanza di pagamento: cos'è, quale forma deve avere, quali dati deve contenere, giurisprudenza e fac-simile

Cos’è la quietanza di pagamento e a cosa serve

La quietanza di pagamento è un documento con cui il creditore attesta di aver ricevuto un pagamento da parte del debitore, liberandolo dall’obbligazione. Questo strumento ha una funzione probatoria, dimostrando l’avvenuto saldo di un debito e prevenendo eventuali contestazioni future.

La quietanza può riguardare qualsiasi tipologia di pagamento, come il saldo di fatture, la chiusura di un prestito o il pagamento di un contratto di locazione. La sua importanza è fondamentale sia in ambito commerciale che civile, poiché certifica in modo inequivocabile l’adempimento di un’obbligazione.

La quietanza nel codice civile

La norma di riferimento per questo istituto è l’articolo 1199 del codice civile, che disciplina il diritto del debitore alla quietanza. La norma dispone infatti che il creditore che riceve il pagamento dal debitore, su richiesta di questo soggetto, deve a spese del richiedente, rilasciare quietanza e annotarlo sul titolo, se questo non viene restituito al debitore.

Forma e contenuto del documento

La quietanza di pagamento deve essere rilasciata in forma scritta.  Questa forma è preferibile per garantire certezza giuridica e maggiore tutela in caso di contestazioni.

Contenuto essenziale della quietanza di pagamento

Affinché la quietanza sia valida, deve contenere i seguenti elementi:

  • dati delle parti: nome e cognome del creditore e del debitore (o ragione sociale in caso di aziende);
  • importo pagato: cifra esatta corrisposta in numeri e in lettere;
  • causale del pagamento: specificazione dell’obbligazione adempiuta (es. pagamento fattura n. XXXX, saldo prestito, affitto mensile);
  • data e luogo del pagamento;
  • modalità di pagamento: contanti, bonifico bancario, assegno, ecc.;
  • firma del creditore: elemento essenziale per la validità della quietanza.

Giurisprudenza

La Corte di Cassazione ha più volte ribadito il valore probatorio della quietanza di pagamento, stabilendo alcuni principi fondamentali.

Cassazione n. 19034/2024: la quietanza non è soggetta a particolari requisiti formali previsti dalla legge e può essere contenuta in qualsiasi documento che attesti in modo inequivoco l’avvenuto pagamento, specificandone l’importo e la causale. Tuttavia, affinché abbia valore di confessione stragiudiziale con piena efficacia probatoria, deve essere rilasciata e sottoscritta dal creditore, poiché solo la firma conferisce al documento la validità probatoria tipica della scrittura privata, come stabilito dall’art. 2702 c.c.

Cassazione n. 5945/2023: Il creditore che, rilasciando una quietanza al debitore, riconosce di aver ricevuto il pagamento, effettua una confessione stragiudiziale opponibile alla controparte, con pieno valore probatorio ai sensi degli articoli 2733 e 2735 del codice civile. Pertanto, egli non può contestare tale dichiarazione se non dimostrando, conformemente a quanto previsto dall’articolo 2732 c.c., che essa è stata resa per errore di fatto o sotto costrizione, non essendo sufficiente provare la falsità della dichiarazione stessa.

Cassazione n. 23875/2021: La quietanza rilasciata al debitore costituisce prova piena dell’avvenuto pagamento. Se prodotta in giudizio, il creditore non può dimostrare tramite testimoni l’inesistenza del pagamento, ma solo provare che la dichiarazione è stata resa per errore di fatto o sotto violenza. Inoltre, affinché l’errore possa determinare l’annullamento, deve presentare i requisiti di essenzialità e riconoscibilità previsti dall’art. 1428 c.c.

Fac-simile di quietanza

Ecco un modello di quietanza di pagamento che può essere utilizzato per attestare l’avvenuta corresponsione di una somma dovuta:

QUIETANZA DI PAGAMENTO

Io sottoscritto/a [Nome e Cognome del creditore], nato/a il [data di nascita], residente in [indirizzo], codice fiscale [codice fiscale], in qualità di creditore, dichiaro di aver ricevuto da [Nome e Cognome del debitore], nato/a il [data di nascita], residente in [indirizzo], codice fiscale [codice fiscale], la somma di € [importo] ([importo in lettere]), a saldo dell’obbligazione relativa a [causale del pagamento, es. fattura n. XXXX, contratto di locazione, ecc.].

Il pagamento è avvenuto in data [data del pagamento] mediante [modalità di pagamento: bonifico bancario, contanti, assegno, ecc.].

Con la presente quietanza, dichiaro integralmente soddisfatta l’obbligazione di cui sopra e libero il debitore da ogni ulteriore pretesa relativa al pagamento in oggetto.

Luogo e data: ________________

Firma del creditore: ________________

 

 

 

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legato remuneratorio

Il legato remuneratorio Il legato remuneratorio: definizione, l’articolo 632 c.c., gli effetti, differenze con la donazione rimuneratoria e giurisprudenza

Cos’è il legato remuneratorio

Il legato remuneratorio è una disposizione testamentaria con cui il testatore attribuisce un bene o un diritto a un soggetto per ricompensarlo di servizi o benefici ricevuti in vita, senza che vi sia un obbligo giuridico di corrispettivo. Si distingue dalla donazione remuneratoria, poiché opera mortis causa.

Normativa di riferimento: articolo 632 c.c.

Il comma 2 dell’articolo 632 del Codice Civile disciplina il legato remuneratorio, stabilendo che “Sono validi i legati fatti a titolo di rimunerazione per i servizi prestati al testatore, anche se non ne sia indicato l’oggetto o la quantità.”

Per comprendere il significato del legato rimuneratorio occorre menzionare però anche il comma 1 della norma, ai sensi del quale: “È nulla la disposizione che lascia al mero arbitrio dell’onerato o di un terzo di determinare l’oggetto o la quantità del legato.”

In sostanza il legislatore ammette il legato per riconoscenza, a condizione che la volontà testamentaria venga rispettata e non sia rimesso a un terzo o al beneficiario del legato compreso, la determinazione arbitraria dell’oggetto o della quantità del legato stesso.

Effetti del legato remuneratorio

  1. Acquisto automatico: come ogni legato, si acquista di diritto alla morte del testatore, senza necessità di accettazione espressa, salvo rinuncia;
  2. Irriducibilità totale o parziale: se il valore del legato eccede la quota disponibile, può essere ridotto a tutela dei legittimari;
  3. Diritto di prelazione: in alcuni casi, il legatario può vantare un diritto di prelazione sul bene rispetto agli eredi;
  4. Esonero dai debiti ereditari: il legatario non risponde delle passività ereditarie oltre il valore del legato ricevuto.

Differenze con la donazione remuneratoria

A differenza della donazione remuneratoria (disciplinata dall’art. 770 c.c.), che è un atto inter vivos, il legato remuneratorio produce effetti solo alla morte del testatore e non richiede accettazione espressa.

Giurisprudenza rilevante

La giurisprudenza ha avuto modo di chiarire alcuni aspetti applicativi dell’articolo 632 c.c

Cassazione n. 191/1970: l’art. 632, comma 1, c.c., prevede la nullità della disposizione testamentaria quando l’oggetto o la quantità del legato sono rimessi al mero arbitrio dell’onerato o di un terzo. Tuttavia, tale norma non si estende alla scelta della data di esecuzione della prestazione, anche se questa può influire sull’ammontare del legato.

 

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usucapione breve

Usucapione breve Usucapione breve: cos'è, tipologie, caratteristiche distintive ed elementi comuni all’usucapione breve sugli immobili

Usucapione breve: definizione generale

L’usucapione breve è una forma accelerata di acquisto della proprietà o di altri diritti reali di godimento su un bene immobile che si realizza con il possesso continuato nel tempo. Rispetto all’usucapione ordinaria, che richiede un possesso ventennale, quella abbreviata riduce i tempi a 10 e a 5 anni, a seconda dei casi.

Tipologie  

1. Usucapione abbreviata decennale (art. 1159 c.c.)

  • riguarda gli immobili e i diritti reali di godimento sugli immobili;
  • l’acquisto deve avvenire in buona fede e da chi non è proprietario dell’immobile;
  • il possesso deve essere in buona fede e derivare da un titolo idoneo a trasferire la proprietà (es. atto di compravendita nullo per vizi formali);
  • il titolo deve essere trascritto nei registri immobiliari;
  • dopo 10 anni di possesso continuato, il possessore può ottenere la proprietà del bene in presenza di tutti i requisiti sopra indicati.

2. Usucapione speciale per la piccola proprietà rurale (art. 1159 bis c.c)

  • riguarda i fondi rustici con fabbricati annessi situati nei comuni montani, così come definiti dalla legge;
  • l’acquisto deve avvenire da chi non è proprietario dell’immobile;
  • il possesso deve  avvenire in buona fede in forza di un titolo idoneo a trasferire la proprietà;
  • il titolo deve essere trascritto nei registri immobiliari;
  • dopo 5 anni dalla data di trascrizione, si compie l’usucapione.

Questa seconda tipologia di usucapione è regolata, dal punto di vista procedurale, da leggi speciali. Essa si realizza anche su fondi rustici con fabbricati annessi presenti in comuni non montani, ma in questi casi il reddito dell’immobile non deve superare certi limiti.

Elementi chiave 

Gli elementi che caratterizzano questo tipo particolare di usucapione possono essere così sintetizzati:

  • il possesso pacifico e ininterrotto: il possesso deve essere esercitato in modo continuativo, senza interruzioni e senza contestazioni;
  • la buona fede: il possessore deve essere convinto, in modo ragionevole, di essere il legittimo proprietario del bene;
  • il titolo idoneo: deve trattarsi di un contratto valido che, se non fosse nullo o inefficace,  potrebbe trasferire la proprietà;
  • trascrizione nei registri pubblici: questo elemento è essenziale per l’usucapione abbreviata sugli immobili e sulle piccole proprietà rurali.

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messa in mora

La messa in mora Messa in mora: cos’è, quali sono i suoi requisiti, normativa di riferimento, procedura di messa in mora e fac-simile

Cos’è la messa in mora del debitore

La messa in mora è un atto formale con cui il creditore sollecita il debitore ad adempiere a un’obbligazione. Questo atto è disciplinato dall’art. 1219 del Codice Civile e rappresenta un passaggio fondamentale prima di avviare azioni legali per il recupero del credito.

Si tratta in sostanza di una diffida scritta che il creditore invia al debitore per richiedere il pagamento di una somma dovuta o l’adempimento di una prestazione.

Lo scopo della messa in mora

Essa ha lo scopo di:

  • costituire formalmente in mora il debitore;
  • interrompere la prescrizione del credito;
  • creare le basi per il risarcimento dei danni derivanti dal ritardo.

La Corte di Cassazione nella sentenza n. 18631/2021 ha stabilito che, per interrompere la prescrizione tramite la costituzione in mora (art. 1219 c.c.), è sufficiente una comunicazione scritta che manifesti chiaramente la volontà del creditore di ottenere il pagamento, senza necessità di formule o adempimenti specifici. Tale comunicazione deve identificare il debitore e contenere una richiesta esplicita di adempimento. La Corte ha inoltre sottolineato che i giudici di merito devono verificare se la frase “Attendo pertanto il pagamento di quanto sopra accertato” costituisca una semplice sollecitazione o una vera e propria intimazione di pagamento.

Di recente, sempre in relazione alla forma e ai requisiti della lettera messa in mora la Corte di Cassazione con la sentenza n. 2335/2024 ha chiarito che la sottoscrizione è un requisito imprescindibile per l’atto di costituzione in mora, poiché ne determina la validità e l’efficacia interruttiva della prescrizione. Essendo un atto giuridico unilaterale recettizio, a contenuto dichiarativo, richiede la forma scritta “ad validitatem”, e la firma del creditore attesta la paternità della dichiarazione. La mancanza di sottoscrizione rende l’atto inidoneo a produrre gli effetti giuridici previsti dall’art. 2943, comma 4, c.c., e tale carenza non può essere sanata successivamente con condotte che tentino di attribuire efficacia retroattiva all’atto.

Requisiti

Affinché la messa in mora sia valida, deve contenere i seguenti elementi:

  • dati delle parti (creditore e debitore);
  • descrizione chiara dell’obbligazione (importo del debito o prestazione dovuta);
  • termine per l’adempimento (generalmente 15 giorni);
  • avviso delle conseguenze legali in caso di mancato pagamento;
  • firma del creditore o del suo rappresentante legale.

Normativa di riferimento

L’art. 1219 c.c. stabilisce che la messa in mora è necessaria per rendere esigibile il credito, salvo i casi in cui:

  • l’obbligazione derivi da un fatto illecito;
  • il debito sia già scaduto e il debitore abbia dichiarato di non voler pagare;
  • il termine di pagamento sia essenziale per il contratto.

Procedura

La procedura prevede i seguenti passaggi:

  1. redazione della lettera completa di tutti gli elementi essenziali sopra indicati;
  2. invio della lettera al debitore tramite raccomandata A/R o PEC (Posta Elettronica Certificata);
  3. attesa della risposta: il debitore ha un termine per adempiere (generalmente 15 giorni). Trascorso questo periodo senza pagamento, il creditore può:
  • intraprendere un’azione legale nelle forme ordinarie;
  • richiedere un decreto ingiuntivo, in presenza dei presupposti richiesti dalla legge per il procedimento monitorio.

Se il debitore non paga dopo la messa in mora

Se il debitore non provvede al pagamento, il creditore può agire legalmente attraverso:

  • la procedura per decreto ingiuntivo per ottenere il pagamento velocemente;
  • il pignoramento di beni mobili, immobili o conti correnti;
  • l’azione di risarcimento danni causati dal ritardo nell’adempimento.

Fac-simile di lettera di messa in mora

Oggetto: Messa in mora per mancato pagamento

Spett.le [Nome del debitore],
Con la presente, la sottoscritta [Nome e cognome del creditore], residente in [Indirizzo], la invita formalmente a provvedere al pagamento della somma di [Importo dovuto] entro e non oltre [Termine per il pagamento].

Il debito deriva da [Descrizione del motivo del credito, es. fattura n. XYZ del XX/XX/XXXX].

Decorso inutilmente il termine, mi vedrò costretto ad agire per il recupero del credito, con aggravio di spese legali a suo carico.

 

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contributo unificato omesso

Contributo unificato omesso: nessuna sospensione Il ministero della Giustizia fornisce chiarimenti sulla regola che impedisce l'iscrizione a ruolo in caso di mancato pagamento del contributo unificato

Contributo unificato omesso e iscrizione a ruolo

Contributo unificato omesso e iscrizione a ruolo della causa. La circolare del 21 marzo 2025 del Ministero della Giustizia fornisce nuove indicazioni sulla regola dell’obbligo di pagamento del contributo unificato per l’accesso alla giustizia, così come introdotto con l’ultima legge di bilancio. Il mancato pagamento del contributo unificato impedisce infatti, come precisato nella precedente circolare del 30 dicembre 2024, l’iscrizione a ruolo della causa, non la sospende in attesa di regolarizzare il pagamento, anche  perché non c’è un termine di legge per mettersi in pari.

Ambito di applicazione

Il nuovo comma 3 di cui all’articolo 4 del DPR n. 115/2002, inserito dall’ultima legge di bilancio, ostacola infatti l’iscrizione a ruolo della causa in caso di mancato pagamento del contributo unificato. Dopo l’introduzione di questa nuova regola sono stati avanzati dubbi e richieste di chiarimenti a cui la recente circolare ha fornito risposta.

Sull’accettazione degli atti il documento chiarisce che i depositi telematici degli atti introduttivi, obbligatori per i difensori, non vengono accettati automaticamente. Il cancelliere verifica manualmente ogni deposito inviato via PEC. Se il cancelliere rileva che pagamento è insufficiente o assente, può rifiutare l’iscrizione della causa, bloccandone la trattazione.

Regole particolari per il convenuto

Se la causa invece risulta già iscritta, la norma non si applica. Il convenuto deve comunque versare il contributo se modifica la domanda, propone una domanda riconvenzionale, chiama un terzo o interviene autonomamente. Se però non paga, la cancelleria deve comunque accettare il deposito e avviare la riscossione. Se il convenuto si costituisce per primo, il pagamento ricadrà su di lui.

Estensione della regola alle procedure esecutive

La regola del mancato pagamento del contributo unificato di 43 euro si applica a tutti i giudizi civili, incluse le fasi cautelari, i reclami e le procedure esecutive. Il creditore è tenuto a pagare l’importo al momento dell’iscrizione a ruolo della procedura esecutiva. In caso contrario, la causa non viene iscritta.

Ricorso collettivo per cittadinanza: 43 euro ciascuno

In caso di ricorso collettivo per il riconoscimento della cittadinanza italiana, ogni ricorrente deve versare individualmente il contributo unificato minimo di 43 euro. L’iscrizione a ruolo della causa è subordinata al pagamento di tale importo da parte di tutti i ricorrenti. Questa interpretazione è in linea con la recente Legge di Bilancio n. 207/2024, che ha stabilito l’obbligo del pagamento individuale del contributo unificato per ciascun ricorrente, anche in presenza di un unico ricorso introduttivo.

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il legato

Il legato Il legato nel diritto successorio: definizione, normativa e tipologie della disposizione testamentaria disciplinata dagli artt. 649 e ss. c.c.

Cos’è il legato?

Il legato è una disposizione testamentaria con cui il testatore attribuisce a un soggetto (legatario) un bene specifico o un diritto, senza che quest’ultimo debba accettare l’intera eredità. Il legato si distingue dalla successione universale, poiché il legatario non è responsabile dei debiti ereditari oltre il valore del bene ricevuto.

Normativa di riferimento

Il legato è disciplinato dagli articoli 649-673 del Codice Civile. In particolare:

  • Art. 649 c.c.: si acquista senza bisogno di accettazione, salvo rinuncia;
  • Art. 651 – 660 c.c.: indicano le cose che possono essere oggetto di legato;
  • Art 661: disciplina il prelegato;
  • Art. 671 c.c: dispone l’obbligo del legatario di adempierlo e ogni altro onere imposto nei limiti del valore della cosa legata;
  • Art. 672 c.c.: sancisce che le spese per la prestazione del legato sono a carico del soggetto onerato;
  • Art. 673 c.c.: stabilisce l’inefficacia del legato se la cosa perisce durante la vita del testatore.

Differenza tra erede e legatario

L’erede subentra in tutti i rapporti attivi e passivi del defunto, acquisendo sia i beni che i debiti ereditari. Il legatario, invece, riceve solo il bene o il diritto indicato nel testamento, senza rispondere dei debiti del defunto.

Il prelegato

Il prelegato è un particolare tipo di legato destinato a un erede, il quale riceve un bene specifico in aggiunta alla sua quota ereditaria. Ad esempio, se un testatore lascia a un erede la casa e il resto dell’eredità viene suddiviso tra più soggetti, l’erede riceve un prelegato.

Tipologie di legato

Il legato può assumere diverse forme:

  • di specie: riguarda un bene specificamente individuato (es. “Lascio a Marco il mio orologio Rolex”);
  • di genere: riguarda beni determinati per categoria (es. “Lascio a Lucia un’auto della mia collezione”);
  • obbligatorio: attribuisce un diritto di credito (es. “Lascio a Paolo un vitalizio di 1.000 euro al mese”).
  • di usufrutto: concede l’usufrutto di un bene senza trasferirne la proprietà;
  • di prestazione periodica: attribuisce una rendita o un pagamento periodico.

Giurisprudenza in materia

Cassazione n. 11389/2024: l’esecuzione di un legato non ne implica necessariamente un’accettazione tacita. Questo perché l’adempimento può essere effettuato anche da terzi. Pertanto, l’atto di eseguire un legato non è automaticamente considerato un atto che solo il destinatario della disposizione avrebbe il diritto di compiere.

Cassazione n. 15387/2024: l’espressione “lascio”, anche se recepita da un notaio in un testamento pubblico, è ambigua e può essere interpretata sia come disposizione a titolo particolare (legato) sia come disposizione a titolo universale (eredità), inclusa la possibilità dell’istituto dell'”institutio ex re certa”. Pertanto, la sua interpretazione richiede un’analisi approfondita del contesto e delle intenzioni del testatore, per determinare la natura precisa della disposizione testamentaria.

Cassazione n. 1720/2016: nel legato di azienda, salvo diversa volontà del testatore, l’oggetto comprende l’insieme organizzato dei beni per l’esercizio dell’impresa, inclusi tutti i rapporti patrimoniali di debito-credito. Pertanto, applicandosi le norme successorie, il legatario è tenuto al pagamento dei debiti aziendali, ma solo entro i limiti del valore dell’azienda stessa, come stabilito dall’articolo 671 del Codice Civile.

 

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