Quesito con risposta a cura di Silvia Mattei, Consuelo Nicoletti e Francesca Ricci
Ai fini della individuazione della natura pubblica di un ente, ciò che rileva è la natura pubblica delle finalità perseguite con la specifica attività, rispetto alla quale la veste giuridica dell’ente può al più costituire un indice sintomatico non esclusivo. Deve pertanto essere avallata la concezione sostanziale e non formalistica, al pari di quanto accade nell’ambito del diritto amministrativo. – Cass., sez. V, 24 gennaio 2023, n. 3078.
La questione afferente alla definizione della natura pubblicistica o meno di un ente è propedeutica alla configurazione di talune fattispecie di reato previste dall’ordinamento, quale, a titolo esemplificativo, il delitto di turbativa d’asta di cui all’art. 353 c.p. Tale rilevanza può aversi tanto con riferimento all’individuazione del soggetto attivo o passivo del reato, quanto per quel che attiene ad altri elementi costitutivi della fattispecie: si pensi in questo senso ad una normativa di settore che può trovare applicazione solo se ricorre la natura pubblicistica dell’ente. Specularmente, dalla natura pubblica può ricavarsi altresì la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio del singolo agente.
Il tema si intreccia inevitabilmente con il settore del diritto amministrativo, naturale sedes materiae, ragion per cui occorre comprendere se ed in che termini sia possibile una “contaminazione” tra istituti rilevanti per i due rami dell’ordinamento.
Interrogata sul punto, la Corte di Cassazione precisa preliminarmente che detta contaminazione è sì possibile, ma non in maniera automatica: essa infatti deve essere realizzata senza perdere di vista quella che è la finalità ultima dell’operazione ermeneutica, ossia la definizione dell’ambito applicativo della fattispecie penale. In questo senso, dunque, il ricorso alla normativa e alla giurisprudenza amministrativa non può avvenire sic et simpliciter, ma deve tener conto dell’esigenza di ricostruzione del reato.
Fatta tale premessa, alla luce di quali criteri occorre far riferimento per qualificare, sul piano penalistico, un ente come pubblico?
Per il diritto amministrativo, il carattere pubblicistico va individuato non in relazione alla qualità dei soggetti componenti l’ente, bensì alla natura degli atti posti in essere, sicché eventuali strutture adottate – associative o consortili – rilevano esclusivamente sul piano organizzativo.
Analogamente, la Corte di Cassazione, negli anni, ha affermato che ciò che rileva per dirimere il dubbio interpretativo in esame è la natura pubblica delle finalità perseguite dall’ente con la specifica attività.
In particolare, ha evidenziato come l’obbligatorietà del ricorso alla procedura ad evidenza pubblica sia indice sintomatico del carattere pubblicistico dell’attività svolta, soprattutto laddove si tratti di settori strategici e speciali, quali ad esempio quello dell’energia o dei servizi di informazione, motivo per cui i dipendenti di tali società rivestono la qualifica di incaricati di pubblico servizio.
Da ciò consegue, dunque, che ai fini dell’individuazione della natura pubblica di un ente rileva non la veste giuridica adottata – la quale, peraltro, se può costituire un indice sintomatico, certamente però non assume la stessa incidenza di altri dati, quali la disciplina applicata –, bensì la finalità perseguita tramite la propria attività.
Alla luce di tali argomentazioni, deve ritenersi quindi superato il precedente indirizzo ermeneutico che, a seguito della privatizzazione di molti enti pubblici, aveva escluso, sposando il criterio formalistico, la natura pubblica di tali società sulla base della sola veste giuridica. Ciò peraltro creava delle antinomie di non poco conto, in quanto se da un lato l’ente veniva considerato un soggetto di diritto privato, dall’altro però i suoi dipendenti ben potevano assumere la qualità di incaricati di pubblico servizio o di pubblici ufficiali.
L’evoluzione giurisprudenziale ha messo in evidenza l’inadeguatezza di tale approccio interpretativo, anche a fronte di una legislazione che non sempre consente di ricavare in maniera secca ed immediata la natura dell’ente. Per tali ragioni, si è affermato che allo scopo di individuare gli indici di riconoscimento dell’ente pubblico occorre far riferimento alla nozione di organismo pubblico, la quale avalla una lettura sostanzialistica, peraltro in piena conformità anche alle norme ed alla giurisprudenza di fonte europea.
Del resto, la concezione sostanzialistica è più coerente con la ratio delle norme penali, che è quella di evitare che attraverso l’impiego di particolari forme societarie per il perseguimento di interessi pubblici possano essere perpetrate condotte elusive dei sistemi di controllo e delle relative sanzioni, con ciò determinando un arretramento di tutela dell’interesse generale.
Posta così la questione, la Corte conclude affermando che anche un consorzio di enti pubblici locali, costituito per l’approvvigionamento di energia elettrica, sia un soggetto pubblico, come tale tenuto al rispetto della normativa in tema di gare ad evidenza pubblica.
PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI |
Conformi: ex multis: Cass., sez. VI, 10 novembre 2015, n. 28299; Cass., sez. VI, 12 novembre 2015, n. 6405; Commissione c. Spagna; 15 maggio 2003, causa C-214/00 |
Difformi: ex multis: Cass., sez. V, 5 aprile 2005, n. 38071; Cass., sez. VI, 27 novembre 2012, n. 49759 |