referendum autonomia differenziata

Referendum autonomia differenziata Referendum autonomia differenziata: la raccolta firme, il quesito, le ragioni dell'iniziativa e i tempi della procedura

Referendum sull’autonomia differenziata

Il 20 e il 21 luglio 2024 è iniziata la campagna per la raccolta delle firme del referendum abrogativo della legge sulla autonomia differenziata n. 86/2024. Il referendum è stato promosso da un comitato referendario variegato. In esso si sono riunite diverse forse sociali, politiche e associative. Le firme necessarie per sostenete l’iniziativa erano 500.000, ma il risultato è stato raggiunto ampiamente grazie all’istituzione della piattaforma gratuita e pubblica dedicata.

Ragioni del referendum

Le ragioni della proposta di referendum contro l’autonomia differenziata dei rinvenirsi nell’approvazione della legge sulla autonomia differenziata n. 86/2024. Questa legge, proposta dal Ministro Calderoli, è considerata da molti un vero e proprio attacco ai principi della Costituzione. La previsione di livelli differenziati di autonomia tra regioni mette in pericolo l’unità e provoca danni al Nord Italia e al Sud Italia dal punto di vista economico, ambientale, sanitario, scolastico e lavorativo.

Le altre iniziative referendarie

La legge sull’autonomia differenziata è contestata anche a livello regionale. In Trentino ad esempio sono state avviate iniziative di sensibilizzazione dell’elettorato che andrà a votare. In Emilia Romagna invece sono stati votati due quesiti referendari. La regione Toscana ha invece fatto ricorso alla Corte Costituzionale per chiedere che la legge n. 86/2024 venga dichiarata incostituzionale. La regione Campania ha seguito l’esempio della Toscana, così come la Puglia.

Sulle questioni di legittimità costituzionale delle Regioni leggi “Autonomia differenziata: la Consulta ha fissato l’udienza

Legambiente dice no alla legge e promuove il referendum abrogativo. L’autonomia differenziata creerebbe divari territoriali anche in tema di accesso alle risorse naturali. Dello stesso avviso il WWF. La materia ambientale rientra infatti tra quelle che si prestano meno di altre a una frammentazione.

Il quesito referendario

Il quesito del referendum sull’autonomia differenziata è semplice e diretto: “Volete voi che sia abrogata la legge 26 giugno 2024, n. 86, “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione”?

Criticità della legge n. 86/2024

Diversi costituzionalisti hanno preso posizione sulla legge del Ministro Calderoni. L’appello è presente sul sito dedicato referendumautunomiadifferenziata.com.

Nell’appello i costituzionalisti esaminano la legge n. 86/2024 e la  confrontano con le norme della Costituzione dedicate all’autonomia regionale: articoli 116 e 117.

Effettuata la disamina i costituzionalisti giungono alla conclusione che la realizzazione dell’autonomia differenziata sacrificherebbe l’uguaglianza e l’uniformità dei diritti fondamentali dei cittadini italiani. Tutto questo si pone in contrasto con la necessità di creare  forme di autonomie più efficienti e capaci di soddisfare le esigenze reali dei cittadini.

Referendum autonomia differenziata: i tempi

La legge n. 352/1970, che disciplina i referendum previsti dalla Costituzione detta anche i tempi del procedimento.

Conclusa la raccolta delle firme è necessario procedere al deposito dei fogli che contengono le firme presso la cancelleria della Corte di Cassazione. Questo adempimento deve essere rispettato nel termine di 3 mesi, che decorrono dalla data di apposizione del timbro sui fogli stessi da parte di almeno tre dei promotori.

L’ufficio centrale della Cassazione esamina alla richiesta referendaria ed entro il 31 ottobre emette un’ordinanza. In presenza di irregolarità, l’ufficio notifica il provvedimento per consentire la presentazione di memorie o procedere alla sanatoria.

Entro il 15 dicembre l’ufficio decide in via definitiva sulla legittimità della richiesta con ordinanza. Il provvedimento è comunicato poi al Presidente della Corte Costituzionale.

Entro il 20 gennaio dell’anno successivo a quello dell’ordinanza predetta, il Presidente fissa il giorno per la deliberazione in camera di consiglio e nomina il relatore.

La Corte Costituzionale decide con sentenza, che deve essere pubblicata entro il 10 febbraio e in cui specifica quali richieste sono ammesse e quali invece sono respinte.

La sentenza viene poi comunicata “al Presidente della Repubblica, ai Presidenti delle due Camere, al Presidente del Consiglio dei Ministri, all’Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione, nonché ai delegati o ai presentatori, entro cinque giorni dalla pubblicazione della sentenza stessa. Entro lo stesso termine il dispositivo della sentenza è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica.”

A questo punto il Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, fissa la data di convocazione degli elettori in una domenica che deve essere compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno.

 

Leggi anche: “Autonomia differenziata: cosa prevede la nuova legge

decreto omnibus

Decreto Omnibus: in vigore la legge In vigore dal 9 ottobre 2024 la legge di conversione del decreto Omnibus: dalla flat tax doppia per i "Paperoni" alla Zes sino agli sfollati di Scampia, ecco le misure

Decreto Omnibus: le novità

Via libera definitivo della Camera al decreto Omnibus (con 134 voti a favore e 96 contrari), già approvato dal Senato nei giorni scorsi (con la fiducia apposta dall’esecutivo sul ddl di conversione del decreto approvato il 7 agosto 2024).  Il testo, come licenziato dalle Commissioni bilancio e finanze, è stato approvato da Montecitorio il 3 ottobre ben prima della scadenza per la conversione prevista entro l’8 ottobre 2024.

Il ddl di conversione del dl 113/2024, recante “Misure urgenti di carattere fiscale, proroghe di termini normativi ed interventi di carattere economico“, contiene misure che spaziano dal raddoppio della flat tax per i Paperoni stranieri, alla Zes sino al bonus Natale per i lavoratori dipendenti ed ha subito modifiche di rilievo nel corso dell’esame parlamentare.

La nuova legge n. 143/2024 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale l’8 ottobre 2024 per entrare in vigore il giorno successivo.

Ecco le novità nel dettaglio:

Procedure di erogazione PNRR

Semplificata l’erogazione delle risorse che devono essere impiegate per realizzare gli interventi previsti dal PNRR.

In particolare le amministrazioni devono erogare, nel temine di 30 giorni dal ricevimento delle istanze, il 90% dell’importo dell’intervento.

Bonus Natale

Approvato il riconoscimento dell’indennità esentasse di 100 euro che andrà ad aggiungersi alla tredicesima. Beneficeranno della misura i lavoratori con reddito non superiore a 28.000 euro, spostati e con almeno un figlio a carico. Escluse dalla misura le famiglie di fatto.

Bonus psicologo

Per il 2024 il limite di spesa per il bonus psicologo aumenta di 2 milioni di euro, raggiungendo i 12 milioni di euro.

Peste suina

Contributo straordinario per gli allevatori che devono affrontare le problematiche legate alla peste suina.

La misura varia in base al danno subito.

Misure antipirateria

Due le novità contro la pirateria in TV. La prima prevede l’estensione dell’obbligo di bloccare l’accesso ai contenuti diffusi in modo abusivo ai fornitori VPN e DNS. La seconda prevede il carcere per chi non segnala immediatamente gli abusi alle autorità.

Flat tax Paperoni

Sale da 100mila a 200mila euro l’anno l’imposta sostitutiva sui redditi prodotti all’estero calcolata in via forfetaria per chi sposta la residenza fiscale in Italia.

Ad oggi sono circa 1.200 i soggetti che hanno goduto di questo regime agevolato.

Zes Unica

Il credito di imposta per gli investimenti nella Zes Unica nel Mezzogiorno è di 1800 milioni di Euro per il 2024. Per accedere all’agevolazione, gli operatori economici che hanno già presentato la documentazione prevista dovranno inviare, dal 18 novembre al 2 dicembre 2024, all’Agenzia delle entrate, una comunicazione integrativa attestante l’avvenuta realizzazione entro il termine del 15 novembre 2024 degli investimenti già indicati. La comunicazione, a pena del rigetto della stessa, dovrà anche indicare l’ammontare del credito di imposta maturato in relazione agli investimenti effettivamente realizzati e le relative fatture elettroniche.

Scampia

Quasi mille euro mensili fino al 31 dicembre per gli sfollati in conseguenza del crollo del ballatoio delle Vele di Scampia del 22 luglio scorso. Li erogherà il comune di Napoli (si va da un minimo di 400 a un massimo di 900 in base al nucleo familiare, più somme aggiuntive in presenza di over65 o disabili).

Enti locali

Il ddl Omnibus contiene anche chiarimenti sulle imposte riscosse dagli enti locali e sull’applicazione in legge della spending review delle Regioni. Il testo contiene inoltre misure in materia di differimento di termini fiscali, a sostegno degli enti territoriali, di rinegoziazione dei mutui da parte degli enti territoriali e di attuazione delle misure del PNRR.

Aree sciistiche

Il provvedimento stanzia 13 milioni di euro per sostenere le imprese turistiche dei Comuni dei comprensori e delle aree sciistiche della dorsale appenninica che nella scorsa stagione sciistica hanno subito una riduzione dei ricavi non inferiore al 30% rispetto a quelli registrati nell’anno precedente. Destinatari del provvedimento:

  • gli esercenti attività di impianti di risalita a fune e di innevamento artificiale, nonché di preparazione delle piste da sci;
  • i noleggiatori di attrezzature per sport invernali;
  • i maestri di sci, iscritti negli appositi albi professionali, e delle scuole di sci presso le quali questi operano;
  • le agenzie di viaggio, i tour operator e i gestori di stabilimenti termali;
  • le imprese turistico-ricettive e di ristorazione.

Decreto del ministero del turismo

Sarà il ministero del turismo ad individuare i comuni interessati dalla misura e a definire i criteri e le modalità di erogazione delle risorse.

Iva associazioni sportive

Il provvedimento interviene anche sulla disciplina Iva per le associazioni sportive dilettantistiche, per i maestri di sci e sul trasferimento dei puledri per contrastare la concorrenza estera in materia fiscale.

Scuola

Si estende anche per l’anno scolastico e per l’anno accademico 2024-2025 la tutela assicurativa degli studenti e del personale del sistema nazionale di istruzione e formazione, della formazione terziaria professionalizzante e della formazione superiore.

Per il 2024 tutte le risorse destinate alla promozione dell’attività di ricerca e   competitività del Paese sono destinate alla quota base per il Fondo per il finanziamento delle università.

 

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giudizio di ottemperanza

Giudizio di ottemperanza Il giudizio di ottemperanza: funzione, presupposti e procedimento. I provvedimenti oggetto del giudizio e la nomina del commissario ad acta

Cos’è l’azione di ottemperanza

Il giudizio di ottemperanza è un particolare procedimento che si svolge davanti al giudice amministrativo per conseguire l’adempimento, da parte della Pubblica Amministrazione, di un obbligo previsto da un precedente provvedimento giudiziario.

I provvedimenti oggetto del giudizio di ottemperanza

Il Codice del processo amministrativo (d. lgs. 104/2010) prevede un’apposita disciplina per l’azione di ottemperanza.

In particolare dispone che essa può essere adottata da un soggetto privato per ottenere l’attuazione di:

  • sentenze pronunciate dal giudice amministrativo (Tar o Consiglio di Stato) passate in giudicato;
  • provvedimenti esecutivi pronunciati dal giudice amministrativo;
  • sentenze del giudice ordinario che obbligano una pubblica amministrazione all’adempimento di un obbligo (ad esempio, pagamento di una somma di denaro);
  • lodi arbitrali esecutivi.

Cosa significa giudizio di ottemperanza

La funzione del giudizio di ottemperanza è, quindi, quella di offrire, al soggetto che sia risultato vittorioso in un giudizio nei confronti di una pubblica amministrazione, uno strumento efficace per ottenere l’adempimento da parte dell’ente pubblico rimasto inerte di fronte al comando contenuto in un provvedimento giudiziario.

Il procedimento di ottemperanza

È importante notare, però, che vi è la possibilità che la sentenza (o altro provvedimento definitorio) oggetto dell’azione di ottemperanza non sia del tutto chiara nel definire in cosa consista l’obbligo a carico della p.a. soccombente.

Per tale motivo, il procedimento di ottemperanza può anche comportare una fase di cognizione, per consentire al giudice dell’ottemperanza di conoscere atti e fatti che lo aiutino a individuare, in concreto e con precisione, l’obbligo cui è tenuto l’ente pubblico.

Così procedendo, il giudice dell’ottemperanza è chiamato a valutare la conformità – o meno – del comportamento tenuto dalla PA rispetto al comando contenuto a suo carico nella pronuncia impugnata, facendo particolare attenzione all’eventuale residua presenza di margini di discrezionalità in capo alla stessa, con riferimento all’obbligo da adempiere.

Chi è competente nel giudizio di ottemperanza

Quanto al rito da osservare nel procedimento di ottemperanza, va innanzitutto evidenziato che la competenza appartiene al giudice amministrativo che ha adottato il provvedimento di cui si chiede l’ottemperanza oppure al Tar della medesima circoscrizione del giudice ordinario che ha adottato il provvedimento cui conformarsi.

Il giudizio di ottemperanza viene introdotto con ricorso (anche senza previa diffida) ed i termini processuali del procedimento sono ridotti alla metà. La sentenza viene adottata in forma semplificata e contiene le prescrizioni del giudice in ordine alle modalità cui la pubblica amministrazione deve attenersi per soddisfare l’interesse del privato ricorrente.

Il commissario ad acta nel giudizio di ottemperanza

A norma dell’art. 114 del Codice del Processo Amministrativo, il giudice, se necessario, può nominare un commissario ad acta al fine di emanare gli atti che dovrebbero essere adottati dalla PA.

Inoltre, su richiesta di parte, il giudice ha facoltà di fissare una somma di denaro che l’ente pubblico deve pagare al ricorrente in caso di ritardo o di mancata osservanza del suo provvedimento.

L’azione di ottemperanza si prescrive decorsi dieci anni dal passaggio in giudicato del provvedimento di cui si chiede l’osservanza.

Confisca edilizia: non deve pregiudicare il diritto di ipoteca La Corte Costituzionale dichiara l'incostituzionalità dell'art. 7, 3° comma, della legge n. 47/1985 nella parte in cui la confisca edilizia "comprime" il diritto di ipoteca

Confisca edilizia e diritto di ipoteca

“La confisca edilizia, conseguente alla mancata demolizione dell’immobile abusivo da parte del responsabile dell’abuso e del proprietario, deve preservare il diritto di ipoteca iscritto dal creditore prima della trascrizione dell’acquisto a favore del Comune, se il creditore ipotecario non è responsabile dell’abuso”. Così si è espressa la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 160/2024, dichiarando illegittimo l’articolo 7, terzo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, nella parte in cui non fa salvo il diritto di ipoteca iscritto a favore del creditore, non responsabile dell’abuso, in data anteriore alla trascrizione nei registri immobiliari dell’atto di accertamento dell’inottemperanza alla ingiunzione a demolire.

La medesima declaratoria di illegittimità costituzionale è stata estesa in via consequenziale anche all’art. 31, comma 3, primo e secondo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, norma che è subentrata alla precedente e che presenta un identico contenuto precettivo.

L’interpretazione della giurisprudenza

Le disposizioni suddette erano state interpretate dalla Corte di cassazione e dal Consiglio di Stato nel senso di attribuire alla confisca edilizia la qualifica di acquisto a titolo originario, cui consegue, in mancanza di una diversa previsione di legge, l’estinzione di «eventuali ipoteche, pesi e vincoli preesistenti».

La Consulta, preso atto di tale interpretazione, “ha ritenuto irragionevole e sproporzionato che non sia fatto salvo il diritto di ipoteca, ove il creditore titolare di tale garanzia reale non sia responsabile dell’abuso edilizio. In tal caso, infatti, il creditore non è tenuto a rispondere della mancata demolizione dell’immobile abusivo, vale a dire dell’illecito al quale consegue la sanzione della confisca”.

Effetto sanzionatorio

Pertanto, l’estinzione del diritto di ipoteca finisce per far subire al creditore ipotecario l’effetto sanzionatorio di un illecito commesso da altri.

Del resto, ha rilevato il giudice delle leggi, “la tutela del credito ipotecario non sacrifica l’interesse al rispetto della normativa urbanistico-edilizia. Tale tutela si realizza, infatti, attraverso l’espropriazione forzata e, se l’immobile oggetto della vendita forzata è abusivo, l’aggiudicatario deve comunque o sanare l’abuso o demolirlo”.

La Corte, infine, ha reputato sproporzionato il sacrificio imposto al creditore, non responsabile dell’abuso, attraverso l’estinzione del diritto di ipoteca, “in quanto al creditore residuerebbero in tal caso rimedi inesigibili o inadeguati a compensare il pregiudizio ingiustificatamente comminato”.

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autonomia differenziata

Autonomia differenziata: la Consulta ha fissato l’udienza Sarà il 12 novembre 2024 l'udienza pubblica per la discussione delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dalle Regioni

Autonomia differenziata: il presidente della Corte costituzionale Augusto Barbera ha fissato, per l’udienza pubblica del 12 novembre 2024, la discussione delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Regione Puglia (ricorso n. 28) e dalla Regione Toscana (ricorso n. 29) sulla legge n. 86 del 26 giugno 2024 “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione”.

Seguirà, si legge nel comunicato della Consulta, “a scadenza termini prevista per martedì 8 ottobre, la fissazione, sempre per l’udienza pubblica del prossimo 12 novembre, della discussione delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Regione autonoma della Sardegna (ricorso n. 30) e dalla Regione Campania (ricorso n. 31) riguardanti la stessa legge”.

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carta del docente

Carta del docente La carta del docente, che riconosce ai docenti di ruolo 500 euro annuali per la formazione, presto subirà una diminuzione dell’importo 

Carta del docente: cos’è

La carta del docente è una misura prevista e regolata dal comma 121 dell’articolo 1 della legge n. 107/2015.Questo bonus è stato previsto per sostenere la formazione continua dei docenti e per valorizzarne le competenze professionali.

La carta elettronica per l’aggiornamento e la formazione è prevista per i docenti di ruolo di ogni istituzione scolastica di ogni ordine e grado.

Fino ad oggi la carta è stata erogata per l’importo nominale di 500,00 euro per ogni anno scolastico.

A cosa serve la carta del docente

La carta del docente può essere utilizzata per acquistare libri e testi, anche in formato digitale, pubblicazioni e riviste utili all’aggiornamento professionale. Essa può essere impiegata anche per l’acquisto di hardware, software, iscrizione a corsi di aggiornamento e di qualificazione delle competenze professionali svolti da enti accreditati presso il ministero dell’istruzione. L’importo può essere altresì utilizzato per frequentare corsi post laurea o master universitari collegati al profilo professionale, ma anche per assistere a rappresentazioni teatrali e cinematografiche, per l’ingresso a mostre, musei, eventi culturali, spettacoli dal vivo e iniziative coerenti con le attività del piano triennale dell’offerta formativa delle scuole e del piano nazionale di formazione.

Dal punto di vista fiscale la carta non costituisce una retribuzione accessoria e non è un reddito imponibile.

I docenti esclusi

Come già precisato, la carta del docente spetta solo agli insegnanti di ruolo. I docenti precari ad oggi. possono ottenerla solo rivolgendosi al giudice del lavoro.

Riduzione dell’importo in arrivo

A partire dall’anno scolastico 2024/2025 l’importo della carta subirà una notevole diminuzione. L’importo attuale di 500,00 euro annuali scenderà inizialmente a 425,00 euro e poi a 400,00 euro. Lo ha annunciato la federazione dei lavoratori della conoscenza FLC Cgil con un comunicato del 23 settembre 2024.

I motivi della riduzione devono rinvenirsi nel mutamento di destinazione delle risorse.

Le risorse che verranno tolte alla carta del docente per finanziarne la formazione e l’aggiornamento saranno impiegate, per l’importo di 19 milioni di euro, per il pagamento della retribuzione dei docenti che svolgeranno il tutoraggio degli aspiranti insegnanti di ruolo.

Ulteriori 40 milioni di euro, che comporteranno la diminuzione del valore della carta a 400,00 euro annui, saranno invece impiegati per finanziare i corsi di formazione dei docenti stabilmente incentivati. Trattasi di un percorso selettivo destinato a un ristretto numero di docenti che riceveranno un premio in presenza di una valutazione positiva conseguita al termine di un percorso formativo composto da tre cicli triennali successivi.

Il taglio alla carta del docente è diretta conseguenza delle disposizioni di legge contenute nel decreto legge n. 36/2022 contenente. L’attuazione delle misure previste dal PNRR in materia di istruzione.

 

Leggi anche: “Ddl Valditara: le nuove misure per la scuola

giurista risponde

Proroga unilaterale dell’affidamento di servizio pubblico e corrispettivo dovuto È legittima la proroga unilaterale dell’affidamento di un servizio pubblico e sul corrispettivo dovuto all’affidatario?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante

 

No, è illegittima la proroga unilaterale dell’affidamento di un servizio pubblico (CGARS 9 luglio 2024, n. 527).

Con riguardo alla vicenda in esame, la società appellante evidenzia come l’originario contratto del 15 marzo 2016 di affidamento del servizio aveva una durata di sessanta mesi, fino al 31 dicembre 2020. Tale contratto veniva dapprima prorogato retroattivamente con D.D.G. 29 dicembre 2021, n. 4536, facendo espresso riferimento all’art. 92, comma 4ter D.L. 18/2020, convertito, con modificazioni, con L. 27/2020. La suddetta proroga è stata poi ulteriormente estesa fino al 30 settembre 2022 e successivamente fino al 28 febbraio 2023 tramite note dell’Assessorato.

Il Collegio osserva che è illegittimo il provvedimento della Regione che imponga, ai sensi dell’art. 92, comma 4ter, D.L. 18/2020, in via unilaterale, la proroga dell’affidamento di un servizio pubblico, in quanto la norma citata – nel consentire la proroga degli affidamenti in atto al 23 febbraio 2020 fino a dodici mesi successivi alla dichiarazione di conclusione dell’emergenza dovuta al virus Covid-19 – presuppone comunque necessariamente il consenso del privato, affidatario del servizio e destinatario della proroga stessa, non potendo tale norma essere interpretata nel senso di consentire all’amministrazione di imporre, in via unilaterale, una proroga al contratto contro la volontà dell’affidatario.

Ad ogni modo, ha natura di danno ingiusto e deve essere risarcito il pregiudizio patrimoniale subito dall’affidatario di un servizio pubblico che abbia continuato a svolgere il servizio alle medesime condizioni economiche nelle more dell’individuazione del nuovo affidatario anche oltre lo svolgimento di una prima procedura andata deserta, in quanto, anche in presenza di una clausola contrattuale che ciò preveda, essa deve essere interpretata secondo buona fede ex art. 1366 c.c., con la conseguenza che la ultravigenza del corrispettivo può estendersi temporalmente fino all’espletamento della prima gara, ma non anche per tutto il successivo periodo di tempo necessario per l’espletamento di ulteriori gare, qualora la prima gara sia andata deserta.

*Contributo in tema di “Proroga unilaterale dell’affidamento di servizio pubblico e corrispettivo dovuto”, a cura di Claudia Buonsante, estratto da Obiettivo Magistrato n. 77 / settembre 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica

corte ue

Corte Ue: in vigore il trasferimento di competenze al tribunale Entrano in vigore oggi 1° ottobre le norme relative al trasferimento parziale della competenza pregiudiziale della Corte di Giustizia al Tribunale

Corte Ue, trasferimento competenze al tribunale

Corte Ue: entrano in vigore da oggi 1° ottobre, le norme relative al trasferimento parziale della competenza pregiudiziale al Tribunale, come annunciato in occasione della pubblicazione, nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, del regolamento 2024/2019 che modifica il protocollo n. 3 sullo statuto della CGUE.

Domande presentate alla CGUE

Per motivi di certezza del diritto e di celerità, spiega la nota della CGUE, tutte le domande di pronuncia pregiudiziale continueranno ad essere presentate alla Corte di giustizia, che procederà ad un’analisi preliminare del loro oggetto, ma, non appena svolta tale analisi, le domande che rientrano esclusivamente in una o più materie specifiche previste dall’articolo 50 ter, primo comma, dello statuto 2 saranno trasferite al Tribunale.

Il Tribunale tratterà le domande di pronuncia pregiudiziale che gli saranno state trasmesse dalla Corte di giustizia allo stesso modo di quest’ultima e applicherà le stesse norme di procedura. Anche le decisioni che il Tribunale UE pronuncerà in materia pregiudiziale avranno lo stesso valore di quelle della Corte di giustizia.

Il riesame

Nella misura in cui il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e lo statuto prevedono tuttavia, in via eccezionale, la possibilità di un riesame, su proposta del primo avvocato generale, delle decisioni pregiudiziali del Tribunale in caso di grave rischio di pregiudizio all’unità o alla coerenza del diritto dell’Unione, la decisione del Tribunale diventerà definitiva solo in assenza di tale proposta, la quale deve obbligatoriamente essere formulata entro un mese dalla decisione del Tribunale.

Nell’ipotesi in cui, invece, una proposta di riesame di tale decisione dovesse essere formulata dal primo avvocato generale, occorrerà attendere che la Corte di giustizia si sia pronunciata su tale proposta affinché la decisione del Tribunale diventi definitiva o che la decisione della Corte di giustizia sostituisca quella del Tribunale.

responsabilità amministrativa da reato

Responsabilità amministrativa da reato nei gruppi d’impresa Il reato commesso nell’interesse o vantaggio di una società del gruppo d’impresa determina l’integrazione della responsabilità amministrativa ai sensi del d.lgs. n. 231/2001 a carico di tutte le società del gruppo d’impresa?

Gruppo d’impresa e d.lgs. n. 231/2001

Ad oggi il mercato globale preferisce alla “singola grande impresa” la costituzione di una struttura organizzativa che permetta un ampliamento dell’operatività aziendale tra più soggetti societari, ossia, il gruppo d’impresa (più società formalmente e giuridicamente autonome, soggette ad una direzione unitaria da parte di una società capogruppo o holding per il perseguimento di uno scopo comune, il c.d. interesse di gruppo).

Il decreto legislativo n. 231/2001 (“il Decreto”) si pone in un sistema normativo che parte da una valutazione monistica dell’ente e nulla dispone in merito al gruppo d’impresa. L’art. 1 del Decreto, infatti, nell’elencazione dei destinatari non menziona la realtà societaria costituita da separate soggettività.

Responsabilità amministrativa da reato

Nonostante il Decreto non preveda alcuna disposizione in merito, l’analisi della terminologia normativa utilizzata negli articoli dello stesso (ente – singolo organo societario) presuppone una negazione della diffusione automatica della responsabilità amministrativa da reato all’interno del gruppo d’impresa qualora un soggetto (di cui all’art 5 del Decreto[1]) commetta uno o più reati[2] nell’interesse o vantaggio della realtà societaria di appartenenza.

Il confine dell’imputabilità solo ad una delle società “costituenti” del gruppo d’impresa si desume dalla constatazione che a differenza della qualificazione economica di gruppo, soggetto unico atto a perseguire un fine comune, in diritto le società per quanto correlate tra loro sono individuabili come entità autonome e indipendenti, dotate di una propria soggettività giuridica.

L’estensione della responsabilità amministrativa da reato ai sensi del Decreto a più società del gruppo d’impresa sussiste solo qualora il reato sia stato commesso grazie al concorso tra più soggetti, i cui intenti per natura identici (prefigurazione di un interesse o vantaggio a favore dell’ente), si differenziano per la diversificazione dei destinatari (diverse società del gruppo d’impresa).

Non imputabilità delle società della holding

In conclusione, le “società componenti” (holding o controllate), quindi, non saranno mai imputabili solo in ragione della loro mera appartenenza al gruppo d’impresa, le stesse, infatti, al fine di godere dell’opportunità di esenzione dalla responsabilità amministrativa da reato ai sensi del Decreto sono tenute a fornire “elementi probatori” tali da dimostrare di avere adottato una politica aziendale repressiva delle condotte delittuose perseguibili nel proprio e singolare contesto societario.

Al riguardo, giova rilevare che ai sensi degli artt. 6 e 7 del Decreto uno degli “elementi probatori” tale da fornire l’opportunità di esenzione dalla responsabilità amministrativa da reato consiste nella predisposizione di un modello di organizzazione, gestione e controllo nel quale sono riportate le policies etiche ed organizzative in linea alla realtà aziendale di cui la “singola” società è protagonista.

L’adozione di un modello di organizzazione, gestione e controllo “comunitario” del gruppo d’impresa, quindi, non è una soluzione conforme alla normativa prevista dal Decreto, in quanto, la differenza di contesti, attività ed operazioni delle società del gruppo d’impresa non permetterebbe di adottare una “modalità d’azione” concretamente repressiva dei reati previsti dallo stesso.

 

[1] “L’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio: a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso; b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a).”

[2] Fattispecie di illecito tassativamente richiamate dagli articoli del Decreto (c.d. reati presupposto).

decreto omnibus

Decreto Omnibus: lotta al pezzotto e stretta contro le VPN Decreto Omnibus: per la lotta alla pirateria che danneggia il mondo del calcio due emendamenti intervengono contro le VPN

Pezzotto: gli interventi contro la pirateria

Decreto omnibus contro le VPN. Continua la lotta alla pirateria dopo il pezzotto, oggetto di diversi interventi per tutelare il mondo del calcio. La misura adottata più di recente è rappresentata dalla “Piracy Shield”. Si tratta della piattaforma che gestisce automaticamente le segnalazioni che seguono l’ordine cautelare dell’Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni.

Un protocollo siglato da Agcom, la Guardia di Finanza e la Procura di Roma prevede invece l’identificazione e la possibilità di sanzionare gli utilizzatori del decoder che riescono ad accedere illegalmente ai contenuti delle Tv a pagamento. Ci sono però altre novità in arrivo sulla lotta alla pirateria.

Decreto omnibus: stretta anche per le VPN

Presso il Senato della Repubblica è in fase di conversione in legge il decreto omnibus n. 113/2024. Al momento il testo è in corso di esame in commissione dal 26 settembre 2024. In questa sede i senatori Damiani (Forza Italia) Loris e Zedda (entrambi di Fratelli d’Italia) hanno presentato due emendamenti, dichiarati inizialmente inammissibili.

Decreto omnibus: reclusione per omessa o tardiva segnalazione

L’emendamento 6.0.36  interviene sul testo di legge n. 633/1941. Dopo l’articolo 174 quinques l’emendamento aggiungerebbe l’articolo 174 sexies. La nuova norma impone in sostanza ai provider di segnalare alle autorità competenti gli illeciti, ma anche i casi in cui vi sia il dubbio di ritrasmissione illecita di contenuti, disponendo la pena della reclusione fino a un anno se la segnalazione viene omessa o effettuata con ritardo.

Piracy Shield per VPN e DNS

L’emendamento 6.0.35 interviene invece sulla formulazione letterale dell’articolo 2 della legge n. 93/2023 che contiene le disposizioni sulla prevenzione e repressione della diffusione illecita di contenuti tutelati dal diritto d’autore tramite le reti di comunicazione elettronica.

Come cambierebbe la norma

Sulla base delle modifiche proposte (evidenziate in grassetto) le disposizioni interessate dalla modifica contenute nell’articolo 2 assumerebbero il seguente tenore:

1. L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, di seguito denominata «Autorità», con proprio provvedimento, ordina ai prestatori di servizi, compresi i prestatori di accesso alla rete, di disabilitare l’accesso a contenuti diffusi abusivamente mediante il blocco della risoluzione DNS dei nomi di dominio e il blocco dell’instradamento del traffico di rete verso gli indirizzi IP prevalentemente destinati ad attività illecite.”

“3. con provvedimento cautelare adottato con procedimento abbreviato senza contraddittorio, l’Autorità ordina ai prestatori di servizi, compresi i prestatori di servizi di accesso alla rete, e i fornitori di servizi di VPN e quelli di DNS alternativi, ovunque residenti ed ovunque localizzati (…)”

… LAutorità, con proprio regolamento, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, disciplina il procedimento cautelare abbreviato di cui al presente comma, assicurandone la necessaria tempestività e garantendo strumenti di reclamo al soggetto destinatario del provvedimento  “garantendo altresì ad ogni soggetto che dimostri di possedere un interesse qualificato la possibilità di chiedere la revoca dei provvedimenti di inibizione all’accesso, per documentata carenza dei requisiti di legge, anche sopravvenuta.

“5. Il provvedimento di disabilitazione di cui al comma 1 è notificato immediatamente dall’Autorità ai prestatori di servizi di accesso alla rete, compresi i fornitori di servizi di VPN e a quelli di DNS alternativi, ovunque residenti ed ovunque localizzati …

“I soggetti gestori di motori di ricerca e i fornitori di servizi della società dell’informazione, nel caso in cui non siano coinvolti nell’accessibilità del sito web o dei servizi illegali, provvedono comunque entro il medesimo termine massimo di 30 minuti dalla notificazione del provvedimento di disabilitazione, ad adottare tutte le misure tecniche utili ad ostacolare la visibilità dei contenuti illeciti…”

Questo emendamento prevede in sostanza che i VPN e i DNS dovranno recepire i blocchi della Piracy Shield.

Limiti quantitativi di IP e FQDN: stop dopo il 1° anno

All’articolo 2 l’emendamento aggiunge inoltre il nuovo comma 8: L’Autorità, limitatamente al primo anno di funzionamento della piattaforma, può fissare limiti quantitativi massimi di IP ed FQDN che possono essere oggetto di blocco contemporaneamente. Decorso il primo anno di operatività della piattaforma nessun limite quantitativo è consentito”.

Il nuovo comma 8 prevede in pratica l’eliminazione del limite di IP da bloccare dopo il primo anno di funzionamento della piattaforma.

 

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