Penale

Saluto romano: quali fattispecie di reato La condotta consistente nella risposta alla ‘chiamata del presente’ eseguendo il “saluto romano” per le Sezioni Unite della Cassazione può integrare diverse fattispecie delittuose

saluto romano

“La chiamata del presente” durante una manifestazione pubblica

Il caso che ci occupa prende avvio dai fatti avvenuti durante una manifestazione pubblica del 29.04.2016 a Milano, alla quale avevano partecipato oltre mille persone, in occasione della quale gli imputati avevano risposto alla chiamata del “presente”, eseguendo il “saluto fascista”, anche noto come “saluto romano”.

Rispetto ai fatti appena narrati, la Corte d’appello di Milano aveva condannato gli imputati, rilevando come la sentenza di assoluzione pronunciata dal Giudice di primo grado, non riguardava l’ipotesi di reato oggetto di contestazione processuale, ma la diversa fattispecie di cui all’art. 5 legge n. 645/1952.

Avverso la suddetta sentenza di condanna gli imputati avevano proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione.

L’intervento delle Sezioni Unite della Cassazione

Il Giudice di legittimità, investito della questione sopra descritta, ha rimesso la questione alle Sezioni Unite visto il rilevante contrasto interpretativo riscontrato sul punto in seno alla Corte stessa.

A tal proposito, la Corte ha affermato che, secondo un primo orientamento giurisprudenziale, che ritiene il “saluto fascista” sussumibile nella fattispecie dell’art. 2 d.l. n. 122 del 1993, tale manifestazione esteriore costituisce una rappresentazione tipica delle organizzazioni o dei gruppi che perseguono obiettivi di discriminazione razziale, etnica o religiosa, essendo costituiti per favorire la diffusione di ideologie discriminatorie. Mentre, secondo un diverso orientamento giurisprudenziale il “saluto fascista” sarebbe riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 5 della legge n. 645 del 1952 e postula che tali condotte siano idonee a determinare il pericolo di ricostituzione di organizzazioni che si ispirano, direttamente o indirettamente, all’ideologia del disciolto partito fascista.

Nel rimettere la questione alle Sezioni Unite, la Prima sezione penale della Corte di Cassazione ha posto il seguente quesito “Se la condotta tenuta nel corso di una pubblica manifestazione consistente nella risposta alla ‘chiamata del presente’ e nel ‘saluto romano’, rituali evocativi della gestualità propria del disciolto partito fascista, sia sussumibile nella fattispecie di reato di cui all’art. 2 d.l. 26 aprile 1993, n. 122 (…), ovvero in quella prevista dall’art. 5 legge 30 giugno 1952, n. 645; “Se, inoltre, le due disposizioni configurino un reato di pericolo concreto o di pericolo astratto e se i due reati possano concorrere oppure le relative norme incriminatrici siano tra loro in rapporto di concorso apparente”.

Il concreto pericolo di riorganizzazione del partito fascista

Le Sezioni Unite, con sentenza n. 16153/2024, ha risposto al suddetto quesito interpretativo e, posto il generale principio di diritto sul punto, ha qualificato il fatto ai sensi dell’art. 5 della legge n. 654 del 1952.

La Corte, dopo aver ripercorso i fatti di causa nonché il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, ha anzitutto evidenziato che “Non può esservi dubbio (…) che entrambe le norme coincidano quanto alla condotta materiale che, in entrambi i casi, consiste nel compimento di manifestazioni tenute partecipando a pubbliche riunioni, solo distinguendosi in virtù del diverso contenuto delle stesse”, nonché, ha aggiunto la Corte, anche in relazione al diverso bene giuridico tutelato dalle due norme.

In tal senso, ha rilevato il Giudice di legittimità, l’art. 5 della legge n. 645 del 1952 tutela non tanto il “mero “ordine pubblico materiale” (…), ma, in una visione di ben più ampio respiro, la stessa tavola dei valori costituzionali e democratici fondativi della Repubblica, efficacemente riassumibili nel bene dell’”ordine pubblico democratico o costituzionale”, posto in pericolo, a fronte dell’elemento modale- spaziale indicato dalla norma, da possibili consenso o reazioni a tali manifestazioni atti a turbare, anche ma non solo, la civile convivenza”.

Per quanto invece attiene al bene giuridico tutelato dall’art. 2 del d.l. 26 aprile 1993, n. 122, la Corte ha rilevato come esso consista nel contrasto alla “diffusione delle idee discriminatorie o di atti di violenza per ragioni (…) razziali, etniche, nazionali o religiose”.

Posta così la distinzione tra le due norme, la Corte ha esaminato il tema del rapporto di specialità tra fattispecie delittuose, affermando che nel caso di specie “è lo stesso raffronto tra le due disposizioni (…), a rilevare l’impossibilità di affermare che una delle due norme sia unilateralmente speciale rispetto all’altra. Al nucleo comune di “manifestazioni tenute in pubbliche riunioni”, si aggiunge, in ognuna di esse, l’elemento differenziale del loro contenuto”.

Esclusa dunque la sussistenza di un rapporto di specialità tra le norme sopra richiamate, la Corte ha rilevato che “il rituale del saluto romano possa integrare non solo il reato di cui all’art. 5 legge cit., bensì anche quello dell’art. 2 legge cit., ove di entrambe le fattispecie, naturalmente, ricorrano i rispettivi e differenti requisiti di pericolo”.

Il principio di diritto

Premesso quanto sopra, la Corte a Sezioni Unite ha dunque risposto al quesito affermando il seguente principio di diritto: “La condotta tenuta nel corso di una pubblica manifestazione consistente nella risposta alla ‘chiamata del presente’ e nel c.d. ‘saluto romano’ integra il delitto previsto dall’art. 5 della legge 20 giugno 1952, n. 645, ove, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso, sia idonea ad integrare il concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista, vietata dalla XII disp. trans. e fin. della Cost; tale condotta può integrare anche il delitto, di pericolo presunto, previsto dall’art. 2, comma 1, d.l. n. 122 del 26 aprile 1993, convertito dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, ove, tenuto conto del significativo contesto fattuale complessivo, la stessa sia espressiva di manifestazione propria o usuale delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi di cui all’art. 604-bis, secondo comma, cod. pen. (già art. 3 legge 13 ottobre 1975, n. 654)”.

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