Quesito con risposta a cura di Manuel Mazzamurro e Chiara Tapino
In tema di tutela cui è tenuto il prestatore del servizio di trasporto ferroviario la normativa, nazionale e comunitaria, è volta ad assicurare forme di “indennizzo” per le ipotesi di cancellazione o interruzione o ritardo nel servizio, ma non anche a impedire che, qualora ne sussistano i presupposti, sia accolta la domanda giudiziale di risarcimento di ulteriori pregiudizi tutelati e lesi. – Cass., sez. III, 9 ottobre 2023, n. 28244.
Nel caso di specie la Suprema Corte è stata chiamata a valutare la legittimità della richiesta di risarcimento danno non patrimoniale in caso di ritardo della prestazione di trasporto ferroviario.
Il Giudice di pace e il Tribunale, con pronunce conformi, avevano accolto la richiesta di indennizzo da ritardo e di risarcimento del danno esistenziale patito per il ritardo nell’esecuzione della prestazione di trasporto.
Viene proposto ricorso per Cassazione, contestando, oltre l’incompetenza del Giudice di pace, l’insussistenza del danno esistenziale liquidato.
In particolare, la società ricorrente contesta l’esistenza di un diritto al risarcimento del danno esistenziale in caso di ritardo ferroviario.
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso argomentando sulla tesi della risarcibilità del danno esistenziale da ritardo nella prestazione in questi termini.
Il primo dato evidenziato è quello dell’oggettività del ritardo di quasi ventiquattro ore: sul punto appare evidente la constatazione della lungaggine dei tempi di attesa, nonché la mancata predisposizione fornitura di qualsiasi forma di assistenza. Infatti, ciò che viene contestato è l’organizzazione a monte, sulla base degli standard minimi di diligenza e precauzione richiesti, di misure di assistenza, indipendentemente poi dalla possibilità di porle in essere una volta manifestata la situazione di emergenza. La pronuncia si conforma all’orientamento maggioritario che fa discendere dal principio di buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c. una funzione di integrazione degli obblighi nascenti dal contratto, richiedendo la predisposizione di tutte quelle misure volte a soddisfare l’interesse creditorio, e ad evitare che si rechino pregiudizi alla sfera giuridica del destinatario della prestazione.
Il secondo elemento di analisi è la qualificazione giuridica del danno in questione come non patrimoniale: il fatto oggetto di domanda risarcitoria, pur non qualificandosi come condotta criminosa, lede una situazione giuridica di rango costituzionale, nello specifico nella libertà di autodeterminazione e di movimento. In particolare, il travagliato viaggio di quasi ventiquattro ore continuative, svoltosi in deprecabili condizioni di carenza di cibo, riscaldamento e senza alcuna possibilità di riposare, rappresenta un’offesa effettivamente seria e grave all’individuabile e sopra rimarcato interesse protetto, che non può essere ricondotta a meri disagi, fastidi, disappunti, ansie o altro tipo di generica insoddisfazione.
Infine, l’ultimo elemento esaminato è il presunto concorso colposo del passeggero nella causazione dell’evento lesivo. In particolare, la doglianza prospettata dal ricorrente sarebbe quella dell’incauta scelta del passeggero di essersi messo in viaggio nonostante le avverse condizioni metereologiche.
Sul punto la Suprema Corte evidenzia come non fosse esigibile una diversa condotta da parte del passeggero, dal momento che, sulla base delle informazioni fornitegli, non era possibile prevedere che il tragitto non si sarebbe concluso in tempi ragionevoli.
La questione era già stata affrontata in diverso precedente da parte della Corte di cassazione e il ricorrente non ha fornito elementi tali da far superare l’orientamento consolidatosi.
PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI |
Conformi: Cass., sez. II, 8 aprile 2020, n. 7754 |