guinzaglio e museruola

Guinzaglio e museruola: obbligatori dal 3 settembre 2024 Guinzaglio e museruola obbligatori dal 3 settembre 2024 in base all’ordinanza 06.08.2024 del Ministero della Salute 

Guinzaglio e museruola: l’ordinanza del 6 agosto 2024

Museruola e guinzaglio obbligatori dal 3 settembre 2024. Lo ha stabilito il Ministero della Salute con l’ordinanza del 6 agosto 2024 con cui ha prorogato l’ordinanza contingibile e  urgente del 6 agosto 2013 sulla tutela dell’incolumità pubblica dall’aggressione dei cani.

L’ordinanza del 2013, modificata nel corso degli anni, era già stata prorogata, da ultimo, con l’ordinanza del 9 agosto 2023. L’ordinanza del  6 agosto proroga per altri 12 mesi, a partire dal 3 settembre 2024, il termine di validità delle disposizioni dell’ordinanza del 2013.

Guinzaglio e museruola: casi di esonero

Sono esonerati dal rispetto delle regole da essa previste i cani impiegati dalle Forze Armate, dai Vigili del Fuoco e dalla Protezione civile.

Guinzaglio e museruola e obbligo di raccolta delle feci invece non sono obbligatori per i cani che assistono i disabili.

Guinzaglio e museruola infine non sono obbligatori per i cani che svolgono il lavoro di pastore.

Regole di prevenzione: guinzaglio e museruola

L’ordinanza all’articolo 1 impone ai proprietari dei cani l’obbligo di adozione delle seguenti misure:

  • utilizzare il guinzaglio a una misura pari o inferiore a 1,50 metri durante la conduzione dell’animale nelle aree urbane e nei luoghi aperti al pubblico, fatta accezione per alcune aree individuate dai Comuni;
  • portare sempre una museruola, morbida o rigida da far indossare al cane in caso di rischio per l’incolumità di persone o di altri animali o se lo richiedono le autorità competenti;
  • affidare l’animale a soggetti capaci di gestirlo in modo corretto;
  • prima di acquistare un cane acquisire le informazioni sulle sue caratteristiche fisiche e comportamentali;
  • assicurarsi che il cane abbia un comportamento adeguato alle esigenze di convivenza con persone e animali rispetto al contesto in cui vive;
  • raccogliere le feci dell’animale quando ci si reca in un ambiente urbano

Responsabilità civile e penale

Chi ha la proprietà o la detenzione di un cane è sempre responsabile del suo benessere, della sua conduzione e del suo controllo.

Qualora il cane provochi lesioni o danni a persone, animali e cose il proprietario ne risponde civilmente e penalmente.

Percorsi formativi

I Comuni e i servizi veterinari organizzano per i  proprietari di cani percorsi di formazione al termine dei quali è previsto il rilascio di un patentino. Ogni percorso formativo prevede la presenza un responsabile scientifico e di un medico veterinario esperto in comportamento animale.

I percorsi formativi sono obbligatori per i proprietari dei cani che sono stati segnalati ai Comuni dai servizi veterinari  dopo episodi di aggressione, morsicatura o altri comportamenti a rischio.

Dopo episodi di morsicatura e aggressione i servizi veterinari attivano anche un percorso mirato per verificare le condizioni psicofisiche dell’animale e la gestione corretta dello stesso da parte del proprietario.

In presenza di un rischio elevato i servizi veterinari stabiliscono anche le misure di prevenzione e, se necessario, stabiliscono una valutazione comportamentale e un intervento sul comportamento dell’animale da parte di veterinari esperti.

I servizi veterinari conservano un registro aggiornato dei cani ritenuti ad elevato rischio di aggressività. I proprietari di questi cani hanno l’obbligo di stipulare una polizza assicurativa per la responsabilità civile in caso di danni a terzi causati dal proprio animale e, nei luoghi aperti al pubblico e nelle aree urbane, devono condurlo con guinzaglio e museruola.

Funzioni dei medici veterinari

I medici veterinari promuovono questi percorsi formativi ai proprietari dei cani fornendo loro le informazioni necessarie.

I veterinari inoltre segnalano ai servizi veterinari i cani che necessitano di valutazione perché impegnativi e problematici nella loro gestione, a tutela della salute pubblica.

Divieto di possesso e detenzione

L’articolo 4 dell’ordinanza vieta inoltre il possesso o la detenzione di animali ai delinquenti abituali o per tendenza, ai soggetti sottoposti a misura di prevenzione personale o di sicurezza, a chiunque abbia riportato condanna per certi reati, ai minori, agli interdetti e agli inabilitati per infermità di mente.

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seggiolini auto

Seggiolini auto: nuove regole dal 1° settembre 2024 Seggiolini auto: dal 1° settembre 2024 è in vigore il Regolamento 129 che prevede obblighi diversi in base alla statura del minore

Seggiolini auto: dal 1° settembre in vigore le regole ECE R129

Nuove regole per i seggiolini auto dal 1° settembre 2024. Da questa data sono cambiati infatti i criteri dei sistemi di ritenuta per i bambini. I seggiolini non sono più catalogati in base al peso.

Il Regolamento Europeo 129  cataloga infatti i seggiolini in base all’altezza del minore, sostituendo la normativa ECE R44. I seggiolini omologati in base alle previsioni di questa normativa infatti non possono essere più venduti.

Seggiolini auto adeguati al peso: art. 172 Codice della Strada

A dire il vero il criterio della statura per i seggiolini auto dei bimbi non è una novità assoluta per il nostro ordinamento. L’articolo 172 del Codice della Strada, che disciplina l’uso delle cinture di sicurezza e dei sistemi di ritenuta e sicurezza per bambini, al comma 1 stabilisce che i minori di statura inferiore a 1,5 m “devono essere assicurati al sedile con un sistema di ritenuta per bambini, adeguato al loro peso, di tipo omologato secondo le normative stabilite dal ministero delle infrastrutture e dei trasporti, conformemente ai regolamenti della commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite o alle equivalenti direttive comunitarie.”

Le nuove regole ECE R129

Le nuove regole Europee sui seggiolini auto per i bambini prevedono il rispetto di diverse nuove regole.

  • Per bambini di età compresa tra 0 e 15 mesi occorre installare il seggiolino in direzione contraria a quella del senso di marcia. In questo modo si riescono a proteggere meglio il collo e la testa del minore.
  • Per bambini di altezza non superiore ai 105 cm di altezza c’è anche l’obbligo di utilizzare il sistema Isofix, un sistema standardizzato internazionale per ancorare il seggiolino al sedile, senza dover utilizzare le cinture di sicurezza.
  • Per bambini di altezza superiore ai 105 cm fino ai 150 cm, in genere ragazzini fino ai 2 anni di età, il seggiolino deve essere posizionato nello stesso senso di marcia. Previste inoltre le cinture di sicurezza o il sistema Isofix, che in questo caso però non è obbligatorio.

Sistema sanzionatorio

Per chi trasgredisce le sanzioni sono piuttosto severe:

  • La multa minima è di Euro 80,00, quella massima di euro 323,00. Prevista inoltre la decurtazione di 5 punti dalla patente di guida.
  • Chi commette la stessa violazione per due volte nell’arco temporale di due anni può andare incontro anche alla sospensione della patente da un minimo di 15 giorni fino a un massimo di due mesi.

PMA donne single: parola alla Consulta PMA donne single: il Tribunale di Firenze chiede alla Corte Costituzionale di pronunciarsi sull’art. 5 della legge n. 40/2004

Procreazione medicalmente assistita donne single

Si torna a parlare di PMA in relazione alle donne single. Il Tribunale di Firenze accoglie i rilievi di incostituzionalità sollevati da una donna nei confronti della legge n. 40/2004. L’articolo 5 riserva il diritto di ricorrere alle tecniche  di PMA solo alle coppie maggiorenni spostate o conviventi, negandolo alle donne single. Questo limite viola in effetti alcuni diritti fondamentali della persona sanciti dalla Costituzione e da norme europee. La questione ora dovrà essere affrontata e risolta dalla Corte Costituzionale.

PMA: negato l’accesso a una donna single

Una donna agisce nei confronti di un Centro di procreazione assistita. Nell’ambito di un procedimento cautelare chiede di disapplicare l’articolo 5 della norm  per contrasto con gli articoli 8 e 14 della CEDU.

La donna, alla luce delle ultime pronunce in materia della Corte Costituzionale, chiede il riconoscimento dei seguenti diritti:

  • di poter ricorrere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita anche con l’eterologa maschile;
  • di potersi sottoporre a un protocollo PMA adeguato per assicurare più elevate probabilità di risultato;
  • di potersi sottoporre a un trattamento medico che tuteli la salute della donna.

Qualora il Tribunale dovesse riconoscerle questi diritti la donna chiede che venga ordinato al Centro di Procreazione assistita di accogliere la sua richiesta di sottoporsi alla tecnica di fecondazione assistita di tipo eterologo con donatore anonimo, avviando la relativa procedura a carico del Servizio Sanitario Nazionale.

Art. 5 legge n. 40/2004: discriminatorio per le donne single

Qualora il Tribunale dovesse invece rigettare le richieste avanzate la donna chiede in via subordinata di sollevare questione di illegittimità costituzionale. L’articolo 5 della legge n. 40/2004 limita infatti il diritto di accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita alle coppie di sesso diverso, coniugate o convivente, negandolo alle donne single. La ricorrente contesta che il Centro di procreazione a cui si è rivolta le neghi il diritto di ricorrere alla PMA. Questo diniego è infatti del tutto irragionevole. Esso contrasta con quanto sancito dalla Costituzione e con le legislazioni dei paesi europei. Molti Stati UE infatti, ad oggi, consentono anche alle donne single di poter accedere alla fecondazione eterologa.

A sostegno delle ragioni della ricorrente sono intervenute nel giudizio con interventi adesivi dipendenti una donna e un’Associazione, che promuove il superamento dei limiti previsti dalla legislazione italiana in materia di procreazione medicalmente assistita.

Art. 5  contrario a Costituzione e fonti europee

Il Tribunale accoglie la richiesta della rincorrente in relazione alla questione di illegittimità costituzionale delle norme che limitano a PMA solo alle coppie maggiorenni di sesso diverso spostate e conviventi.

Il Tribunale giunge a questa conclusione dopo avere analizzato il contenuto dell’articolo 5, norma che presenta evidenti profili di incostituzionalità.

Essa nega infatti alla donna di accedere alle tecniche di fecondazione assistita eterologa in pieno contrasto con il principio di uguaglianza sancito dall’art.  3 della Costituzione. La norma realizza una discriminazione irragionevole tra singole coppie, in contrasto con la i diritti delle famiglie mono-genitoriale che invece il nostro ordinamento tutela.

La norma discrimina anche per ragioni economiche, perchè di fatto se la donna si reca all’estero per accedere alla PMA il relativo rapporto di filiazione è poi riconosciuto nel nostro ordinamento.

Il dato normativo contrasta anche con una decisione della Corte Costituzione che ha consentito a una donna solo di procedere con l’impianto in utero dell’embrione e con un decreto del Ministero della Salute che consente le donne separate o vedove di procedere alla fecondazione in presenza del consenso espresso in precedenza dalla coppia.

L’art. 5 viola il diritto della persona di scegliere una famiglia non figli non genetici, in violazione del principio di autodeterminazione.

La norma viola anche il diritto alla salute della donna perché le impedisce di diventare madre, anche alla luce L fattore temporale della fertilità.

La norma contrasta infine anche con l’art. 117 Cost comma 1 in relazione ad. Alcun articoli della CEDU e della Carta di Nizza perché non rispetta la vita privata della famiglia e il diritto all’integrità fisica e psichica perché viola Il diritto all’autodeterminazione in relazione al modello familiare che ciascuno vuole realizzare.

 

Leggi anche: Procreazione medicalmente assistita (PMA): le linee guida

Allegati

patente a crediti

Patente a crediti: il parere del Consiglio di Stato Patente a crediti: il parere n. 010190 del CdS sullo schema di decreto che contiene il regolamento per cantieri mobili e temporanei

Patente a crediti: parere n. 01090 del CdS sullo schema di decreto

Il Consiglio di Stato, con il parere 01090 del 27 agosto 2024, si è espresso sullo schema di decreto del ministero del Lavoro e delle politiche sociali, che contiene il regolamento che consente alle imprese e ai lavoratori autonomi che operano nei cantieri temporanei o mobili di presentare la domanda per acquisire la patente a crediti.

Patente a crediti: obbligo dal 1° ottobre 2024

L’obbligo del possesso della patente a crediti in materia di sicurezza è previsto a partire dal 1° ottobre 2024. Solo chi è in possesso di almeno 15 crediti può svolgere l’attività nei cantieri.

A tal fine il decreto stabilisce i requisiti per il rilascio, le sanzioni che comportano la decurtazione dei crediti, le modalità di recupero, gli infortuni che determinano la sospensione della patente e i criteri di attribuzione di ulteriori crediti.

Il parere di palazzo Spada

Il regolamento contenuto allo schema di decreto completa la disciplina contenuta nell’art. 27  decreto legislativo n. 81/2008.

Niente ripetizioni e duplicazioni

Per evitare ripetizioni e duplicazioni inutili per il CdS sarebbe opportuno:

  • inserire nelle premesse del decreto un riferimento all’articolo 17 comma 3 della legge n. 400/1988;
  • evitare di disciplinare i requisiti necessari per il rilascio della patente, riproducendo il contenuto della seconda parte del comma 1 dell’articolo 27 del decreto legislativo n. 81 del 2008;
  • non riproporre nell’articolo 1 il primo periodo del comma 1 dello stesso articolo 27, al quale fa rinvio anche il comma 1 dell’articolo 1;
  • eliminare il comma 7 dell’articolo 1 perché riproduce il secondo periodo del comma 2 dell’ 27;
  • riformulare il comma 8 dell’ 1 in materia di revoca della patente, che riproduce il primo periodo della comma 4 dell’art. 27;
  • sopprimere il comma 9 dell’articolo 1 perché riproduce il comma 4 secondo periodo, sempre dell’articolo 27.

Sospensione della patente: norma del regolamento legittima

Lo schema di decreto prevede al comma 2 dell’articolo 3 che, se nei più cantieri si verifica la morte di uno o più lavoratori imputabile al datore o ai suoi stretti collaboratori, almeno a titolo di colpa grave, il provvedimento di sospensione della patente è obbligatorio. Il comma 8 dell’articolo 27 della legge n. 81/2008 prevede invece come facoltativa la sospensione della patente. Per il CdS la fonte regolamentare che prevede l’obbligo della sospensione solo in presenza di colpa grave è del tutto legittima.

Criteri di attribuzione crediti patente: meglio non rinviare

Il comma 5 dell’art. 27 chiede al regolamento di individuare i criteri di attribuzione di crediti ulteriori. Gli articoli 4, 5 e 6 dello schema di regolamento reca disposizioni specifiche in cui contempla i vari criteri e poi opera tutta una serie di rinvii. Per non fare confusione sarebbe opportuno evitare rinvii agli articoli e disciplinare in un articolo unico i crediti in questione per rendere più chiara la ricostruzione della disciplina.

Entrata in vigore: necessaria la pubblicazione sulla GU

La data di entrata in vigore dell’obbligo del possesso della patente fissata dallo schema di regolamento per il 1° ottobre 2024 rende incerto il termine della vacatio legis di 15 giorni decorrente dalla pubblicazione per consentirne la conoscibilità.

Per il CdS “La circostanza che il legislatore abbia indicato il 1°ottobre come data dalla quale decorre lobbligo per i soggetti interessati di dotarti della patente di cui allo schema di decreto in esame, sembra a tal fine poter costituire un valido fondamento della scelta dellAmministrazione di incidere sulla vacatio legis. La Sezione ritiene pertanto che la previsione dellentrata in vigore il 1° ottobre 2024 possa essere mantenuta solo a condizione che il regolamento in esame venga pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale quanto meno entro il giorno precedente.”

 

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cittadinanza italiana

Cittadinanza italiana: residenza ridotta a 5 anni Depositato in Cassazione il referendum per ridurre da 10 a 5 anni il termine di residenza per diventare cittadino italiano

Referendum cittadinanza depositato in Cassazione

Cittadinanza: depositato il 4 settembre in Cassazione il quesito referendario per ridurre da dieci a 5 anni il termine di residenza legale ininterrotta in Italia per diventare cittadino italiano. Il quesito ha lo scopo di abrogare una delle norme della legge n. 91/1992 senza entrare nel merito di ius soli o ius scholae e consentire ai residenti immigrati adulti e bambini figli di stranieri di fare richiesta e ottenere la cittadinanza dopo 5 anni di permesso.

A depositare il referendum sulla cittadinanza le associazioni “Italiani senza cittadinanza”, Conngi, Idem Network, organizzazioni come Libera, Gruppo Abele, A Buon Diritto, Società della Ragione. Partiti: +Europa, Possibile, Partito Socialista, Radicali Italiani. E personalità come Mauro Palma, Luigi Manconi, Pippo Civati, Ivan Novelli di GreenPeace, Simohamed Kaabour di Idem Network.

Presenti tra i promotori Riccardo Magi di +Europa, che ha promosso il tavolo per il referendum, Simohamed Kaabour di Idem Network, Daniela Ionita di Italiani Senza Cittadinanza, Francesca Druetti di Possibile, Enzo Maraio del Psi, Matteo Hallissey di Radicali Italiani.

Obiettivo del referendum

Il quesito mira alla “riduzione a 5 anni di residenza legale del termine per la concessione della cittadinanza italiana ai cittadini extra Ue” maggiorenni.

Tale termine, si legge nelle motivazioni al quesito depositate in Cassazione, “è previsto in molti altri Stati della Ue e la legislazione italiana in materia di cittadinanza lo prevedeva dal 1865 al 1992, quando la legge n. 91/1992 ha introdotto un’irrazionale penalizzazione per i cittadini di qualsiasi Stato extra Ue (per i quali si passò dall’esigere almeno 5 anni all’esigere almeno 10 anni) inserendo una facilitazione a 4 anni per i cittadini degli Stati Ue, che ovviamente presentano un numero inferiori di domande, visto che la cittadinanza europea si aggiunge alle cittadinanze degli Stati Ue”.

Le cifre Istat sono molto chiare – prosegue ancora il documento – circa i 2/3 dei cittadini di Stati extraUe legalmente residenti in Italia (pari a circa 2.300.000 persone) sono titolari del p.s. Ue per soggiornanti di lungo periodo che è rilasciato proprio a chi è soggiornante da almeno 5 anni ininterrotti, non ha condanne o carichi pendenti, né costituisce un pericolo per l’ordine pubblico e per la sicurezza dello Stato, ha dimostrato la conoscenza della lingua italiana, dispone di un reddito minimo non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale e di un alloggio: si può trattare sia del titolare, sia del coniuge, sia dei figli minori conviventi, i quali acquisirebbero la cittadinanza automaticamente quando l’avessero acquistata i genitori con cui convivono”.

Tali requisiti sono molto vicini ai requisiti richiesti dalla prassi e dalla giurisprudenza amministrativa ai fini della concessione della cittadinanza italiana. “L’esperienza dimostra – conclude il testo – che comunque non tutti ne fanno richiesta, essendo volontaria la scelta e prevedendo alcuni Stati la perdita della cittadinanza per chi acquista altra cittadinanza. La manipolazione referendaria non modifica la natura concessoria di questo tipo di acquisto della cittadinanza, che perciò potrà mutare soltanto con una nuova legge”.

Il testo del quesito

“Volete voi abrogare l’articolo 9, comma 1, lettera b), limitatamente alle parole ‘adottato da cittadino italiano’ e ‘successivamente alla adozione’ e lettera f) della legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza?” questo il testo del quesito.

Il requisito previsto dalla legge 91/1992

Il comma 1 dell’art.9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91 oggi infatti prevede quanto segue: “La cittadinanza italiana può essere concessa con decreto del Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato, su proposta del Ministro dell’interno:

a) allo straniero del quale il padre o la madre o uno degli ascendenti in linea retta di secondo grado sono stati cittadini per nascita, o che è nato nel territorio della Repubblica e, in entrambi i casi, vi risiede legalmente da almeno tre anni, comunque fatto salvo quanto previsto dall’articolo 4, comma 1, lettera c);

b) allo straniero maggiorenne adottato da cittadino italiano che risiede legalmente nel territorio della Repubblica da almeno cinque anni successivamente alla adozione;

c) allo straniero che ha prestato servizio, anche all’estero, per almeno cinque anni alle dipendenze dello Stato;

d) al cittadino di uno Stato membro delle Comunità europee se risiede legalmente da almeno quattro anni nel territorio della Repubblica;

e) all’apolide che risiede legalmente da almeno cinque anni nel territorio della Repubblica;

f) allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica”.

danni allo studente

Danni allo studente, scuola esonerata se la causa è imprevedibile L’ordinanza della Cassazione chiarisce che non vi è responsabilità se il danno dell’alunno a sé stesso risulta imprevedibile

La responsabilità della scuola per danni allo studente

Danni allo studente, la responsabilità della scuola è al centro di una importante decisione della Corte di Cassazione, con la quale sono stati chiariti anche il ruolo del Ministero e della compagnia di assicurazione in casi di questo genere.

Risarcimento del danno che lo studente procura a sé stesso

La vicenda trae origine da un infortunio scolastico occorso ad uno studente, il quale era inciampato da solo su una sedia, procurandosi dei danni fisici.

I genitori dell’alunno minorenne ricorrevano presso il giudice di pace per ottenere il risarcimento del danno, vedendo accolta la propria domanda.

La causa era stata instaurata nei confronti dell’istituto scolastico, che chiamava in garanzia la compagnia di assicurazione. Entrambi i soggetti venivano estromessi dal giudizio, poiché ritenuti privi di legittimazione passiva dal giudice. Quest’ultimo, dunque, dichiarava tenuto al risarcimento del danno il Ministero dell’Istruzione, rimasto contumace (cioè non costituitosi in giudizio).

La decisione del giudice di pace veniva confermata in appello dal Tribunale competente.

L’ordinanza della Cassazione sulla responsabilità della scuola

Contro tali provvedimenti, il Ministero dell’Istruzione proponeva ricorso per Cassazione.

Quest’ultima, con l’ordinanza Cass. n. 14720 del 27 maggio 2024, accoglieva il ricorso, offrendo importanti chiarimenti sia sul rapporto di garanzia assicurativa per danni allo studente, sia sulla natura della responsabilità per i danni allo studente e sia, soprattutto, sulla ripartizione dell’onere della prova tra i vari soggetti coinvolti in fattispecie di questo tipo.

Il rapporto di assicurazione con la scuola e il Ministero

In primo luogo, la Suprema Corte ha ritenuto errata la decisione dei giudici di merito di estromettere dal giudizio, per mancanza di legittimazione passiva, sia l’istituto scolastico, sia la compagnia assicurativa.

Al riguardo, gli Ermellini hanno evidenziato che, pur se la polizza viene sottoscritta dall’istituto scolastico, la stessa deve ritenersi a copertura anche dei danni allo studente di cui risponderebbe il Ministero in luogo dell’istituto stesso, poiché in caso contrario il contratto assicurativo dovrebbe essere considerato privo di causa.

A maggior ragione, inoltre, la copertura di tali danni deve essere garantita in considerazione del fatto che, anche nell’atto di stipula del contratto assicurativo, l’istituto scolastico agisce come mero organo del Ministero dell’Istruzione.

Natura della responsabilità della scuola per danni allo studente

Ciò detto, per la Cassazione si è posta la questione di verificare se, nel caso concreto, ci fosse effettivamente un danno da risarcire.

A tal fine, l’analisi si è spostata sulla natura della responsabilità dell’istituto scolastico e del Ministero nei casi in cui lo studente si procuri da sé il danno, nel corso del normale orario delle lezioni.

Ebbene, la Corte ha chiarito che in tal caso sussista una responsabilità contrattuale, per la cui sussistenza, però, occorre la dimostrazione, da parte del danneggiato, del nesso di causalità tra l’inadempimento dell’istituto scolastico e il danno.

Responsabilità della scuola: prova dell’imprevedibilità del danno

Infatti, la ripartizione dell’onere della prova in tema di danni allo studente prevede la sussistenza di una presunzione di responsabilità in capo all’istituto, sempre che l’alunno riesca a dimostrare il nesso di casualità di cui si è appena detto.

D’altro canto, alla scuola, e per essa al Ministero, è concesso dimostrare, per essere considerata esente da responsabilità, l’imprevedibilità e inevitabilità del danno.

Il Ministero, cioè, anche tramite elementi presuntivi, deve dimostrare che l’evento e il danno fossero imprevedibili e inevitabili, ed è proprio quanto accaduto nel caso concreto deciso dall’ordinanza di Cassazione n. 14720/2024.

Infatti, la presenza dell’insegnante al momento dell’accaduto, il rispetto delle normative di sicurezza da parte dell’ente scolastico e l’imprevedibilità del sinistro sono stati ritenuti dalla Corte elementi sufficienti a ritenere esclusa la responsabilità del Ministero.

In conseguenza, veniva cassata la decisione dei giudici di merito, che avevano accolto la domanda di risarcimento avanzata dai genitori dell’alunno.

 

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educazione civica a scuola

Educazione civica a scuola: le nuove linee guida Pronte le nuove linee guida del ministero dell'Istruzione e del Merito per l'insegnamento dell'educazione civica in vigore dall'anno scolastico 2024-2025

Educazione civica a scuola

A partire dal prossimo anno scolastico, 2024/2025, entreranno in vigore le Nuove Linee Guida per l’insegnamento dell’Educazione civica.

Il testo sostituirà le Linee guida precedenti, con l’aggiunta di ulteriori contenuti, e ridefinirà traguardi e obiettivi di apprendimento a livello nazionale. Il Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ha inviato nei giorni scorsi il documento al Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione (CSPI) per il prescritto parere non vincolante.

Educazione e rispetto

“Coerentemente con il nostro dettato costituzionale, le Nuove Linee Guida promuovono l’educazione al rispetto della persona umana e dei suoi diritti fondamentali”, dichiara Valditara, “valorizzando principi quali la responsabilità individuale e la solidarietà, la consapevolezza di appartenere ad una comunità nazionale, dando valore al lavoro e all’iniziativa privata come strumento di crescita economica per creare benessere e vincere le sacche di povertà, nel rispetto dell’ambiente e della qualità della vita”.

Scuola costituzionale

“Ispirandosi al concetto di ‘scuola costituzionale’, il documento conferisce centralità alla persona dello studente e punta a favorire l’inclusione, a partire dall’attenzione mirata a tutte le forme di disabilità e di marginalità sociale. Le nuove Linee guida”, prosegue Valditara, “vogliono essere uno strumento di supporto e di guida per tutti i docenti ed educatori chiamati ad affrontare, nel quotidiano lavoro di classe, le sfide e le emergenze di una società in costante evoluzione e di cui gli studenti saranno protagonisti. La scuola si conferma pilastro del futuro del nostro Paese”.

Linee guida Educazione civica: le novità

Queste le principali novità introdotte dalle Nuove Linee Guida per l’insegnamento dell’Educazione civica:

    • è sottolineata la centralità della persona umana, soggetto fondamentale della Storia, al cui servizio si pone lo Stato. Da qui nascono la valorizzazione dei talenti di ogni studente e la cultura del rispetto verso ogni essere umano. Da qui i valori costituzionali di solidarietà e libertà e il concetto stesso di democrazia che la nostra Costituzione collega, non casualmente, alla sovranità popolare e che, per essere autentica, presuppone lo Stato di diritto. Da questo deriva anche la funzionalità della società allo sviluppo di ogni individuo (e non viceversa) e il primato dell’essere umano su ogni concezione ideologica;
    • si promuove la formazione alla coscienza di una comune identità italiana come parte della civiltà europea e occidentale e della sua storia. Di conseguenza, viene evidenziato il nesso tra senso civico e sentimento di appartenenza alla comunità nazionale definita Patria, concetto espressamente richiamato e valorizzato dalla Costituzione. Attorno al rafforzamento del senso di appartenenza a una comunità nazionale, che ha nei valori costituzionali il suo riferimento, si intende anche favorire l’integrazione degli studenti stranieri. Allo stesso tempo, la valorizzazione dei territori e la conoscenza delle culture e delle storie locali promuovono una più ampia e autentica consapevolezza della cultura e della storia nazionale. In questo contesto, l’appartenenza all’Unione Europea è coerente con lo spirito originario del trattato fondativo, volto a favorire la collaborazione fra Paesi che hanno valori e interessi generali comuni;
    • insieme ai diritti, vengono sottolineati anche i doveri verso la collettività, che l’articolo 2 della Costituzione definisce come “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. L’importanza di sviluppare anche una cultura dei doveri rende necessario insegnare il rispetto per le regole che sono alla base di una società ordinata, al fine di favorire la convivenza civile, per far prevalere il diritto e non l’arbitrio. Da qui l’importanza fondamentale della responsabilità individuale che non può essere sostituita dalla responsabilità sociale;
    • promozione della cultura d’impresa che, oltre a essere espressione di un sentimento di autodeterminazione, è sempre più richiesta per affrontare le sfide e le trasformazioni sociali attuali. Parallelamente, si valorizzano per la prima volta l’iniziativa economica privata e la proprietà privata che, come ben definisce la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, è un elemento essenziale della libertà individuale;
    • educazione al contrasto di tutte le mafie e di tutte le forme di criminalità e illegalità. In particolare, il contrasto della criminalità contro la persona, contro i beni pubblici e privati, attraverso l’apprendimento, sin dai primissimi gradi di scuola, di comportamenti individuali che possano contrastare tali fenomeni;
    • è evidenziata l’importanza della crescita economica, nel rispetto dell’ambiente e della qualità della vita dei cittadini;
    • educazione al rispetto per tutti i beni pubblici, a partire dalle strutture scolastiche, al decoro urbano e alla tutela del ricchissimo patrimonio culturale, artistico, monumentale dell’Italia;
    • promozione della salute e di corretti stili di vita, a cominciare dall’alimentazione, dall’attività sportiva e dal benessere psicofisico della persona. In tale contesto, particolare attenzione è rivolta al contrasto delle dipendenze derivanti da droghe, fumo, alcool, doping, uso patologico del web, gaming e gioco d’azzardo;
    • educazione stradale, per abituare i giovani al rispetto delle regole del codice della strada che si traduce in rispetto della propria e altrui vita;
    • si rafforza e si promuove la cultura del rispetto verso la donna;
    • promozione dell’educazione finanziaria e assicurativa, dell’educazione al risparmio e alla pianificazione previdenziale, anche come momento per valorizzare e tutelare il patrimonio privato;
    • valorizzazione della cultura del lavoro come concetto fondamentale della nostra società da insegnare già a scuola fin dal primo ciclo di istruzione;
    • educazione all’uso etico del digitale, per valutare con attenzione ciò che di sé si ‘consegna’ alla rete;
    • educazione all’uso responsabile dei dispositivi elettronici, nella consapevolezza che l’uso corretto delle tecnologie è quello che potenzia l’esercizio delle competenze individuali, non quello che lo sostituisce;
    • si conferma il divieto di utilizzo, anche a fini didattici, dello smartphone dalla Scuola dell’infanzia fino alla Scuola secondaria di primo grado.

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green deal

Green Deal: dal 18 agosto in vigore il regolamento UE Il Green Deal europeo ha compiuto un altro passo fondamentale con l'entrata in vigore del regolamento UE sul "Ripristino della natura

Green Deal: il regolamento UE sul ripristino della natura

Il Green Deal europeo dal 18 agosto 2024 compie un altro passo fondamentale. In vigore il Regolamento UE sul “ripristino della natura” per ricostruire le biodiversità dei Paesi dell’Unione Europea e per conseguire gli obiettivi climatici prefissati.

Green Deal: cos’è

Il Green Deal, più nel dettaglio, è un programma piuttosto ambizioso messo a punto dalla Commissione Europea per fare fronte agli impegni internazionali dell’Agenda 2030 e dell’Accordo di Parigi.

Il Green Deal però non è solo tutela dell’ambiente, è anche crescita economica sostenibile per trasformare l’Unione Europea.

Tre gli obiettivi fondamentali:

  • raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050;
  • utilizzo più efficiente delle risorse;
  • tutela del capitale umano e dell’ambiente.

Le misure del Green Deal

Con il termine “ripristino della natura” il Regolamento si riferisce al processo finalizzato ad aiutare in modo attivo o passivo la “ristrutturazione” dell’ecosistema. L’obiettivo finale è il rafforzamento della biodiversià e la resilienza degli ecosistemi.

Le misure di ripristino devono essere attuate nelle seguenti tappe:

  • entro il 2030 su almeno il 30 % della superficie totale non in buono stato di tutti i tipi di habitat indicati nell’all’allegato I;
  • entro il 2040 su almeno il 60 % e entro il 2050 su almeno il 90 % della superficie non in buono stato di ciascun gruppo di tipi di habitat indicati nell’allegato I.

Il Regolamento UE all’articolo 5 si occupa anche del ripristino degli ecosistemi marini. L’articolo 6 invece disciplina la pianificazione, la costruzione e l’esercizio degli impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili.

Di estremo interesse le regole sul ripristino degli ecosistemi urbani, della connettività naturale dei fiumi e delle funzioni naturali delle relative pianure alluvionali, così come il ripristino delle popolazioni di impollinatori e degli ecosistemi agricoli e forestali. Prevista inoltre la messa a dimora di 3 miliardi di nuovi alberi.  

Ripristino della natura: i piani nazionali

Il Regolamento prevede che ogni Stato membro predisponga un piano nazionale di ripristino ed effettui il monitoraggio e le ricerche opportune al fine di individuare le misure necessarie a conseguire gli obiettivi fissati dal regolamento. A tal fine gli Stati devono quantificare la superficie di ogni habitat da ripristinare.

Ciascun piano nazionale deve coprire il periodo fino al 2050 e contenere scadenze intermedie corrispondenti agli obiettivi prefissati.

Entro il 30 giugno del 2032 ogni Stato deve rivedere il proprio piano nazionale includendovi eventuali misure aggiuntive. Il riesame deve essere poi ripetuto una volta ogni 10 anni. Anche in questo caso possono essere previste misure aggiuntive.

Agli Stati viene richiesto inoltre, ai sensi dell’articolo 20, di compiere un’attenta attività di monitoraggio degli habitat e di provvedere periodicamente, in base a quanto stabilito dall’articolo 21, a comunicare per via elettronica determinati dati alla Commissione Europea per aggiornarla sull’evoluzione e sulle problematiche dell’attività di ripristino.

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giurista risponde

Richiesta di rinvio pregiudiziale e mancata pronuncia Si configura l’errore revocatorio in caso di mancata pronuncia sulla richiesta di rinvio pregiudiziale?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante

 

Sì, pur se il giudice nazionale di ultima istanza non può essere obbligato dalle parti a presentare una domanda di rinvio pregiudiziale, tuttavia è obbligato a pronunciarsi sulla richiesta di rinvio. – Cons. Stato, sez. V, 5 aprile 2024, n. 3164.

La Sezione ha ritenuto che, pur se il giudice nazionale di ultima istanza non può essere obbligato dalle parti a presentare una domanda di rinvio pregiudiziale, è tuttavia obbligato a pronunciarsi sulla richiesta di rinvio e nel caso in cui ritenga di non rinviare dovrà motivare sul difetto di rilevanza o sulle altre ragioni di esonero dall’obbligo di rinvio, ciò considerata la consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia EU.

In ragione del sistema di cooperazione tra la Corte di giustizia EU e i giudici nazionali di cui all’art. 267 T.F.U.E., terzo paragrafo, il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c. va riferito anche all’istanza di rinvio pregiudiziale avanzata dalle parti.

Pertanto, l’omissione di pronuncia sull’istanza di rinvio pregiudiziale risulta equiparabile all’omessa pronuncia su domanda o eccezione di parte, implicando che anche a tale fattispecie sono applicabili i principi sulla rilevanza del processo causale che ha determinato l’omessa pronuncia non ex se ma come risultato di un vizio dovuto ad errore di fatto revocatorio. Dunque, anche per l’istanza di rinvio pregiudiziale, l’errore revocatorio è configurabile in ipotesi di omessa pronuncia, purché si evinca dalla sentenza che in nessun modo il giudice ha preso in esame l’istanza.

Contributo in tema di “Richiesta di rinvio pregiudiziale e mancata pronuncia”, a cura di Claudia Buonsante, estratto da Obiettivo Magistrato n. 75 / Giugno 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica

ius scholae

Ius scholae: cos’è e perché se ne parla Ius scholae: il dibattito è ancora aperto sul criterio di attribuzione della cittadinanza legato al percorso di studio e di formazione dello straniero

Ius scholae al centro del dibattito

Lo ius scholae è di nuovo al centro del dibattito politico. Il segretario di Forza Italia, nonché Ministro degli Esteri Tajani ribadisce la sua apertura agli immigrati e al riconoscimento della cittadinanza in base al criterio dello ius scholae. L’intenzione è quella di presentare la propria proposta di legge in autunno. Le proposte di legge presentate negli ultimi anni sull’argomento però non mancano.

Quella che incontra il maggior favore pare essere quella della senatrice Malpezzi.

Vediamo che cosa prevede e come i cittadini stranieri, al momento, possono acquisire la cittadinanza italiana.

Ius scholae: entro 12 anni e con 5 anni di studi

Per tale proposta, lo straniero può acquisire la cittadinanza italiana se vengono soddisfatte precise condizioni.

Lo straniero deve:

  • essere nato in Italia o deve avervi fatto ingresso entro i 12 anni di età;
  • risiedere legalmente nel nostro Paese;
  • aver frequentato regolarmente per almeno 5 anni uno o più cicli di istruzione scolastica o di formazione professionale.

Il disegno di legge si ispira a una proposta di legge che era stata presentata da Laura Boldrini e che prevedeva anche lo ius soli, con l’obiettivo di riconoscere la cittadinanza ai nati sul suolo italiano.

Ius scholae: le ragioni della proposta

Il riconoscimento della cittadinanza ai bambini e agli adolescenti stranieri si pone l’obiettivo di scongiurare fenomeni di discriminazione e vulnerabilità. Il mancato riconoscimento della cittadinanza italiana limita il senso di appartenenza dei giovani stranieri sia al territorio che alle comunità con riflessi negativi sulla socialità e l’integrazione.

Cittadinanza: come si acquista oggi

Lo ius scholae, se diventasse legge, si andrebbe ad aggiungere ai criteri contenuti nella legge n. 91/1992 per l’acquisizione della cittadinanza.

Al momento infatti la cittadinanza si acquista in  modi diversi: per naturalizzazione, matrimonio e nascita, per discendenza.

  • Cittadinanza per naturalizzazione: è concessa dopo 10 anni di residenza legale e continuativa in Italia allo straniero maggiore di età.
  • Cittadinanza per matrimonio: si acquisisce dopo due anni di residenza dal matrimonio con un cittadino o una cittadina italiana.
  • Cittadinanza per nascita: riguarda coloro che nascono da padre o madre che abbiano la cittadinanza italiana. Il minore che nasce in Italia da cittadini stranieri non acquista automaticamente la cittadinanza italiana. Lo stesso deve infatti dichiarare la volontà di acquisire la cittadinanza italiana dopo il compimento della maggiore età a condizione che abbia risieduto in Italia legalmente e in modo continuativo.
  • Cittadinanza per discendenza (ius sanguinis): si acquista quando uno dei due genitori è cittadino italiano.

Ius soli: tentativi di riforma falliti

Lo ius soli rappresenta un ulteriore criterio di acquisizione della cittadinanza basato sulla nascita sul suolo italiano. Negli anni tuttavia le proposte di legge che lo hanno promosso sono naufragate. Lo ius soli è un criterio che, nonostante le declinazioni più o meno temperate rispetto a quello “puro” non viene preso in considerazione quando si presenta la necessità di riformare la legge vigente.