diritti di copia

Diritti di copia nel processo penale: i chiarimenti di via Arenula Nuove regole sui diritti di copia nel processo penale: 25 euro per supporti fisici e 8 euro per invii telematici. I chiarimenti della circolare del Ministero della Giustizia del 13 maggio 2025

Diritti di copia nel processo penale

Con la circolare diramata il 13 maggio 2025, pubblicata sul canale Filo Diretto, il Ministero della Giustizia ha fornito importanti chiarimenti in merito al nuovo regime dei diritti di copia nel processo penale, introdotto dalla legge di bilancio 2025 (L. n. 207/2024), che ha modificato le disposizioni del Testo Unico delle spese di giustizia.

Esclusione dell’esenzione prevista nel processo civile

Un primo punto chiarito riguarda l’inapplicabilità, nel rito penale, della disposizione introdotta dal nuovo comma 1-bis dell’art. 269 del T.U. spese di giustizia. Tale norma, che esonera dal pagamento dei diritti di copia le copie senza certificazione di conformità estratte direttamente dal fascicolo informatico, è infatti riferita esclusivamente al processo civile. Nel processo penale, anche il download degli atti digitali comporta un’attività della cancelleria, configurandosi dunque come trasmissione telematica e non come semplice estrazione.

Regime forfettario per copie informatiche nel penale

Con l’introduzione dell’articolo 269-bis del Dpr n. 115/2002, trova applicazione un criterio forfettario di calcolo dei diritti di copia per gli atti e documenti processuali nel settore penale, valido dal 1° gennaio 2025. Sono previste due modalità di rilascio:

  • Supporti fisici (USB, CD, DVD): il costo è pari a 25 euro per ciascun dispositivo utilizzato, indipendentemente dal numero di pagine o dal tipo di contenuto (video, audio, testi);

  • Trasmissione telematica (PEC, PEO, portale): il diritto di copia è fissato in misura forfettaria pari a 8 euro per ogni invio, senza considerare il numero di pagine trasmesse.

In caso di invii multipli – ad esempio per limiti alla dimensione dei file allegati – si applicherà l’importo di 8 euro per ciascuna trasmissione.

Applicabilità anche in assenza del fascicolo informatico

La circolare chiarisce che, anche in contesti in cui il fascicolo informatico non sia attivo (es. nei giudizi d’appello), continua a trovare applicazione il nuovo regime forfettario introdotto dall’art. 269-bis, in quanto riferito a qualunque richiesta di rilascio o trasmissione telematica di atti, indipendentemente dall’effettiva informatizzazione del fascicolo.

Riduzioni nei procedimenti dinanzi al Giudice di Pace

Nel processo penale davanti al Giudice di Pace, i diritti sono ridotti del 50% come stabilito dall’art. 271 del Dpr n. 115/2002:

  • 12,50 euro per supporti fisici;

  • 4,00 euro per ogni trasmissione telematica.

Precisazioni operative

La circolare ministeriale precisa inoltre che:

  • La mera visione degli atti informatici non comporta il pagamento di diritti, che sono dovuti solo nel caso di formale richiesta di copia;

  • Non è ammessa la riproduzione autonoma dei documenti tramite dispositivi personali (scanner, smartphone, ecc.), in quanto elusiva degli obblighi fiscali;

  • Le copie cartacee restano richiedibili, ma i relativi diritti sono soggetti a un aumento del 50%, secondo quanto previsto dall’art. 4, comma 5, D.L. n. 193/2009, convertito in L. n. 24/2010.

incaricato di pubblico servizio

Incaricato di pubblico servizio Incaricato di pubblico servizio: chi è, normativa, tipologie, differenze rispetto al pubblico ufficiale e giurisprudenza

Chi è l’incaricato di pubblico servizio

L’incaricato di pubblico servizio è una figura giuridica rilevante nel diritto penale italiano, collocata accanto a quella del pubblico ufficiale. Si tratta di un soggetto che, pur non essendo titolare di pubblici poteri autoritativi o certificativi, esercita un’attività di pubblico interesse con modalità che richiedono particolare attenzione giuridica.

Normativa di riferimento

La definizione di incaricato di pubblico servizio si trova all’articolo 358 del Codice Penale, che così recita: “Agli effetti della legge penale, sono incaricati di pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio, intendendosi per pubblico servizio un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di quest’ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni d’ordine e della prestazione di lavoro meramente materiale.”

La disposizione precisa quindi che il pubblico servizio, pur essendo attività di interesse collettivo, non attribuisce poteri autoritativi né certificativi all’incaricato.

Tipologie di incaricati di pubblico servizio

Gli incaricati di pubblico servizio possono essere individuati in diverse categorie operative, tra cui:

  • addetti di aziende fornitrici di pubblici servizi (es. dipendenti delle società di trasporto pubblico o delle imprese erogatrici di energia elettrica);
  • addetti alle società concessionarie di servizi pubblici, come la gestione di rifiuti urbani o della distribuzione idrica;
  • personale amministrativo di enti pubblici o di società private che operano in regime di concessione pubblica.

Non rientrano invece nella categoria gli esecutori di mere attività materiali o coloro che svolgono semplici compiti di manovalanza.

Differenze tra incaricato di pubblico servizio e pubblico ufficiale

È fondamentale distinguere l’incaricato di pubblico servizio dal pubblico ufficiale.

Criterio

Pubblico ufficiale

Incaricato di pubblico servizio

Poteri

Esercita pubbliche funzioni con poteri autoritativi e certificativi

Svolge attività di pubblico interesse senza poteri autoritativi o certificativi

Esempi

Carabinieri, giudici, ufficiali di stato civile

Dipendenti di aziende di trasporto pubblico, personale di sportelli amministrativi

Rilevanza penale

Applicazione di reati propri contro la Pubblica Amministrazione (es. abuso d’ufficio, corruzione)

Applicazione limitata a reati compatibili con la mancanza di potere autoritativo

In sostanza, il pubblico ufficiale ha la capacità di manifestare la volontà della Pubblica Amministrazione e di incidere direttamente nella sfera giuridica dei privati, mentre l’incaricato svolge attività strumentale o esecutiva, pur rilevante per il funzionamento di servizi pubblici.

Responsabilità penale dell’incaricato di pubblico servizio

Gli incaricati di pubblico servizio possono rispondere di diversi reati contro la Pubblica Amministrazione, tra cui:

  • peculato (art. 314 c.p);
  • indebita destinazione di denaro o cose mobili (art. 314 bis c.p);
  • peculato mediante profitto dell’errore altrui (art. 326 bis c.p);
  • concussione (art. 317 c.p);
  • induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319 quater c.p);
  • corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio (art. 320 c.o);
  • utilizzazione d’invenzioni o scoperte conosciute per ragione di ufficio (325 c.p);
  • rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio (art. 326 c.p);
  • rifiuto di atti d’ufficio (art. 328 c.p).

Gli incaricati di pubblico servizio sono ovviamente esclusi alle fattispecie che richiedono necessariamente l’esercizio di pubblici poteri, come il reato di falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale (art. 479c.p).

Inquadramento dottrinale e giurisprudenziale

Dottrina e giurisprudenza hanno precisato che la qualifica di incaricato di pubblico servizio non dipende dal rapporto di pubblico impiego né dalla natura pubblica o privata dell’ente datore di lavoro, ma è legata esclusivamente alla funzione esercitata.

La recente pronuncia della Cassazione n. 1957/2023 ha chiarito che l’incaricato di pubblico servizio svolge un’attività regolamentata come la pubblica funzione, ma senza poteri di certificazione o decisione. Allo stesso tempo, il suo ruolo va oltre semplici compiti esecutivi o manuali.

La precedente Cassazione n. 5550/2022 invece ha chiarito che l’esercizio della pubblica funzione o del pubblico servizio non sussiste se l’attività dell’agente è disciplinata da norme di diritto privato, anche qualora una persona giuridica pubblica o una società con partecipazione pubblica quasi totale sia coinvolta.

 

Leggi anche: Il pubblico ufficiale 

tenuità del fatto e iscrizione

Tenuità del fatto e iscrizione nel casellario giudiziale Tenuità del fatto e iscrizione nel casellario giudiziale: la Cassazione chiarisce la rilevanza ai fini dell’abitualità

Particolare tenuità del fatto

Tenuità del fatto e iscrizione nel casellario giudiziale: con la sentenza n. 16666/2025, depositata il 6 maggio, la Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha affrontato un nodo interpretativo rilevante in materia di particolare tenuità del fatto, ai sensi dell’art. 131-bis c.p., chiarendo che l’iscrizione del provvedimento di archiviazione per tenuità rileva esclusivamente ai fini dell’accertamento dell’abitualità del comportamento dell’imputato, e non ha altre conseguenze penali pregiudizievoli.

Il fatto oggetto del giudizio

Nel caso in esame, l’imputato era stato precedentemente destinatario di un provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto, disposto ex art. 131-bis c.p. In un successivo procedimento penale, tale precedente era stato valorizzato per escludere la tenuità di un nuovo episodio, in quanto considerato elemento ostativo sotto il profilo dell’abitualità del comportamento, elemento preclusivo all’applicazione del medesimo istituto.

La difesa aveva eccepito l’illegittimità della valutazione, sostenendo che l’iscrizione del provvedimento di archiviazione non avrebbe dovuto produrre alcun effetto nel nuovo procedimento.

Tenuità del fatto e iscrizione: il principio della S.C.

La Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso, ha affermato il principio secondo cui: “L’iscrizione nel casellario giudiziale del provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p. è rilevante esclusivamente ai fini della valutazione dell’abitualità del comportamento dell’imputato e non produce altri effetti negativi in termini di recidiva o di giudizio di colpevolezza”.

Tale orientamento si pone in linea con il tenore letterale dell’art. 131-bis, il quale prevede l’esclusione della non punibilità quando l’autore abbia commesso più reati della stessa indole, ovvero più condotte che denotino una tendenza delittuosa, anche se in precedenza giudicate di particolare tenuità.

Allegati

guida senza patente

Tenuità del fatto: esclusa per la guida senza patente Guida senza patente e particolare tenuità del fatto: la Cassazione esclude l'applicabilità dell’art. 131-bis c.p.

Guida senza patente e tenuità del fatto

Con la sentenza n. 16367/2025, la quarta sezione penale della Cassazione ha chiarito che la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) non può essere applicata alla contravvenzione di guida senza patente, anche laddove il fatto risulti oggettivamente di minima offensività.

Il fatto

La vicenda trae origine dalla condanna inflitta dal Giudice di pace di Sassari per il reato di guida senza patente, di cui all’art. 116, comma 15, del Codice della strada. L’imputato aveva proposto ricorso per cassazione, lamentando l’omessa valutazione da parte del giudice di merito della possibilità di applicare l’art. 131-bis c.p., sostenendo la lieve entità del fatto e l’assenza di pericolo concreto.

La Cassazione, nel respingere il ricorso, ha ribadito che la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto non può trovare applicazione nel caso di guida senza patente, trattandosi di una contravvenzione che, per natura e struttura normativa, è incompatibile con l’istituto previsto dall’art. 131-bis c.p.

La motivazione: perché l’art. 131-bis c.p. non si applica

La Corte ha valorizzato il carattere formale e di pericolo astratto della contravvenzione di cui all’art. 116, comma 15, C.d.S. La norma incrimina la condotta indipendentemente dalla concreta idoneità a mettere in pericolo la sicurezza stradale, essendo diretta a tutelare un interesse pubblico rilevante: la certezza che chi guida veicoli a motore sia munito di adeguata abilitazione tecnica.

Secondo la motivazione della sentenza, l’elemento tipico della contravvenzione non consente una valutazione in termini di offensività concreta, in quanto l’illecito è fondato su una violazione amministrativa ad elevata disvalore sociale, che si presume per legge.

Di conseguenza, anche in presenza di condotte isolate e prive di danno effettivo, non è possibile ritenere il fatto di particolare tenuità, in quanto la normativa esclude un giudizio discrezionale sulla gravità concreta del reato.

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pubblico ufficiale

Il pubblico ufficiale Pubblico ufficiale: chi è, normativa, tipologie e differenze rispetto all’incaricato di pubblico servizio

Chi è il pubblico ufficiale

La figura del pubblico ufficiale riveste un ruolo centrale nel diritto penale e amministrativo italiano. Si tratta infatti di quei soggetti che, nell’esercizio delle loro funzioni, rappresentano direttamente la Pubblica Amministrazione, esercitando poteri autoritativi o certificativi. Capire chi è il pubblico ufficiale e quali sono le sue responsabilità è fondamentale per interpretare correttamente molte norme del nostro ordinamento.

Normativa di riferimento

La definizione giuridica di pubblico ufficiale è contenuta nell’articolo 357 del Codice Penale, che dispone:

“1. Agli effetti della legge penale, sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa. 2. Agli stessi effetti è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi, e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi.”

La norma specifica che la pubblica funzione implica l’esercizio di poteri autoritativi o certificativi, cioè la capacità di incidere direttamente nella sfera giuridica dei soggetti privati, manifestando la volontà della Pubblica Amministrazione.

Tipologie di pubblici ufficiali

In base all’attività svolta, i pubblici ufficiali possono essere suddivisi in varie categorie:

  • pubblici ufficiali legislativi: parlamentari, consiglieri regionali e comunali;
  • pubblici ufficiali giudiziari: magistrati, cancellieri, ufficiali giudiziari;
  • pubblici ufficiali amministrativi: sindaci, assessori, dirigenti pubblici, ufficiali di stato civile;
  • agenti di polizia giudiziaria: carabinieri, poliziotti, guardie di finanza, limitatamente a specifiche funzioni.

Anche i notai, nella redazione degli atti notarili, agiscono in qualità di pubblici ufficiali, attribuendo fede privilegiata ai documenti redatti.

Funzioni e poteri del pubblico ufficiale

Il pubblico ufficiale esercita:

  • poteri autoritativi, cioè può adottare provvedimenti che incidono unilateralmente sulle situazioni giuridiche dei privati (es. ordinanze, sanzioni);
  • poteri certificativi, ovvero può redigere atti pubblici che fanno piena prova fino a querela di falso (es. registrazione di nascite o decessi, verbalizzazioni ufficiali).

In virtù di questi poteri, il pubblico ufficiale gode di una particolare tutela penale, ma al contempo è soggetto a responsabilità aggravate in caso di reati contro la Pubblica Amministrazione.

Differenze tra pubblico ufficiale e incaricato di pubblico servizio

Sebbene entrambe le figure collaborino con la Pubblica Amministrazione, vi sono differenze sostanziali:

Criterio

Pubblico ufficiale

Incaricato di pubblico servizio

Definizione

Soggetto che esercita pubbliche funzioni con poteri autoritativi o certificativi

Soggetto che svolge un’attività di pubblico interesse senza poteri autoritativi né certificativi

Funzione

Autoritativa e certificativa

Esecutiva o strumentale

Esempi

Sindaco, carabiniere, cancelliere, ufficiale di stato civile

Addetto a società di trasporti pubblici, personale sanitario convenzionato

Reati applicabili

Reati contro la Pubblica Amministrazione, inclusi quelli che presuppongono l’esercizio di pubblici poteri

Reati compatibili con l’assenza di pubblici poteri

Il pubblico ufficiale, dunque, ha una funzione più pregnante e rilevante dal punto di vista giuridico rispetto all’incaricato di pubblico servizio, proprio perché rappresenta in maniera diretta la volontà della Pubblica Amministrazione.

Responsabilità penale del pubblico ufficiale

I pubblici ufficiali sono destinatari di una disciplina penale speciale che riguarda i reati contro la Pubblica Amministrazione, tra cui:

  • Peculato (art. 314 c.p.).
  • Corruzione propria (art. 319 c.p.).
  • Concussione (art. 317 c.p.).
  • Abuso d’ufficio (art. 323 c.p.).
  • Falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atto pubblico (art. 479 c.p.).

La qualità di pubblico ufficiale è una condizione soggettiva che aggrava la responsabilità penale e comporta conseguenze particolarmente rilevanti.

Giurisprudenza

Cassazione n. 11341/2022:  i consiglieri regionali, in quanto membri del gruppo partitico di riferimento, sono da considerarsi pubblici ufficiali per tutte le attività connesse all’esercizio della funzione legislativa pubblica all’interno dell’assemblea regionale. Questa qualifica si estende alle iniziative intraprese tramite il gruppo consiliare, in quanto espressione della loro partecipazione alla funzione legislativa. In sostanza, l’esercizio del mandato di consigliere regionale e l’operare attraverso il gruppo di appartenenza nell’ambito dell’attività legislativa regionale attribuiscono la qualifica di pubblico ufficiale.

Cassazione n. 5550/2022:  Per stabilire se una persona sia un pubblico ufficiale, non conta se lavora per un ente pubblico o privato, né che tipo di contratto abbia. L’elemento decisivo è il tipo di attività che svolge concretamente. Anche un privato può essere considerato pubblico ufficiale se la sua attività è di natura pubblica. Allo stesso modo, è incaricato di pubblico servizio chiunque svolga un servizio pubblico, indipendentemente dal fatto che sia un dipendente pubblico o meno. In sostanza, ciò che definisce la qualifica è la natura pubblica del servizio svolto, non la forma giuridica del datore di lavoro o del rapporto lavorativo.

Cassazione n. 17972/2019: riveste la qualifica di pubblico ufficiale il soggetto che, pur in forza di un contratto privatistico di collaborazione coordinata e continuativa per un incarico di consulenza e supporto alla direzione sanitaria regionale, partecipa alla formazione della volontà dell’ente e all’attuazione dei suoi obiettivi istituzionali. Ciò si verifica anche quando l’attività svolta ha una rilevanza interna al procedimento amministrativo. In sintesi, la natura pubblica della funzione esercitata prevale sulla forma privatistica del rapporto di lavoro, qualora l’attività del soggetto contribuisca concretamente alle decisioni e alle finalità dell’amministrazione.

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abuso d'ufficio

Abuso d’ufficio: l’abrogazione non è incostituzionale La Consulta all'esito dell'udienza pubblica ha ritenuto che l'abrogazione del reato di abuso d'ufficio non è incostituzionale

Abrogazione reato di abuso d’ufficio

Non è incostituzionale l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio. All’esito dell’udienza pubblica svoltasi il 7 maggio 2025, la Consulta ha esaminato in camera di consiglio le questioni di legittimità costituzionale sollevate da quattordici autorità giurisdizionali, tra cui la Corte di cassazione, sull’abrogazione del reato di cui all’art. 323 del codice penale ad opera della legge numero 114 del 2024.

Convenzione di Merida

La Corte, si legge nel comunicato stampa ufficiale, ha ritenuto ammissibili le sole questioni sollevate in riferimento agli obblighi derivanti dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione (la cosiddetta Convenzione di Merida).

Nel merito, la Corte ha dichiarato infondate tali questioni, ritenendo che dalla Convenzione non sia ricavabile né l’obbligo di prevedere il reato di abuso di ufficio, né il divieto di abrogarlo ove già presente nell’ordinamento nazionale.

La motivazione della sentenza sarà pubblicata nelle prossime settimane.

 

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favoreggiamento

Non è favoreggiamento accompagnare la collega a prostituirsi Per la Cassazione non è integrato il reato di favoreggiamento della prostituzione se la condotta è occasionale

Reato di favoreggiamento della prostituzione

La sentenza n. 16535/2025 della terza sezione penale della Cassazione ha affrontato il tema del favoreggiamento della prostituzione, stabilendo che l’accompagnamento occasionale di una prostituta da parte di una collega sul luogo di esercizio non costituisce reato. 

Il caso esaminato

Nel caso in esame, una donna è stata accusata di favoreggiamento della prostituzione per aver accompagnato in auto una collega sul luogo dove quest’ultima esercitava l’attività. La donna adiva il Palazzaccio sostenendo di aver agito per “spirito di colleganza”. La Corte ha ritenuto che tale condotta, se isolata e priva di elementi che indichino un’organizzazione o un supporto sistematico all’attività di prostituzione, non integra il reato previsto dall’art. 3, n. 8, della legge n. 75/1958. 

La motivazione della Corte

La Corte ha sottolineato che per configurare il reato di favoreggiamento della prostituzione è necessario che l’azione dell’agente sia idonea a facilitare in modo concreto e consapevole l’esercizio dell’attività di prostituzione altrui. Nel caso specifico, l’accompagnamento occasionale non è stato ritenuto sufficiente a integrare tale fattispecie criminosa. 

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reato di evasione

Reato di evasione: sì all’attenuante per chi si costituisce La Cassazione considera indifferenti modalità di tempo e luogo di costituzione, richiedendo la norma la volontà di recedere dalla condotta che ha dato origine all’evasione

Reato di evasione

Con la sentenza n. 15265/2025, la sesta sezione penale della Corte di Cassazione ha chiarito un aspetto delicato in tema di reato di evasione (art. 385 c.p.) e applicazione della circostanza attenuante dell’avvenuta costituzione.

Il caso: reato di evasione e costituzione

L’imputato, per il tramite del proprio difensore, impugnava la sentenza della Corte d’appello di Napoli che, confermando la decisione di primo grado, lo aveva condannato, ritenuta la contestata recidiva, a un anno e 8 mesi di reclusione in ordine al delitto di evasione ex art. 385 cod. pen. Riteneva la corte territoriale che non vi fossero i presupposti per l’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. né per la concessione delle circostanze attenuanti generiche e di quella di cui al quarto comma di cui all’art. 335 cod. pen., atteso che la presentazione presso la Caserma dei Carabinieri fosse condotta strumentale del ricorrente.

Da qui il ricorso in Cassazione, innanzi alla quale l’imputato denuncia vizi di motivazione in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche attraverso argomentazioni prive di un apparato logico; esclusione dei presupposti per riconoscere la citata circostanza attenuante, nonostante il ricorrente si fosse presentato presso la Caserma dei Carabinieri per costituirsi; violazione dell’art. 131-bis cod. pen. laddove la Corte non aveva apprezzato la sua buona condotta e la non abitualità a delinquere.

Attenuante art. 385, 4° comma, c.p.

Per gli Ermellini, il ricorso è fondato limitatamente all’attenuante di cui all’art. 385. quarto comma, cod. pen. mentre sono infondati gli altri di fronte alla “significativa biografia criminale – del soggetto – all’assenza di resipiscenza e alla non episodicità del delitto di evasione”.

Quanto alla mancata applicazione dell’attenuante di cui al quarto comma dell’art. 385 c.p., invece, affermano dal Palazzaccio, “costituisce ormai solido principio di diritto quello secondo cui, per poter ritenere sussistenti i presupposti per il riconoscimento della circostanza in parola, è sufficiente che la costituzione in carcere ovvero presso gli organi preposti alla vigilanza del rispetto delle prescrizioni inerenti agli arresti domiciliari, o che abbiano l’obbligo di tradurre l’evaso in carcere, sia volontaria e non conseguente alla coazione fisica delle forze dell’ordine, senza che assumano rilevanza la spontaneità del comportamento o l’assenza di influenze esterne, atteso che scopo della previsione è il tempestivo ripristino dello stato costrittivo, senza dispendio di energie da parte delle forze dell’ordine (Sez. 6, n. 29935 del 13/03/2022, Muggeri, Rv. 283721)”.

Costituzione presso ufficio polizia giudiziaria

“Una volta che sia stata esclusa l’incidenza sulla citata attenuante e della spontaneità della costituzione in carcere o presso chi ha l’obbligo di tradurlo o dei motivi – anche di natura egoistica – che spingono l’evaso ad interrompere la situazione antigiuridica autonomamente creata, come invece previsto dal codice penale, deve ritenersi che sono indifferenti le modalità di tempo e luogo di costituzione – aggiungono dalla S.C. – richiedendo la norma esclusivamente una condotta, anche dettata da esigenze contingenti ed utilitaristiche, che renda palese la volontà di recedere dalla condotta che ha dato origine all’evasione; viene in tal senso esaltata la natura oggettiva dell’attenuante per la cui integrazione è sufficiente sia posta in essere una condotta coincidente con il dettato della norma”.

Ciò anche alla luce dei plurimi principi di diritto espressi dalla S.C., spiegano i giudici, “specie laddove hanno ritenuto di equiparare la costituzione in carcere alla costituzione presso un ufficio appartenente alla polizia giudiziaria che ha l’obbligo di condurre l’evaso in carcere, deve rilevarsi come la motivazione della sentenza che ha escluso la sussistenza dei presupposti per la concessione della citata attenuante confligga con il significato assegnato alla citata disposizione”.

La decisione

Nel caso di specie, la Corte di appello, pur dando atto della natura oggettiva della circostanza attenuante ex art. 385, quarto comma, c.p., erroneamente finisce per assegnare rilevanza a profili di natura soggettiva, allontanandosi dal consolidato indirizzo giurisprudenziale sopra richiamato che reputa irrilevante la motivazione che spinge l’evaso a costituirsi.

Per cui, la sentenza impugnata va annullata, limitatamente alla sussistenza dell’attenuante de qua, con rinvio alla Corte di appello “che dovrà attenersi, nel fornire risposta circa la sussistenza o meno dei presupposti per il riconoscimento dell’invocata attenuante, al principio di diritto sopra richiamato”.

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Rinuncia alla prescrizione

Rinuncia alla prescrizione: quando è efficace? La Cassazione chiarisce che la rinuncia alla prescrizione del reato acquista efficacia al momento in cui la causa estintiva si verifica

Rinuncia alla prescrizione

La Corte di cassazione, con la sentenza n. 16496/2025 della quinta sezione penale, ha chiarito che la rinuncia alla prescrizione del reato, effettuata prima della maturazione della stessa, non è invalida ma semplicemente inefficace, producendo i suoi effetti solo al momento in cui la prescrizione si verifica.  

Il caso

Nel caso esaminato, l’imputato veniva condannato in primo grado per il reato di accesso abusivo ad un sistema informatico aggravato ai sensi dell’art. 615-ter comma 2 n. 1 c.p.. In appello, la Corte dichiarava il reato estinto per prescrizione. La questione approdava dunque innanzi al Palazzaccio. L’imputato lamentava che il termine di prescrizione non si era ancora compiuto ed evidenziava l’interesse a rinunciare alla prescrizione al fine di conseguire una sentenza assolutoria nel merito, atteso che la declaratoria di estinzione del reato non era ostativa all’avvio del procedimento disciplinare nei suoi confronti.

La decisione della Cassazione

Per la S.C. il ricorso è infondato e va rigettato. Nondimeno, evidenziano da piazza Cavour, “l’imputato ha avuto ampia possibilità di rinunziare alla prescrizione prima della pronunzia della Corte territoriale, dovendosi ribadire in tal senso che tale rinunzia, qualora effettuata prima che la prescrizione sia maturata, non è invalida, ma soltanto inefficace, in quanto produce i suoi effetti al verificarsi della causa estintiva del reato (ex multis Sez. 3, n. 3758 del 20/10/2021)”.

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abuso dei mezzi di correzione

Abuso dei mezzi di correzione Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina: cos'è, quando si configura, normativa, elementi, procedibilità, pena e giurisprudenza

Cos’è il reato di abuso dei mezzi di correzione

Il reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, disciplinato dall’articolo 571 del Codice penale, sanziona l’uso eccessivo o improprio di strumenti correttivi o disciplinari da parte di soggetti legittimati, quali genitori, insegnanti, tutori, educatori, o chiunque eserciti un potere analogo.

Tale reato si verifica quando il mezzo, pur legittimo in sé, viene applicato in modo contrario alla finalità educativa e con modalità tali da provocare un nocumento fisico o psichico alla vittima, solitamente un minore o una persona sottoposta a tutela o educazione.

Normativa: art. 571 del Codice penale

Il testo dell’art. 571 c.p. recita: “1. Chiunque abusa dei mezzi di correzione o di disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito, se dal fatto deriva il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente, con la reclusione fino a sei mesi. 2. Se dal fatto deriva una lesione personale, si applicano le pene stabilite negli articoli 582 e 583, ridotte a un terzo; se ne deriva la morte, si applica la reclusione da tre a otto anni [572].”

Quando è integrato il reato

Il reato si perfeziona in presenza di tre presupposti:

  1. legittimazione del soggetto attivo: l’agente deve essere titolare di un potere correttivo o disciplinare (es. genitore, docente, educatore);
  2. utilizzo improprio del mezzo correttivo: il mezzo deve essere in sé lecito, ma impiegato in modo eccessivo o distorto;
  3. pericolo per la salute psico-fisica della vittima: è sufficiente il solo pericolo, senza che sia necessaria la lesione concreta.

Elemento oggettivo del reato

L’elemento oggettivo consiste nell’uso distorto del mezzo di correzione, che deve risultare sproporzionato rispetto alla finalità educativa. Non si tratta, dunque, di qualunque forma di rimprovero o ammonizione, ma di condotte che travalicano il limite dell’educazione e degenerano in maltrattamento.

Sono esempi frequenti di abuso:

  • punizioni fisiche ripetute o violente;
  • isolamento sociale forzato e prolungato;
  • umiliazioni pubbliche;
  • privazioni eccessive.

Elemento soggettivo del reato

Il dolo richiesto è generico, cioè la coscienza e volontà di utilizzare un mezzo correttivo in modo improprio. Non è necessario che l’agente voglia ledere la salute della vittima, ma è sufficiente la consapevolezza di un uso improprio dello strumento disciplinare.

Tuttavia, in caso di dolo specifico o di volontà lesiva, il fatto può integrare reati più gravi, come i maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) o le lesioni personali (art. 582 c.p.).

Procedibilità e pena dell’abuso dei mezzi di correzione 

Il reato è procedibile d’ufficio e prevede:

  • la reclusione fino a 6 mesi se dal fatto deriva un pericolo per la salute della vittima,
  • l’applicazione delle pene previste per le lesioni personali, se da esso deriva una lesione concreta,
  • la reclusione da tre a otto anni se dal fatto deriva la morte del soggetto.

Cassazione sul reato di abuso dei mezzi di correzione 

La giurisprudenza di legittimità ha più volte chiarito i confini tra l’abuso dei mezzi di correzione.

  • Cassazione n. 46974/2024: L’articolo 571 del codice penale italiano proibisce qualsiasi azione, anche se fatta con l’intenzione di educare, che possa mettere a rischio la salute fisica o psicologica di un bambino. In questo caso specifico, lo schiaffo è stato giudicato non adatto al ruolo educativo di un genitore perché danneggia l’integrità fisica del minore. La Corte, basandosi sulla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia che protegge i bambini da ogni tipo di violenza (anche in famiglia), ha sottolineato che l’interesse superiore del bambino deve essere la priorità in qualsiasi metodo educativo, escludendo le punizioni corporali.
  • Cassazione n. 13145/2022: L’uso di violenza da parte di un insegnante non rientra nell’abuso dei mezzi di correzione (art. 571 c.p.) perché tale reato presuppone l’uso di metodi di per sé leciti, che diventano illeciti per l’eccesso. La violenza, invece, è sempre considerata illecita. Nel caso specifico, spingere la testa di un minore nel lavandino o nello scarico configura direttamente un atto di violenza, escludendo l’applicazione dell’articolo sull’abuso dei mezzi di correzione.
  • Cassazione n. 18706/2020: La differenza tra abuso dei mezzi di correzione e maltrattamenti non sta nella gravità della violenza, perché usare violenza per educare o correggere è sempre illegale.

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