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Onorari avvocati parastato: non vanno nel TFS La Corte Costituzionale ha chiarito che le quote onorario percepite dagli avvocati del parastato non vanno computate nel trattamento di fine servizio (TFS)

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Quote onorario avvocati del parastato

La Corte costituzionale (sentenza n. 73-2024) ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13 della legge 20 marzo 1975, n. 70 (Disposizioni sul riordinamento degli enti pubblici e del rapporto di lavoro del personale dipendente), che disciplina il trattamento di fine servizio spettante ai dipendenti degli enti pubblici non economici (cosiddetti parastatali) non soggetti al regime privatistico di trattamento di fine rapporto.
La disposizione scrutinata, si legge nel comunicato ufficiale, “in base all’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza di legittimità, costituente «diritto vivente», pone a base del calcolo di tale emolumento il solo stipendio tabellare e gli scatti di anzianità, con esclusione di qualsiasi altro compenso”.

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La questione era stata sollevata dal Tribunale di Roma, Sez. Lavoro, chiamato a decidere sulla domanda dell’INAIL di restituzione di somme erogate, con riserva, a titolo di indennità di anzianità, ad un proprio dipendente dell’area legale.

La decisione della Consulta

La Consulta ha, anzitutto, ritenuto insussistenti i lamentati vizi di irragionevolezza e irrazionalità, rimarcando come la nozione di stipendio utile alla determinazione dell’indennità di anzianità indicata dal diritto vivente sia, al contrario, coerente con la logica di razionalizzazione che pervade la legge n. 70 del 1975, e, più in generale, con
l’ordinamento del pubblico impiego non contrattualizzato, e rispondente a specifiche esigenze di unificazione del regime giuridico ed economico del personale del parastato, oltre che di controllo e di prevedibilità della spesa pubblica.
È stata esclusa altresì la disparità di trattamento dedotta dal rimettente tra i dipendenti degli enti pubblici appartenenti all’area professionale legale e quelli con qualifica dirigenziale, per il differente status giuridico ed economico delle relative categorie.
Quanto alla censura ex art. 36 Cost., il giudice delle leggi, nel ribadire la propria giurisprudenza secondo la quale l’indennità di anzianità, così come gli altri trattamenti di fine servizio, “integra una forma di retribuzione differita e quindi è presidiata dalle garanzie costituzionali della sufficienza e della proporzionalità alla quantità e alla qualità del lavoro prestato, ha – tuttavia – precisato che, affinché l’indennità di anzianità possa ritenersi conforme ai canoni costituzionali di sufficienza e di proporzionalità, non deve sussistere una rispondenza pedissequa tra la sua composizione e quella del trattamento economico di attività, tale per cui ogni singola voce della retribuzione debba essere considerata nel trattamento di fine servizio”.
Nel rapporto di lavoro non contrattualizzato, “in cui spetta alla discrezionalità del legislatore individuare, nel rispetto delle garanzie sancite dalla Costituzione, la base retributiva delle singole indennità di fine servizio e la relativa misura, la conformità ai principi espressi dall’art. 36 Cost. deve, invece, ritenersi osservata ove tali indennità esprimano, in proporzione, il trattamento economico fondamentale, che include componenti spettanti in modo fisso e continuativo (stipendio tabellare, incrementi dipendenti dall’anzianità di servizio, assegno per il nucleo familiare, oggi assegno unico)”.
Con riguardo alla “quota onorari”, ha concluso dunque la Corte, la stessa “costituisce un’attribuzione di carattere non fisso, ma accessorio e variabile, che non può, perciò, essere ricompresa nel trattamento economico fondamentale, aggiungendosi alla retribuzione riconosciuta ai legali del parastato, in ragione del loro status di pubblici dipendenti”.

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