Illegittimità costituzionale art. 628 c.p.
Ok alla lieve entità del fatto anche per il reato di rapina. Così la Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 86-2024, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 628, secondo comma, del codice penale, nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata per la rapina c.d. impropria è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità.
Conseguentemente, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del primo comma dell’art. 628, relativo alla rapina c.d. propria, nella parte in cui non prevede la medesima attenuante.
La questione di legittimità costituzionale
Oggetto del giudizio a quo è l’imputazione di rapina impropria ascritta a due soggetti che avrebbero prelevato dagli scaffali di un supermercato alcuni generi alimentari di modesto valore e sarebbero riusciti a sottrarsi all’intervento del personale dell’esercizio commerciale mediante qualche generica frase di minaccia e una spinta, per essere infine rintracciati nei pressi dell’esercizio stesso mentre consumavano del pane.
La “valvola di sicurezza”
La Corte ha osservato che in simili fattispecie il minimo edittale di pena detentiva per la rapina, dal legislatore innalzato alla misura di cinque anni di reclusione, può costringere il giudice a irrogare una sanzione in concreto sproporzionata, sicché gli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, della Costituzione esigono l’introduzione di una diminuente ad effetto comune, fino ad un terzo, quale “valvola di sicurezza” per i fatti di lieve entità.
Si tratta dell’estensione alla rapina di quanto deciso dalla sentenza n. 120/2023 per l’estorsione, reato caratterizzato anch’esso dall’elevato minimo edittale di cinque anni di reclusione e, nel contempo, dalla possibilità di consumazione tramite condotte di minimo impatto, personale e patrimoniale.
Tale estensione, sottolinea infine il giudice delle leggi, “consegue sia al principio di uguaglianza, nel trattamento sanzionatorio della rapina e dell’estorsione, sia ai principi di individualizzazione e finalità rieducativa della pena, i quali ostano all’irrogazione di sanzioni sproporzionate rispetto alla gravità concreta del fatto di reato”.