Il giurista risponde, Penale

Maltrattamenti in famiglia e condotte non abituali È configurabile il reato di maltrattamenti in famiglia nell’ipotesi in cui le condotte contestate non siano abituali?

giurista risponde

Quesito con risposta a cura di Mariarosaria Cristofaro e Valentina Russo

 

Il reato di maltrattamenti in famiglia di cui all’art. 572 c.p. postula, da un lato, l’abitualità di condotte omogenee reiterate per un periodo di tempo apprezzabile e, dall’altro, una vessazione fisica o soltanto mentale che può essere realizzata anche in forma omissiva a condizione, però, che il soggetto agente rivesta una posizione di garanzia nei confronti della persona offesa. –
Cass., sez. VI, 14 marzo 2023, n. 10940.

La Corte di Cassazione, con la sentenza annotata, è chiamata a pronunciarsi in merito alla corretta configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia.Nel caso in esame il Tribunale aveva rigettato la richiesta di riesame relativa alla misura degli arresti domiciliari disposta dal Giudice per le indagini preliminari nei confronti dell’odierna ricorrente, indagata per i delitti di maltrattamenti in famiglia – ex art. 572 c.p. – e di abbandono di persone minori o incapaci – ex art. 591 c.p. – per aver, in qualità di dipendente di una casa famiglia, realizzato atti vessatori nei confronti degli ospiti della struttura e per aver abbandonato gli stessi, incapaci di provvedere a se stessi per malattia di mente o corpo o vecchiaia.

Il ricorso avverso l’ordinanza del Tribunale prospetta mere censure in fatto relative alla gravità indiziaria e alle lacune motivazionali del provvedimento impugnato.

Il Collegio, nell’accogliere i motivi di doglianza proposti dalla difesa, richiama gli episodi descritti nell’ordinanza ritenendoli non idonei ad integrare l’ipotesi di maltrattamenti in famiglia.

Prima di proceder alla disamina della pronuncia di legittimità, è opportuno ricordare alcuni aspetti essenziali della fattispecie in questione.

Il delitto di maltrattamenti in famiglia consiste in una serie di atti lesivi dell’integrità fisica, della libertà e del decoro del soggetto passivo nei confronti del quale viene posta in essere una condotta di sopraffazione e assoggettamento. Tali condotte, trattandosi di reato abituale, non possono essere rare od occasionali ma devono essere connotate da abitualità, ovvero devono essere reiterate per un periodo di tempo apprezzabile. L’abitualità, peraltro, non è esclusa nel caso in cui gli atti lesivi siano alternati con periodi di normalità che abbiano una durata tale da non interrompere la fattispecie criminosa.

Quanto all’elemento soggettivo è, invece, sufficiente il dolo generico, ossia la consapevolezza dell’autore del reato di persistere in un’attività vessatoria. Invero, le singole azioni assurgo a delitto di maltrattamenti in quanto l’agente consapevolmente reitera, con frequenza e continuità, le condotte offensive.

Ciò premesso, la Suprema Corte ritiene che le condotte contestate all’indagata non siano suscettibili di concretare l’ipotesi di maltrattamenti poiché dagli episodi descritti nell’ordinanza non emerge il necessario requisito dell’abitualità.

Per altro verso, la Corte riconosce la possibilità che la vessazione fisica o mentale possa essere realizzata in forma omissiva ma a condizione che il soggetto agente rivesta una posizione di garanzia nei confronti delle persone offese, altrimenti la responsabilità penale finirebbe con il trascendere in una mera responsabilità morale o per il tipo di autore.

Nel caso di specie l’indagata, pur ricoprendo un ruolo primario, non era formalmente riconosciuta nella gestione del centro ma era una mera dipendente e, pertanto, non possono esserle attribuiti i poteri tipici di chi riveste una posizione di garanzia.

Alla luce delle esposte ragioni la Sesta Sezione della Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza con rinvio al Tribunale affinché chiarisca quali condotte siano suscettibili di integrare la fattispecie di cui all’art. 572 c.p.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cass., sez. VI, 7 febbraio 2019, n. 6126; Cass., sez. III, 12 febbraio 2018, n. 6724
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