studenti plusdotati

Studenti plusdotati: piani formativi ad hoc Studenti plusdotati: al Senato un ddl che prevede piani didattici personalizzati e un referente dedicato

Studenti plusdotati: ratio del ddl n. 180

Per gli studenti plusdotati sono in arrivo piani di formazione personalizzati. Lo prevede il disegno di legge n. 180, in corso di esame in Commissione al Senato da lunedì 11 novembre 2024.

Il disegno di legge nasce dall’iniziativa del parlamentare Pierantonio Zanettin ed è composto da 10 articoli.

Con questo disegno di legge ci si propone di uniformare la legislazione italiana a quella di diversi paesi europei, che da anni si preoccupano di valorizzare gli alunni plusdotati per fornire loro insegnamenti appropriati per valorizzare e potenziare le loro capacità.

Gli Stati Uniti hanno molto a cuore questo tema. Nelle scuole di questo paese i ragazzi plusdotati vengono inseriti fin dai primi anni scolastici in programmi speciali.

I ragazzi più dotati devono infatti poter disporre di programmi adeguati, che consentano loro di saltare alle classi superiori e terminare prima il percorso di studi.

Una disciplina specifica è necessaria sia per sviluppare pienamente il potenziale di questi ragazzi, sia per preparare un personale docente in grado di supportare le esigenze di apprendimento di questi studenti capaci e precoci.

Pari opportunità agli studenti plusdotati

Il disegno di legge all’articolo 1 individua la finalità primaria dell’intervento normativo, ossia garantire pari opportunità di formazione agli studenti più dotati, senza trascurare le loro necessità sociali ed emotive.

Questa finalità si può perseguire però con il necessario coinvolgimento anche di insegnanti, genitori e specialisti.

Riconoscimento del potenziale cognitivo

L’articolo 2  prevede che il riconoscimento del potenziale dello studente debba essere individuato da specialisti come neuropsichiatri infantili, psichiatri e psicologi specializzati.

Al riconoscimento possono procedere sia medici delle strutture sanitarie pubbliche, che private accreditate. Il riconoscimento, una volta effettuato, viene comunicato alla famiglia e, in accordo con la stessa, alla scuola frequentata dal figlio.

Referente scolastico per l’alto potenziale

L’articolo 3 del ddl prevede la figura del referente scolastico presso ogni scuola di ordine e grado.

Questa figura è tenuta a partecipare a corsi di aggiornamento specifici della durata di 20 ore il primo anno e 15 ore negli anni a seguire. Il tutto presso università, associazioni accreditate e strutture private.

Al termine del percorso il soggetto deve sostenere un esame per ottenere il certificazione di abilitazione alla funzione di referente. Il ddl assegna a questo soggetto il compito di predisporre piani didattici personalizzati e in accordo con le famiglie propone il passaggio dellalunno alle classi superiori, la cui iscrizione è consentita ai sensi dell’art. 5 del ddl.

Formazione personale scolastico

Gli insegnanti e lo psicologo delle scuole di ordine e grado sono tenuti a frequentare corsi di formazione presso università associazioni e strutture, sull’alto potenziale della durata minima di 10 ore il primo anno e a seguire di 5 ore. In questo modo potranno individuare più facilmente gli alunni con potenziale e adottare le iniziative e le misure più idonee.

Misure didattiche per studenti capaci e precoci

Il ddl prevede che all’inizio di ogni anno scolastico le scuole debbano adottare programmi didattici personalizzati che tengano conto anche delle necessità relazionali ed emotive di questi alunni.

Questi piani possono contemplare anche la frequentazione di classi superiori per apprendere nuove materie o approfondirne una o più.

Le misure didattiche devono essere periodicamente monitorate per valutarne l’efficacia.

Per tutte queste attività e scuole possono avvalersi dell’aiuto di figure professionali.

Attuazione ddl

Il ddl richiede per la sua attuazione l’adozione di un regolamento con decreto del Ministero dell’istruzione e del merito di intesa con il Ministero della salute.

Le Regioni a Statuto speciale e le province autonome possono procedere all’attuazione del ddl nel rispetto delle loro competenze e dei loro Statuti.

 

Leggi anche: Ddl Valditara: le nuove misure per la scuola

Allegati

riuso edilizio

Riuso edilizio: la pronuncia della Consulta La Corte Costituzionale boccia alcune norme della regione Sardegna in materia di riuso edilizio e aggiudicazione dei contratti pubblici

Riuso edilizio e aggiudicazione dei contratti pubblici: la Consulta, con la sentenza n. 174/2024, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di due disposizioni della legge della Regione Sardegna n. 17 del 2023, impugnate dal Governo.

Il riuso edilizio

La prima disposizione (art. 4, comma 1, lettera a, numero 1), modificando l’art. 124, comma 2, della legge regionale n. 9 del 2023, prevede che gli interventi di riuso dei seminterrati, piani pilotis e locali al piano terra degli immobili destinati ad uso abitativo sono consentiti anche mediante il superamento degli indici volumetrici e dei limiti di altezza e numero dei piani previsti dalle vigenti disposizioni urbanistico edilizie comunali e regionali.

La Corte ha ritenuto che “una simile disciplina contrasta con la necessità che le deroghe agli indici di densità edilizia introdotte dal legislatore regionale siano connotate dall’eccezionalità e dalla temporaneità, nel rispetto del principio di pianificazione urbanistica espresso dall’art. 41-quinquies della legge n. 1150 del 1942”.

La norma impugnata è stata dichiarata illegittima nella parte in cui consente, in via stabile, di superare gli indici volumetrici, in violazione del suddetto principio, che limita la competenza legislativa regionale primaria in materia di «edilizia ed urbanistica» (art. 3, primo comma, lettera f, dello statuto).

Aggiudicazione contratti pubblici

La seconda disposizione (art. 7, comma 16) inserisce nell’art. 37 della legge regionale n. 8 del 2018 un nuovo comma 3-bis, prevedendo che nelle procedure di aggiudicazione dei contratti pubblici con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa «costituisce requisito di ammissione dell’offerta tecnica il raggiungimento del punteggio minimo pari al 60 per cento del valore massimo attribuibile all’offerta tecnica stessa».

La Consulta ha ritenuto che il legislatore regionale, imponendo un inderogabile punteggio minimo dell’offerta tecnica, abbia leso l’autonomia di scelta delle stazioni appaltanti, precludendo ad esse una diversa ponderazione dei criteri di valutazione delle offerte, in contrasto con l’art.108 del vigente codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 36 del 2023).

Conseguentemente, “la disposizione impugnata ha superato i limiti che le norme di tale codice sulla scelta del contraente, adottate dallo Stato in nome della tutela della concorrenza, pongono alla potestà legislativa regionale primaria in materia di «lavori pubblici di esclusivo interesse della Regione» (art. 3, primo comma, lettera e, dello statuto)”.

Il giudice delle leggi ha osservato, inoltre, che la garanzia di un confronto concorrenziale effettivo necessita dell’autonomia delle stazioni appaltanti nella valutazione caso per caso della migliore offerta. Ha sottolineato, inoltre, che tale autonomia – anche al fine di favorire la concorrenza – è stata rafforzata dal nuovo codice dei contratti pubblici del 2023 rispetto alle precedenti sue versioni, come è chiaramente dimostrato dalle importanti norme contenute nei primi tre articoli del codice, dedicate ai «principi generali» che regolano la contrattualità pubblica: principio del risultato (art. 1), principio della fiducia (art. 2) e principio dell’accesso al mercato (art. 3). L’autonomia delle stazioni appaltanti, dunque, risulta potenziata: limitarla significherebbe pregiudicare la competizione tra le imprese che aspirano all’aggiudicazione del contratto.

decreto sud

Decreto Sud legittimo La Consulta decidendo il ricorso della regione Campania sui fondi di coesione e sulla Zes unica del decreto Sud ha ritenuto non fondati i dubbi di costituzionalità

Il Decreto Sud è legittimo. La Corte Costituzionale si è pronunciata con la sentenza n. 175/2024, sul ricorso con cui la regione Campania ha impugnato diverse disposizioni contenute nel dl. n. 124/2023 (meglio noto come Decreto Sud).

Nessuna lesione all’autonomia regionale

Il ricorso della regione lamentava, in primo luogo, che alcune disposizioni contenute nel “decreto Sud” in materia di programmazione e utilizzazione delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione ledessero, per più aspetti, l’autonomia regionale.

Fondi di coesione

Con la sua pronuncia, la Corte ha ritenuto, innanzitutto, non fondati i dubbi di costituzionalità della previsione secondo cui la stipula dell’Accordo per la coesione tra Stato e Regione possa intervenire solamente una volta «dato atto dei risultati dei precedenti cicli di programmazione» (art. 1, comma 178, lettera d, della legge n. 178 del 2020, come sostituito dall’art. 1 del d.l. n. 124 del 2023).

Secondo la sentenza, il riferimento ai risultati dei precedenti cicli di programmazione non impone alla Regione destinataria dei fondi di dare prova dell’avvenuto completamento dei progetti, ma si traduce in un «adempimento istruttorio nel corso del quale viene operata una ricognizione dei progetti in essere al fine di verificare la maggiore o minore fattibilità di quelli rientranti nel ciclo di programmazione futuro».

Nel complesso, la sentenza ha ritenuto che la disciplina del Fondo per lo sviluppo e la coesione rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato perché è finalizzata a «rimuovere gli squilibri economici e sociali» e assolve, pertanto, “a finalità perequative, secondo quanto previsto dagli artt. 117, secondo comma, lettera e), e 119, quinto comma, Cost.

Accanto a ciò, la Corte ha chiarito che, secondo un ordinato assetto dei rapporti finanziari tra Stato e regioni, è necessario tenere distinte le risorse destinate a «finanziare integralmente le funzioni pubbliche» attribuite alle regioni medesime e agli enti locali e le risorse aggiuntive di cui all’art. 119, quinto comma, Cost., «la cui finalità resta quella di sostenere interventi di natura diversa dall’esercizio delle funzioni ordinarie, in quanto connessi a obiettivi di natura strutturale rivolti al necessario riequilibrio tra le diverse aree del Paese e la cui realizzazione è demandata a progetti specifici»”.

Zes unica

Con un secondo gruppo di doglianze, la Regione Campania ha impugnato l’insieme degli articoli con cui, nel “decreto Sud”, vengono disciplinati l’istituzione e il funzionamento della Zona economica speciale per il Mezzogiorno.

In relazione all’art. 9 del d.l. n. 124 del 2023, che istituisce la ZES unica, è stata dichiarata la cessazione della materia del contendere, alla luce della rinuncia al ricorso avanzata dalla Regione.

Legge Pinto: taglio degli interessi nella manovra 2025 Legge Pinto: le modifiche della manovra 2025 per razionalizzare i costi e rispettare gli obiettivi del PNRR

Le modifiche della manovra alla Legge Pinto

La manovra 2025 interviene anche sulla legge Pinto. L’obiettivo delle modifiche è di razionalizzare i costi che derivano dalla violazione del termine di durata ragionevole dei processi. Il tutto anche per rispettare gli obiettivi del PNRR che riguardano il settore giustizia.

La norma dedicata a innovare la disciplina contenuta nella legge Pinto n. 89/2001 è l’articolo 109, nella formulazione attualmente disponibile del testo della manovra 2025.

Le modifiche convergono tutte nella direzione di provvedere al pagamento se il richiedente provvede a inviare la domanda e la documentazione necessaria e completa nei tempi previsti. Pena la perdita degli interessi.

Dichiarazioni e documentazione (art 5 sexies)

La manovra richiede ora al creditore di impegnarsi a tramettere, insieme alla dichiarazione di cui al comma 1 dell’art. 5 sexies, tutta la documentazione necessaria (in base ai decreti del Ministero dell’economia e delle finanze e del Ministero della giustizia di cui ai commi 3 e 3 bis) per la pratica di richiesta dell’indennizzo e di comunicare ogni eventuale variazione dei dati e dei documenti che ha già trasmesso.

La manovra precisa che la dichiarazione di cui al comma 1 art. 5 sexies, con cui il creditore attesta la mancata riscossione del credito per lo stesso titolo, le somme che gli sono ancora dovute, i modi in cui desidera ottenere il pagamento devono essere presentate previa compilazione dei moduli predisposti e nelle modalità telematiche individuate dai decreti del Ministero dell’Economia e del Ministero della Giustizia.

Legge Pinto: un anno per l’invio

L’invio delle dichiarazioni e dei documenti dovrà avvenire nel termine di un anno. La decorrenza di questa termine ha inizio dalla data di pubblicazione del decreto che accoglierà la domanda di equa riparazione.

Decorso di questo termine, fino alla presentazione della dichiarazione, non decorreranno interessi.

La dichiarazione avrà inoltre una durata biennale e dovrà essere rinnovata se la Pubblica amministrazione lo richiede. Anche in questo caso il creditore dovrà presentarla nei modi e nelle forme richieste dai decreti del Ministero del’Economia e del Ministero della Giustizia di cui ai commi 3 e 3 bis dell’art. 5 sexies.

Trasmissione irregolare e perdita degli interessi

Il nuovo comma 4 dell’art. 5 sexies sanziona con la perdita degli interessi la mancata, incompleta e irregolare trasmissione della dichiarazione o della documentazione dovuta per tutto il periodo necessario a integrare la dichiarazione o la documentazione. A questo inadempimento segue anche l’impossibilità di emettere l’ordine di pagamento.

Il nuovo comma 12 bis dispone inoltre che, al fine di ottenere in tempi più rapidi il pagamento, i creditori delle somme che sono state liquidate ai sensi della legge Pinto e sino al 31 dicembre 2021, potranno rinnovare la richiesta di pagamento nei modi stabilii dai decreti dei commi 3 e 3 bis.

Sarà il Ministero della Giustizia a dare notizia di questa facoltà di rinnovo della domanda pubblicando specifico avviso sul proprio sito istituzionale.

Sarà sempre il Ministero della Giustizia infine a monitorare e valutare l’efficienza delle procedure di pagamento e dei risparmi di spesa.

 

Leggi anche: Legge bilancio 2025:  cosa prevede

ricette mediche digitali

Ricette mediche digitali: dopo le rosse anche le bianche Ricette mediche digitali: comprenderanno anche le ricette bianche con cui i medici prescrivono farmici a carico del paziente

Ricette mediche digitali: novità manovra 2025

Ricette mediche digitali, anche quelle bianche avranno questo formato. A stabilirlo è la bozza della legge di bilancio 2025. Dopo le ricette rosse in formato digitale anche quelle bianche, che contengono prescrizioni di farmaci a carico del cittadino, saranno emesse in questo formato.

Ricette mediche digitali anche per farmaci a pagamento

La ricetta elettronica, soprattutto dopo il periodo della crisi pandemica, è diventata familiare ai cittadini italiani, per questo il Governo ha voluto inserire questa previsione all’interno della Legge di bilancio. Dalla lettura dell’articolo 54 della bozza della manovra 2025 risulta che: “Al fine di potenziare il monitoraggio dellappropriatezza prescrittiva nonché garantire la completa alimentazione del Fascicolo sanitario elettronico, tutte le prescrizioni a carico del Servizio sanitario nazionale (SSN) e dei Servizi territoriali per l’assistenza sanitaria al personale navigante, marittimo e dell’Aviazione civile (SASN) e a carico del cittadino sono effettuate nel formato elettronico (…) ricette mediche per la prescrizione di farmaci non a carico del Servizio sanitario nazionale e modalità di rilascio del promemoria della ricetta elettronica attraverso ulteriori canali, sia a regime che nel corso della fase emergenziale da Covid-19”.

Criticità per le ricette “bianche”

La novità legislativa, per il vicesegretario della Fimmg (Federazione Italiana Medici di Medicina Generale) presenta però due elementi di criticità di particolare rilievo.

  • Il primo è rappresentato dalla presenza di farmaci che non possono essere dematerializzati come i sonniferi, ad esempio.
  • Il secondo invece e il più importante è legato agli anziani e alle loro difficoltà a utilizzare i device e le nuove tecnologie. Per sopperire a questo problema sarebbe necessario realizzare sportelli o servizi di assistenza dedicati, per evitare l’esclusione sociale dei più anziani dall’innovazione tecnologica che da anni riguarda la Sanità nel suo complesso.

 

Leggi anche: Fascicolo sanitario elettronico  2.0

giurista risponde

Piano educativo individualizzato (P.E.I.) e discrezionalità dell’Ente locale È legittimo il provvedimento del comune che assegni un numero di ore di assistenza scolastica per l’alunno minore con disabilità in misura inferiore a quanto indicato nel piano educativo individualizzato (P.E.I.)?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante

 

Si, è legittimo, non essendo il Piano educativo individualizzato (P.E.I.) vincolante per l’ente locale, in capo al quale residua un margine di apprezzamento discrezionale in relazione al complesso delle risorse disponibili (Cons. Stato, sez. III, 12 agosto 2024, n. 7089).

Il Collegio osserva che è legittimo il provvedimento del comune che assegni un numero di ore di assistenza scolastica per la promozione dell’autonomia e della comunicazione dell’alunno minore con disabilità in misura inferiore a quanto indicato nel Piano educativo individualizzato (P.E.I.) e richiesto dal dirigente scolastico, non essendo il P.E.I. vincolante per l’ente locale, in capo al quale residua un margine di apprezzamento discrezionale, da esercitarsi con prudente equilibrio a mente del rango fondamentale dei diritti sottesi alle misure di inclusione scolastica, in relazione al complesso delle risorse disponibili.

È necessario ricordare che vi è una distinzione tra ore di sostegno didattico, quali funzioni scolastiche stricto sensu, di competenza dell’ufficio scolastico regionale (USR), e le misure di sostegno ulteriori rispetto a quelle didattiche, tra le quali le misure di assistenza scolastica di competenza dei comuni, oggetto della decisione, per le quali i comuni attribuiscono le risorse complessive secondo le modalità attuative e gli standard qualitativi previsti nell’apposito accordo concluso in sede di conferenza unificata.

Emerge, in ogni caso, il carattere prevalente del diritto alla salute ed all’integrazione del disabile rispetto a vincoli di bilancio genericamente allegati; da qui l’obbligo per l’ente locale di misurarsi con le condizioni del caso concreto e tendere sempre al raggiungimento di un punto di equilibrio che assicuri la massima tutela possibile al disabile.

(*Contributo in tema di “Piano educativo individualizzato (P.E.I.) e discrezionalità dell’Ente locale”, a cura di Claudia Buonsante, estratto da Obiettivo Magistrato n. 78 / Ottobre 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

demolizione ricostruzione

Demolizione, ricostruzione e nuova opera: il Tar fa chiarezza Demolizione, ricostruzione e nuova opera si distinguono per l’entità delle modifiche apportate rispetto all’edificio preesistente demolito

Demolizione, ricostruzione e nuova opera

La ricostruzione dopo la demolizione si distingue dalla nuova opera in ragione dell’entità delle modifiche apportate. Si ha ricostruzione quando i volumi, l’altezza e la sagoma non subiscono variazione, si ha nuova opera, assoggettabile quindi alle regole della attività corrispondente, quando gli interventi vanno a modificare la sagoma, i volumi e le superfici. Il TAR delle Marche lo chiarisce nella sentenza n. 809/2024.

Contributo di costruzione se è nuova opera

Una S.R.L agisce nei confronti di un Comune per chiedere l’annullamento di una determina. Il provvedimento le richiede il pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di “costruzione” relativo a un permesso di costruire in sanatoria per la demolizione e ricostruzione di due fabbricati con cambio di destinazione d’uso. Le opere in effetti hanno dato vita a una nuova costruzione.

Durante i lavori di ristrutturazione da parte della società gli agenti della polizia municipale accertano infatti la difformità delle opere rispetto al permesso di costruire. Essi rilevano la quasi integrale demolizione del fabbricato B, atteso che ne sono rimasti conservati tronconi di muratura in misura non significativa rispetto alla sagoma originaria dell’edificio originario e tra l’altro non incluse nella nuova struttura ricostruita, contravvenendo alla prescrizione contenuta nel titolo rilasciato che ne prevedeva la conservazione al fine di ricondurre l’intervento proposto nell’ambito della ristrutturazione edilizia”.

Il tutto si è verificato in violazione dei limiti del titolo abilitativo e previsti per salvaguardare alcune porzioni di uno dei fabbricati.

Ricostruzione e nuova opera: differenze

Ai fini del decidere il TAR distingue lintervento di demolizione con successiva ricostruzione da quello con cui si realizza una nuova costruzione. A questo proposito lo stesso chiarisce che, dopo una demolizione, la distinzione tra ricostruzione e nuova costruzione si basa in particolare sul grado di variazione rispetto all’opera precedente.

Si parla quindi di ricostruzione quando l’intervento non  modifica il volume, la sagoma e l’altezza della costruzione precedente. L’edificio conserva in sostanza le caratteristiche fondamentali dell’edificio demolito.

Si realizza al contrario una nuova opera quando l’edificio viene demolito e al suo posto viene edificato un edificio nuovo e diverso, anche se parzialmente, rispetto a quello originario.

Il TAR ricorda che: Per costante giurisprudenza, non può essere ricompresa tra gli interventi di manutenzione straordinaria assoggettati a concessione gratuita una ristrutturazione c.d. pesante, se non addirittura una nuova costruzione, realizzata con la demolizione dell’edificio preesistente e l’edificazione di un organismo edilizio nuovo e diverso, almeno in parte, da quello originario; ne consegue che in questo caso il rilascio della concessione in sanatoria è correttamente sottoposto al pagamento dell’oblazione in misura pari al doppio del contributo di costruzione.”

 

Leggi anche: Permesso di costruire e ricorso del terzo

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soccorso istruttorio

Soccorso istruttorio L’istituto del soccorso istruttorio dentro e fuori l’ambito delle gare d’appalto: obiettivi, presupposti e modalità di applicazione

Cos’è un soccorso istruttorio?

Il soccorso istruttorio è un istituto previsto dal nuovo Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 36/2003, art. 101) e, in via generale, dalla legge sul procedimento amministrativo (L. 241/1990, art. 6 comma 1 lett. b), che impone all’ente pubblico che si rapporta col soggetto privato di richiedere a quest’ultimo rettifiche, integrazioni o chiarimenti in relazione alla documentazione precedentemente prodotta.

L’istituto del soccorso istruttorio, come detto, nasce nell’ambito dei contratti pubblici (era già previsto dal vecchio Codice appalti, D.Lgs. 50/2016, art. 83), dove riceve una dettagliata disciplina, ma, anche grazie alla giurisprudenza, trova ormai pacifica applicazione nell’intero settore amministrativo, sia per le procedure comparative, come selezioni e concorsi, sia – e a maggior ragione – in quelle non comparative.

Quando è possibile il soccorso istruttorio?

Prima di esaminare la disciplina normativa del soccorso istruttorio, è opportuno chiarire che l’obiettivo perseguito dal legislatore attraverso tale istituto è quello di salvaguardare la partecipazione a una gara da parte del soggetto privato (o la validità di una sua istanza, al di fuori di procedure comparative) anche quando la documentazione da questi prodotta sia incompleta o non del tutto chiara o corretta.

Ovviamente, un simile scopo può scontrarsi, nell’ambito di procedure comparative come gare d’appalto o concorsi, con l’esigenza di assicurare la par condicio tra i vari partecipanti, ed è proprio per questo che il soccorso istruttorio incontra precisi limiti che ne subordinano l’applicabilità al ricorrere di determinate condizioni.

In ogni caso, è evidente che la possibilità di operare rettifiche e integrazioni che non incidano sulla sostanza della posizione del soggetto privato, mira ad assicurare una maggiore efficienza dell’azione amministrativa, evitando che candidati e partecipanti meritevoli vengano esclusi per mere irregolarità formali.

Soccorso istruttorio integrativo e chiarimenti nel Codice Appalti

Analizzando la disciplina del dettaglio, vediamo come, a norma dell’art. 101 del Codice dei contratti pubblici, “la stazione appaltante assegna un termine non inferiore a cinque giorni e non superiore a dieci giorni” al privato per integrare la documentazione, sanare eventuali irregolarità, chiedere chiarimenti o operare rettifiche.

Il dato che viene in rilievo, quindi, è innanzitutto la previsione di un termine entro cui il partecipante alla gara ha l’opportunità di sanare le irregolarità della propria domanda, a pena di esclusione dalla procedura di gara (art. 101, comma 2).

Inoltre, le correzioni o integrazioni non possono modificare la sostanza della domanda, ma soltanto alcuni aspetti formali, come vedremo di seguito.

Quali documenti possono essere sanati tramite soccorso istruttorio?

In particolare, l’integrazione documentale e l’attività sanante di omissioni, inesattezze e irregolarità di cui all’articolo citato non possono concernere la documentazione che compone l’offerta tecnica e l’offerta economica, che rappresentano, per l’appunto, la parte sostanziale della domanda di partecipazione.

Per quanto riguarda i chiarimenti, invece, il comma terzo dispone che essi possono “sempre” essere richiesti dalla stazione appaltante con riguardo ai contenuti dell’offerta tecnica e dell’offerta economica, ma, qualora resi, essi non possono in alcun modo modificarne il contenuto.

Infine, il comma quarto dell’art. 101 Codice contratti pubblici prevede la possibilità, per l’operatore economico partecipante alla gara pubblica, di richiedere la rettifica di un errore materiale contenuto nell’offerta tecnica o nell’offerta economica di cui si sia avveduto dopo la scadenza del termine per la loro presentazione, sempre a patto che non ne venga modificata la sostanza.

Il soccorso istruttorio nella legge sul procedimento amministrativo

Quanto, infine, al soccorso istruttorio nel più generale ambito amministrativo, e quindi non solo in tema di appalti, esso trova disciplina, come detto, nella legge 241/90, che legittima il responsabile del procedimento a chiedere al privato la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete e, all’uopo, ad ordinare la produzione di documenti.

A tal riguardo, giova ricordare che la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di chiarire che il soccorso istruttorio è applicabile nell’ambito di concorsi e selezioni pubbliche, proprio nell’ottica di evitare l’esclusione di candidati potenzialmente validi per mere irregolarità formali (v. la recente sentenza n. 15436/2024 del Tar Lazio); e che il soccorso istruttorio va adottato, a maggior ragione, nei casi in cui risulti irrilevante l’esigenza di parità di trattamento, come ad esempio nei procedimenti in cui il privato può ottenere benefici a prescindere da una comparazione della sua posizione con quella di altri soggetti (ad esempio, il riconoscimento di contributi economici subordinati alla mera sussistenza di determinati requisiti).

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giurista risponde

Potere di autotutela e denuncia di inizio attività (DIA/SCIA) È consentito il differimento del termine per l’esercizio del potere di autotutela in caso di inerzia dell’amministrazione nell’esaminare gli atti del procedimento?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante

 

Il differimento del termine per l’esercizio del potere di autotutela in relaziona a una denuncia di inizio attività è consentito nei casi in cui il soggetto richiedente ha rappresentato uno stato preesistente diverso da quello reale (Cons. Stato, sez. VI, 23 luglio 2024, n. 6636).

Preliminarmente è opportuno ricordare che il differimento del termine iniziale per l’esercizio del potere di autotutela, ai sensi dell’art. 21nonies della L. 241/1990, deve essere determinato dalla impossibilità per l’amministrazione, a causa del comportamento dell’istante, di svolgere un compiuto accertamento sulla spettanza del bene della vita nell’ambito della fase istruttoria del procedimento di primo grado. Viceversa, nel caso in cui l’amministrazione sia nelle condizioni di conoscere lo stato dei luoghi e la conformità documentale, l’inerzia nell’esaminare gli atti, come nella DIA, si rivela del tutto ingiustificata.

Il superamento del limite temporale per l’esercizio del potere di autotutela in relazione a una denuncia di inizio attività è, dunque, consentito nei casi in cui il soggetto richiedente ha rappresentato uno stato preesistente diverso da quello reale, con conseguente impossibilità per la P.A. di conoscere fatti e circostanze rilevanti, imputabile al soggetto che ha beneficiato del rilascio del titolo, non potendo la negligenza dell’amministrazione procedente tradursi in un vantaggio per la stessa. Pertanto, il dies a quo di decorrenza del termine per l’esercizio dell’autotutela deve essere individuato nel momento della scoperta, da parte dell’amministrazione, dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell’atto di ritiro.

Con riguardo alla vicenda in esame la Sezione ha riscontrato l’esercizio del potere di autotutela dopo oltre sei anni dalla presentazione della denuncia di inizio attività e pertanto tale tempo si configura come non ragionevole rispetto ai limiti posti all’esercizio dello ius poenitendi tratteggiato dalla disciplina dell’autotutela e rispetto alla posizione di affidamento del soggetto destinatario dell’atto di ritiro, in ragione del lungo tempo trascorso dall’adozione della DIA annullata.

(*Contributo in tema di “Potere di autotutela e denunzia di inizio attività (DIA/SCIA)”, a cura di Claudia Buonsante, estratto da Obiettivo Magistrato n. 78 / Ottobre 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

troppe scuole

Troppe scuole: autonomia regionale a rischio La Consulta ha bocciato la legge della regione Sardegna sul mantenimento delle autonomie scolastiche esistenti, in quanto eccessiva rispetto al contingente stabilito dallo Stato

Autonomia scolastica e contingente statale

Troppe scuole mettono a rischio l’autonomia regionale in materia scolastica. La Consulta, infatti, con la sentenza n. 168/2024, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della legge della Regione Sardegna (n. 2/2024) che prevedeva il mantenimento di tutte le autonomie scolastiche esistenti nell’anno 2023-2024.

Pur restando ferma “la competenza delle regioni a definire il tipo e l’ubicazione delle istituzioni scolastiche e a istituire nuovi plessi ovvero ad aggregare quelli esistenti, tenendo anche conto delle peculiari esigenze di ciascun territorio” ha affermato la Corte Costituzionale, alla luce di una sua precedente sentenza (n. 223/2023), è pur vero che la riforma statale (da ultimo con legge 197/2022) “impone alle regioni di rispettare il contingente di dirigenti scolastici e amministrativi determinato tramite decreto ministeriale”.

Troppe scuole, legge bocciata

La Corte ha, pertanto, ritenuto che la legge della Regione Sardegna n. 2 del 2024, “nel porsi l’obiettivo di mantenere tutte le autonomie scolastiche esistenti, dunque a prescindere dal contingente dirigenziale definito dallo Stato, si ponga in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera n), Cost., che attribuisce alla competenza legislativa statale esclusiva la materia «norme generali sull’istruzione»”.

La legge regionale, infatti, per il giudice delle leggi, “viola il principio della necessaria corrispondenza tra dirigenti assegnati alle regioni e istituzioni scolastiche presenti sul territorio. La disposizione impugnata è anche in contrasto con la lettera g) del secondo comma dell’art. 117 Cost., in quanto, come esplicitato dalla sentenza n. 223 del 2023, la determinazione del contingente scolastico riguarda personale inserito nel pubblico impiego statale”.