concessioni balneari

Concessioni balneari: incostituzionali norme che violano concorrenza La Consulta ha dichiarato incostituzionali parti della legge regionale Toscana sulle concessioni demaniali marittime per violazione della tutela della concorrenza

Concessioni demaniali marittime: l’intervento della Consulta

Concessioni balneari: con la sentenza n. 89/2025, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune disposizioni della legge della Regione Toscana n. 30 del 2024. In particolare, sono stati dichiarati incostituzionali gli articoli 1, 2 commi 3 e 4, e 3, in quanto incidono in modo diretto sull’assetto concorrenziale del mercato balneare.

Le norme contestate

Le disposizioni regionali, impugnate dal Presidente del Consiglio dei ministri, modificavano la legge regionale n. 31 del 2016, introducendo criteri per le procedure selettive di affidamento delle concessioni demaniali marittime. Tra le previsioni figuravano:

  • un criterio premiale per la valutazione dei concorrenti;

  • la determinazione di un indennizzo a favore del concessionario uscente.

Secondo l’Avvocatura dello Stato, tali regole limitavano la concorrenza e pregiudicavano il libero accesso al mercato.

La competenza legislativa esclusiva dello Stato

La Corte costituzionale ha ricordato che, pur investendo la materia delle concessioni profili di competenza regionale, quando le norme incidono sulle modalità di scelta del contraente e alterano l’assetto concorrenziale dei mercati, prevale la competenza esclusiva dello Stato prevista dall’articolo 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, in tema di tutela della concorrenza.

Nel caso esaminato, le regole regionali determinavano restrizioni alla libera iniziativa economica degli operatori balneari, non giustificate da esigenze specificamente regionali.

La motivazione della Consulta

La Regione Toscana aveva motivato l’intervento normativo con due esigenze:

  • la persistente inerzia del legislatore statale nell’adozione di una disciplina unitaria;

  • la necessità di tutelare l’affidamento maturato dagli operatori del settore.

Tuttavia, la Corte ha ritenuto che tali ragioni non potessero legittimare l’adozione di regole regionali incidenti sulla concorrenza, trattandosi di un ambito riservato alla potestà legislativa esclusiva dello Stato.

La sentenza ha inoltre sottolineato che, anche in assenza di una legge statale organica, esistono già principi e parametri di matrice europea che consentono ai Comuni di organizzare le procedure di gara nel rispetto dei principi di concorrenza e trasparenza.

contrassegno identificativo

Contrassegno identificativo monopattini: il decreto del Mit Contrassegno identificativo monopattini elettrici: il decreto del MIt del 27.06.2025 ne definisce le caratteristiche e le combinazioni alfanumeriche

Contrassegno identificativo monopattini elettrici

Nella giornata di venerdì 27 giugno 2025 il Ministero della infrastrutture ha emanato il decreto n. 210  del 27 giugno 2025  che contiene la disciplina dei contrassegni identificativi dei monopattini elettrici.

Come disposto dall’art. 1 del provvedimento, il decreto disciplina:

  • la stampa dei contrassegni affinché gli stessi siano uniformi e inalterabili, per garantire la sicurezza (Allegato A)
  • i criteri da seguire per formare le varie combinazioni di numeri e lettere dei contrassegni, affinché ogni combinazione identifichi un solo monopattino (Allegato B).

Il decreto, una volta pubblicato sulla GU, entrerà in vigore decorso il termine di 15 giorni.

Contrassegno identificativo: caratteristiche

Il contrassegno identificativo di ogni monopattino:

  • è stampato dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato;
  • è personale, nel senso che la targa identifica la persona e non il monopattino;
  • ha una forma rettangolare (50 mm x 60 mm);
  • è stampato su un supporto in plastica adesivo e non rimovibile;
  • ha lo sfondo bianco mentre i caratteri sono neri;
  • contiene l’emblema dello Stato;
  • non può essere manomesso o contraffatto;
  • deve essere posizionato sul parafango posteriore del monopattino in modo che sia visibile e permanente. In assenza del parafango, deve essere posizionato nella parte anteriore del piantone a un’altezza compresa tra i 20 cm e 1,20 m dal suolo.

La previsione della “targa” per i monopattini elettrici mira a tutelare le vittime di incidenti causati dall’uso improprio del monopattino elettrico. Il contrassegno identificativo permetterà infatti di risalire al proprietario e quindi al corresponsabile, anche nel caso in cui il monopattino sia condotto da un altro soggetto.

Combinazioni alfanumeriche dei contrassegni

Per quanto riguarda invece le combinazioni alfanumeriche, l’allegato B del decreto prevede che il contrassegno debba riportare tre lettere e tre numeri.

Prossimo passo: obbligo assicurativo

L’obbligo del contrassegno identificativo arriva dopo l’obbligo di indossare il casco a bordo del monopattino. Il prossimo passo prevede l’introduzione dell’obbligo assicurativo anche per questi mezzi a propulsione elettrica.

 

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trattenimento migranti

Trattenimento migranti nei CPR: la Consulta richiama il legislatore La Corte costituzionale ha dichiarato inidonea la disciplina sul trattenimento dei migranti nei CPR, richiamando il legislatore a definire regole più chiare nel rispetto della libertà personale

Trattenimento migranti nei CPR: i dubbi di costituzionalità

Con la sentenza n. 96 del 2025, la Corte costituzionale ha esaminato la legittimità dell’art. 14, comma 2, del D.Lgs. n. 286 del 1998 (TU sull’immigrazione), nella parte in cui disciplina le modalità di trattenimento migranti nei centri di permanenza per i rimpatri (CPR).

Le questioni erano state sollevate dal Giudice di pace di Roma, chiamato a convalidare i provvedimenti di trattenimento di cittadini stranieri. Il giudice rimettente aveva denunciato la mancanza di una disciplina di rango primario che definisse le modalità e le garanzie di esercizio della restrizione della libertà personale, in violazione dell’articolo 13 Cost.

La libertà personale e la riserva assoluta di legge

La Corte ha ribadito che il trattenimento nei CPR costituisce un assoggettamento fisico che incide direttamente sulla libertà personale. In questo quadro, la disciplina vigente è stata ritenuta inidonea a individuare con chiarezza i “modi” della restrizione, cioè le regole che tutelano i diritti fondamentali durante il periodo di trattenimento.

Secondo la Consulta, il rinvio a norme regolamentari e a provvedimenti amministrativi discrezionali contrasta con la riserva assoluta di legge prevista dall’articolo 13, secondo comma, Cost.

Il ruolo del legislatore e l’inammissibilità delle questioni

Pur riconoscendo il vulnus costituzionale, la Consulta ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità sollevate con riferimento agli articoli 13 e 117 della Cost. Il motivo è che non spetta al giudice costituzionale colmare il vuoto normativo riscontrato: è il legislatore a dover predisporre una disciplina compiuta e conforme ai principi costituzionali e internazionali.

La Corte ha evidenziato che resta un dovere inderogabile del Parlamento intervenire per definire standard minimi di tutela e garantire i diritti e la dignità delle persone trattenute.

Le altre questioni di costituzionalità dichiarate inammissibili

Le ulteriori censure fondate sugli articoli 2, 3, 10, 24, 25, 32 e 111 della Costituzione sono state dichiarate inammissibili per incompletezza della ricostruzione del quadro normativo. La Corte ha ricordato che l’ordinamento già consente il ricorso ai rimedi civili, come l’azione risarcitoria ex art. 2043 c.c. e la tutela cautelare d’urgenza prevista dall’art. 700 c.p.c., strumenti idonei a garantire la protezione dei diritti fondamentali in caso di violazioni durante il trattenimento.

La conclusione della Corte costituzionale

In conclusione, la Corte ha chiarito che la disciplina attuale non soddisfa i requisiti costituzionali di determinatezza e legalità delle restrizioni alla libertà personale. L’onere di colmare questa carenza spetta al legislatore, cui è demandato il compito di assicurare una regolamentazione adeguata nel rispetto dei diritti fondamentali.

scioglimento del consiglio comunale

Scioglimento del consiglio comunale per mancato bilancio La Corte costituzionale ha confermato la legittimità dello scioglimento del consiglio comunale che non approva il bilancio in riequilibrio nei termini previsti

Bilancio in riequilibrio e scioglimento del consiglio comunale

Con la sentenza n. 91 del 2025, la Corte costituzionale ha dichiarato infondate le questioni di legittimità sollevate dal TAR Campania in merito allo scioglimento del consiglio comunale che non approvi entro i termini di legge l’ipotesi di bilancio in riequilibrio, prevista dall’articolo 262, comma 1, del Testo unico degli enti locali (D.Lgs. n. 267/2000).

Il meccanismo previsto dal Testo unico degli enti locali

La Corte ha rilevato che l’articolo 262 del Tuel stabilisce un procedimento chiaro e oggettivo, privo di margini di discrezionalità arbitraria. La mancata approvazione del bilancio entro il termine stabilito costituisce un presupposto di fatto che comporta, in modo automatico, lo scioglimento degli organi consiliari.

Questa previsione normativa risponde all’esigenza di garantire il rispetto degli impegni finanziari assunti con il mandato elettorale.

La ratio dello scioglimento come extrema ratio

Secondo la Corte costituzionale, lo scioglimento rappresenta una misura estrema ma necessaria per tutelare l’autonomia e l’efficienza amministrativa. Il principio di buon andamento dell’amministrazione, sancito dall’articolo 97 della Costituzione, impone che gli organi elettivi siano in grado di assicurare il risanamento finanziario dell’ente locale.

L’inerzia o l’incapacità di approvare un bilancio in equilibrio interrompe il rapporto fiduciario con la comunità e compromette l’interesse collettivo alla stabilità economica dell’ente.

Il legame tra equilibrio finanziario e rappresentanza democratica

La sentenza evidenzia che la salvaguardia degli equilibri finanziari costituisce un presupposto essenziale del mandato elettivo e della stessa rappresentanza democratica. L’amministrazione che non rispetta in modo reiterato tali obblighi mina la fiducia dei cittadini e giustifica l’intervento sostitutivo dello Stato.

In questo quadro, lo scioglimento si configura come uno strumento coerente con i principi costituzionali e con la tutela dell’interesse pubblico al corretto funzionamento delle istituzioni locali.

telemarketing molesto

Telemarketing molesto: addio dal 19 agosto Telemarketing molesto: dall'Agcom una delibera prevede il blocco delle chiamate illegittime in due tappe: dal 19 agosto e dal 19 novembre 2025

Stop al telemarketing molesto dal 19 agosto 2025

Dal 19 agosto 2025 primo stop al telemarketing molesto. Lo ha stabilito l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni con la delibera n. 106/25/CONS, datata 30 aprile, ma pubblicata il 19 maggio 2025.

Con questa decisione l’Autorità ha approvato un regolamento che si pone l’obiettivo di assicurare la massima trasparenza in relazione alle offerte dei servizi di comunicazione elettronica e al numero chiamante.

Al provvedimento dell’Autorità sono allegati 5 documenti, tra i quali si segnalano i seguenti:

Lotta al Cli spoofing

La lotta al CLI spoofing arriva dopo che il Registro delle opposizioni e il Codice di Condotta per gli operatori non sono riusciti a impedire a soggetti illegittimi di ricorrere a numerazioni simulate italiane, chiamando da reti estere.

La pratica del CLI spoofing, come definito dal rapporto ECC 338 sullo Spoofing del giugno 2022 consiste infatti nella “tecnica che consente alla parte originaria e/o a qualsiasi operatore di rete che gestisce la chiamata o il messaggio di manipolare le informazioni visualizzate nel campo CLI con l’intenzione di ingannare la parte ricevente o gli operatori di rete che intervengono nella gestione della chiamata o del messaggio, facendogli credere che la chiamata o il messaggio provengano da un’altra persona, entità o posizione.”

Due tappe per il contrasto al telemarketing molesto

Per combattere la pratica del CLI spoofing l’Autorità ha deciso di intervenire per step.

  • Dal 19 agosto 2025 gli operatori devranno attivare le tecnologie necessarie per bloccare le chiamate che vengono effettuate con numeri fissi falsi.
  • Dal 19 novembre 2025 gli operatori devono invece attivarsi per disporre il blocco anche delle telefonati da numerazioni mobili simulate.

Per bloccare le chiamate si applicheranno delle tecnologie alla rete telefonica che saranno in grado di arrestare le chiamate sospette prima ancora che raggiungano il destinatario della chiamata, grazie alla capacità di questi strumenti di elaborare immediatamente i dati.

 

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decreto flussi 2026-2028

Decreto flussi 2026-2028: cosa prevede Approvato in via preliminare il Decreto Flussi 2026-2028: programmati quasi 500mila ingressi regolari di lavoratori non comunitari. Obiettivi, quote e settori interessati

Approvato il Decreto Flussi 2026-2028

Il Consiglio dei Ministri ha approvato, il 30 giugno 2025, in esame preliminare, il decreto che definisce la programmazione dei flussi migratori regolari per il triennio 2026-2028.

La misura intende rispondere al fabbisogno di forza lavoro indispensabile per numerosi comparti dell’economia italiana e contrastare l’immigrazione irregolare e il lavoro sommerso. Il provvedimento, predisposto congiuntamente da diversi dicasteri, introduce una pianificazione stabile e più ampia rispetto ai decreti precedenti.

Quasi mezzo milione di ingressi autorizzati in tre anni

Il nuovo decreto stabilisce che, tra il 2026 e il 2028, potranno entrare in Italia fino a 497.550 lavoratori non comunitari, così ripartiti:

  • 230.550 unità per lavoro subordinato non stagionale e lavoro autonomo;

  • 267.000 unità per lavoro stagionale nei comparti agricolo e turistico.

Per il solo anno 2026, sono previsti 164.850 ingressi, una quota significativa pensata per sostenere i settori produttivi più esposti alla carenza di manodopera.

Le quote derivano da un’analisi dei dati storici relativi alle domande di nulla osta e dai fabbisogni indicati dalle parti sociali, con l’obiettivo di calibrare la programmazione alle reali esigenze delle imprese.

Obiettivi del decreto: regolarità, formazione e click day

Tra le finalità principali della programmazione triennale si evidenziano:

  • Creare canali di immigrazione legale e controllata, che rafforzino la cooperazione con i Paesi di origine dei flussi;

  • Ridurre l’irregolarità nell’ingresso e nella permanenza sul territorio nazionale;

  • Prevenire fenomeni di sfruttamento lavorativo e lavoro nero;

  • Gradualmente superare il meccanismo del “click day”, soprattutto per le figure professionali più richieste, privilegiando percorsi di formazione dei lavoratori nei Paesi di provenienza.

L’obiettivo dichiarato del Governo è costruire un sistema più prevedibile e funzionale, che tuteli sia le esigenze del mercato del lavoro sia la dignità dei lavoratori stranieri.

Le categorie di lavoro previste dal decreto

Il decreto distingue chiaramente le tipologie di rapporto di lavoro interessate dagli ingressi programmati:

  • Lavoro subordinato non stagionale e lavoro autonomo, per attività continuative e professionalizzate in vari settori;

  • Lavoro stagionale, prevalentemente nell’agricoltura e nel turismo, comparti che storicamente registrano le maggiori esigenze di reclutamento di manodopera straniera.

Il sistema delle quote sarà accompagnato da ulteriori misure per favorire la formazione linguistica e professionale dei lavoratori, così da facilitare il loro inserimento socio-lavorativo.

Verso un modello di programmazione più stabile

Il decreto rappresenta un passo verso una programmazione strutturale dei flussi migratori regolari, che supera l’approccio emergenziale del passato. La scelta di un orizzonte triennale consente alle imprese di pianificare le assunzioni con maggiore certezza e ai lavoratori di conoscere in anticipo le opportunità disponibili.

Nei prossimi mesi, il provvedimento dovrà completare l’iter di approvazione definitiva e verranno definiti nel dettaglio i criteri e le modalità operative per la presentazione delle istanze.

attestato opere d'arte

Attestato opere d’arte: il termine annuale non viola la Costituzione La Consulta conferma la legittimità del limite di un anno per l’annullamento d’ufficio di un’autorizzazione all’esportazione di un’opera d’arte

Attestato opere d’arte: termine annuale non viola la Costituzione

Attestato opere d’arte: con la sentenza n. 88/2025, la Corte costituzionale ha escluso che il termine di un anno previsto dall’articolo 21-nonies della legge n. 241/1990 per l’annullamento d’ufficio di un provvedimento amministrativo illegittimo sia in contrasto con i principi costituzionali.

Nel caso concreto, l’amministrazione aveva annullato, a distanza di sei anni, un attestato di libera circolazione rilasciato per un quadro poi riconosciuto come opera d’autore di particolare interesse culturale. La tardività del provvedimento era stata contestata in giudizio. Sollevando dubbi di legittimità costituzionale sul limite temporale, considerato troppo rigido a fronte dell’obiettivo di protezione del patrimonio culturale.

Tutela del patrimonio culturale garantita nel procedimento originario

La Consulta ha chiarito che l’interesse culturale è ampiamente protetto nella fase di primo grado. Sia grazie alle previsioni della legge sul procedimento amministrativo che attribuiscono specifiche cautele agli “interessi sensibili”, sia in virtù delle regole del Codice dei beni culturali.

Pertanto, il termine annuale per l’annullamento d’ufficio non compromette la tutela del patrimonio storico e artistico. Ciò in quanto la disciplina è già adeguata a prevenire illegittimità nel momento in cui l’autorizzazione viene rilasciata.

Ragionevolezza e certezza giuridica: un bilanciamento necessario

La Corte ha ribadito che il potere di annullamento è distinto dal potere originario di rilascio dell’autorizzazione e si caratterizza per finalità diverse. Nel valutare se revocare l’atto, l’amministrazione deve considerare non solo l’interesse pubblico al ripristino della legalità, ma anche l’affidamento del destinatario purché meritevole di tutela.

Di conseguenza, non è irragionevole che anche gli atti relativi a interessi di rango costituzionale, come la protezione del patrimonio culturale, siano soggetti al termine ordinario di decadenza. La disciplina mira infatti a bilanciare l’efficienza amministrativa con la stabilità dei rapporti giuridici.

Termine di decadenza garanzia di buon andamento e sicurezza giuridica

Secondo la Corte, la previsione di un termine certo rafforza il principio di buon andamento dell’amministrazione, stimolando una maggiore attenzione nella fase di rilascio del provvedimento e garantendo la certezza delle relazioni tra cittadini e pubblici poteri.

In quest’ottica, il limite temporale tutela sia l’interesse pubblico al corretto esercizio dell’azione amministrativa sia l’esigenza di affidabilità giuridica per i destinatari degli atti e i terzi che su questi fanno legittimo affidamento.

responsabilità per danno erariale

Giudice in ritardo: scatta la responsabilità per danno erariale La Corte dei conti conferma che per il giudice che prolunga il processo per negligenza scatta la responsabilità per danno erariale

Responsabilità del giudice e danno erariale indiretto

Responsabilità per danno erariale: secondo un recente pronunciamento della Corte dei conti (sentenza n. 83/2025), anche i magistrati possono essere chiamati a rispondere per danno erariale quando un comportamento gravemente negligente causi ritardi ingiustificati nel processo. L’indipendenza della funzione giurisdizionale, infatti, non comporta un’assoluta irresponsabilità: il giudice resta tenuto al rispetto di regole di diligenza e correttezza nella conduzione delle cause.

In particolare, nel caso esaminato, un magistrato d’appello è stato condannato a risarcire parzialmente l’amministrazione per aver rimesso la causa al collegio senza controllare che il fascicolo di primo grado fosse disponibile, determinando un ritardo di circa due anni.

Il quadro normativo: tra equa riparazione e azione di rivalsa

La vicenda trae origine dalla condanna del Ministero della giustizia al pagamento dell’equa riparazione prevista dalla legge Pinto (legge n. 89/2001), riconosciuta a due cittadini per l’eccessiva durata del procedimento. Successivamente, la Procura contabile ha promosso l’azione di responsabilità amministrativa nei confronti del magistrato istruttore.

L’articolo 5, comma 4, della stessa legge prevede infatti la trasmissione del decreto di equa riparazione alla Procura della Corte dei conti per l’accertamento di eventuali responsabilità. La normativa si coordina con la legge n. 117/1988 sulla responsabilità civile dei magistrati, che individua la negligenza inescusabile quale parametro per qualificare la colpa grave.

Gli argomenti difensivi del magistrato e il rigetto dell’appello

Nel giudizio di appello, il magistrato ha sostenuto che la normativa all’epoca vigente non attribuiva al consigliere istruttore l’obbligo di verificare la completezza degli atti prima del rinvio al collegio e che tale controllo spettava alla cancelleria. Inoltre, ha richiamato la giurisprudenza sul limite alla sindacabilità delle valutazioni di merito compiute dal giudice.

La Corte dei conti ha però ribadito che la condotta omissiva integra una violazione degli obblighi di vigilanza, con conseguenze dannose per l’Erario, e che la responsabilità contabile può riguardare anche l’attività strettamente giurisdizionale quando il danno deriva da un comportamento macroscopicamente negligente.

La riduzione della condanna per concorso della cancelleria

Pur confermando la responsabilità del magistrato, i giudici contabili hanno riconosciuto che la condotta omissiva della cancelleria ha inciso nella causazione dell’evento dannoso. Di conseguenza, l’importo risarcitorio è stato ridotto in misura proporzionale alla corresponsabilità accertata.

Responsabilità per danno erariale e principio di indipendenza

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 385/1996, ha già chiarito che l’indipendenza della funzione giurisdizionale è pienamente compatibile con la responsabilità civile, penale e amministrativo-contabile dei magistrati. Un orientamento condiviso anche dalle Sezioni Unite della Cassazione (ordinanza n. 2370/2023), che hanno affermato la possibilità di chiamare il magistrato a rispondere per danno erariale, sia per l’attività amministrativa, sia per quella giurisdizionale, se caratterizzata da colpa grave o dolo.

metodo d'hondt

Metodo D’Hondt: cos’è, come funziona e quando si applica Come funziona il Metodo D’Hondt, il sistema proporzionale più usato per l’assegnazione dei seggi. Differenze con altri metodi e applicazioni

Cos’è il Metodo D’Hondt

Il Metodo D’Hondt è un sistema matematico utilizzato per l’assegnazione dei seggi in base al principio proporzionale, ideato alla fine del 1800 dal giurista belga Victor D’Hondt. Questo metodo mira a garantire una distribuzione dei seggi più equa tra le liste che partecipano a un’elezione, tenendo conto del numero complessivo dei voti ricevuti.

Come funziona il calcolo dei seggi

Il metodo prevede una procedura semplice ma rigorosa:

  1. si prende il numero totale di voti ottenuti da ogni lista;
  2. ogni numero di voti viene diviso per una serie crescente di numeri interi (1, 2, 3, …), fino a generare un numero sufficiente di quozienti;
  3. i seggi vengono assegnati ai quozienti più alti, fino a esaurimento dei posti disponibili.

Esempio pratico: se ci sono 3 seggi da assegnare e tre liste A, B e C con 1000, 800 e 400 voti, i seggi verranno attribuiti dividendo i voti e scegliendo i tre quozienti più alti. Questo processo tende a favorire le liste più votate, pur mantenendo un’impostazione proporzionale.

Dove viene utilizzato il Metodo D’Hondt

Il Metodo D’Hondt è adottato in numerosi sistemi elettorali, sia a livello nazionale che locale, tra cui:

  • parlamenti nazionali, come in Italia, Spagna, Portogallo, Belgio;
  • elezioni europee;
  • consigli comunali e metropolitani;
  • organismi rappresentativi di settore, come comitati tecnici, consigli universitari o comitati di gestione venatori.

Differenze rispetto ad altri metodi proporzionali

Il Metodo D’Hondt si distingue da altri sistemi di assegnazione proporzionale come:

  • Metodo Sainte-Laguë: anche questo metodo prevede l’assegnazione dei voti in modo proporzionale. Dopo la registrazione dei voti per ogni lista viene calcolato un quoziente, in base a una determinata formula matematica. La lista che ottiene il quoziente più alto ottiene un seggio, il quoziente viene quindi utilizzato nella formula fino all’assegnazione di tutti i seggi.
  • Metodo Hare-Niemeyer (quota semplice): calcola una quota fissa per ogni seggio e assegna i seggi in base al rapporto voti/quota, con un’eventuale assegnazione dei restanti per approssimazione.

Rispetto questi sistemi, il Metodo D’Hondt tende a garantire una maggiore governabilità, premiando lievemente le forze più votate e riducendo la frammentazione delle rappresentanze.

Un equilibrio tra rappresentanza e stabilità

Grazie alla sua semplicità e alla sua efficacia, il Metodo D’Hondt rappresenta uno dei sistemi proporzionali più diffusi al mondo, capace di bilanciare rappresentanza democratica e funzionalità istituzionale. La sua applicazione è spesso scelta nei contesti in cui è necessario mantenere una certa proporzione tra voti e seggi, senza però rinunciare alla stabilità degli organi rappresentativi.

 

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metodo d'hondt

Caccia: è legittimo il metodo D’Hondt per i comitati di gestione La Consulta conferma la legittimità del metodo D’Hondt nella composizione dei comitati venatori. Nessuna violazione del principio di rappresentatività ambientale

La Consulta promuove il metodo D’Hondt

Con la sentenza n. 82/2025, la Corte costituzionale ha respinto le questioni di legittimità sull’articolo 3, comma 3, della legge regionale abruzzese n. 11/2023. La norma in esame introduce l’uso del sistema proporzionale con metodo D’Hondt per l’assegnazione dei seggi nei comitati di gestione della caccia.

Come funziona il metodo D’Hondt

Il metodo D’Hondt è un sistema di calcolo proporzionale che prevede la divisione dei voti di ogni lista – in questo caso il numero di iscritti a ciascuna associazione venatoria – per numeri progressivi, fino a coprire il totale dei seggi disponibili. Questo modello è ampiamente utilizzato anche in altri ambiti elettorali per assicurare una rappresentanza proporzionale.

Le critiche del TAR Abruzzo

Il TAR Abruzzo aveva sollevato dubbi di costituzionalità, ritenendo che il meccanismo penalizzasse alcune associazioni venatorie locali, contravvenendo a quanto disposto dall’articolo 14, comma 10, della legge statale n. 157/1992, a tutela della fauna. Secondo il giudice amministrativo, la norma nazionale garantirebbe una rappresentanza paritaria, considerata parte integrante della tutela ambientale ex articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.

La decisione della Corte Costituzionale

La Corte costituzionale ha ritenuto infondata la questione. Secondo i giudici, la norma statale richiamata non impone una rappresentanza proporzionale per ogni singola associazione, ma richiede la presenza, all’interno dei comitati, delle tre principali categorie di soggetti interessati: associazioni venatorie, associazioni di protezione ambientale e organizzazioni agricole.

Una volta garantita tale composizione tripartita, spetta alle Regioni stabilire, con ampio margine di discrezionalità, la formula elettorale più adeguata.

Ampia autonomia normativa per le Regioni

La Consulta ha ribadito che il meccanismo di ripartizione dei seggi rientra nella libertà di scelta del legislatore regionale. Il sistema D’Hondt, in questo contesto, è stato ritenuto una modalità legittima di distribuzione dei posti all’interno delle categorie rappresentate, senza ledere i principi costituzionali o gli obblighi di tutela ambientale.