Il giurista risponde, Penale

Furto in abitazione e presenza occasionale È escluso il reato di furto in abitazione, ex art. 624bis c.p., in caso di presenza meramente occasionale all’interno di un luogo di privata dimora o nelle sue pertinenze?

giurista risponde

Quesito con risposta a cura di Silvia Mattei, Consuelo Nicoletti e Francesca Ricci

 

La mera occasionalità della presenza all’interno del luogo di privata dimora o nelle sue pertinenze è insufficiente a configurare la fattispecie di furto in abitazione ex art. 624bis c.p. – Cass., sez. IV, 11 gennaio 2023, n. 3716.

Nel caso di specie il furto oggetto del ricorso aveva riguardato una caldaia a pellet posta all’interno del locale taverna sito al piano terra di una villetta sottoposta ad opera di ristrutturazione. La finalità per le quali l’agente si era introdotto nell’abitazione era quella di ristrutturare, su incarico del proprietario, l’immobile all’interno del quale si trovava il bene sottratto.

Le Sezioni Unite, già in precedenza chiamate a comporre il contrasto applicativo tra gli artt. 624 e 624bis c.p. avevano optato per una nozione molto rigorosa di privata dimora. Pertanto, ai fini della configurabilità del più grave reato previsto dall’art. 624bis c.p., rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale.

Alla stregua di tale rigorosa lettura, si è escluso che nella nozione rientrino, per esempio, i luoghi di lavoro, salvo che il fatto sia avvenuto all’interno di un’area riservata alla sfera privata della persona offesa, mentre vi rientrano quelli adibiti «in modo apprezzabile sotto il profilo cronologico allo svolgimento di atti della vita privata, non limitati questi ultimi soltanto a quelli della vita familiare e intima (propri dell’abitazione)», nonché i luoghi che, ancorché non destinati allo svolgimento della vita familiare o domestica, abbiano, comunque, le caratteristiche dell’abitazione.

Sono stati, così, evidenziati tre elementi necessari ai fini della sussistenza dell’ipotesi di reato in esame: a) l’utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata (riposo, svago, alimentazione, studio, attività professionale e di lavoro in genere), in modo riservato ed al riparo da intrusioni esterne; b) la durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, in modo che tale rapporto sia caratterizzato da una certa stabilità e non da mera occasionalità; c) la non accessibilità del luogo, da parte di terzi, senza il consenso del titolare (così le S.U. 31345/2017).

La giurisprudenza successiva ha sottolineato l’irrilevanza che il fatto sia commesso in un’abitazione disabitata quando siano in corso dei lavori di ristrutturazione. Quello che viene in rilievo è, infatti, il rapporto di stabilità che lega il luogo fisico con la vita privata del titolare.

La dimora, quindi, deve possedere una concreta connotazione che la possa ricondurre alla vita del proprietario (Cass., sez. IV, 1782/2018).

Inoltre, ai fini della configurazione del furto in abitazione, è necessario che sussista il nesso finalistico, e non un mero collegamento occasionale, tra l’ingresso nell’abitazione e l’impossessamento della cosa mobile.

L’art. 624bis c.p. così recita: «Chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, mediante introduzione in un edificio o in un altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa».

L’espressione “mediante introduzione”, pertanto, deve essere letta nel senso che l’introduzione nell’edificio deve coincidere con il mezzo per commettere il reato. Non si tratta, infatti, della pura e semplice collocazione delle cose sottratte in determinati luoghi, uffici o stabilimenti, come diversamente avviene nelle circostanze aggravanti di cui all’art. 625, n. 6 e 7, c.p.

Deve sussistere un rapporto di strumentalità tra l’introduzione nell’edificio e l’azione predatoria posta in essere.

Viceversa, si avrà furto in abitazione quando l’introduzione nell’abitazione del soggetto passivo avvenga a seguito di consenso di quest’ultimo carpito con l’inganno (Cass., sez. V, 13582/2010), poiché la fattispecie incriminatrice dettata dall’art. 624bis richiama indubbiamente la sottostante condotta di violazione di domicilio, sanzionata dall’art. 614 c.p., norma che riguarda comportamenti di introduzione nell’altrui dimora, realizzati “con inganno” o “contro la volontà espressa o tacita di chi ha diritto di escluderlo”.

Nel caso concreto, la finalità per la quale l’agente si era introdotto nell’abitazione era quella di ristrutturare, su incarico del proprietario, l’immobile all’interno del quale si trovava il bene sottratto.

Per tali ragioni, la Suprema Corte di cassazione, con sent. 3716/2023, mancando il nesso finalistico necessario a configurare l’art. 624bis c.p., ha accolto parzialmente il ricorso proposto dal ricorrente e ha annullato la sentenza impugnata limitatamente alla qualificazione giuridica del fatto e rinviato alla Corte di appello di Perugia anche per la verifica della sussistenza della condizione di procedibilità ed eventuale rideterminazione della pena.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cass. S.U. 22 giugno 2017, n. 31345; Cass., sez. IV, 16 gennaio 2018, n. 1782;
Cass., sez. V, 1° aprile 2014, n. 21293
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