Licenziamento per rifiuto di svolgere mansioni diverse
Legittimo il licenziamento del dipendente che rifiuta di svolgere mansioni diverse nell’ambito della propria qualifica. Lo ha statuito la Cassazione con l’ordinanza n. 17270/2024, respingendo il ricorso di un operatore ecologico che era stato licenziato a fronte del rifiuto, senza giustificazione, di adempiere alla raccolta di rifiuti con l’ausilio del mezzo aziendale.
La vicenda
Nella vicenda, la Corte d’appello di Catanzaro aveva accolto il reclamo incidentale proposto dalla società datrice avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto l’impugnativa del licenziamento per giustificato motivo soggettivo intimato al lavoratore.
Per la Corte territoriale, il licenziamento era stato intimato a fronte del rifiuto del lavoratore di eseguire la prestazione lavorativa per ben quattro giorni, durante i quali era stato assegnato ad eseguire la raccolta dei rifiuti con l’ausilio dell’automezzo aziendale, dichiarando di essere un operatore ecologico e di non essere tenuto a svolgere mansioni di autista e che pertanto sarebbe rimasto a disposizione in cantiere. Era integrato, pertanto, il grave inadempimento degli obblighi contrattuali di cui all’articolo 2104, comma 2 c.c. e all’articolo 70, comma 4, lett. e) del c.c.n.l.
L’uomo adiva quindi il Palazzaccio.
Giusta causa e giustificato motivo soggettivo
Per gli Ermellini, le tesi del ricorrente non sono fondate. Come costantemente affermato dalla giurisprudenza, anticipano i giudici, “dalla natura legale della nozione di giusta causa e di giustificato motivo soggettivo di licenziamento deriva che l’elencazione delle ipotesi di giusta causa e giustificato motivo contenuta nei contratti collettivi abbia valenza meramente esemplificativa, sicché non preclude un’autonoma valutazione del giudice di merito (Cass. n. 2830 del 2016), al quale spetta, non essendo vincolante la tipizzazione contenuta nella contrattazione collettiva, la valutazione di gravità del fatto e della sua proporzionalità rispetto alla sanzione irrogata dal datore di lavoro, avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie (tra le recenti v. Cass. n. 33811 del 2021)”.
La scala valoriale formulata dalle parti sociali costituisce quindi “solo uno dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale dell’art. 2119 c.c. (Cass. n. 17321 del 2020) e in tal senso depone l’art. 30 della legge 183 del 2010”.
La decisione
Nella specie, la Corte d’appello si è attenuta ai canoni giurisprudenziali attraverso cui sono state definite le nozioni legali di giusta causa e giustificato motivo soggettivo e di proporzionalità della misura espulsiva ed ha motivatamente valutato la gravità dell’infrazione, in particolare sottolineando come, proseguono dalla S.C., “il rifiuto del lavoratore di adempiere la prestazione lavorativa secondo le direttive aziendali, e specificamente di procedere alla conduzione dei veicoli quale attività rientrante nel suo profilo professionale, opposto reiteratamente ed ingiustificatamente per più giorni e in modo tale da impedire il regolare espletamento del servizio pubblico appaltato alla società, costituisse condotta idonea a ledere definitivamente il vincolo fiduciario ed a giustificare il recesso”.
Da qui il respingimento del ricorso.