Quesito con risposta a cura di Mariarosaria Cristofaro e Valentina Russo
Le speciali procedure conciliative di cui al D.L. 13 ottobre 2018, n.119, convertito con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2018, n.136 (e quelle analoghe previste dal D.L. 22 ottobre 2016, n. 193 e dal D.L. 16 ottobre 2017, n. 148) sono comprese tra quelle indicate dall’art. 13, D.Lgs. 74/2000 in quanto, trattandosi di accordi di definizione agevolata delle pendenze tributarie, assicurano all’Erario il recupero delle somme dovute. A ciò deve aggiungersi che, fermo restando la concessione di un termine di tre mesi «per il pagamento del debito residuo», la causa di non punibilità di cui all’art. 13, D.Lgs. 74/2000 opera se entro la dichiarazione di apertura del dibattimento interviene non l’accordo tra contribuente e Fisco, ma l’integrale pagamento del debito. – Cass., sez. III, 14 marzo 2023, n. 10730.
Con la sentenza in epigrafe la Corte di Cassazione è chiamata a valutare l’ambito applicativo della causa di non punibilità prevista dall’art.13, D.Lgs. 74/2000.
Nel caso di specie la Corte di appello, in conferma della decisione del giudice di prime cure, ha condannato l’imputato – quale amministratore unico di una società – per il reato di omesso versamento di IVA, di cui all’art. 10ter, D.Lgs. 74/2000.
Avverso tale sentenza la difesa ha proposto ricorso per cassazione, deducendo, quale unico motivo, l’erronea applicazione degli artt. 51, c.p. e 13, D.Lgs. 74/2000 in relazione all’art. 10ter del medesimo decreto. In particolare, si contesta l’evidente contrasto tra l’attuale formulazione dell’art. 13, D.Lgs. 74/2000 e i nuovi strumenti posti a disposizione del contribuente per l’adempimento dei debiti tributari in quanto all’imputato, impossibilitato ad estinguere il debito prima dell’apertura del dibattimento, era stata concessa la possibilità di accedere alla definizione agevolata con riferimento alla totalità delle imposte da versare (tra cui l’IVA oggetto di imputazione). Secondo la tesi difensiva, quindi, l’accordo tra il contribuente e l’Amministrazione avrebbe costituito uno strumento idoneo all’estinzione del debito tributario, ossia una delle speciali procedure menzionate dall’art. 13, D.Lgs. 74/2000. Rimarcata la necessità di un’interpretazione costituzionalmente orientata del citato art. 13, la difesa lamenta anche la mancata possibilità di estinzione del debito secondo le formalità previste dal D.Lgs. 74/2000 poiché, con l’apertura della procedura di fallimento, l’imprenditore è vincolato alle modalità delle procedure concorsuali e non può procedere liberamente al pagamento integrale dei debitori.
La Suprema Corte, nel disattendere le censure sollevate, condivide l’impostazione dei giudici di merito, ritenendola immune da censure data la mancanza del presupposto dell’invocata causa di non punibilità.
Invero, l’art. 13, comma 1, D.Lgs. 74/2000 stabilisce che «i reati di cui agli artt. 10bis, 10ter e 10quater, non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso».
Il mancato pagamento integrale del debito tributario, dunque, è ostativo all’operatività della disposizione in questione e il piano concordato con l’Amministrazione finanziaria rappresenta un mero elemento da valutare positivamente in relazione alla condotta dell’imputato.
La Corte di legittimità, in linea con il consolidato orientamento giurisprudenziale, precisa che le speciali procedure conciliative di cui al D.L. 13 ottobre 2018, n.119, convertito con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2018, n.136 (e quelle analoghe previste dal D.L. 22 ottobre 2016, n. 193 e dal D.L. 16 ottobre 2017, n.148) sono comprese tra quelle indicate dall’art. 13, D.Lgs. 74/2000 in coerenza con la finalità deflattiva della norma (in tal senso anche Cass. 9 dicembre 2020, n. 34940).
Il legislatore, infatti, nel disciplinare i reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, ha richiamato, al fine di incentivare la riscossione delle entrate tributarie, le «speciali procedure conciliative o di adesione all’accertamento» previste dalle norme tributarie. Più precisamente, gli accordi di definizione agevolata delle pendenze tributarie (c.d. “rottamazioni”) sono pacificamente inclusi nel novero delle procedure di cui all’art. 13, D.Lgs. 74/2000 poiché assicurano all’Erario il recupero delle somme dovute. A ciò deve aggiungersi che lo stesso art. 13, nel tentativo di garantire la ragionevole durata del processo e assicurare al contribuente il tempo necessario per definire l’adempimento del debito, prevede espressamente che sia concesso un termine di tre mesi (prorogabile una sola volta per non oltre tre mesi) per il pagamento del debito residuo nel caso in cui, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, il debito sia in fase di estinzione mediante rateizzazione. La rateizzazione, però, comporta la semplice rimodulazione della scadenza, ma non esclude la configurabilità del reato in caso di mancata soddisfazione totale del debito allo scadere del termine prestabilito.
Giova ricordare, infatti, che la causa di non punibilità di cui all’art. 13, D.Lgs. 74/2000 opera se entro la dichiarazione di apertura del dibattimento interviene non l’accordo tra contribuente e Fisco, ma l’integrale pagamento del debito.
La causa di non punibilità del reato, tra l’altro, non incide sulla struttura del reato né sulla illiceità della condotta, con la conseguenza che l’accordo tra contribuente e l’Amministrazione finanziaria per la rateizzazione del debito rimane circoscritto all’ambito tributario e non produce conseguenze sul piano penale.
Accertato il meccanismo di operatività dell’art. 13, D.Lgs. 74/2000 e la conformità ai principi costituzionali (ossia un equo contemperamento tra il diritto di difesa dell’imputato, ragionevole durata del processo e necessità di tutela dell’Erario), la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso in quanto la mancata applicazione della causa di non punibilità invocata dalla difesa non è affetta da alcuna criticità formale e sostanziale. Quanto alla doglianza relativa alle procedure concorsuali, invece, il Collegio osserva che non sussiste alcuna incompatibilità tra la dichiarazione di fallimento e la prosecuzione del pagamento dei debiti accumulati precedentemente con il Fisco.
PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI |
Conformi: Cass., sez. III, 9 dicembre 2020, n. 34940; Cass., sez. III, 24 ottobre 2018, n. 48375 |