custodia cautelare

Custodia cautelare: vietato pubblicare l’ordinanza Il Consiglio dei ministri ha approvato in via preliminare il decreto che vieta la pubblicazione delle ordinanze nel corso delle indagini preliminari

Custodia cautelare: divieto pubblicazione ordinanza

Il Consiglio dei ministri interviene sulla pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare. Il 4 settembre 2024, per attuare gli impegni comunitari il CdM ha infatti approvato in via preliminare il testo di legge che adegua la legge italiana alla Direttiva UE 2016/343, attraverso l’attuazione dell’art. 4 della legge di delegazione europea n. 15/2024.

Ora il testo del decreto deve superare il parere non vincolante delle Commissioni parlamentari.

Ordinanza di custodia cautelare: finalità del divieto di pubblicazione

Il testo di legge approvato vuole perseguire diversi obiettivi:

  • integrare quanto già previsto dal decreto legislativo n. 188/2021;
  • garantire la piena attuazione della presunzione di innocenza contemplata dall’art. 27 della Costituzione “L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”;
  • rafforzare il diritto di presenza nei procedimenti penali.

Articolo 114 c.p.p: divieto di pubblicazione di atti e immagini

Per garantire in modo più efficace la presunzione di innocenza del soggetto indagato o imputato in un procedimento penale il testo interviene sull’articolo 114 del codice di procedura penale, che contiene il divieto di pubblicazione di atti e di immagini dei procedimenti penali.

In estrema sintesi il testo di legge, già soprannominato “legge bavaglio” dagli organismi di rappresentanza dei giornalisti, prevede il divieto di pubblicazione dell’ordinanza di custodia cautelare (versione integrale o per estratto) fino al termine delle indagini preliminari o dell’udienza preliminare.

Questo perchè le ordinanze cautelari sono quei sempre il risultato di una valutazione sommaria del PM nella fase delle indagini preliminari, che si caratterizzano per l’assenza di contraddittorio.

Emendamento “Costa”

Il provvedimento adottato non rappresenta una novità assoluta. L’emendamento al disegno di legge di delegazione europea è stato soprannominato “Costa” dal nome del proponente Enrico Costa. In base a questo emendamento, se un soggetto viene raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare si potrà procedere solo alla pubblicazione delle seguenti informazioni:

  • riassunto dell’atto giudiziario;
  • nome del destinatario dell’ordinanza;
  • ragioni dell’emissione del provvedimento.

Custodia cautelare: divieto di pubblicazione nella proposta di legge 2022

Il deputato Costa è lo stesso che il 29 novembre 2022 aveva presentato una proposta di legge (C. 653) alla Camera dei deputati contenente “Modifiche all’articolo 114 del codice di procedura penale, in materia di pubblicazione delle ordinanze che dispongono misure cautelari.”

La proposta, che interveniva sull’articolo 114 c.p.c, prevedeva, in un unico articolo  le seguenti modifiche: “a) al comma 2, le parole: «, fatta eccezione per lordinanza indicata dallarticolo 292 » sono soppresse; b) al comma 7 sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, fatta eccezione per lordinanza indicata dallarticolo 292, della quale è consentita esclusivamente la pubblicazione del nome e cognome del destinatario del provvedimento e dei delitti per i quali si procede.”

Nel discorso di presentazione della proposta il deputato denunciava l’eccessiva leggerezza con cui troppo spesso vengono disposte le misure cautelari e l’impiego delle stesse come forma “mascherata” di anticipazione della pena. La pubblicazione di queste ordinanze sui giornali di conseguenza viene percepita dall’opinione pubblica come una “sentenza di condanna” anticipata, che genera confusione, soprattuto se l’indagato non viene poi ritenuto responsabile.

Per evitare queste storture è necessario quindi impedire la pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelari fino a quando non siamo concluse le indagini preliminari o l’udienza preliminare. Per questo nella proposta di legge il deputato limitava la pubblicazione alle informazioni indispensabili rappresentate dal nome e cognome del destinatario e dal delitto per il quale si doveva procedere.

 

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pec efficace ufficio chiuso

Pec efficace anche se l’ufficio è chiuso La Cassazione chiarisce che l'invio via pec si considera efficace anche se l'ufficio è chiuso in base alla data di ricezione

Deposito telematico

Anche se l’ufficio è chiuso, l’invio via pec è da considerarsi efficace in base alla data di ricezione entro le 24 ore dalla scadenza, mentre ai fini dell’avvio delle attività che l’amministrazione deve compiere entro un termine perentorio, occorre tenere conto della conoscenza effettiva dell’atto che avviene nell’orario di apertura dell’ufficio al pubblico. Lo ha chiarito la seconda sezione penale della Cassazione con sentenza n. 28067/2024.

La vicenda

Nella vicenda, la Corte d’appello di Caltanissetta dichiarava inammissibile l’impugnazione della sentenza di primo grado ritenendo superato il termine per il deposito della stessa.

L’imputato adiva la Cassazione denunciando, tra l’altro, inosservanza della legge processuale prevista a pena di decadenza (art. 606, comma 1, lett. c, ni riferimento agli artt. 585, comma 1, lett. a, cod. proc. pen. e 87 bis, comma 1, ultima parte del d.lgs. 150/2022), per avere la Corte di merito stimato intempestiva l’impugnazione della sentenza di primo grado, nonostante l’atto di appello fosse stato trasmesso a mezzo p.e.c., come consentito dall’art. 87 bis, cit., e pervenuto presso la Cancelleria del giudice a quo entro le ore 24.00 dell’ultimo giorno utile per il deposito dell’impugnazione.

Il processo telematico

Per gli Ermellini, il ricorso è ammissibile e fondato giacchè iI giudice dell’impugnazione non ha tenuto conto del fatto che l’atto era stato trasmesso tempestivamente (a normativa vigente) dal difensore dell’imputato. Il processo telematico (non ancora completamente attuato), proseguono dalla S.C. “trova però già nella legislazione d’urgenza legata ai recenti eventi pandemici il suo archetipo attuativo: cessata l’efficacia della normativa emergenziale al 31 dicembre 2022, il legislatore è intervenuto con la legge 03 dicembre 2022, n. 199 (di conversione del d.l. n. 162/2022), introducendo il comma 6 -bis all’art. 87 d.lgs. n. 150/2022 che riproduce in sostanza la vecchia disciplina emergenziale sul deposito telematico degli atti e prevede che il deposito di essi si intende eseguito al momento del rilascio della ricevuta di accettazione da parte dei sistemi ministeriali, secondo le modalità stabilite dal provvedimento”. Per cui, “il deposito è tempestivo quando è eseguito entro le ore 24 del giorno di scadenza”. E allo stato, “questa è la disciplina in vigore per li deposito degli atti, fino a quando non diventeranno concretamente operative le nuove disposizioni del processo penale telematico. L’art. 87 bis d.lgs. n. 150/2022, a sua volta introdotto dall’art. 5 quinquies della legge n. 199/2022, al comma 1, stabilisce – infatti – che, fino a quando non diventeranno operative le disposizioni sul processo penale telematico ovvero fino a quando, prima di quel momento, non divenga possibile l’inserimento di quello specifico atto nel portale telematico (nel qual caso non sarà più consentito li deposito a mezzo PEC), per tutti gli atti, documenti e istanze comunque denominati diversi da quelli previsti nell’articolo 87, comma 6 – bis, e da quelli individuati ai sensi del comma 6 – ter della medesima disposizione, «è consentito li deposito con valore legale mediante invio dall’indirizzo di posta elettronica certificata inserito nel registro generale degli indirizzi elettronici di cui all’articolo 7 del regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia 21 febbraio 2011, n. 44”.

Irrilevante l’apertura al pubblico dell’ufficio

L’appello spedito a mezzo p.e.c. entro le ore 24.00 del quindicesimo giorno dal deposito della sentenza accompagnata da motivazione contestuale doveva, pertanto, certamente ritenersi tempestivo. Nè può, in contrario, proseguono i giudici, ” esser considerato l’unico arresto in apparente, ma non effettivo, dissenso (Sez. 6, n. 8599 del 2/12/2021, dep. 2022, Rv. 283105, in motiv., sub 5. e 5.2., pag. 5 e ss.), che sembrerebbe valorizzare l’orario di apertura al pubblico dell’ufficio giudiziario”. Tale ultima sentenza si riferisce, infatti, “alla differente fattispecie processuale che mette in stretta sequenza connettiva, li termine utile per l’impugnazione incidentale nel sub-procedimento cautelare (le ore 24.00 del giorno ultimo) e il dies a quo di decorrenza del termine indicato al comma 5 dell’art. 309 cod. proc. pen. Tale ultima pronuncia prende in considerazione, infatti, ai fini della tempestività dell’istanza di riesame, la data e l’ora di ricezione telematica (le ore 24 dell’ultimo giorno utile dei dieci concessi dal legislatore processuale); mentre ai fini della tempestività della trasmissione degli atti da parte dell’Autorità procedente (5 giorni) individua il dies a quo, in quello in cui la Cancelleria (secondo l’orario di apertura al pubblico, che solo in questo caso riprende a spiegare effetti procedimentali) ha preso lettura della comunicazione, inviata a mezzo p.e.c. in ora di chiusura al pubblico dell’ufficio”.

Si tratta di profili, si legge in motivazione, “che nell’ambito del sistema normativo delineato dal legislatore processuale sono connessi e complementari, nel senso che al deposito tempestivo della richiesta nella cancelleria del Tribunale consegue, di solito, la conoscenza dell’impugnazione da parte dello stesso Tribunale e, quindi, il decorso del termine previsto per la trasmissione degli atti da parte dell’Autorità procedente; momenti che, tuttavia, possono non coincidere a seguito della entrata in vigore della legge n. 176 del 2020 (il cui principio ha poi trovato conferma nella disciplina attualmente vigente), giacché è possibile che l’istanza sia utilmente ‘trasmessa’ in un dato giorno (entro le ore 24, in orario di chiusura al pubblico dell’ufficio giudiziario), ma che della stessa l’ufficio venga obiettivamente a conoscenza il giorno successivo (quando l’ufficio si apre al rapporto col pubblico)”.

In tali casi, dunque, “il termine previsto dall’art. 309, comma 5, cod. proc. pen. non può che decorrere da quando l’atto che innesca la sequenza procedimentale che il legislatore intende sollecitare è ‘conosciuto’, cioè dal momento in cui l’ufficio viene a conoscenza della richiesta di riesame. Diversamente, la reale estensione del termine perentorio (5 giorni) del sub-procedimento dipenderebbe da variabili rimesse alla mera volontà dell’istante, che trasmettendo l’atto per via telematica in orario in cui certamente l’ufficio non è aperto al pubblico (ad es. oltre le ore 20) provocherebbe la riduzione di un giorno del termine perentorio previsto dalla legge per la tempestiva trasmissione degli atti”.

Il principio di diritto

Il principio che orienta la fattispecie, conclude quindi la Cassazione, può pertanto essere declinato nei seguenti termini: “L’estensione oraria (ore 24.00) del termine utile per proporre impugnazione per via telematica spiega effetti in relazione all’attività ricettiva dell’amministrazione; mentre ai fini dell’avvio delle attività che l’amministrazione deve compiere entro un dato termine perentorio, per effetto della tempestiva presentazione dell’istanza, non può che tenersi conto della conoscenza effettiva dell’atto che innesca il procedimento e, dunque, dell’orario di apertura al pubblico dell’ufficio”.
Da qui, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.

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giustizia riparativa

Giustizia riparativa La giustizia riparativa dopo la Riforma Cartabia: lo scopo, le procedure di mediazione, i possibili esiti e i benefici per l’imputato

Giustizia riparativa, cosa si intende

La giustizia riparativa è un modello di giustizia penale incentrato sulla gestione degli effetti pregiudizievoli causati da un reato, anziché sulla punizione dell’autore del reato, come è invece il sistema penale tradizionale.

Oggetto di elaborazioni dottrinali anche molto risalenti nel tempo, il modello di giustizia riparativa ha trovato recente consacrazione sia a livello europeo, con la Direttiva UE n. 29/2012, sia nell’ordinamento italiano, con l’introduzione delle norme contenute negli artt. 42-67 del d.lgs. 150/2022 (c.d. Riforma Cartabia).

Giustizia riparativa e obbligo dell’esercizio dell’azione penale

Il percorso di giustizia riparativa delineato dalla Riforma Cartabia si caratterizza, innanzitutto, per essere un percorso facoltativo, cioè lasciato alla libera scelta dei soggetti coinvolti, e soprattutto non alternativo all’azione penale “tradizionale”.

Il nostro sistema penale, infatti, non lascia scelta alle parti (e in particolare al pubblico ministero) in ordine alla possibilità di esercitare l’azione penale, che è obbligatoria (cfr. art. 112 Costituzione). ciò significa che il p.m., ogni qual volta abbia notizia di un reato, deve attivarsi, ferma restando la possibilità di richiedere l’archiviazione al giudice per le indagini preliminari, ove gli elementi raccolti durante l’indagine non siano ritenuti idonei a sostenere l’accusa.

I possibili benefici per l’imputato

Così intesa, dunque, la giustizia riparativa si pone come un momento di dialogo tra la vittima ed il reo (ed altri soggetti intermediari, come vedremo tra breve), che ha come finalità, da un lato, la ricerca di una riparazione, anche simbolica, degli effetti del reato, all’esito di un percorso in cui la vittima ha anche l’occasione di elaborare l’accaduto e di esprimere sensazioni ed esigenze che invece difficilmente trovano posto nell’azione penale (va precisato che per “vittima”, a questo riguardo, si intende anche il familiare della persona la cui morte è stata causata dal reato, cfr. art. 42 del decreto 150/22).

Dall’altro lato, l’esito positivo del percorso di giustizia riparativa consente al reo di ottenere dei benefici nell’ambito dell’azione penale esercitata dal p.m. (si ricordi che, ove intrapreso, il percorso di giustizia riparativa va di pari passo – senza in alcun modo sostituire – con l’azione penale “tradizionale”).

Riparazione del reato circostanza attenuante

Nello specifico, la riparazione del reato eventualmente conseguita nell’ambito della procedura di giustizia riparativa può essere considerata come circostanza attenuante e quindi comportare una diminuzione della pena; può valere quale rimessione tacita di querela; e può condurre alla sospensione condizionale della pena per un anno.

Giustizia riparativa accessibile senza preclusioni

Va evidenziato che, a norma dell’art. 44 del d.lgs. 150/22 Riforma Cartabia, i programmi di giustizia riparativa sono accessibili per qualsiasi reato, senza preclusioni in relazione alla sua gravità, e possono essere attivati in ogni stato e grado del procedimento penale (art. 129-bis c.p.p.), d’ufficio dal giudice o su richiesta dell’imputato o della vittima.

Come chiedere giustizia riparativa?

Dal punto di vista procedurale, le procedure di giustizia riparativa si svolgono con l’intervento di mediatori terzi abilitati che operano presso gli appositi Centri per la giustizia riparativa, nell’ambito di un sistema che opera sotto la vigilanza del Ministero della Giustizia.

Partecipano ai programmi di giustizia riparativa la vittima del reato, la persona indicata come autore dell’offesa ed eventualmente altri soggetti appartenenti alla comunità, come i familiari, persone di supporto e rappresentanti di enti locali o di altri enti pubblici.

Tali programmi mirano a promuovere il riconoscimento della vittima del reato, la responsabilizzazione dell’imputato e la ricostituzione dei legami con la comunità (art. 43 comma 2 del decreto citato).

Gli esiti della mediazione nella giustizia riparativa

All’esito della procedura di mediazione nella giustizia riparativa, l’esperto redige una relazione in cui, tra l’altro, dà conto degli esiti della stessa e la trasmette al giudice del procedimento penale, il quale, in base alle risultanze, può riconoscere in favore dell’imputato i vantaggi di cui si è detto sopra.

Quanto all’esito del programma di giustizia riparativa, esso, quando positivo, può consistere in un esito simbolico, come ad esempio scuse formali, impegni comportamentali anche pubblici o accordi tra vittima e imputato relativi alla frequentazione di persone o luoghi (art. 56 del decreto citato); oppure in un esito materiale, come il risarcimento del danno, una restituzione o l’adoperarsi dell’imputato per attenuare le conseguenze del reato.

In chiusura, va evidenziato che il principale scopo della giustizia riparativa non è quello di alleviare la pena dell’imputato, ma quello di proporre un percorso alternativo che metta al centro il dialogo e soprattutto il racconto della vittima, per individuare, in concreto, l’azione riparatoria più idonea a ricostruire il legame sociale danneggiato.

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morte imputato sentenza inesistente

Morte imputato: sentenza inesistente La Cassazione rammenta che la morte dell'imputato prima della conclusione del grado processuale rende la sentenza inesistente anche se il giudice non è a conoscenza dell'evento

Morte dell’imputato

La morte dell’imputato intervenuta prima della decisione rende la sentenza inesistente anche laddove il giudice non è a conoscenza dell’evento. Giudice che, ad ogni modo, ha l’obbligo permanente di accertare lo stato in vita dell’imputato stesso. Così la quarta sezione penale della Cassazione nella sentenza n. 27827-2024 decidendo una vicenda in cui l’imputato decedeva nelle more del ricorso.

Inesistenza giuridica della sentenza

Va premesso, anticipano gli Ermellini, che “secondo il diritto vivente la morte dell’imputato intervenuta prima della decisione, determina l’inesistenza giuridica della sentenza per essere estinto il reato per morte dell’imputato e che il giudice penale ha l’obbligo permanente di accertare lo stato in vita dell’imputato, quale presupposto essenziale del processo” (cfr., tra le altre, SS.UU. n. 12602/2015, n. 25995/2019).

Inoltre, “la tardiva conoscenza dell’evento morte, verificatasi nel corso del processo, può esser considerata errore di fatto paragonabile a quello materiale, soggetto dunque al procedimento di correzione, anche nei gradi successivi del giudizio, in quanto la mancanza del soggetto nei cui confronti si esercita l’azione penale determina l’inesistenza giuridica della sentenza, per essere estinto il reato per morte dell’imputato”.

Obbligo permanente del giudice

Il giudice penale, peraltro, proseguono dal Palazzaccio, “ha l’obbligo permanente di accertare lo stato in vita dell’imputato, quale presupposto essenziale del processo – ma – tale obbligo non può tradursi in una costante attività di indagine e, con riferimento al giudizio di legittimità, l’art. 625 bis, comma terzo, del codice di procedura penale prevede che l’errore materiale disciplinato dal comma primo può essere rilevato anche d’ufficio dalla Corte di cassazione in ogni momento, con la conseguenza che l’ipotesi in questione – proprio per l’inesistenza giuridica della sentenza che essa determina – prescinde dalle condizioni di legittimazione disciplinate dall’art. 625 bis, comma secondo, che parifica, quanto ad iniziativa, quella del Procuratore Generale a quella del condannato che, nella specie, è inesistente (cfr. Cass. n. 7632/2017).

Procedimento di correzione ex art. 625 comma 3 c.p.p.

Nel caso di specie, risulta che il decesso dell’imputato è avvenuto prima che la sentenza venisse deliberata. Per cui, “l’errore, effettivamente esistente, è rilevabile d’ufficio con il procedimento di correzione di cui all’art. 625 bis comma 3 cod. proc. pen.” e, pertanto, si impone l’annullamento senza rinvio per essere il reato estinto per morte dell’imputato.

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giurista risponde

Il momento della consumazione nell’ipotesi della “truffa contrattuale” Quando si consuma il reato di truffa nell’ipotesi di c.d. truffa contrattale?

Quesito con risposta a cura di Andrea Bonanno e Giulia Fanelli

 

Poiché il reato di truffa è istantaneo e di danno, che si perfeziona nel momento in cui alla realizzazione della condotta tipica da parte dell’autore abbia fatto seguito la deminutio patrimonii del soggetto passivo, nell’ipotesi di truffa contrattuale il reato si consuma non già quando il soggetto passivo assume, per effetto di artifici o raggiri, l’obbligazione della datio di un bene economico, ma nel momento in cui si realizza l’effettivo conseguimento del bene da parte dell’agente e la definitiva perdita dello stesso da parte del raggirato. – Cass., sez. I, 22 marzo 2024, n. 12142.

Nel caso di specie la Suprema Corte è stata chiamata a valutare il momento di consumazione del reato di truffa c.d. contrattuale, in cui gli artifici e i raggiri intervengono nella fase di formazione della volontà negoziale, inducendo la controparte alla prestazione del consenso.

Sul punto, infatti, sussistono due orientamenti.

Secondo una prima tesi, sposata dal giudice dell’esecuzione, il momento di consumazione della truffa contrattuale coinciderebbe con quello di realizzazione degli artifici e raggiri, consistiti, nel caso di specie, nella consegna dell’assegno postdatato.

Ai sensi di un secondo orientamento, invece, il perfezionamento del reato in esame si avrebbe nel momento in cui si realizza l’effettivo conseguimento del bene da parte dell’agente e la definitiva perdita dello stesso da parte del raggirato

La sentenza in commento ribadisce la validità di quest’ultima tesi, confermando l’indirizzo giurisprudenziale maggioritario.

In primo luogo viene rimarcata la necessità di procedere ad un approccio casistico essendo indispensabile muovere dalla peculiarità del singolo accordo, dalla valorizzazione della specifica volontà contrattuale e dalle peculiari modalità delle condotte e dei loro tempi, al fine di individuare quale sia stato, in concreto, l’effettivo pregiudizio correlato al vantaggio e quale il momento del loro prodursi.

Ne discende che, qualora l’oggetto materiale del reato sia costituito da titoli di credito, il momento della sua consumazione è quello dell’acquisizione, da parte dell’autore del reato, della relativa valuta, attraverso la loro riscossione o utilizzazione, poiché solo per mezzo di queste si concreta il vantaggio patrimoniale dell’agente e nel contempo diviene definitiva la potenziale lesione del patrimonio della parte offesa.

Nel caso di specie, la corretta individuazione del momento di consumazione del reato di truffa si poneva come necessaria ai fini della verificazione dell’effetto estintivo, ai sensi della disciplina del rito speciale di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 445, comma 2, c.p.p., del reato di bancarotta fraudolenta, giudicato con sentenza emessa dal Giudice per le indagini preliminari divenuta definitiva nell’aprile del 2011.

Qualora si fosse fatto riferimento al momento degli artifici e raggiri, infatti, il reato di truffa avrebbe potuto dirsi consumato prima del passaggio in giudicato della sentenza di patteggiamento, non integrando quindi la causa ostativo all’effetto estintivo di cui all’art. 445, comma 2, c.p.p., ossia la commissione di un nuovo delitto entro il termine di 5 anni dal giudicato.

Applicando i principi sopra esposti, invece, deve individuarsi il momento di perfezionamento della fattispecie, consistente nel definitivo depauperamento della persona offesa, in epoca di poco successiva al giudicato, nelle date in cui l’assegno bancario privo di copertura, consegnato al raggirato nel mese di aprile 2011 e postdatato a metà giugno 2011, è stato protestato, cioè a fine giugno 2011.

*Contributo in tema di “Reato di truffa”, a cura di Andrea Bonanno e Giulia Fanelli, estratto da Obiettivo Magistrato n. 75 / Giugno 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica

Cybersicurezza e reati informatici: legge in vigore dal 17 luglio La nuova legge sulla Cybersicurezza inasprisce le pene per i reati informatici e obbliga le pubbliche amministrazioni a segnalare gli attacchi entro 24 ore

Legge cybersicurezza in vigore dal 17 luglio

E’ stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 2 luglio, la legge n. 90/2024 sulla cybersicurezza e reati informatici, approvata in via definitiva dal Senato il 19 giugno scorso, in vigore dal 17 luglio. Il testo di legge, composto da 24 articoli, introduce anche modifiche al codice penale e al codice di procedura penale.

Il capo I contiene disposizioni per il rafforzamento della Cybersicurezza nazionale della pubblica amministrazione e del settore finanziario, disciplina le funzioni dell’Agenzia per la Cybersicurezza nazionale e regolamenta i contratti pubblici di beni e servizi informatici.

Il capo II invece contiene disposizioni specifiche per la prevenzione e la lotta ai reati informatici, prevede misure di contrasto in caso di attacchi a sistemi informatici o telematici, detta regole specifiche per la sicurezza delle banche dati degli edifici giudiziari.

Vediamo le novità più importanti della nuova legge.

Obbligo di notifica degli incidenti informatici

Le pubbliche amministrazioni, gli enti territoriali, le società di trasporto pubblico urbano ed extraurbano e le aziende sanitarie locali hanno l’obbligo di segnalare e notificare gli incidenti informatici in grado di impattare sulle reti sui sistemi informativi e sui servizi informatici.

Sono soggetti all’obbligo di segnalazione anche le società in house che forniscono servizi informatici, di trasporto, di raccolta, smaltimento e trattamento di acque reflue urbane domestiche industriali e che si occupano della gestione dei rifiuti.

Questi soggetti hanno l’obbligo di segnalare lincidente entro il termine massimo di 24 ore dal momento in cui ne hanno acquisito conoscenza. La segnalazione e la notifica devono essere effettuate con apposite procedure tramite il sito istituzionale dell’Agenzia per la Cybersicurezza nazionale. La reiterata inosservanza dell’obbligo di notifica da parte dei soggetti obbligati comporta l’avvio di ispezioni da parte dell’Agenzia nonché l’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie fino a 125.000 euro.

L’Agenzi indica anche ai soggetti obbligati l’adozione di interventi risolutivi per contrastare la vulnerabilità informatica a cui sono esposti. La mancata adozione di detti interventi è punita con sanzione amministrativa.

Rafforzamento della resilienza delle PP.AA.

Le pubbliche amministrazioni, al fine di contrastare gli attacchi informatici, individuano una struttura che ha il compito di sviluppare politiche e procedure di sicurezza dell’informazione, di produrre e a aggiornare sistemi di analisi preventiva e i piani per gestire il rischio informatico, di redigere e aggiornare un documento che indichi i ruoli e l’organizzazione del sistema per la sicurezza delle informazioni, di predisporre e aggiornare un piano programmatico per la sicurezza dei dati, di pianificare e attuare attività di potenziamento per la gestione dei rischi informatici, di programmare  e attuare le misure previste dalle linee guida per la Cybersicurezza emanate dall’agenzia nazionale, di monitorare e valutare le minacce alla sicurezza per un pronto aggiornamento delle misure di sicurezza.

Presso la struttura individuata le pubbliche amministrazioni possono conferire l’incarico di referente per la Cybersicurezza a un dipendente, previa autorizzazione della pubblica amministrazione di appartenenza. Tale referente rappresenta un punto di contatto tra l’amministrazione e l’Agenzia per la Cybersicurezza nazionale, a cui pertanto deve essere comunicato il nominativo.

Crittografia per rafforzare le misure di sicurezza

Le strutture delle pubbliche amministrazioni con il compito di contrastare il rischio informatico sono tenute a verificare che i programmi e le applicazioni informatiche in uso siano dotate di soluzioni crittografiche e rispettino le linee guida sulla crittografia e sulla conservazione delle password adottate dall’Agenzia per la Cybersicurezza nazionale e dal Garante per la protezione dei dati personali. L’articolo 10 del testo prevede il riconoscimento all’Agenzia per la Cybersicurezza nazionale di una serie di funzioni in materia di crittografia, finalizzata a promuoverne l’utilizzo a vantaggio della tecnologia blockchain.

Pene più severe per i reati informatici

La legge  introduce e definisce nuovi reati informatici, come l’accesso abusivo a sistemi informatici o telematici e l’installazione di software dannosi per danneggiare o interrompere sistemi informatici.

Vengono introdotte aggravanti per la truffa cyber, con previsione della confisca obbligatoria di beni e strumenti informatici utilizzati per il reato, oltre al profitto derivante dallo stesso.

Il reato di estorsione mediante reati informatici viene punito in modo specifico, mentre la pena per il danneggiamento di sistemi informatici o telematici di pubblica utilità è aumentata da 2 a 6 anni di reclusione. Introdotte anche attenuanti per chi collabora con la giustizia.