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Il titolo di avvocato non equivale a quello rilasciato dalle SSPL Il TAR afferma che il titolo d’avvocato non dimostra il possesso di tutte le conoscenze che le SSPL offrono, essendo queste dirette a formare figure professionali eterogenee, per la preparazione a concorsi ed esami diversi

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SNA: esclusa candidata per assenza del titolo

Nel caso di specie, la ricorrente dopo aver superato le prove preselettive del corso-concorso selettivo di formazione dirigenziale per il reclutamento di dirigenti nelle amministrazioni statali, veniva contatta dagli uffici della Scuola Nazionale dell’Amministrazione (SNA) per le verifiche relative al possesso dei requisiti dichiarati nella domanda di partecipazione, con particolare riguardo alla natura e alle caratteristiche del titolo post lauream, poiché lo stesso non risultava riconducibile ad alcuno dei tre titoli tassativamente previsti dal bando.

Rispetto a tale richiesta di chiarimenti, la candidata aveva esposto le ragioni per cui il titolo posseduto rientrava tra quelli post-universitari considerati utili ai fini dell’accesso al corso concorso di formazione dirigenziale, avente le caratteristiche di cui all’art. 2 del D.P.C.M. 27 aprile 2018, n. 80.

A seguito di ulteriori verifiche istruttorie, la SNA aveva trasmesso alla ricorrente una nota nella quale aveva evidenziato che il titolo in questione non era ascrivibile, né ad un master universitario di secondo livello, né ad un diploma conseguito presso le scuole di specializzazione individuate con il D.P.C.M. 27 aprile 2018, n. 80. Ne conseguiva, pertanto, l’esclusione della candidata dalla procedura concorsuale.

Avverso il suddetto provvedimento di esclusione la candidata aveva proposto ricorso dinanzi al Tribunale Regionale per il Lazio.

Il titolo indicato nel bando di concorso

Il TAR Lazio, con sentenza n. 8767/2024, ha rigettato il ricorso proposto.

Per quanto qui rileva, la ricorrente ha affermato che il titolo post-universitario dalla stessa posseduto era stato rilasciato dalla “Scuola nazionale di Alta Formazione Specialistica” dell’Unione forense per la tutela dei diritti umani (UFDU), riconosciuta dal Ministero della Giustizia, dal Consiglio nazionale Forense in convenzione/consorzio, oltre che con la Scuola Superiore dell’Avvocatura e con cinque Istituti Universitari italiani, pertanto, tale scuola “non sarebbe un mero ente di formazione privato ma un’istituzione pubblico-privata riconosciuta costituita in un vero e proprio consorzio universitario sotto il diretto controllo del Ministero della Giustizia”.

Inoltre, elemento cruciale del ricorso proposto, l’aspirante candidata ha rilevato che, per l’accesso alla suddetta scuola non era sufficiente possedere un titolo di laurea, ma era altresì necessario essere iscritti all’albo degli Avvocati. Ne sarebbe conseguito che il titolo posseduto dalla ricorrente, non solo doveva essere qualificato come master di secondo livello, ma anche come titolo addirittura superiore ai diplomi di specializzazione richiamati dall’art. 4, D.P.C.M. n. 80/2018 sub lettera b), per il conseguimento dei quali è sufficiente il possesso della sola laurea.

La discrezionalità dell’amministrazione

Rispetto alle contestazioni formulate dalla ricorrente, il Giudice amministrativo ha anzitutto ricordato che “in linea di principio, l’amministrazione gode di ampia discrezionalità nell’individuazione dei requisiti per l’ammissione ad una procedura concorsuale, che va esercitata tenendo conto della professionalità e della preparazione culturale richieste per il posto da ricoprire o per l’incarico da affidare. Naturalmente, in quanto esercizio di discrezionalità, tale potere di scelta non può essere esercitato in modo arbitrario ed è suscettibile di sindacato giurisdizionale sotto i profili della illogicità, arbitrarietà, contraddittorietà e irragionevolezza”.

Ciò premesso, il TAR ha ritento che la previsione del bando, secondo cui “al corso-concorso selettivo di formazione di cui all’articolo 28, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, possono essere ammessi (…) i soggetti muniti di (…) master di secondo livello conseguito presso università italiane o straniere dopo la laurea magistrale”, non consente di ritenere che allo stesso possano accedere anche soggetti muniti di un titolo come quello posseduto dalla ricorrente, non qualificabile come “master rilasciato da Università, italiane o straniere, come richiesto dalla normativa di cui la SNA ha fatto corretta applicazione”.

Analogamente, ha proseguito il TAR, in ordine alla ritenuta qualificazione del titolo alla stregua di un diploma di specializzazione “il d.P.C.M. n. 80/18 (…), recante l’individuazione delle scuole di specializzazione che rilasciano i diplomi che consentono la partecipazione ai concorsi per la qualifica di dirigente di seconda fascia, prevede, all’art. 2, che i diplomi di specializzazione utili ai fini della partecipazione sono quelli rilasciati da scuole di specializzazione istituite presso le università o gli istituti universitari”, tale qualificazione, non appare, secondo il Giudice amministrativo “surrogabile dalla stipula di una semplice convenzione con le università per l’organizzazione e il funzionamento del corso da parte di altro ente, pubblico o privato”, come sarebbe stato il corso cui aveva partecipato la ricorrente e di cui si è dato sopra conto.

Il principio dell’assorbimento del titolo inferiore

Per quanto invece attiene all’operatività o meno, nel caso di specie, del principio dell’assorbimento del titolo inferiore in quello superiore, il TAR ha ricordato la tesi sostenuta dalla ricorrente secondo cui il superamento dell’esame di abilitazione all’esercizio della professione forense dovrebbe considerarsi assorbente rispetto ai titoli post-universitari richiesti dal bando e, segnatamente, al diploma conseguito presso le Scuole di Specializzazione per le Professioni Legali (SSPL), giacché queste ultime sarebbero preordinate all’acquisizione di conoscenze funzionali al superamento dell’esame di abilitazione.

Tuttavia il TAR ha affermato che, nel caso esaminato, il principio di assorbimento non verrebbe in rilievo, posto che il titolo c.d. ‘assorbente’, diversamente dal titolo ‘assorbito’, è costituito da un’abilitazione professionale conseguita all’esito dello specifico percorso formativo e di tirocinio disciplinato dalla legge professionale forense. Non si tratta, in altri termini, di un titolo di studio ma di un titolo professionale.

Quanto sopra riferito, ha precisato il Giudice amministrativo, è confermato dal fatto che “Il superamento dell’esame di abilitazione (…) non dimostra affatto il possesso di tutte le conoscenze che le Scuole offrono (..), essendo queste dirette a formare figure professionali eterogenee (e, soprattutto, a fornire gli strumenti necessari per la preparazione a concorsi ed esami diversi, ciascuno connotato da proprie peculiarità)”.

Il TAR ha pertanto concluso il proprio esame, affermando che deve ritenersi più corretto l’orientamento tradizionale secondo il quale “in materia di procedure concorsuali trova applicazione il principio dell’assorbimento del titolo inferiore in quello superiore in virtù del quale nel caso in cui il bando di concorso preveda quale requisito di partecipazione ad una selezione pubblica un determinato diploma tecnico, deve ritenersi dovuta l’ammissione di un candidato in possesso di laurea “coerente”, in quanto il possesso di un titolo superiore ed assorbente consente in via generale la partecipazione ai pubblici concorsi per i quali sia richiesto un titolo inferiore, dal momento che le materie di studio del primo comprendono, con un maggiore livello di approfondimento, quelle del secondo”.

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