lieve entità

Rapina e lieve entità: illegittimo il divieto di prevalenza dell’attenuante sull’aggravante La Corte costituzionale dichiara illegittimo il divieto di prevalenza dell’attenuante della lieve entità sul reato di rapina in presenza di recidiva reiterata

Divieto di prevalenza dell’attenuante della lieve entità

Rapina e lieve entità: con la sentenza n. 117/2025, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, nella parte in cui impedisce la prevalenza dell’attenuante della lieve entità del fatto — introdotta con la precedente sentenza n. 86 del 2024 — rispetto alla circostanza aggravante della recidiva reiterata nel reato di rapina.

Lieve entità: la questione sollevata da giudici e Cassazione

La legittimità del divieto era stata messa in discussione da più autorità giudiziarie, tra cui i Giudici dell’udienza preliminare dei Tribunali di Sassari e di Cagliari, oltre alla Corte di cassazione, che avevano rilevato un contrasto tra la rigidità normativa e il principio di uguaglianza.

Le motivazioni della Corte costituzionale

Richiamando la propria giurisprudenza in materia, la Corte ha ritenuto fondate le censure, evidenziando che il divieto assoluto di prevalenza:

  • viola l’articolo 3 della Costituzione, poiché compromette la funzione di “valvola di sicurezza” dell’attenuante stessa e

  • impedisce di differenziare le sanzioni in base alla gravità concreta del fatto, tradendo così il principio di eguaglianza tra situazioni diverse.

Rapina: fattispecie eterogenea, serve flessibilità nella pena

La Consulta ha sottolineato che il reato di rapina, pur previsto come fattispecie unitaria, può manifestarsi in forme anche molto diverse tra loro per livello di offensività. Mantenere il divieto di prevalenza in modo assoluto, senza lasciare margine di valutazione al giudice, contrasta con i principi di personalizzazione della pena, proporzionalità e finalità rieducativa, sanciti dall’art. 27, commi 1 e 3, della Costituzione.

sequestro di persona

Il sequestro di persona Sequestro di persona: cos'è, condotta tipica, natura del reato, elemento soggettivo, pena base, aggravanti, attenuanti e Cassazione

Sequestro di persona: cos’è

L’articolo 605 del Codice Penale regola il sequestro di persona, un crimine che difende la libertà personale. La Costituzione, all’articolo 13, garantisce la libertà di movimento e spostamento come un diritto inviolabile. Solo lo Stato, attraverso i suoi organi giurisdizionali, può legittimamente limitare questa libertà fondamentale.

Condotta del sequestro di persona

Il reato di sequestro di persona si concretizza quando qualcuno priva o restringe illegittimamente la libertà fisica di un individuo. La condotta tipica comprende azioni che tolgono a una persona la sua libertà personale, sia in modo commissivo (per esempio, chiudendo qualcuno in una stanza) sia in modo omissivo (per esempio, non rilasciando un soggetto e prolungandone la detenzione).

È cruciale che la condotta sia illegittima, ovvero non autorizzata dalla legge o da una causa di giustificazione (come un arresto legale o l’esercizio di un dovere professionale). L’errore sulla legittimità dell’azione può scusare, come previsto dall’articolo 47 del codice penale, purché l’azione non costituisca un altro reato. Il consenso della persona offesa (articolo 50 del codice penale) può escludere l’illiceità della condotta.

Natura del reato

Il sequestro di persona è un reato permanente: la condotta deve protrarsi per un periodo di tempo apprezzabile per configurare il crimine. Il reato si consuma nel momento in cui la libertà personale viene privata per un tempo sufficiente a superare la soglia di offensività. Per la sua configurazione, la vittima non deve poter riacquistare autonomamente la libertà in modo immediato, facile e senza rischi, anche se non tenta attivamente di farlo. È sempre ammesso il tentativo di sequestro.

Elemento soggettivo del sequestro di persona

Il reato richiede l’elemento soggettivo del dolo generico. Il soggetto agente deve avere cioè la coscienza e la volontà di privare o restringere la libertà personale del soggetto passivo. La Cassazione, con la sentenza n. 10357/2025, lo ha confermato stabilendo che l’autore del reato deve essere consapevole di privare illegittimamente la vittima della sua libertà fisica, intesa come libertà di movimento.

Attenzione però, perchè il fine specifico del soggetto agente può cambiare la qualificazione del reato. Se il sequestro infatti è finalizzato all’ottenimento di un riscatto, si configura il sequestro di persona a scopo di estorsione (articolo 630 del codice penale), un reato autonomo.

Pena base e circostanze aggravanti

La pena per il sequestro di persona prevede la reclusione da sei mesi a otto anni. Tuttavia, la sussistenza di diverse circostanze aggravanti specifiche aumentano la pena.

  • La pena sale infatti da uno a dieci anni di reclusione se il fatto viene commesso a danno di un ascendente, un discendente o il coniuge.
  • La stessa pena si applica se un pubblico ufficiale commette il sequestro abusando dei suoi poteri.
  • Se il fatto è commesso a danno di un minore, la pena va da tre a dodici anni di reclusione.
  • La pena è la detenzione da tre a quindici anni se il fatto è commesso in presenza delle circostanze precedenti (parenti stretti o pubblico ufficiale) o in danno di un minore di anni quattordici, oppure se il minore sequestrato viene portato o trattenuto in un paese estero.
  • Se il colpevole provoca la morte del minore sequestrato, la pena da applicare è l’ergastolo.

Circostanze attenuanti

L’articolo 605 prevede anche una circostanza attenuante specifica basata sul “ravvedimento operoso” da parte dell’autore del delitto. Le pene previste per il sequestro di minore (terzo comma) possono diminuire fino alla metà se l’imputato si adopera concretamente per:

  • far riacquistare la libertà al minore;
  • evitare ulteriori conseguenze del reato, fornendo un aiuto concreto all’autorità di polizia o giudiziaria per raccogliere prove decisive, ricostruire i fatti e individuare o catturare uno o più autori di reati;
  • evitare che vengano commessi ulteriori sequestri di minore.

Procedibilità

Nell’ipotesi prevista dal primo comma dell’art. 605 c.p, il reato è punibile a querela della persona offesa. La querela però non è necessaria se il fatto è commesso nei confronti di una persona incapace, per età o per infermità. In questo caso, il reato è perseguibile d’ufficio.

Differenza tra sequestro di persona e a scopo di estorsione

Di recente la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 21241 ha chiarito la differenza tra il sequestro di persona semplice rispetto a quello commesso a scopo di estorsione.

La differenza fondamentale tra il sequestro di persona a scopo di estorsione (Art. 630 del Codice Penale) e il sequestro di persona semplice risiede nel dolo specifico dell’agente, piuttosto che nell’intensità della violenza o delle minacce utilizzate. Il sequestro di persona a scopo di estorsione è caratterizzato dalla finalità specifica di conseguire un ingiusto profitto come prezzo della liberazione della vittima. Questo “scopo estorsivo” è l’elemento centrale che lo differenzia dal sequestro di persona semplice.

Pertanto:

  • Se il fine perseguito dall’autore è quello di far valere una pretesa illegittima, il reato configurabile sarà il sequestro di persona con finalità estorsiva.
  • Se l’agente priva la persona offesa della libertà di locomozione con l’intento di conseguire, attraverso tale forma di costrizione violenta, una pretesa legittima, si dovrà ritenere integrato il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni in concorso formale con il reato di sequestro di persona semplice.

Leggi anche: Sequestro del coniuge: ok alla procedibilità d’ufficio

gratuito patrocinio

Gratuito patrocinio: legittima la richiesta di certificazione consolare allo straniero La Corte costituzionale conferma la legittimità della norma che impone ai cittadini extraeuropei di presentare una certificazione consolare sui redditi prodotti all’estero per accedere al patrocinio gratuito

Certificazione consolare: non viola la Costituzione

Gratuito patrocinio: con la sentenza n. 119 depositata il 22 luglio 2025, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità sollevate dal Tribunale di Firenze in merito alla disciplina del patrocinio a spese dello Stato per i cittadini non appartenenti all’Unione europea. In particolare, è stata confermata la legittimità dell’obbligo di allegare all’istanza una certificazione consolare che attesti la veridicità dei redditi prodotti all’estero.

Il caso: il dubbio sollevato dal Tribunale di Firenze

Il giudice remittente aveva ritenuto che tale obbligo potesse violare gli articoli 3 e 24 della Costituzione, in quanto avrebbe comportato una discriminazione ingiustificata tra cittadini italiani o dell’UE e cittadini extra UE, pur se residenti stabilmente in Italia. A detta del giudice, la richiesta documentale aggiuntiva si porrebbe in contrasto con il principio di eguaglianza e con il diritto alla difesa, rendendo l’accesso alla giustizia più oneroso per una sola categoria di persone.

La ratio dell’obbligo di certificazione

La Corte costituzionale ha respinto le censure, ribadendo quanto già affermato in precedenti pronunce: la previsione ha una finalità di certezza e rapidità nella verifica della condizione economica dei richiedenti non europei, i quali possono produrre redditi in Paesi terzi non direttamente accessibili dall’amministrazione italiana. La certificazione consolare è funzionale ad accertare in modo unitario e rapido la complessiva situazione reddituale dell’istante, senza dover ricorrere a più amministrazioni estere per ottenere documenti separati.

La residenza in Italia non esonera dall’obbligo

Secondo la Corte, il fatto che un cittadino extra UE sia residente in Italia, anche da tempo, non elimina l’interesse statale a verificare i redditi eventualmente prodotti all’estero. La nozione di “non abbienza” – requisito per accedere al patrocinio gratuito – include tutte le risorse economiche, non solo i redditi da lavoro dipendente o autonomo, e richiede una valutazione complessiva della capacità finanziaria del richiedente.

Tutela della parità e dell’efficienza del sistema

La Corte ha quindi confermato che l’obbligo di certificazione consolare non viola i diritti costituzionali, perché risponde a una esigenza di controllo equo e oggettivo sullo stato economico del richiedente. Inoltre, la previsione non ostacola l’accesso alla difesa, poiché è possibile rivolgersi direttamente agli uffici consolari presenti in Italia, senza dover affrontare costi o procedure sproporzionate.

reati ostativi

Pene sostitutive escluse per i reati ostativi La Consulta conferma la legittimità dell’esclusione dei condannati per reati ostativi dalle pene sostitutive, ma richiama il dovere costituzionale di garantire condizioni carcerarie rispettose della dignità e della rieducazione

Reati ostativi: legittima l’esclusione dalle pene sostitutive

Con la sentenza n. 139 del 2025, la Corte costituzionale ha respinto le questioni di legittimità costituzionale sollevate in merito all’articolo 59 della legge n. 689/1981, come modificata dalla riforma Cartabia. La norma preclude l’applicazione delle pene sostitutive alla detenzione per i soggetti condannati per i cosiddetti reati ostativi, ovvero quelli elencati all’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario.

La discrezionalità del legislatore e i limiti della riforma

Secondo la Corte, rientra nella discrezionalità del legislatore decidere quali reati escludere dalle misure alternative alla detenzione, purché la scelta rispetti i principi di ragionevolezza e proporzionalità. Non è quindi irragionevole, né costituzionalmente censurabile, escludere in via generale l’applicazione delle pene sostitutive per reati di maggiore gravità e allarme sociale, come quelli oggetto dei giudizi da cui è nata la questione: violenza sessuale e pornografia minorile.

La riforma Cartabia e la coerenza con la legge delega

La sentenza chiarisce che il decreto legislativo attuativo della riforma non ha violato i criteri stabiliti dalla legge delega, che prevedeva espressamente il coordinamento con le preclusioni già previste dall’ordinamento penitenziario. Il legislatore ha dunque rispettato il mandato ricevuto dal Parlamento.

Nessuna violazione dell’eguaglianza

La disparità di trattamento denunciata dai rimettenti – tra condannati per reati ostativi e non ostativi – è stata esclusa. Per la Consulta, non si tratta di una discriminazione, poiché la gravità del reato può giustificare un trattamento differenziato in fase esecutiva, anche in relazione all’accesso alle misure alternative al carcere.

La pena resta strumento di rieducazione, ma non solo

Il principio della funzione rieducativa della pena, sancito dall’art. 27, comma 3, della Costituzione, non esclude che essa possa rispondere anche a finalità di prevenzione generale e speciale. Pertanto, l’esecuzione della pena detentiva può risultare legittima anche nei confronti di soggetti non più considerati pericolosi, se ciò risponde a esigenze di tutela sociale.

Il carcere deve restare conforme ai principi costituzionali

La Corte ha tuttavia ribadito che la detenzione deve svolgersi nel rispetto della dignità umana e in condizioni tali da favorire comunque il percorso rieducativo del condannato, indipendentemente dalla tipologia di reato. La compatibilità tra esecuzione penale e diritti fondamentali deve essere sempre garantita, anche in presenza di reati particolarmente gravi.

La riforma penale è un passo avanti, ma graduale

Pur legittimando le scelte del legislatore, la Corte costituzionale ha riconosciuto che l’ampliamento del catalogo delle pene sostitutive introdotto dalla riforma Cartabia costituisce un importante progresso nel rispetto dei principi costituzionali. Le pene alternative – come il lavoro di pubblica utilità, la semilibertà o la detenzione domiciliare – sono più funzionali alla rieducazione del condannato rispetto alla detenzione tradizionale.

Tuttavia, l’estensione dell’accesso a tali misure deve avvenire in modo graduale, partendo dai reati meno gravi e lasciando ai margini quelli che il legislatore considera, con giudizio non arbitrario, maggiormente offensivi.

Il problema strutturale del sistema penitenziario

In conclusione, la Corte ha espresso preoccupazione per lo stato delle carceri italiane, ricordando che il sovraffollamento ostacola gravemente l’attuazione della finalità rieducativa della pena e mina il rispetto dei minimi standard di umanità. L’effettiva conformità dell’esecuzione penale ai principi costituzionali dipende anche dalle condizioni materiali e organizzative del sistema penitenziario.

vizio di mente

Vizio di mente, attenuante più ampia La Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo il divieto di prevalenza dell’attenuante del vizio parziale di mente rispetto all’aggravante della rapina commessa presso sportelli bancomat

Vizio di mente: illegittimo il divieto di prevalenza dell’attenuante

La Corte costituzionale, con sentenza n. 130 del 2025, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il divieto di considerare prevalente o equivalente, in sede di determinazione della pena, la circostanza attenuante del vizio parziale di mente rispetto alla aggravante della rapina commessa presso uno sportello bancomat o immediatamente dopo un prelievo.

Il caso sollevato dal Tribunale di Macerata

La questione di legittimità costituzionale era stata proposta dal giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Macerata, il quale rilevava che l’autore della rapina presentava una capacità ridotta di intendere e di volere, tale da integrare l’attenuante del vizio parziale di mente. La norma oggetto di censura, però, impediva al giudice di riconoscere il peso prevalente di tale circostanza rispetto all’aggravante.

Il precedente del 2023 e il principio di eguaglianza

La Consulta aveva già affrontato una questione analoga nella sentenza del 2023, relativa al divieto di prevalenza dell’attenuante del vizio parziale di mente sull’aggravante della rapina in abitazione. In quell’occasione, era stato evidenziato che la disparità di trattamento rispetto alla attenuante della minore età violava l’articolo 3 della Costituzione, in quanto entrambe le condizioni – vizi di mente e minore età – riflettono una ridotta colpevolezza e una minor capacità di controllo degli impulsi.

La dichiarazione di incostituzionalità nel 2025

Richiamando i medesimi principi, la Corte ha ritenuto irragionevole impedire al giudice di valutare la prevalenza dell’attenuante del vizio parziale di mente anche in presenza dell’aggravante della rapina in prossimità di uno sportello automatico. Tale preclusione è stata quindi dichiarata incompatibile con il principio di eguaglianza, sancito dall’art. 3 della Costituzione.

giustizia riparativa

Giustizia riparativa: legittima l’omissione dell’avviso nella sentenza per irreperibilità La Corte costituzionale conferma: è legittima la mancata previsione dell’avviso sulla giustizia riparativa nella sentenza ex art. 420-quater c.p.p. per irreperibilità dell’imputato

Giustizia riparativa: la Corte si pronuncia sul 420-quater c.p.p.

Con la sentenza n. 128 del 2025, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Grosseto in merito all’articolo 420-quater, comma 4, del codice di procedura penale.
La questione riguardava l’assenza, in tale disposizione, dell’avviso all’imputato della possibilità di accedere ai programmi di giustizia riparativa, previsto invece in altre fasi del procedimento.

Il dubbio di costituzionalità

Il giudice rimettente riteneva che la mancata previsione dell’avviso nella sentenza emessa per irreperibilità dell’imputato determinasse una violazione del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) e del diritto di difesa (art. 24 Cost.).
Il riferimento era al diverso trattamento riservato all’imputato rintracciabile, che riceve espressamente l’avviso ai sensi dell’art. 419, comma 3-bis, c.p.p. all’atto della notifica dell’udienza preliminare.

La giustizia riparativa è attività extraprocessuale

La Corte ha respinto il rilievo, sottolineando innanzitutto che la giustizia riparativa non è un procedimento giurisdizionale, né un istituto del processo penale in senso stretto.
Si tratta, piuttosto, di un percorso extraprocessuale volontario, il cui esito può avere rilievo solo ai fini del trattamento sanzionatorio, come nel caso della commisurazione della pena o della sospensione condizionale.

Di conseguenza, l’omessa previsione dell’avviso nella sentenza ex art. 420-quater c.p.p. non incide sul diritto di difesa, poiché la facoltà di accedere alla giustizia riparativa non è legata alla fase processuale né disciplinata dalle stesse garanzie costituzionali.

La scelta legislativa non è manifestamente irragionevole

In secondo luogo, la Corte ha ribadito che il legislatore dispone di ampia discrezionalità nella conformazione del processo penale e degli strumenti alternativi o accessori.
L’assenza dell’avviso nella sentenza che chiude il processo per irreperibilità non è frutto di arbitrarietà, ma trova giustificazione nella presenza di molteplici occasioni successive per esercitare tale facoltà, anche oltre la definizione del processo.

Nessuna lesione alla possibilità di accedere alla giustizia riparativa

Infine, i giudici costituzionali hanno sottolineato che la facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa non è soggetta a termini perentori.
L’imputato può esercitare questa possibilità in qualsiasi momento, anche dopo l’emissione della sentenza per irreperibilità, e quindi non vi è alcuna compromissione del diritto di iniziativa o di autodifesa.

carceri e detenuti

Carceri e detenuti: le misure approvate dal Governo Carceri e detenuti: novità in arrivo per istituti penitenziari, detenzione domiciliare, liberazione anticipata e uffici giudiziari

Governo: nuove misure per carceri e detenuti

Cambiano le regole per carceri e detenuti. Il Consiglio dei Ministri nella giornata di martedì 22 luglio 2025 ha comunicato l’approvazione di una serie di misure finalizzate a ottimizzare l’amministrazione della giustizia, contrastare il sovraffollamento carcerario e offrire percorsi di riabilitazione ai detenuti.

Queste iniziative dimostrano l’impegno del governo per una giustizia più moderna, un sistema carcerario più umano e maggiori opportunità di recupero per i detenuti.

Leggi il Comunicato stampa ufficiale 

Carceri e detenuti: cambia la detenzione domiciliare

Un disegno di legge prevede l’introduzione di un nuovo regime di detenzione domiciliare per i condannati che hanno problemi di dipendenze da droga o alcol. Chi deve scontare una pena detentiva fino a otto anni, o quattro anni per reati di maggiore pericolosità sociale, potrà chiedere di essere ammesso a una struttura terapeutica autorizzata, seguendo un programma socio-riabilitativo residenziale.

Questo beneficio, concedibile una sola volta, richiede la valutazione di una Commissione che accerti la dipendenza e la sua correlazione con il reato.

Il responsabile della struttura informerà le autorità sull’andamento del programma, e la detenzione domiciliare potrà essere revocata in caso di insuccesso o comportamento incompatibile.

Se il programma viene completato con successo, si potrà disporre la detenzione domiciliare o l’affidamento in prova per il reinserimento sociale.

Liberazione anticipata: modifiche procedurali

Parallelamente, un decreto del Presidente della Repubblica modifica le procedure per la liberazione anticipata, rendendole più rapide e rigorose tramite l’informatizzazione dei fascicoli dei detenuti. Si prevede inoltre un aumento dei colloqui telefonici settimanali e mensili con i familiari per mantenere i legami personali.

Edilizia penitenziaria: lavori per creare più posti

Il Programma di edilizia penitenziaria 2025-2027 prevede invece 60 interventi strutturali per recuperare sezioni esistenti e creare nuovi posti detentivi. La finalità è di aggiungere circa 9.700 posti totali, migliorando così le strutture e contrastando il sovraffollamento.

Carceri e detenuti: distribuzione migliore degli uffici giudiziari

Infine, un disegno di legge sulle circoscrizioni giudiziarie mira a distribuire più efficientemente gli uffici giudiziari sul territorio, istituendo il nuovo tribunale di Bassano del Grappa e ripristinando altri tribunali e sezioni distaccate per bilanciare prossimità della giustizia e funzionalità del sistema.

Leggi anche gli altri articoli dedicati al tema delle carceri 

sequestro a scopo di estorsione

Sequestro a scopo di estorsione: pene adeguate La Corte costituzionale conferma che la pena per il sequestro a scopo di estorsione non viola il principio di proporzionalità, grazie agli strumenti interpretativi a disposizione del giudice

Proporzionalità della pena nel sequestro estorsivo

Sequestro a scopo di estorsione: la Corte costituzionale, con la sentenza n. 113 del 2025, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale della pena prevista per il delitto di sequestro di persona a scopo estorsivo, ritenendo che il giudice disponga già di strumenti interpretativi e applicativi idonei a garantire il rispetto del principio di proporzionalità della pena, sancito dall’art. 27, comma 3, della Costituzione.

Il caso concreto esaminato dalla Consulta

La pronuncia è intervenuta su rinvio della Corte d’assise di Torino, che aveva sollevato dubbi di legittimità costituzionale in un procedimento penale nei confronti di tre imputati accusati di avere privato, per breve tempo, alcune vittime della libertà personale, allo scopo di ottenere pagamenti compresi tra 100 e 320 euro come corrispettivo per prestazioni sessuali, che le persone offese ritenevano gratuite. Il fatto era stato qualificato come sequestro estorsivo, reato punito, ai sensi dell’art. 630 c.p., con la reclusione da venticinque a trent’anni.

La pena per il sequestro estorsivo: origine e ratio

La Corte ha richiamato il contesto storico della norma, evidenziando come la previsione di una pena di eccezionale severità fosse stata introdotta in risposta ai sequestri di persona verificatisi negli anni Settanta, caratterizzati da una lunga durata della privazione della libertà personale, riscatti elevatissimi e pericolo per la vita degli ostaggi. In tale contesto, l’inasprimento sanzionatorio era giustificato.

Il correttivo introdotto nel 2012 e gli strumenti oggi disponibili

Già con la sentenza n. 68 del 2012, la Corte costituzionale aveva giudicato manifestamente sproporzionata la pena minima di venticinque anni nei casi di sequestro di minore gravità, introducendo la possibilità di riduzione fino a un terzo della pena (minimo di sedici anni e otto mesi di reclusione).

Con la nuova pronuncia, la Corte ribadisce che, anche qualora la pena ridotta appaia ancora eccessiva, il giudice può fare applicazione del principio di proporzionalità, utilizzandolo come criterio interpretativo della norma penale, per escludere l’applicabilità dell’art. 630 c.p. ai fatti che non raggiungano la soglia di gravità voluta dal legislatore.

L’obbligo del giudice di una valutazione conforme al principio di proporzione

La Consulta afferma che il giudice deve valutare attentamente la qualificazione giuridica del fatto, verificando se esso configuri effettivamente un sequestro a scopo di estorsione, oppure se sia più correttamente riconducibile a reati diversi, come il sequestro di persona semplice (art. 605 c.p.), l’estorsione (art. 629 c.p.) o la rapina (art. 628 c.p.).

Tali reati, pur essendo gravi, prevedono pene più proporzionate alla lesione effettiva del bene giuridico tutelato, evitando così l’irrogazione di una sanzione eccessiva rispetto alla concreta entità del fatto.

La compatibilità con il principio di legalità

Infine, la Corte precisa che questa interpretazione non viola il principio di legalità (art. 25, comma 2, Cost.). Tale principio, infatti, impedisce l’applicazione analogica in malam partem, ma non esclude una interpretazione restrittiva della norma incriminatrice, qualora il fatto concreto sia estraneo ai fenomeni criminosi che il legislatore ha inteso colpire con una sanzione di particolare rigore.

evasione dagli arresti domiciliari

Evasione dagli arresti domiciliari: punibile anche l’indagato La Corte costituzionale chiarisce che l’indagato può essere punito per evasione dagli arresti domiciliari al pari dell’imputato. Legittima l’interpretazione dell’art. 385 c.p., comma 3

Nessuna distinzione tra imputato e indagato

Evasione dagli arresti domiciliari: con la sentenza n. 107 del 2025, depositata in data odierna, la Corte costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 385, comma 3, c.p., nella parte in cui – secondo il diritto vivente – consente di punire anche l’indagato per il reato di evasione dagli arresti domiciliari, nonostante il testo della norma faccia riferimento esclusivo all’imputato.

Il contesto storico-normativo della disposizione

La Consulta ha ricostruito il contesto normativo in cui fu redatto l’articolo oggetto di censura. Il terzo comma dell’art. 385 c.p. venne sostituito dall’art. 29 della legge n. 532/1982, quando era ancora vigente il codice di procedura penale del 1930. All’epoca, il legislatore utilizzava il termine “imputato” per indicare qualsiasi soggetto indiziato, anche nella fase delle indagini preliminari.

Il concetto moderno di “indagato”, distinto da quello di “imputato”, è stato introdotto soltanto con il nuovo codice di rito entrato in vigore nel 1989.

La continuità interpretativa della norma penale

Secondo la Corte, dunque, il termine “imputato”, così come impiegato nel terzo comma dell’art. 385 c.p., include anche l’indagato, alla luce del significato attribuitogli al momento della redazione della norma.

Non si configura pertanto alcuna violazione del principio di legalità, come dedotto dal giudice rimettente, poiché l’interpretazione estensiva che consente di punire l’indagato per evasione è coerente con la ratio originaria della disposizione e con l’evoluzione del diritto positivo.

bullismo e cyberbullismo

Bullismo e cyberbullismo: cosa prevede il decreto attuativo Bullismo e cyberbullismo: in vigore dal 16 luglio 2025 il decreto legislativo che rafforza la prevenzione e il contrasto in attuazione della legge n. 70/2024

Bullismo e cyberbullismo: il decreto in vigore

Il decreto legislativo n. 99/2025, approvato dal Consiglio dei Ministri è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale l’1 luglio 2025 per entrare in vigore il 16 luglio 2025.

Il testo recante”Disposizioni in materia di prevenzione e contrasto del bullismo e del cyberbullismo“, mira a rafforzare la prevenzione e il contrasto a entrambi i fenomeni, in attuazione della legge n. 70/2024, con cui si pone quindi in linea di continuità.

Bullismo e cyberbullismo: emergenza infanzia

Il nuovo decreto potenzia il servizio telefonico “emergenza infanzia 114”, estendendone l’operatività anche a questi fenomeni per tutelare i minori. Il 114, attivo 24 ore al giorno 7 giorni su 7, offrirà una prima assistenza psicologica e giuridica, oltreché una consulenza psicopedagogica e segnalerà i casi gravi alle autorità. L’app del 114 includerà anche la geolocalizzazione (previa acquisizione del consenso) e un servizio di messaggistica istantanea. Il tutto ovviamente nel rispetto della privacy. I dati anonimi sui fenomeni del bullismo e del cyberbullismo nelle scuole, raccolti dal 114, saranno trasmessi annualmente al Ministero dell’Istruzione e del Merito per programmare azioni di sensibilizzazione. Il sito web del 114 garantirà inoltre un’ ampia accessibilità ai servizi.

Indagini statistiche su bullismo e cyberbullismo

L’ISTAT condurrà rilevazioni biennali su questi fenomeni giovanili la fine di identificarne le caratteristiche, i soggetti a rischio, i fattori e le conseguenze psicologiche che producono. La Presidenza del Consiglio dei Ministri invierà alle Camere un rapporto di sintesi con i risultati ISTAT e lo stato di attuazione delle misure nelle scuole secondarie.

Più responsabilità genitoriale

Il decreto aggiorna inoltre le comunicazioni dei fornitori di servizi online, richiamando però sul punto anche la responsabilità genitoriale prevista dall’ articolo 2048 del codice civile per i danni causati dai figli minori nel mondo online.

Campagne su uso responsabile della rete

La Presidenza del Consiglio promuoverà campagne informative sull’uso consapevole della rete e sui suoi rischi. Il Ministero dell’Istruzione e le scuole promuoveranno infine la conoscenza del numero 114, strumento fondamentale per esternare il disagio e chiedere aiuto.

 

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