Omicidio Lorena Quaranta: sentenza annullata per stress da Covid La Cassazione penale annulla la sentenza di condanna all'ergastolo del fidanzato della vittima. Per i giudici è da valutare "lo stress da lockdown e pandemia" - Il testo della sentenza in pdf
Femminicidio Lorena Quaranta: sentenza annullata
Fa scalpore, ma fa anche discutere e indignare la sentenza della prima sezione penale della Corte di Cassazione n. 27115-2024 che riguarda l’omicidio della giovane Lorena Quaranta.
La sentenza della Corte di Assise che ha disposto la condanna all’ergastolo del fidanzato per omicidio volontario aggravato dalla commissione contro una persona legata a lui da una stabile convivenza affettiva, deve essere annullata nella parte in cui nega il riconoscimento delle circostanze attenuanti.
Per la Cassazione i giudici di merito non hanno verificato compiutamente se, dato il contesto “possa ed in quale misura ascriversi all’imputato di non avere «efficacemente tentato di contrastare» lo stato di angoscia del quale era preda e, parallelamente, se la fonte del disagio, evidentemente rappresentata dal sopraggiungere dell’emergenza pandemica; con tutto ciò che essa ha determinato sulla vita di ciascuno e, quindi, anche dei protagonisti della vicenda, e, ancor più, la contingente difficoltà di porvi rimedio costituiscano fattori incidenti sulla misura della responsabilità penale.” Lo stress che ha colpito l’omicida, come tutti durante il lockdown, potrebbe comportare una riduzione della pena.
Lockdown: marcata concitazione emotiva
Nella sentenza si legge che nei giorni che hanno preceduto l’omicidio, caratterizzati dalle restrizioni imposte dalla pandemia, il fidanzato della Quaranta ha manifestato una forte preoccupazione per l’affezione delle vie respiratorie che aveva colpito la compagna. Dalla fine del mese di marzo il disagio si sarebbe così aggravato che l’uomo, senza preoccuparsi della fidanzata bisognosa di cure, si sarebbe allontanato per recarsi dai suoi familiari, che però lo convincevano a tenere un comportamento più responsabile e a tornare a casa dalla ragazza.
L’arrivo a casa non ha portato nessun beneficio al suo stato emotivo, una vicina ha riferito di averlo visto salire e scendere le scale in modo frenetico. Dopo qualche ora di calma l’omicida tornava ad agitarsi, tanto che alle 4 di notte contattava telefonicamente il padre. Alle 6 del mattino arriva la lite con la compagna, i colpi alla fronte con un oggetto contundente, la mano sulla bocca e sul naso, la stretta al collo e infine l’arresto cardio circolatorio per asfissia della giovane donna. All’episodio segue il tentativo di suicidio dell’uomo, dapprima tramite il taglio dei polsi e poi tramite il getto del phon della vasca in cui si era immerso e che ha comportato l’attivazione del salvavita e infine il contatto delle forze dell’ordine.
Esclusione delle attenuanti
La Cassazione rileva in fatto come la Corte di Assise di Appello non abbia riconosciuto le attenuanti generiche perchè la perizia del CTU ha escluso la presenza di una patologia psichiatrica in grado di inficiare la capacità di intendere e di volere dell’imputato. Per il giudice dell’appello l’imputato, nel compiere l’omicidio, ha agito con determinazione e crudeltà, modalità espressive che non sono ricollegabili allo stato d’ansia in cui versava quando ha commesso l’omicidio e che lo stesso non ha tentato di contrastare.
Motivazione contraddittoria
Preso atto del quadro probatorio emerso nei precedenti gradi di giudizio gli Ermellini ritengono però fondato il motivo di doglianza relativo al diniego delle attenuanti generiche. Le ragioni del rigetto sono il frutto di un percorso argomentativo che per la Corte di Cassazione si caratterizza per aporie e contraddizioni non marginali. Non convincono le conclusioni della Corte dell’impugnazione, per la quale lo “stato d’ansia e di irrequietezza, comunque manifestato dall’imputato nelle ore immediatamente precedenti al delitto, non solo, come ampiamente argomentato, non ha compromesso la sua capacità di intendere e di volere, ma non ha certamente determinato, né giustificato, la furia, l’odio e l’efferatezza rivolti dal contro la povera (che non può escludersi abbiano tratto origine da un movente rimasto inesplorato).”
In un punto della sentenza infatti la Corte di merito, in contraddizione con le suddette conclusioni, afferma di rendersi conto implicitamente del fatto che “lo stato emotivo manifestato dall’imputato nei momenti antecedenti all’omicidio abbia influito concretamente sulla misura della responsabilità penale e sia, pertanto, valutabile positivamente ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche”.
L’angoscia incide sulla responsabilità penale?
L’omicida, a causa del lockdown e della pandemia ha vissuto un disagio sempre crescente, che è sfociato in angoscia, che lo ha portato a un certo punto a rifuggire alle sue responsabilità e a lasciare sola la compagna. Una scelta che probabilmente, secondo la sua visione, era l’unica possibile considerata l’impossibilità di accedere alle strutture sanitarie. Quando poi ha desistito dal suo progetto di fuga per recarsi dai familiari ha vissuto un dissidio interiore, che ha provocato le condotte altalenati successive del pomeriggio, della notte e della mattina dell’omicidio.
I giudici avrebbero omesso pertanto di verificare se, alla luce del contesto, sia possibile escludere che l’imputato non abbia tentato efficacemente di contrastare lo stato di angoscia di cui era preda e che traeva origine dall’emergenza pandemica e se la difficoltà contingente di rimediare a questa angoscia sono in grado di incidere sulla responsabilità penale.
Parola al giudice del rinvio
Da qui l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente al punto concernente l’applicabilità delle circostanze attenuanti generiche con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Corte di assise di appello di Reggio Calabria.
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