ricorso per saltum

Ricorso per saltum: il ricorso immediato in Cassazione Ricorso per saltum: cos'è, come è disciplinato, come funziona, quali sono gli esiti possibili, vantaggi e svantaggi

Ricorso per saltum: cos’è

Il sistema processuale penale italiano prevede diversi strumenti per contestare le decisioni del giudice. Tra questi, spicca il ricorso immediato in Cassazione, noto anche come ricorso “per saltum”. Questo strumento consente a una parte di impugnare direttamente una sentenza di primo grado davanti alla Corte di Cassazione, saltando il tradizionale giudizio di appello. La giurisprudenza richiede però l’accordo di tutte le parti.

L’articolo 569 del codice di procedura penale 

La norma che disciplina il ricorso per saltum nei processi penali è l’articolo 569 c.p.p, che così dispone:

1. La parte che ha diritto di appellare la sentenza di primo grado può proporre direttamente ricorso per cassazione.

2. Se la sentenza è appellata da una delle altre parti, si applica la disposizione dell’articolo 580. Tale disposizione non si applica se, entro quindici giorni dalla notificazione del ricorso, le parti che hanno proposto appello dichiarano tutte di rinunciarvi per proporre direttamente ricorso per cassazione. In tale caso, l’appello si converte in ricorso e le parti devono presentare entro quindici giorni dalla dichiarazione suddetta nuovi motivi, se l’atto di appello non aveva i requisiti per valere come ricorso.

3. La disposizione del comma 1 non si applica nei casi previsti dall’articolo 606 comma 1 lettere d) ed e). In tali casi, il ricorso eventualmente proposto si converte in appello.

4. Fuori dei casi in cui nel giudizio di appello si sarebbe dovuta annullare la sentenza di primo grado, la corte di cassazione, quando pronuncia l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata a norma del comma 1, dispone che gli atti siano trasmessi al giudice competente per l’appello.”

Ricorso per saltum: come funziona?

Dalla lettura dell’articolo 569 c.p.p emerge che chi ha il diritto di appellare una sentenza di primo grado può presentare, in via alternativa, il ricorso immediato per Cassazione. Questa opzione si applica però solo alle sentenze che normalmente sarebbero appellabili. Le sentenze inappellabili, infatti, si possono impugnare solo con il ricorso ordinario per Cassazione.

Il ricorso per saltum non può però pregiudicare i diritti delle altre parti a un processo su tre gradi. Difatti se una parte propone ricorso immediato in Cassazione e le altre parti appellano la medesima sentenza, il ricorso”per saltum” si trasforma in appello. Questa conversione avviene secondo l’articolo 580 c.p.p.

Alle altre parti però non può essere negato il diritto di riflettere sulla convenienza del ricorso “per saltum”. Se, entro quindici giorni dalla notifica del ricorso, tutte le parti che hanno proposto appello dichiarano di voler rinunciare, l’appello si converte in ricorso. In questo caso però le parti devono presentare nuovi motivi entro quindici giorni dalla dichiarazione, se l’atto di appello iniziale non rispettava i requisiti necessari per valere come un ricorso in Cassazione.

Ricorso immediato: in quali casi non si applica

Il ricorso “per saltum” però non è sempre possibile. Esso non si può utilizzare se i motivi di impugnazione riguardano:

  • la mancata assunzione di una prova decisiva richiesta durante l’istruzione dibattimentale;
  • la mancanza, la contraddittorietà o l’illogicità manifesta della motivazione. Questo vale quando il vizio emerge dal testo del provvedimento o da altri atti specificamente indicati.

In queste situazioni, il ricorso “per saltum” eventualmente proposto si trasforma in appello.

Esiti possibili del ricorso per saltum

La Cassazione può accogliere il ricorso o rigettarlo.

Quando lo accoglie è regola che disponga l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio al giudice dell’appello, fuori dai casi in cui nel giudizio di appello si sarebbe dovuta annullare la sentenza di primo grado.

Se invece la Cassazione rigetta il ricorso, la sentenza di primo grado impugnata viene confermata.

Vantaggi e svantaggi

Il ricorso “per saltum” offre il vantaggio di far risparmiare tempo e ridurre i costi.

Tuttavia, presenta anche degli svantaggi. Le parti perdono l’opportunità di presentare nuovi argomenti o prove in un eventuale secondo grado di giudizio.

Da precisare infine che il ricorso “per saltum” si ammette generalmente solo per motivi di diritto. Si può contestare cioè la corretta applicazione delle norme, mentre non si può ricorrere per questioni relative all’acquisizione o alla valutazione delle prove.

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misure cautelari personali

Misure cautelari personali Misure cautelari personali: definizione, principio di proporzionalità, normativa, presupposti, tipologie, normativa e giurisprudenza

Cosa sono le misure cautelari personali?

Le misure cautelari personali rappresentano strumenti giuridici che limitano temporaneamente la libertà personale di un soggetto nel corso di un procedimento penale. Vengono applicate per prevenire la fuga dell’imputato, la reiterazione del reato o l’inquinamento delle prove.

Le misure cautelari personali sono provvedimenti restrittivi imposti dal giudice prima della sentenza definitiva per garantire il buon andamento del processo.

Il principio di proporzionalità

Tra i principali criteri di scelta delle misure cautelari da applicare il giudice deve tenere conto del principio di proporzionalità della misura rispetto al reato contestato (art. 275 app).

Normativa di riferimento

Sono disciplinate dal Titolo I del Libro IV del Codice di Procedura Penale (articoli 272-315 app).

Queste le norme di maggiore rilievo:

  • art. 272 CPP: Principio di eccezionalità delle misure cautelari;
  • art. 273 CPP: Necessità di gravi indizi di colpevolezza;
  • art. 274 CPP: Esigenze cautelari;
  • art. 275 CPP: Principio di proporzionalità;
  • art. 280 CPP: Condizioni di applicabilità delle misure;
  • art. 292 CPP: Contenuto dell’ordinanza cautelare;
  • art. 309-311 CPP: Procedura di impugnazione delle misure cautelari.

Presupposti adozione misure cautelari personali

L’adozione di una misura cautelare personale richiede la presenza di determinati presupposti fondamentali:

1. gravi indizi di colpevolezza (art. 273 c.p.p);

2. esigenze cautelari (art. 274 c.p.p), che possono riguardare:

  • il pericolo di fuga;
  • la possibile reiterazione del reato;
  • l’inquinamento delle prove.

3. utilità della misura. 

Tipologie di misure cautelari personali

Le misure cautelari personali si distinguono in misure coercitive e misure interdittive.

Misure Coercitive

Le misure coercitive incidono direttamente sulla libertà personale dell’imputato.

  • Custodia cautelare in carcere (art. 285 c.p.p): è la misura più grave, applicata per reati particolarmente gravi (es. omicidio, mafia, terrorismo). Il giudice deve motivare la necessità di applicarla.
  • La custodia cautelare può avvenire anche in un istituto a custodia attenuata per le detenute madri (art. 285 bis c.p.p) e in un luogo di cura (art. 286 c.p.p).
  • Arresti domiciliari (art. 284 c.p.p): l’imputato è obbligato a rimanere presso la propria abitazione o altro luogo designato. Può essere concesso solo se sufficiente a tutelare le esigenze cautelari.
  • Obbligo di dimora (art. 283 c.p.p): impone all’indagato di risiedere in un determinato Comune senza allontanarsi.
  • Divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 282-ter c.p.p): viene adottato nei casi di reati contro la persona, come violenza domestica o stalking.
  • Obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria (art. 282 c.p.p): l’imputato deve presentarsi periodicamente presso un comando di polizia.
  • Divieto di espatrio (art. 281 c.p.p): l’imputato non può uscire dal territorio nazionale senza preventiva autorizzazione del giudice procedente.

Misure interdittive

Le misure interdittive non limitano direttamente la libertà personale, ma incidono sull’attività professionale o sociale dell’imputato.

  • Sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale (art. 288 c.p.p)
  • Sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio (art. 288 c.p.p);
  • Divieto temporaneo di contrattare con la Pubblica Amministrazione (art. 289 bis c.p.p)
  • Divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali o imprenditoriali (art. 290 c.p.p).

Durata delle misure cautelari

La durata della custodia cautelare è stabilita dall’art. 303 CPP e dipende dalla gravità del reato e dalla fase processuale:

  • Massimo 2 anni per reati puniti con pena massima non superiore a 6 anni;
  • Massimo 4 anni per reati puniti con pena non superiore nel massimo a 20 anni, salvo eccezioni;
  • Massimo 6 anni per reati con pena superiore a 20 anni o puniti con la pena dell’ergastolo.

Per quanto riguarda invece la durata delle misure cautelari diverse dalla custodia cautelare l’art. 308 c.p.p stabilisce che “perdono efficacia quando dall’inizio della loro esecuzione è decorso un periodo di tempo pari al doppio dei termini previsti dall’articolo 303.”

Le misure interdittive invece non possono durare più di 12 mesi, anche se possono essere rinnovate.

Per particolari delitti queste perdono efficacia con il decorso di sei mesi dalla loro esecuzione.

Giurisprudenza rilevante

La Corte di Cassazione ha spesso ribadito i criteri di applicazione delle misure cautelari:

Cassazione n. 8379/2025: a seguito della sentenza n. 173 del 2024 della Corte costituzionale, è stato dichiarato illegittimo l’automatismo con cui il giudice, dopo aver disposto il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa con le modalità di controllo previste dall’articolo 275-bis del codice di procedura penale, applichi una misura più restrittiva qualora si accerti l’impossibilità tecnica di tali controlli. La Corte ha stabilito che il giudice, in tale circostanza, deve invece riesaminare il caso specifico e decidere se aggravare o attenuare la misura originaria, sempre nel rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalità.

Cassazione n. 30996/2023: la vicenda cautelare richiede una valutazione continua e unitaria dei presupposti che la giustificano, il che significa che le condizioni richieste per l’applicazione di una specifica misura devono persistere non solo al momento iniziale, ma durante tutta la sua esecuzione. I principi di adeguatezza e proporzionalità devono quindi accompagnare quella particolare misura restrittiva non solo quando viene disposta, ma per tutta la sua durata nel processo. Se così non fosse, si verificherebbe una limitazione della libertà personale sproporzionata rispetto alla sua funzione, compromettendo il quadro costituzionale di riferimento.

 

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misure interdittive

Le misure interdittive Le misure interdittive: definizione, normativa di riferimento, durata e giurisprudenza della Cassazione

Cosa sono le misure interdittive?

Le misure interdittive rappresentano una categoria di misure cautelari personali applicate in ambito penale per impedire a un soggetto di svolgere determinate attività quando sussistono gravi indizi di reato. Si tratta di restrizioni che limitano temporaneamente i diritti dell’indagato o dell’imputato, senza comportare la detenzione, ma incidendo sulla sua attività professionale o sulla sua capacità di esercitare funzioni pubbliche.

Le misure interdittive sono provvedimenti restrittivi adottati dal giudice su richiesta del pubblico ministero per impedire a una persona di continuare a esercitare determinati ruoli, incarichi o attività professionali che potrebbero facilitare la commissione di nuovi reati o l’inquinamento delle prove.

Queste misure vengono applicate quando si ritiene che la libertà d’azione dell’indagato possa compromettere l’esito delle indagini o rappresentare un pericolo per la collettività.

Le misure interdittive si distinguono dalle misure coercitive (come la custodia cautelare in carcere o gli arresti domiciliari) perché non incidono direttamente sulla libertà personale, ma limitano specifiche facoltà dell’indagato.

Quali sono le misure interdittive?

Le principali misure interdittive previste dall’art. 290 del Codice di Procedura Penale (CPP) sono:

  • Sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio
    • Si applica a funzionari pubblici e impedisce loro di esercitare temporaneamente il proprio incarico.
    • È utilizzata in caso di reati contro la pubblica amministrazione (es. corruzione, abuso d’ufficio).
  • Sospensione dall’esercizio di una professione o arte
    • Impedisce all’indagato di esercitare la propria attività professionale (es. medici, avvocati, ingegneri) per il periodo stabilito dal giudice.
    • Applicata quando vi è il rischio che l’indagato possa reiterare il reato nell’ambito della sua professione.
  • Divieto temporaneo di contrattare con la Pubblica Amministrazione
    • Esclude un’azienda o un professionista dalla possibilità di stipulare contratti con enti pubblici.
    • Spesso adottata in casi di turbativa d’asta o frode negli appalti.
  • Interdizione temporanea dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese
    • Impedisce a un soggetto di ricoprire ruoli dirigenziali in aziende o enti per un periodo determinato.
    • Applicata nei reati societari o finanziari (es. bancarotta fraudolenta).
  • Sospensione temporanea dell’esercizio di attività imprenditoriale
    • Vieta all’indagato di gestire o dirigere un’attività economica, soprattutto in caso di reati economici o fallimentari.
  • Divieto di esercitare determinate funzioni o attività professionali
    • Impone una restrizione parziale nell’ambito lavorativo, consentendo all’indagato di continuare a lavorare con limiti imposti dal giudice.

Normativa di riferimento

Le misure interdittive trovano fondamento in diversi articoli del Codice di Procedura Penale e del Codice Penale, tra cui:

  • Art. 287 CPP – Definisce le condizioni per l’applicazione delle misure interdittive.
  • Art. 289 CPP – Regola la sospensione dall’esercizio di una professione o arte.
  • Art. 290 CPP – regola il divieto temporaneo di esercitare determinate attività imprenditoriali o professionali

Le misure interdittive possono essere adottate in fase cautelare (durante il processo) o come sanzioni accessorie in caso di condanna definitiva.

Quanto durano le misure interdittive?

La durata delle misure interdittive varia in base alla gravità del reato e al tipo di provvedimento adottato

La norma di riferimento è l’articolo 308 c.p.p. il comma 2 in particolare stabilisce un termine generale di 12 mesi. Scaduto il termine le stesse perdono efficacia, ma se sussistono esigenze probatorie le stesse possono essere rinnovate.

L’estinzione delle misure interdittive comunque, in base a quanto previsto dal comma 3 dell’articolo 308 c.p.p, non pregiudica il potere del giudice di applicare le pene accessorie (art. 28-37 cp) o altre misure interdittive.

Il soggetto colpito da una misura interdittiva può impugnare il provvedimento davanti al Tribunale del Riesame per chiederne la revoca o la modifica.

Giurisprudenza della Cassazione

La Corte di Cassazione ha più volte ribadito l’importanza delle misure interdittive nel prevenire la reiterazione del reato e proteggere l’interesse pubblico.

Cassazione n. 39752/2021: la legge, quando parla di “professioni” che possono essere sospese, non si riferisce unicamente a quelle che richiedono un’iscrizione a un albo, un permesso specifico o un’autorizzazione da parte delle autorità. In altre parole, anche se una persona non è iscritta a un albo professionale, la misura della sospensione dall’esercizio di una professione può comunque essere applicata. 

Cassazione n. 10940/2017:  È illegale applicare la misura cautelare della sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio a chi ricopre una carica elettiva ottenuta direttamente dal voto popolare. Questo divieto è espressamente stabilito dall’articolo 289, comma terzo, del codice di procedura penale.

Cassazione n. 42588/2011: per decidere se applicare una misura interdittiva (come la sospensione temporanea dall’esercizio della professione a un medico accusato di omicidio colposo), il giudice deve analizzare attentamente come è stato commesso il reato e valutare la personalità dell’accusato basandosi sui criteri indicati nell’articolo 133 del codice penale. È fondamentale considerare anche il livello di colpa, valutando quanto la condotta del medico si sia discostata dalle regole di prudenza violate, quanto l’evento fosse evitabile e quanto fosse ragionevole aspettarsi che il medico seguisse la condotta corretta.

 

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arresti domiciliari

Arresti domiciliari Arresti domiciliari: definizione, normativa, applicazione, differenze con la custodia cautelare e sentenze della Cassazione

Cosa sono gli arresti domiciliari?

Gli arresti domiciliari sono una misura cautelare personale di tipo coercitivo prevista dal Codice di procedura penale. Consistono nell’obbligo per l’indagato o l’imputato di rimanere presso il proprio domicilio o da altro luogo di privata dimora stabilito dal giudice, in attesa del processo o di ulteriori sviluppi processuali. L’obiettivo della misura deve essere identificato con la volontà di limitare la libertà personale dell’imputato quando sussistono esigenze cautelari, evitando la detenzione in carcere.

Normativa di riferimento sui domiciliari

La disciplina si trova nel Libro IV, Titolo I, Capo II del Codice di procedura penale. Le principali norme di riferimento sono:

  • 284 c.p.p.: disciplina generale degli arresti domiciliari.
  • 275 c.p.p.: principi di adeguatezza e proporzionalità delle misure cautelari.
  • 276 c.p.p.: sostituzione e cumulo con altre misure cautelari.
  • 303 c.p.p.: durata massima degli arresti domiciliari.

Quando si applicano gli arresti domiciliari

Gli arresti domiciliari possono essere disposti dal giudice per le indagini preliminari (GIP) o dal giudice procedente in presenza di tre condizioni fondamentali:

Gravi indizi di colpevolezza (art. 273 c.p.p.).

Esigenze cautelari (art. 274 c.p.p.), tra cui:

  • Pericolo di fuga;
  • Rischio di reiterazione del reato;
  • Possibile inquinamento delle prove.

Adeguatezza della misura: gli arresti domiciliari devono risultare idonei rispetto alla custodia cautelare in carcere, in base al principio di extrema ratio.

Reati per cui si applicano

Gli arresti domiciliari possono essere concessi per una vasta gamma di reati, ma generalmente si applicano per reati di media gravità, o nei casi in cui l’imputato non abbia precedenti o non rappresenti un pericolo per la collettività. Alcuni esempi:

  • Furto e truffa aggravata (artt. 624 e 640 c.p.).
  • Stupefacenti (spaccio di lieve entità) (art. 73, comma 5, D.P.R. 309/90).
  • Violenza privata (art. 610 c.p.).
  • Lesioni personali gravi (art. 582 c.p.).
  • Corruzione e concussione (artt. 318-319 c.p.).

Durata degli arresti domiciliari

La durata massima di questa misura è regolata dall’art. 303 c.p.p. e varia a seconda della pena detentiva massima. Questo articolo stabilisce che il termine massimo è:

  • di sei anni nei procedimenti per reati puniti con l’ergastolo o con una pena detentiva superiore a venti anni;
  • di quattro anni per i reati la cui pena detentiva massima non supera i venti anni;
  • di due anni per i reati con una pena detentiva massima fino a sei anni.

Differenze con la custodia cautelare in carcere

Entrambe le misure sono misure cautelari coercitive, ma con importanti differenze:

Caratteristica Arresti Domiciliari Custodia Cautelare
Luogo di esecuzione Domicilio o luogo indicato dal giudice Carcere
Grado di restrizione Limitato, con eventuale permesso di uscita per motivi lavorativi o sanitari Massimo, con privazione totale della libertà
Presupposti Necessaria una valutazione di idoneità rispetto alla custodia in carcere Disposta nei casi più gravi o quando gli arresti domiciliari sono insufficienti
Applicabilità Reati meno gravi o imputati senza precedenti Reati più gravi e pericolo concreto

 

Giurisprudenza rilevante

La Corte di Cassazione ha chiarito in diverse pronunce i criteri di applicazione:

Cassazione n. 18035/2022: chi è agli arresti domiciliari commette reato se si allontana oltre un chilometro dal percorso autorizzato, eludendo così i controlli. Per configurare il dolo di evasione, è sufficiente essere consapevoli della misura restrittiva e agire volontariamente per violarla.

Cassazione n. 20026/2022: annullata l’ordinanza che imponeva gli arresti domiciliari a un medico per non aver somministrato il vaccino ai pazienti, sottolineando l’importanza del principio di proporzionalità nelle misure cautelari. Eccessiva la detenzione domiciliare, l’interdizione dalla professione è sufficiente a prevenire la reiterazione del reato.

Cassazione SU n. 7635/2022: la sottoposizione dell’imputato ai domiciliari per altra causa, debitamente documentata o comunicata al giudice procedente in qualsiasi momento, costituisce un impedimento legittimo a comparire. Di conseguenza, il giudice è tenuto a rinviare l’udienza e a disporre la traduzione dell’imputato.

 

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affidamento in prova

Affidamento in prova all’estero: la Cassazione apre alla possibilità Per la giurisprudenza di legittimità, il condannato può essere affidato in prova ai servizi sociali in uno degli Stati membri

Affidamento in prova ai servizi sociali all’estero

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7352/2025 della Prima Sezione Penale, ha stabilito che l’affidamento in prova ai servizi sociali può essere eseguito in un altro Stato membro dell’Unione Europea.

Il caso specifico

Nel caso esaminato, un condannato aveva richiesto di scontare la propria pena attraverso l’affidamento in prova ai servizi sociali in Francia, dove risiedeva stabilmente con la famiglia.

Il tribunale di sorveglianza dichiarava inammissibile l’istanza diretta ad ottenere la fruizione di misure alternative all’estero, sul presupposto che tale misura alternativa deve svolgersi in via continuativa all’interno del territorio nazionale.

L’uomo, tramite il difensore adiva il Palazzaccio. Si lamentava in particolare che nel decreto impugnato non si era tenuto conto delle sopravvenienze normative (d.lgs. n. 38/2016) e della conseguente evoluzione giurisprudenziale scaturitane, che ha affermato principi diametralmente opposti a quelli richiamati nel provvedimento.

Il decreto legislativo 38/2016

Per gli Ermellini, il ricorso è fondato.

L’indirizzo precedente, infatti, osservano “è stato superato dalla più recente giurisprudenza di legittimità, la quale è pervenuta alla opposta e condivisibile soluzione interpretativa sulla base della nuova disciplina introdotta dal decreto legislativo 15 febbraio 2016, n. 38, che ha dato attuazione alla decisione quadro 2008/947/GAI del Consiglio, del 27 novembre 2008, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze e alle decisioni di sospensione condizionale in vista della sorveglianza, delle misure di sospensione condizionale e delle sanzioni sostitutive”.

Difatti, a seguito dell’entrata in vigore di tale decreto legislativo, “si è ritenuto che il condannato possa essere affidato in prova ai servizi sociali in uno degli Stati che ha dato attuazione a tale decisione quadro” (cfr. ex multis, Cass. n. 20977 del 15/06/2020).

Affidamento in prova sanzione sostitutiva

Ciò in quanto “l’affidamento in prova, quale misura alternativa alla detenzione, deve ritenersi assimilabile, al di là del dato letterale, a una ‘sanzione sostitutiva’ come descritta dall’art. 2, lett. e), d.lgs. n. 38 del 2016, ovvero a una sanzione (misura) che impone obblighi e impartisce prescrizioni compatibili con quelli elencati nel successivo art. 4 e che costituiscono di norma il contenuto del «trattamento alternativo al carcere». Obblighi e prescrizioni diretti, da un lato, a promuovere la risocializzazione del condannato attraverso la imposizione di regole di condotta e del mantenimento di rapporti con il Servizio sociale, nonché di prescrizioni di solidarietà e, dall’altro, a neutralizzare fattori di recidiva attraverso la sottoposizione a obblighi e divieti concernenti la fissazione di una stabile dimora, la libertà di movimento, lo svolgimento di attività, la frequentazione di determinati soggetti che possono favorire l’occasione di commissione di altri reati, la frequentazione di locali, la detenzione di armi ecc.”.

Detenzione domiciliare e semilibertà non all’estero

Ad ogni modo, ricorda opportunamente la S.C., “la misura alternativa della detenzione domiciliare, richiesta in via subordinata dal ricorrente, non potrebbe, al contrario dell’affidamento in prova, essere eseguita in altro Stato, membro dell’Unione europea, in cui li condannato ha la residenza, poiché, non facendo cessare lo stato detentivo di quest’ultimo, non rientra nell’ambito di applicazione della decisione quadro 2008/947/GAI del 23 ottobre 2019 sul reciproco riconoscimento delle decisioni sulle ‘misure alternative alla detenzione cautelare’ e non è compresa tra le ipotesi di cui all’art. 4, lett. c), d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 36, di attuazione della decisione quadro (Sez. 1, n. 20771 del 04/03/2022, Ursilo, Rv. 283366 – 01)”.

Cosa che a maggior regione, precisano ancora i giudici, “deve valere per la semilibertà, che implica la detenzione notturna”.

La decisione

Fatte queste premesse, concludono dal Palazzaccio, la richiesta del condannato di eseguire la misura alternativa dell’affidamento, richiesta in via principale, in Francia, ove egli risiede stabilmente, “non avrebbe trovato alcun impedimento sul piano normativo, diversamente da quanto erroneamente affermato nel provvedimento impugnato”.

Da qui l’annullamento dello stesso con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Torino.

Allegati

incidente probatorio

Incidente probatorio Cos’è l’incidente probatorio, procedimento, i requisiti e l’ammissibilità e la giurisprudenza recente della Cassazione

Cos’è l’incidente probatorio

L’incidente probatorio è un istituto del diritto processuale penale italiano che consente l’acquisizione anticipata di prove durante le indagini preliminari, garantendo che queste vengano raccolte con le stesse formalità previste per il dibattimento. Questo strumento è disciplinato dagli articoli 392 e seguenti del Codice di Procedura Penale (c.p.p.).

Definizione e finalità

L’incidente probatorio permette al pubblico ministero o alla persona sottoposta alle indagini di richiedere al giudice l’assunzione anticipata di una prova quando vi è il rischio che questa possa disperdersi o non essere più acquisibile in sede dibattimentale. L’obiettivo principale consiste quindi nel preservare l’integrità e la disponibilità delle prove fondamentali per il processo.

Procedimento

La richiesta di incidente probatorio deve essere presentata dal pubblico ministero o dalla persona sottoposta alle indagini entro i termini previsti per la conclusione delle indagini preliminari e comunque entro un termine sufficiente per l’assunzione della prova prima della scadenza di detti termini. Una volta ricevuta la richiesta, il giudice valuta se sussistono i presupposti di legge per procedere. Se la richiesta viene accolta, l’assunzione della prova avviene in contraddittorio tra le parti, con le stesse garanzie previste per il dibattimento.

Requisiti e ammissibilità dell’incidente probatorio

Secondo l’articolo 392 c.p.p., l’incidente probatorio è ammissibile nei seguenti casi:

  • Testimonianza a rischio: quando vi è fondato motivo di ritenere che un testimone non potrà essere esaminato durante il dibattimento perchè vi sono elementi per ritenere che la stessa sia soggetta a violenza, minaccia o offerta di denaro per dichiarare il falso o non deporre;
  • Prove soggette a modifiche: quando si teme che una prova possa subire alterazioni o non essere più disponibile in futuro.
  • Reati specifici: nei procedimenti per determinati reati, come quelli contro la libertà sessuale o che coinvolgono minori, l’incidente probatorio può essere richiesto per assumere la testimonianza della persona offesa, anche al di fuori delle ipotesi sopra indicate.

Giurisprudenza della Cassazione

La giurisprudenza ha più volte affrontato temi legati all’incidente probatorio. Ad esempio, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27104 del 23 maggio 2024, hanno stabilito che è abnorme, e quindi impugnabile per cassazione, il provvedimento con cui il giudice rigetta la richiesta di incidente probatorio riguardante la testimonianza della persona offesa in reati come maltrattamenti, motivando il rigetto con la non vulnerabilità della persona offesa o la possibilità di rinviare la prova. La Corte ha ritenuto tali presupposti come presunti per legge, rendendo il rigetto del tutto ingiustificato.

La Corte di Cassazione, Sez. VI penale, con la sentenza n. 17521 del 2 maggio 2024, invece ha esaminato un ricorso contro l’ordinanza del GIP che aveva respinto la richiesta di incidente probatorio avanzata dal Pubblico Ministero. La richiesta riguardava l’escussione di un minore, presunta vittima di maltrattamenti da parte del padre, ai sensi dell’art. 392, comma 1-bis, c.p.p.

La Cassazione ha chiarito che il rigetto della richiesta non interrompe il procedimento, ma rientra nella discrezionalità del giudice. Il GIP valuta la necessità e l’opportunità dell’incidente probatorio in base alle specificità del caso e alla tutela del minore.

Cassazione n. 42942/2024: A seguito della modifica dell’art. 603, comma 3-bis, c.p.p. introdotta dall’art. 34, comma 1, lett. i), n. 1, del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, il giudice deve rinnovare l’istruttoria quando una diversa valutazione di una prova dichiarativa, considerata decisiva, riguarda una testimonianza raccolta tramite incidente probatorio. L’assenza di un’esplicita menzione delle prove acquisite con questa modalità non implica che il legislatore abbia voluto escluderle dalla rinnovazione.

 

 

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patteggiamento

Patteggiamento: applicazione pena su richiesta delle parti Il patteggiamento: guida completa all’applicazione della pena su richiesta delle parti ex artt. 444 e seguenti del Codice di procedura penale

Il patteggiamento: art. 444 e seguenti c.p.p.

Il patteggiamento, noto formalmente come applicazione della pena su richiesta delle parti, è un rito alternativo disciplinato dagli articoli 444 e seguenti del Codice di procedura penale (c.p.p.). Questo strumento processuale consente all’imputato e al pubblico ministero di concordare una pena, evitando così il dibattimento e ottenendo benefici sia in termini di tempi sia sotto il profilo sanzionatorio. Con le modifiche normative apportate dalla Riforma Cartabia al processo penale, il patteggiamento ha subito alcuni importanti aggiornamenti

Cos’è il patteggiamento?

Il patteggiamento è un accordo tra il pubblico ministero (PM) e l’imputato, con il quale le parti propongono al giudice una pena concordata. In questo rito alternativo:

  • non si svolge il dibattimento, evitando l’assunzione di prove in aula;
  • il giudice si limita a valutare la correttezza dell’accordo, l’esistenza delle condizioni di legge e la congruità della pena;
  • in caso di accoglimento, la sentenza di patteggiamento ha gli stessi effetti di una condanna penale, pur godendo di alcune agevolazioni.

Il patteggiamento è uno strumento utile per deflazionare il carico giudiziario, garantendo celerità nei procedimenti e favorendo la rieducazione del reo attraverso l’accettazione della pena concordata.

Come si richiede

Il patteggiamento può essere richiesto:

  1. dallimputato o dal suo difensore mediante un’istanza scritta;
  2. dal pubblico ministero, che può proporre un accordo all’

L’accordo deve prevedere una pena sostitutiva o dei una pena pecuniaria ridotta fino a un terzo o una pena detentiva, quando questa tenuto conto delle circostanze e diminuita fino a 1/3 non supera i 5 anni soli o congiunti a una pena di tipo pecuniario.

Procedura per la richiesta

  1. Presentazione dellistanza: l’imputato e il PM presentano congiuntamente la richiesta di applicazione della pena al giudice.
  2. Udienza di verifica: il giudice valuta:
  • la qualificazione giuridica del fatto;
    • l’applicazione e la comparazione delle circostanze prospettate dalle parti;
    • le determinazioni in merito alla confisca;
    • la congruità della pena rispetto al reato commesso.
  1. Emissione della sentenza: se il giudice ritiene fondato l’accordo, emette una sentenza di patteggiamento, che ha valore di condanna definitiva.

Per quali reati è ammesso

Il patteggiamento è ammesso per reati che prevedono pene detentive e/o pecuniarie, purché la pena concordata:

  • Non superi i 5 anni di reclusione (inclusi aumenti per la continuazione del reato e diminuzioni per attenuanti).
  • Sia combinabile con pene pecuniarie (multe, ammende).

Reati tipici oggetto di patteggiamento

  • Furto, truffa, appropriazione indebita.
  • Lesioni personali e reati contro la persona non gravi.
  • Reati in materia di stupefacenti di lieve entità (art. 73, comma 5, D.P.R. 309/1990).
  • Reati fiscali e tributari, se non gravemente lesivi dell’interesse pubblico.

Reati esclusi dal patteggiamento

Il patteggiamento non è ammesso per:

  • Reati di mafia, terrorismo o criminalità organizzata.
  • Reati di violenza sessuale aggravata, atti sessuali con minorenne, violenza sessuale di gruppo.
  • Reati con pene superiori ai 5 anni di reclusione (salvo applicazione di circostanze attenuanti).

Novità della riforma Cartabia

La Riforma Cartabia ha introdotto alcune modifiche al patteggiamento.

Nella richiesta di patteggiamento di cui all’art. 444 c.p.p. l’imputato e il Pm possono chiedere anche di non applicare le pene accessorie oppure di applicarle per una durata determinata, salvo eccezioni e di non ordinare la confisca oppure di disporla per specifici beni o per un importo determinato.

La sentenza pronunciata al termine del patteggiamento e anche dopo la chiusura del dibattimento non ha efficacia e non costituisce prova nei giudizi civili, disciplinari, tribunali o amministrativi, compreso quello finalizzato ad accertare la responsabilità contabile. Se poi non vengono applicate pene accessorie, non producono alcun effetto le disposizioni di leggi diverse da quelle penali, che equiparano la sentenza emessa all’esito del patteggiamento alla sentenza di condanna. Salvo eccezioni la sentenza di patteggiamento è equiparata a una pronuncia di condanna.

La volontà dell’imputato nella richiesta di patteggiamento è espressa personalmente o per mezzo di un procuratore speciale e la firma è autenticata da un notaio, dal difensore o da altro soggetto autorizzato.

Nel decreto con cui viene fissata l’udienza l’indagato viene informato della possibilità di accedere ai programmi di giustizia riparativa.

Nell’udienza art. 447, in quella preliminare nel giudizio direttissimo e in quello immediato, se l’imputato e il Pm chiedono una pena sostitutiva, il giudice decide immediatamente, ma se non è possibile sospende il processo e fissa una udienza apposita entro 60 giorni, avvisando le parti e l’ufficio di esecuzione esterno competente.

Effetti del patteggiamento

La sentenza emessa a seguito di patteggiamento ha gli stessi effetti di una condanna, ma con alcune particolarità:

  • la pena in essa contenuta è ridotta fino a un terzo;
  • la pronuncia non costituisce precedente ostativo per l’accesso a misure alternative alla detenzione;
  • la sentenza non compare nel certificato del casellario giudiziale richiesto dai privati (eccetto per specifiche eccezioni);
  • estinzione del reato di cui all art 445 c.p.p comma 2, in assenza di recidiva nei termini temporali indicati.

Differenza tra patteggiamento e rito abbreviato

Aspetto Patteggiamento Rito abbreviato
Natura Accordo tra PM e accusato sulla pena Giudizio basato sugli atti raccolti dal PM
Riduzione della pena Fino a 1/3 1/3 sulla pena finale
Svolgimento del processo Nessuna istruttoria, solo accordo tra le parti Giudizio sommario basato sugli atti del PM
Sentenza Di applicazione della pena – di condanna (no giudizio sul merito) Di merito (accertamento dei fatti) –  di condanna o assoluzione
Effetti sul casellario Non risulta nel casellario richiesto dai privati Risulta come sentenza ordinaria
Possibilità di appello Solo ricorso per vizi formali Appellabile nei limiti dell’art. 443 c.p.p.

  

 

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art. 415-bis c.p.p.

Art. 415-bis c.p.p. (Avviso di conclusione delle indagini) Art. 415-bis c.p.p: l’avviso della conclusione delle indagini preliminari, novità dell'ultimo correttivo Cartabia e giurisprudenza

Art. 415-bis c.p.p. cosa prevede

L’Art. 415-bis c.p.p italiano disciplina l’avviso all’indagato della conclusione delle indagini preliminari. Introdotto con la legge n. 479/1999, questo istituto ha l’obiettivo di garantire il diritto di difesa dell’indagato, informandolo della chiusura delle indagini e permettendogli di esercitare specifiche facoltà prima dell’eventuale esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero.

Contenuto avviso di conclusione delle indagini preliminari

Secondo quanto previsto dall’Art. 415-bis c.p.p, l’avviso deve contenere determinate informazioni.

  • Una sommaria enunciazione del fatto per il quale si procede, indicando le norme di legge che si assumono violate, la data e il luogo del fatto.
  • L’informazione che la documentazione relativa alle indagini è depositata presso la segreteria del pubblico ministero, con la facoltà per l’indagato e il suo difensore di prenderne visione ed estrarne copia.
  • L’avvertimento che, entro il termine di venti giorni dalla notifica dell’avviso, l’indagato può esercitare i diritti previsti dall’Art. 415-bis c.p.p comma 3, tra cui presentare memorie, produrre documenti, depositare documentazione relativa a investigazioni difensive, chiedere al pubblico ministero il compimento di atti di indagine, nonché presentarsi per rilasciare dichiarazioni o chiedere di essere sottoposto a interrogatorio.
  • Quando il PM, dopo le richieste dell’indagato procede con nuove indagini queste devono essere completate entro 30 giorni dalla richiesta. Questo termine può essere propagato dal GIP per una volta sola e per non più di 60 giorni.

Modifiche della riforma Cartabia all’art. 415-bis c.p.p,

La riforma Cartabia, in seguito all’ultimo correttivo contenuto nel dlgs n. 31/2024 ha apportato significative modifiche all’Art. 415-bis c.p.p, attraverso l’abrogazione dei commi 5 bis, ter, quater, quinquies e sexies.

Giurisprudenza rilevante

La Corte di Cassazione ha più volte affrontato questioni relative all’art. 415-bis c.p.p.:

Cassazione penale, Sez. 5, sentenza n. 20082/2024: “la nullità del decreto di citazione diretta a giudizio per omessa notifica all’imputato dell’avviso di cui all’Art. 415-bis c.p.p implica la lesione del diritto di difesa, ed è inquadrabile nelle nullità di ordine generale, che possono essere eccepite fino alla deliberazione della sentenza di primo grado.”

Cassazione penale,. Sez. V, sentenza n. 7585/2019:  Il pubblico ministero può legittimamente svolgere indagini di propria iniziativa nel periodo tra la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari e l’esercizio dell’azione penale, purché rispetti i termini previsti dagli artt. 405-407 c.p.p. Inoltre, deve depositare immediatamente la documentazione delle attività svolte e informare la difesa, garantendole così le prerogative dell’Art. 415-bis c.p.p commi 2 e 3. Se ciò non avviene, il materiale investigativo non potrà essere utilizzato, ma l’atto di imputazione resterà comunque valido.

Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 42037/2008: È stato stabilito che, nel caso in cui gli atti siano trasmessi al pubblico ministero per l’ulteriore corso a seguito dell’annullamento della sentenza di primo grado, non è necessaria la rinnovazione dell’avviso di cui all’Art. 415-bis c.p.p.

Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 29931/2006: La Corte ha chiarito che la nullità del decreto di citazione a giudizio per l’omesso avviso di conclusione delle indagini preliminari è una nullità a regime intermedio e deve essere eccepita o rilevata d’ufficio prima della deliberazione della sentenza di primo grado.

Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 9205/2003: È stato affermato che l’avviso di conclusione delle indagini preliminari non è dovuto nel caso di “imputazione coatta” formulata dal pubblico ministero a seguito del mancato accoglimento, da parte del giudice, della richiesta di archiviazione.

 

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il sequestro preventivo

Il sequestro preventivo Il sequestro preventivo nel codice di procedura penale: disciplina, revoca e differenze con il sequestro conservativo

Cos’è il sequestro preventivo e come funziona

Il sequestro preventivo è una misura cautelare reale disciplinata dagli articoli 321-323 del codice di procedura penale. La sua funzione principale è impedire che la disponibilità di un bene possa aggravare o protrarre le conseguenze di un reato, oppure agevolare la commissione di altri reati.

Secondo l’art. 321 c.p.p., il sequestro preventivo può essere disposto dal giudice, su richiesta del pubblico ministero, quando vi è il fondato timore che il bene oggetto del provvedimento possa essere utilizzato per fini illeciti. Il provvedimento deve essere motivato e indicare con precisione le ragioni che giustificano la misura.

La revoca del sequestro

Il sequestro preventivo può essere revocato o modificato quando vengono meno i presupposti che ne hanno giustificato l’adozione. L’art. 324 c.p.p. stabilisce che la revoca può essere richiesta dalla parte interessata in qualsiasi momento, presentando apposita istanza al giudice che ha emesso il provvedimento. Il giudice può decidere di revocare o modificare la misura se ritiene che non sussistano più le condizioni di pericolo per la commissione di reati o per la conservazione dello stato di fatto che ha giustificato il sequestro.

La conversione del sequestro preventivo

In alcuni casi, il sequestro preventivo può essere convertito in altre misure. Ad esempio, se il bene sequestrato è un immobile utilizzato per attività illecite, il giudice può disporre il suo affidamento a un amministratore giudiziario affinché ne garantisca un uso lecito.

Un altro caso di conversione si verifica quando il sequestro viene tramutato in confisca in caso di condanna definitiva, come previsto dall’art. 240-bis c.p. in materia di confisca allargata per reati di particolare gravità.

I mezzi di impugnazione

Contro il decreto di sequestro preventivo sono ammessi diversi mezzi di impugnazione:

  • Riesame (art. 324 c.p.p.): può essere richiesto dalla persona interessata entro 10 giorni dall’esecuzione del provvedimento. Il Tribunale del riesame può confermare, revocare o modificare il sequestro.
  • Ricorso per cassazione (art. 325 c.p.p.): può essere proposto per violazione di legge contro l’ordinanza del Tribunale del riesame.

Differenze tra sequestro preventivo e conservativo

Il sequestro preventivo non deve essere confuso con il sequestro conservativo, previsto dall’art. 316 c.p.p. Quest’ultimo ha una finalità patrimoniale ed è diretto a garantire l’eventuale risarcimento del danno o il pagamento di sanzioni pecuniarie derivanti dal reato.

Le principali differenze tra i due istituti sono:

  • Finalità: il sequestro preventivo mira a impedire la prosecuzione o l’aggravamento del reato, mentre il sequestro conservativo tutela il credito dello Stato o della parte civile.
  • Presupposti: si basa sul pericolo di reiterazione del reato o di aggravamento delle sue conseguenze; il sequestro conservativo, invece, richiede il rischio che l’imputato possa sottrarre i propri beni al soddisfacimento delle obbligazioni risarcitorie.
  • Effetti: è una misura cautelare reale, mentre il sequestro conservativo è una misura a tutela di un credito.
Legittimo l'obbligo di testimonianza

Legittimo l’obbligo di testimonianza del prossimo congiunto La Corte Costituzionale ha dichiarato non irragionevole l'obbligo previsto dal 1° comma dell'art. 199 c.p.p. se il familiare è persona offesa dal reato

Obbligo di testimonianza prossimo congiunto

Legittimo l’obbligo di testimonianza del prossimo congiunto dell’imputato che sia persona offesa dal reato. Così, la Corte costituzionale, con la sentenza numero 200/2024, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale relative al primo comma dell’art. 199 del codice di procedura penale. Disposizione che, mentre riconosce ai prossimi congiunti dell’imputato la facoltà di astenersi dal testimoniare, introduce un’eccezione per il familiare che sia persona offesa dal reato.

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Decidendo sulle censure del Tribunale di Firenze, riferite agli articoli 3, 27, secondo comma, 29 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’articolo 8 della CEDU, la Consulta ha affermato che “tale eccezione alla facoltà di astensione non è irragionevole, né sproporzionata, e neppure lede la vita e l’unità della famiglia”. Ciò in quanto essa, da un lato “corrisponde al fatto che proprio la condotta offensiva dell’imputato normalmente incide sul legame affettivo sotteso alla facoltà di astenersi”. Dall’altro, “protegge la vittima del reato dalle pressioni che spesso provengono dallo stesso ambito familiare affinché si astenga dal deporre”.

Legittimo l’obbligo di testimonianza: la decisione

È stata altresì disattesa dal giudice delle leggi – per il carattere fortemente “manipolativo” della sollecitata pronuncia – “la richiesta subordinata del rimettente, diretta a ottenere l’eliminazione dell’obbligo di deporre del congiunto, persona offesa, nell’ipotesi in cui la sua deposizione non sia assolutamente necessaria per l’accertamento dei fatti”.

La Corte ha sottolineato, infine, che quella del prossimo congiunto, offeso dal reato, “non si differenzia da un’ordinaria testimonianza, sicché nei suoi confronti può essere applicata, ove ne ricorrano gli estremi, la causa di non punibilità di cui all’articolo 384, primo comma, del codice penale”.