riscatto contributi omessi

Riscatto contributi omessi: le novità del Collegato lavoro Riscatto contributi omessi: anche il lavoratore e i suoi superstiti hanno il diritto di chiedere la rendita vitalizia con oneri a loro carico

Riscatto contributi omessi: contesto normativo e novità

La legge n. 203/2024, entrata in vigore il 12 gennaio 2025, ha modificato l’articolo 13 della legge n. 1338/1962, introducendo importanti novità in materia di riscatto dei contributi previdenziali omessi dal datore di lavoro. Questa modifica legislativa rappresenta un passo significativo verso la tutela dei diritti dei lavoratori, offrendo loro la possibilità di sanare periodi contributivi scoperti e di garantire una pensione più adeguata.

Riscatto contributi: il diritto del lavoratore

La nuova disposizione riconosce anche al lavoratore e ai suoi superstiti il diritto di richiedere la costituzione di una rendita vitalizia a proprio carico per gli oneri contributivi omessi e prescritti dovuti dal datore di lavoro. Questo significa che, anche in caso di inadempienza del datore di lavoro, il lavoratore può intervenire per colmare le lacune contributive e assicurarsi una copertura previdenziale completa.

Requisiti e modalità di richiesta

Per ottenere la rendita vitalizia, il lavoratore deve dimostrare l’esistenza e la durata del rapporto di lavoro, la qualifica ricoperta e le somme percepite a titolo di retribuzione. La richiesta può essere presentata solo dopo che sia decorso il termine di prescrizione per l’esercizio delle facoltà previste dai commi 2 e 5 dell’articolo 13 della legge n. 1338/1962.

Riscatto contributi: il ruolo dell’INPS

L’INPS, con la circolare n. 48 del 24 febbraio 2025, ha fornito le istruzioni amministrative necessarie per l’applicazione della nuova normativa. L’Istituto sottolinea l’importanza della verifica della prescrizione dei diritti del datore di lavoro e del lavoratore, nonché della corretta documentazione del rapporto di lavoro.

La prova del rapporto di lavoro

Un aspetto cruciale è la prova del rapporto di lavoro. Il lavoratore deve fornire documentazione che attesti l’effettiva prestazione lavorativa, la sua durata e la retribuzione percepita. A tal fine, possono essere utilizzati diversi tipi di documenti, come contratti di lavoro, buste paga, comunicazioni aziendali e testimonianze.

Implicazioni e vantaggi per i lavoratori

La nuova normativa offre ai lavoratori una maggiore tutela e la possibilità di sanare periodi contributivi scoperti, anche in situazioni complesse. Questo rappresenta un importante passo avanti verso una maggiore equità nel sistema previdenziale.

Le novità in sintesi

  • Autonomia del lavoratore: il lavoratore e i suoi eredi possono ora agire autonomamente, senza limiti di tempo.
  • Onere finanziario: il lavoratore si assume interamente l’onere del riscatto.
  • Prescrizione: la richiesta di riscatto da parte del lavoro è possibile solo dopo la prescrizione dei diritto del datore di lavoro e del lavoratore in sostituzione.
  • Prova del rapporto: il lavoratore deve dimostrare il periodo di lavoro.
  • Ruolo dell’INPS: l’INPS verifica la corretta applicazione della normativa e nella circolare detta regole specifiche per la richiesta della rendita a seconda che l’istanza venga presentata prima o dopo l’entrata in vigore del collegato lavoro, legge n. 203/2024.

 

Leggi anche: Collegato Lavoro: cosa prevede

ticket di licenziamento

Ticket di licenziamento Ticket di licenziamento 2025: definizione, normativa di riferimento, importi 2025, casi di esonero e giurisprudenza

Cos’è il ticket di licenziamento

Il ticket di licenziamento è un contributo che il datore di lavoro deve versare all’INPS in caso di cessazione involontaria del rapporto di lavoro a tempo indeterminato. L’importo di questo contributo varia in base all’anzianità del lavoratore e alla retribuzione imponibile ai fini previdenziali.

Introdotto con la riforma Fornero (Legge n. 92/2012), il ticket di licenziamento ha la finalità di finanziare la NASpI (Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego), garantendo un sostegno economico ai lavoratori che perdono il posto di lavoro involontariamente.

Normativa di riferimento

Le principali disposizioni normative relative al ticket di licenziamento sono:

  • Legge n. 92/2012 (riforma Fornero);
  • Lgs. n. 22/2015, che disciplina la NASpI;
  • Circolari INPS n. 40/2020 e n. 137/2021, che aggiornano le modalità di calcolo e versamento del contributo.

Nel 2025, il ticket di licenziamento rimane obbligatorio per tutti i datori di lavoro che interrompono un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, ad eccezione di alcuni casi specifici.

Quando non si paga il ticket di licenziamento

Esistono alcune eccezioni in cui il ticket di licenziamento non è dovuto, tra cui:

  • dimissioni volontarie del lavoratore, salvo il caso di dimissioni per giusta causa;
  • risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, all’interno di aziende con meno di 15 dipendenti e in presenza di un tentativo di conciliazione ali sensi dell’art. 410 c.p.c;
  • interruzione del rapporto di lavoro nelle società sottoposte a procedura fallimentare o in amministrazione straordinaria se ha beneficiato della cassa integrazione straordinaria negli anni 2019 e 2020;
  • licenziamenti causati da cambi di appalto a cui operò sono seguite assunzione da parte di altri datori di lavoro applicando le clausole che garantiscono continuità lavorativa;
  • interruzioni contratti di apprendistato di primo livello (qualifica e diploma professionale, diploma di istruzione secondaria superiore e certificato di specializzazione tecnica superiore).

Quanto costa il ticket di licenziamento nel 2025

L’importo del ticket di licenziamento è calcolato sulla base della retribuzione media mensile imponibile ai fini previdenziali del lavoratore negli ultimi 12 mesi e della durata del rapporto di lavoro. Per il 2025, l’INPS con la circolare n. 25 del 29.1.2025 ha aggiornato i valori relativi a questo trattamento.

  • Il contributo è calcolato nella percentuale del 41% sulla prima fascia della retribuzione mensile convenzionale (per il 2025 pari a Euro 1.436,61);
  • L’importo massimo mensile della Naspi per il 2025 è di Euro 1.562,82 euro (aggiornato al tasso di inflazione dello 0,8%);
  • L’importo massimo del contributo è quindi pari a 922,28 euro per ogni anno di anzianità aziendale del lavoratore, fino a un massimo di tre anni. L’importo si ottiene moltiplicando il 41% di Euro 1.562,82 (valore Naspi 2025) ovvero 640,67 euro per tre.

Il valore del ticket licenziamento quindi dipende anche dal valore della Naspi.

Novità 2025 sul ticket di licenziamento

Con il 2025, sono state introdotte alcune novità normative:

  • L’importo massimo del ticket è stato aggiornato a 1.922,28 con un incremento rispetto all’anno precedente per via dell’adeguamento all’inflazione;
  • Sono in fase di discussione nuove modalità di esonero per aziende in crisi o che attuano piani di ristrutturazione con accordi sindacali;
  • L’INPS ha intensificato i controlli sui versamenti per evitare omissioni contributive.

Giurisprudenza rilevante

Alcune sentenze recenti hanno chiarito aspetti controversi del ticket di licenziamento:

Tribunale di Cremona n. 333/2024:  Anche nei casi in cui il recesso venga irrogato a un dipendente che si è assentato volontariamente dal posto di lavoro, il ticket di licenziamento rimane un obbligo a carico del datore di lavoro. Il ticket di licenziamento resta quindi a carico del datore di lavoro, anche nei casi in cui il licenziamento derivi da una condotta disciplinarmente rilevante del dipendente. Il datore di lavoro non può trasferire tale onere economico al lavoratore, poiché la normativa stabilisce chiaramente che il contributo è dovuto in caso di cessazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, salvo le eccezioni espressamente previste. Inoltre, in assenza di prova che il lavoratore abbia rassegnato le dimissioni, sia in forma esplicita che tacita, il licenziamento viene considerato un atto unilaterale del datore di lavoro. Di conseguenza, il contributo deve essere versato dallo stesso, come stabilito dalla legge.

Cassazione n. 22905/2024: L’esonero dall’obbligo contributivo a carico del datore di lavoro, previsto per i casi di cessazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato che teoricamente potrebbe dar diritto all’indennità, indipendentemente dalla sua effettiva fruizione, si applica nel settore edile esclusivamente nelle ipotesi di completamento dei lavori e chiusura del cantiere. Tale esonero, disciplinato dall’art. 2, comma 34, lett. b), si riferisce unicamente alla conclusione del ciclo produttivo in senso tecnico, ovvero alla “fine lavori” effettiva del cantiere.

Tribunale di Udine 160/2020: Il datore di lavoro ha diritto al rimborso del cosiddetto ticket di licenziamento nel caso in cui il lavoratore, con piena consapevolezza, abbia volontariamente determinato il proprio licenziamento per giusta causa, con l’intento di ottenere l’accesso alla misura di sostegno al reddito NASpI.

 

Leggi gli altri interessanti articoli in materia di licenziamento

detrazioni figli a carico

Detrazioni figli a carico: le indicazioni Inps Nuove istruzioni Inps sulle detrazioni figli a carico: l'istituto illustra le novità della legge di bilancio 2025

Detrazioni figli a carico

Detrazioni figli a carico: con il messaggio n. 698 del 26 febbraio 2025, l’INPS ha fornito chiarimenti sull’applicazione delle modifiche fiscali introdotte dall’articolo 1, comma 11, della Legge 30 dicembre 2024, n. 207 (Legge di Bilancio 2025), che ha apportato significative variazioni all’articolo 12 del DPR 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR) in materia di detrazioni per carichi di famiglia.

Le modifiche alle detrazioni per carichi di famiglia

La Legge di Bilancio 2025 ha aggiornato l’articolo 12 del TUIR, introducendo le seguenti variazioni:

  • Figli a carico: La detrazione massima riconosciuta è di 950 euro per ciascun figlio, compresi i figli nati fuori dal matrimonio riconosciuti, adottivi, affiliati o affidati, nonché i figli del coniuge deceduto conviventi con il coniuge superstite. Questa detrazione si applica ai figli di età compresa tra 21 e 30 anni e ai figli di età pari o superiore a 30 anni solo se con disabilità accertata ai sensi dell’articolo 3 della Legge 5 febbraio 1992, n. 104.
  • Ascendenti a carico: La detrazione massima riconosciuta è di 750 euro per ciascun ascendente convivente con il contribuente, da ripartire pro quota tra coloro che ne hanno diritto.
  • Esclusione per cittadini extra UE ed extra SEE: Con l’introduzione del comma 2-bis all’articolo 12 del TUIR, è stabilito che le detrazioni per carichi di famiglia non spettano ai contribuenti non cittadini italiani, UE o SEE per i familiari residenti all’estero.

Adeguamenti del sistema INPS

A seguito di queste novità, l’INPS ha aggiornato il proprio sistema di Detrazioni Unificate, con le seguenti misure:

  • Eliminazione delle detrazioni per figli a carico ultra 30enni senza disabilità.
  • Revoca delle detrazioni per altri familiari a carico, con la possibilità di dichiarare un ascendente convivente.

Ulteriori istruzioni operative

L’INPS ha precisato che ulteriori dettagli applicativi relativi al comma 2-bis dell’articolo 12 del TUIR saranno forniti con un prossimo messaggio. Tuttavia, resta inalterata la disciplina per i non residenti “Schumacker”, disciplinata dall’articolo 24, comma 3-bis del TUIR.

assegno di inclusione

Assegno di inclusione: le novità del ministero del Lavoro Il ministero ha reso nota la disponibilità di due nuovi strumenti operativi per accompagnare i beneficiari e gli operatori dell'assegno di inclusione

Assegno di inclusione, i nuovi strumenti operativi

Sono disponibili due nuovi strumenti operativi per accompagnare i beneficiari e gli operatori dell’Assegno di inclusione (ADI), nell’applicazione del percorso dedicato ai nuclei con all’interno componenti con obbligo di attivazione lavorativa e sociale. Lo ha reso noto il ministero del Lavoro sul proprio sito.

Cos’è l’Assegno di inclusione

L’Assegno di Inclusione (ADI), si ricorda, è una misura di sostegno economico e di inclusione sociale e professionale, rivolta ai nuclei familiari in cui sono presenti componenti con disabilità, componenti minorenni o con almeno 60 anni di età. Ovvero in condizione di svantaggio e inseriti in programmi di cura e assistenza dei servizi socio-sanitari territoriali certificati dalla pubblica amministrazione.

La misura è condizionata al possesso di determinati requisiti (di residenza, cittadinanza e soggiorno, alla prova dei mezzi sulla base dell’ISEE, alla situazione reddituale e all’adesione a un percorso personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa).

L’iter di attivazione dell’ADI

Come noto, scrive il dicastero, per accedere alla misura e mantenerla, i beneficiari ADI devono seguire l’iter di attivazione e, se il percorso lo prevede, rispettare gli impegni indicati nel Patto per l’Inclusione Sociale (PaIS) e nel Patto di Servizio Personalizzato (PSP).

A definirne i contorni è l’analisi multidimensionale che individua 4 tipologie di percorsi con relativi obblighi:

  1. obbligo di attivazione lavorativa e sociale;
  2. facoltà di attivazione lavorativa e sociale;
  3. facoltà di attivazione del Supporto per la Formazione e il Lavoro (SFL);
  4. obbligo di attivazione sociale e facoltà di attivazione lavorativa.

L’obbligo di attivazione lavorativa e sociale

L’“Obbligo di attivazione lavorativa e sociale” riguarda i componenti del nucleo di età compresa tra i 18 e i 59 anni che esercitano la responsabilità genitoriale e non hanno cause di esclusione. Il ministero ha reso disponibile un pdf in cui vengono descritte passo passo le azioni da compiere per il relativo percorso. Il tutto è sintetizzato altresì in una locandina, pensata anche per essere stampata e messa a disposizione dei beneficiari.

contributi figurativi

Contributi figurativi Contributi figurativi: cosa sono, quando si possono riscattare, normativa di riferimento, come chiederli e giurisprudenza  

Cosa sono i contributi figurativi

I contributi figurativi sono periodi di contribuzione accreditati dall’INPS senza un effettivo versamento da parte del lavoratore o del datore di lavoro. Sono riconosciuti in determinate situazioni che impediscono la normale attività lavorativa, in modo da garantire la continuità dei diritti previdenziali e pensionistici. Questi contributi possono essere determinanti per il raggiungimento dei requisiti minimi per la pensione di vecchiaia, anticipata o per altre prestazioni previdenziali.

Quando si possono ottenere i contributi figurativi

I contributi figurativi possono essere riconosciuti automaticamente dall’INPS o su richiesta del lavoratore. Le principali situazioni in cui vengono concessi includono:

  • disoccupazione indennizzata NASpI;
  • cassa integrazione e integrazioni salariali;
  • maternità e congedo parentale (sia per lavoratrici dipendenti che autonome);
  • malattia e infortunio sul lavoro;
  • servizio militare o civile;
  • aspettativa per cariche elettive o sindacali;
  • congedo per donne vittime di violenza:
  • periodi di assistenza a familiari con disabilità grave;
  • permessi per donazione di midollo osseo e sangue
  • periodo di studio universitario riscattato.

Normativa di riferimento

La disciplina dei contributi figurativi è regolata da diverse norme, tra cui:

  • Legge n. 155/1981: ha introdotto il riconoscimento dei contributi figurativi per la disoccupazione indennizzata;
  • Lgs. n. 564/1996: disciplina il riscatto dei periodi di studio universitario;
  • Legge n. 388/2000: ha esteso il riconoscimento automatico di alcuni contributi figurativi;
  • Legge n. 335/1995 (Riforma Dini): ha riformato il sistema previdenziale, introducendo il calcolo contributivo anche per i contributi figurativi;
  • Legge n. 232/2016 (Legge di Bilancio 2017): ha ampliato i diritti ai contributi figurativi per lavoratori in determinate condizioni.

Come fare domanda per il riscatto

Alcuni contributi figurativi vengono accreditati automaticamente, mentre altri devono essere richiesti all’INPS. Ecco come procedere:

  1. Verifica della posizione contributiva: consultando l’estratto conto previdenziale tramite il portale INPS.
  2. Presentazione della domanda: attraverso:
    • Il portale INPS con accesso tramite SPID, CIE o CNS;
    • Patronati o CAF che forniscono assistenza gratuita;
    • Contact Center INPS (numero 803 164 da rete fissa o 06 164 164 da cellulare).
  3. Attesa dellistruttoria: l’INPS verifica la documentazione e comunica l’esito della richiesta.

Per il riscatto dei periodi di studio universitario, è prevista la possibilità di accedere al riscatto agevolato, introdotto dal Decreto-Legge n. 4/2019, che consente il versamento di contributi a condizioni vantaggiose.

Giurisprudenza rilevante

La Corte di Cassazione ha emesso diverse sentenze in materia di contributi figurativi:

Cassazione n. 20828/2022: Non è ammissibile richiedere in giudizio solo l’accertamento del grado di invalidità per ottenere prestazioni previdenziali o assistenziali, poiché non si possono proporre azioni autonome su singoli elementi di un diritto senza richiederne il riconoscimento complessivo. Nel caso specifico, il contribuente, non avendo presentato domanda amministrativa per la pensione, non poteva chiedere in giudizio l’accredito dei contributi figurativi.

Cassazione n. 4254/2023: La contribuzione figurativa è una copertura assicurativa garantita dallo Stato per proteggere i lavoratori nei periodi in cui, senza loro colpa, l’attività lavorativa è sospesa. Si tratta di un accreditamento fittizio dei contributi per situazioni eccezionali rispetto alla contribuzione obbligatoria, come malattia, infortunio, servizio militare, maternità, disoccupazione e incarichi pubblici. Pur essendo regolata dalla legge, mantiene la sua natura anche se concessa d’ufficio o su richiesta.

Cassazione n. 24916/2024:  Nel sistema previsto dall’art. 24, comma 10, della legge n. 214/2011, che consente la pensione anticipata con un’anzianità contributiva di 42 anni e 1 mese per gli uomini e 41 anni e 1 mese per le donne, è possibile includere la contribuzione figurativa. Diversamente, nel sistema di cui al comma 11, che prevede il pensionamento anticipato anche in base all’età anagrafica, la contribuzione richiesta deve essere effettiva.

 

Leggi l’articolo di approfondimento su questa sentenza Pensione anticipata: nuovi scenari dopo la Cassazione

assegno di maternità

Assegno di maternità Assegno di maternità: importo rivalutato 2025, requisiti soggettivi e reddituali e indicazioni per fare domanda

Assegno di maternità: che cos’è

L’assegno di maternità è un contributo economico previsto per ogni figlio nato a partire dal 1° gennaio 2001 o per ogni minore in affidamento preadottivo o in adozione che alla data indicata non sia stato dato in affidamento.

A chi spetta l’assegno di maternità

Le donne residenti in Italia, con cittadinanza italiana o comunitaria o straniere in possesso di determinati requisiti hanno diritto all’assegno di maternità.

L’assegno spetta alle madri disoccupate o che, pur lavorando, non godono di altre indennità di maternità erogate dall’INPS o dal datore di lavoro. La misura spetta anche alle madri che beneficiano di indennità  di maternità in misura inferiore all’assegno di maternità. In quest’ultimo caso l’assegno è erogato per la differenza.

Importo dell’assegno di maternità 2025

L’importo mensile dell’assegno di maternità per nascite, affidamenti e adozioni verificatesi dal 1° gennaio al 31 dicembre del 2025, come da comunicato della Presidenza del Consiglio dei Ministri, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 4 febbraio 2025, è pari a Euro 407,40 se spettante nella misura intera.

La circolare INPS 19 febbraio 2025, n. 45 informa che, in base alla variazione della media 2024 dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, l’importo totale dell’Assegno mensile di maternità, se spetta nella misura intera, sarà di 2.037 euro per le nascite, gli affidamenti preadottivi e le adozioni senza affidamento che si verificheranno dal 1° gennaio 2025 al 31 dicembre 2025.

Requisito economico ISEE per l’assegno di maternità

Inoltre, in seguito alla rivalutazione comunicata dalla presidenza, sulla base della variazione dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati dello 0,8% per il 2025, relativamente al valore dell’indicazione della situazione economica equivalente (ISEE), la soglia non deve essere superiore a euro 20.382,90.

Domanda: come e quando farla

La domanda per richiedere l’assegno di maternità deve essere presentata al Comune di residenza entro 6 mesi.

Il termine decorre dalla nascita o dalla data di ingresso effettivo in famiglia del minore adottato o in affidamento.

Quando può essere presentata da soggetti diversi:

  • Se la madre del bambino è minorenne, il padre, se maggiorenne, può presentare domanda. Se anche il padre del bambino è minorenne il genitore della madre, che ne ha la responsabilità genitoriale o un legale rappresentante, può fare domanda.
  • Se la madre del minore o colei che lo avuto in adozione o in affido è deceduta, la domanda può essere inoltrata dal padre che lo abbia riconosciuto (o dal coniuge della donna adottiva o affidataria). Il minore però deve collocato presso la famiglia anagrafica del soggetto che fa la domanda e deve essere sottoposto alla sua responsabilità genitoriale.
  • Se la madre ha abbandonato il bambino o il minore è stato dato in affidamento esclusivo al padre, la domanda può essere presentata da quest’ Il minore in questo caso deve trovarsi presso la famiglia anagrafica del padre e deve essere sottoposto alla sua responsabilità genitoriale. La madre deve risultare residente o soggiornante in Italia al momento del parto, in questo caso l’assegno spetta al padre.
  • Se i coniugi si sono separati la domanda può essere presentata dall’adottante o dall’affidatario preadottivo. Il minore tuttavia deve far parte della famiglia anagrafica del soggetto che presenta la domanda e l’assegno non deve essere già stato riconosciuto alla madre adottiva o affidataria.
  • In caso di adozione speciale (art. 44 comma 3 legge n. 184/1983) la domanda può essere presentata dall’adottante non sposato. Il minore però deve essere collocato presso la famiglia anagrafica del richiedente e deve essere sottoposto alla sua responsabilità genitoriale.
  • Se il minore non è riconosciuto o non è riconoscibile dai genitori la domanda può essere presentata dal soggetto a cui il minore è stato affidato dal giudice. In questo caso il bambino deve rientrare nella famiglia anagrafica del soggetto a cui è stato affidato.

Documenti da produrre per la domanda

Chi presenta la domanda per l’assegno di maternità deve anche produrre alcuni documenti.

  • Una DSU valida che indichi i redditi percepiti dal nucleo famigliare nell’anno precedente.
  • Un’autocertificazione che dichiari il possesso dei requisiti richiesti dalla legge per fare domanda, l’assenza di altri trattamenti economici e di non aver fatto domanda per l’assegno di cui all’art. 75 dlgs n. 151/2001 per lavori atipici e discontinui. Qualora il soggetto dichiari di beneficiare di qualche indennità legata alla maternità deve indicarne l’importo.

 

Leggi anche questo interessante articolo sul Bonus asilo nido 

creator digitali

Creator digitali: le linee guida Inps L'istituto ha pubblicato una circolare riguardante l'inquadramento previdenziale e contributivo dei creator digitali

Creator digitali: fisco e contributi

L’INPS ha pubblicato la circolare 19 febbraio 2025, n. 44 riguardante l’inquadramento previdenziale e contributivo dei creator digitali (DCC), un settore in rapida evoluzione che coinvolge soprattutto i giovani.

Il documento fornisce linee guida chiare e pratiche, per facilitare la gestione degli obblighi fiscali e contributivi legati a queste nuove professioni.

Adattare le norme alle professioni dell’economia digitale

L’obiettivo principale della circolare è quello di adattare le normative esistenti alle specifiche esigenze delle professioni legate all’economia digitale, che spesso sfuggono a schemi consolidati; essa descrive le caratteristiche distintive dell’attività di creazione di contenuti, le diverse modalità di svolgimento e remunerazione, e i vari rapporti di lavoro che possono sorgere tra i DCC, le aziende e le agenzie intermediarie.

Chi sono i creator digitali: dagli influencer ai pro gamer

Particolare attenzione è riservata alla figura del creator, che comprende influenceryoutuberstreamerpodcaster e pro gamer, con l’intento di fornire un quadro flessibile e comprensibile, che possa evolvere con il settore. La circolare non intende creare un elenco rigido di figure professionali, ma piuttosto stabilire principi comuni per inquadrare le diverse attività.

La disciplina previdenziale applicabile

La parte centrale del documento si concentra sulla disciplina previdenziale applicabile, affrontando l’inquadramento giuridico di queste professioni in mancanza di normative specifiche. L’Istituto utilizza criteri già esistenti per definire il regime previdenziale appropriato, esaminando variabili chiave come le modalità di attività e l’organizzazione del lavoro.
Inoltre, la circolare è stata elaborata con il coinvolgimento del mondo associativo di settore, garantendo che le osservazioni e le indicazioni dei professionisti siano state integrate nel testo.

apprendistato

Apprendistato: la guida Il contratto di apprendistato: definizione, normativa, funzionamento, novità della Legge 203/2024 e giurisprudenza

Il contratto di apprendistato

Il contratto di apprendistato è una forma di contratto di lavoro che combina l’attività lavorativa con la formazione professionale. Si tratta di uno strumento essenziale per favorire l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, permettendo loro di acquisire competenze specifiche attraverso un percorso formativo strutturato.

Definizione normativa

Il contratto è definito dall’art. 41 del D.Lgs. n. 81/2015, che lo inquadra come un rapporto di lavoro finalizzato alla formazione e alla qualificazione professionale del lavoratore. La peculiarità di questo contratto è la duplice natura: lavorativa e formativa. L’apprendista, infatti, svolge attività lavorative sotto la supervisione di un tutor, ma al contempo partecipa a percorsi di formazione teorica e pratica.

Normativa di riferimento

La disciplina generale del contratto è contenuta nel D.Lgs. n. 81/2015, parte integrante del Jobs Act. Tuttavia, la normativa è stata recentemente aggiornata con la Legge 203/2024, che ha introdotto novità significative per semplificare le procedure e ampliare la platea dei beneficiari.

Le principali fonti normative sono:

  • D.Lgs. n. 81/2015: disciplina organica del contratto di apprendistato.
  • Legge n. 203/2024: introduce modifiche sulla durata, sugli incentivi contributivi e sull’accesso all’apprendistato.
  • Circolari INPS e Ministero del Lavoro: forniscono chiarimenti operativi su aspetti contributivi e procedurali.

Tipologie di contratto di apprendistato

Il contratto di apprendistato si articola in tre principali tipologie:

  1. Apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore
    • Rivolto ai giovani dai 15 ai 25 anni.
    • Finalizzato al conseguimento di un titolo di studio o di una qualifica professionale.
  1. Apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere:
  • Destinato ai giovani dai 18 ai 29 anni (17 anni se in possesso di qualifica professionale).
  • Mira a fornire competenze tecnico-professionali specifiche.
  1. Apprendistato di alta formazione e ricerca
  • Per giovani dai 18 ai 29 anni, finalizzato al conseguimento di titoli universitari, dottorati o specializzazioni.

Come funziona l’apprendistato

Il contratto di apprendistato prevede:

  • Un piano formativo individuale che definisce le competenze da acquisire e che viene stabilito anche sulla base di moduli e formulari stabiliti dalla contrattazione collettiva.
  • La presenza di un tutor o referente aziendale responsabile della formazione.
  • Una parte teorica e una parte pratica, con un bilanciamento variabile a seconda del tipo di apprendistato.

Durata

La durata minima e massima del contratto varia in base alla tipologia:

  • Apprendistato per la qualifica: fino a 3 anni (4 per il diploma quadriennale).
  • Apprendistato professionalizzante: fino a 3 anni (5 per artigianato o mestieri complessi).
  • Apprendistato di alta formazione: la durata è concordata con le istituzioni scolastiche o universitarie.

Chi può accedere al contratto di apprendistato

Requisiti per l’apprendista:

  • Età: generalmente compresa tra i 15 e i 29 anni, con alcune eccezioni per categorie particolari.
  • Titoli di studio: in alcuni casi specifici, è richiesto il possesso di una qualifica professionale o titolo di studio.

Requisiti per il datore di lavoro

  • Le imprese devono garantire un ambiente di lavoro idoneo e la presenza di un tutor qualificato.
  • È necessario rispettare i limiti numerici sugli apprendisti in rapporto ai lavoratori qualificati.

Novità introdotte dalla Legge 203/2024

La Legge 203/2024 ha apportato alcune modifiche significative al contratto di apprendistato:

  • Snellimento delle pratiche burocratiche per l’attivazione del contratto.
  • Digitalizzazione del piano formativo individuale.
  • Riduzione dei contributi a carico del datore di lavoro per i primi anni del contratto.
  • Agevolazioni fiscali per le imprese che stabilizzano gli apprendisti al termine del periodo formativo.
  • Introduzione della possibilità di svolgere parte della formazione teorica tramite piattaforme digitali, con standard qualitativi certificati.

Aspetti contributivi e fiscali

Questo contratto beneficia di un regime contributivo agevolato:

  • Contributi previdenziali ridotti a carico del datore di lavoro, variabili in base alla tipologia e alla durata del contratto.
  • Incentivi fiscali per le aziende che stabilizzano gli apprendisti al termine del contratto.

Secondo l’INPS, le modifiche introdotte dalla Legge 203/2024 prevedono una ulteriore riduzione dei contributi per le piccole e medie imprese nei primi due anni di apprendistato.

Giurisprudenza rilevante sull’apprendistato

La giurisprudenza ha fornito chiarimenti su vari aspetti del contratto di apprendistato, soprattutto in merito alla sua corretta gestione e alle implicazioni in caso di irregolarità.

Cassazione n. 6704/2024: Per quanto concerne l’apprendistato (e analogamente il contratto di formazione-lavoro ex art. 3 del d.l. n. 726/1984, convertito con modifiche nella l.n. 863/19849, il quale risulta essere la forma più affine all’apprendistato professionalizzante), sia la dottrina prevalente sia la consolidata giurisprudenza di questa Corte convergono nel definire tale rapporto contrattuale come avente una causa mista. Infatti, in cambio della prestazione lavorativa, il datore di lavoro è tenuto sia a corrispondere una retribuzione sia a fornire un addestramento finalizzato all’acquisizione di una qualifica specifica.

Cassazione n. 30657/2024: Il contratto di apprendistato si fonda essenzialmente sullo scambio di formazione per una specifica mansione. Se il lavoratore non è idoneo a seguire tale percorso formativo, l’oggetto stesso del contratto perde di significato. Inoltre, il datore di lavoro, nell’ambito di un apprendistato, non può imporre all’apprendista compiti diversi da quelli stabiliti dal contratto, limitando così il proprio potere organizzativo. Diversamente dai contratti di lavoro ordinari, in cui esiste l’obbligo di ricercare mansioni compatibili con lo stato di salute del dipendente, nel contratto di apprendistato non sussiste tale dovere: il licenziamento per inidoneità fisica o psichica dell’apprendista è pertanto legittimo senza l’obbligo di procedere a una ricollocazione.

Cassazione n. 9286/2020: Nel contratto di apprendistato, l’elemento fondamentale è l’obbligo da parte del datore di lavoro di fornire un vero processo di addestramento professionale, volto all’acquisizione di una qualifica da parte del tirocinante. Di conseguenza, il valore predominante della formazione rispetto alle attività lavorative esclude che un contratto di apprendistato possa riguardare l’esecuzione di compiti meramente elementari o ripetitivi, privi di un adeguato supporto didattico sia teorico che pratico.

 

Leggi anche: Apprendistato duale: i chiarimenti Inps

danno da demansionamento

Danno da demansionamento: l’aggiornamento tecnologico incide Danno da demansionamento: è compito del lavoratore dimostrare il danno subito, su cui incide il mancato aggiornamento tecnologico

Danno da demansionamento

La Corte Suprema di Cassazione, con l’ordinanza n. 3400/2025, afferma che la mancanza di aggiornamenti tecnologici influisce sul danno da demansionamento. Tale incidenza è maggiore nei settori caratterizzati da rapidi progressi tecnologici. Il giudice, nel calcolare il risarcimento per il danno subito, deve considerare questo aspetto insieme ad altri parametri. Il lavoratore però ha l’onere di provare il danno da demansionamento, anche con elementi indiziari che siano gravi, precisi e coerenti.

Reintegrazione nel livello e risarcimento del danno

Il Tribunale, in qualità di giudice di primo grado, accoglie le richieste di un lavoratore contro la società datrice che lo ha declassato. L’autorità giudiziaria ordina alla società di reintegrare il dipendente nelle mansioni precedenti e risarcirlo per il danno subito alla sua professionalità.

La Corte d’appello conferma la decisione iniziale. In primo grado è stato accertato l’inquadramento al V livello del dipendente, così come le sue elevate competenze, l’autonomia decisionale e la gestione delle risorse assegnate, assenti nelle caratteristiche tipiche dell’operatore specialista in customer care. Il giudice di primo grado quindi ha giustamente valutato e corretto l’inquadramento del dipendente al III livello. Il lavoratore da parte sua ha invece adempiuto all’onere della prova a suo carico. Il demansionamento è durato tre anni, per cui risulta appropriata anche la valutazione equitativa del danno di 1000 euro mensili. La società datrice decide tuttavia di contestare la decisione ricorrendo alla Corte di Cassazione.

Impatto del mancato aggiornamento tecnologico

La Cassazione però respinge il ricorso, ritenendo inammissibili e infondate le obiezioni sollevate. La Corte territoriale ha valutato correttamente le mansioni effettivamente svolte dal lavoratore senza riscontrare in esse le caratteristiche tipiche del V livello rispetto al III livello. In materia di dequalificazione professionale, la Cassazione respinge anche il secondo motivo d’appello ricordando che “è risarcibile il danno non patrimoniale ogni qual volta si verifichi una grave violazione dei diritti dei lavoratori tutelati costituzionalmente”, valutando anche la persistenza della condotta lesiva, la sua durata e ripetizione delle condizioni di disagio professionale e personale e l’inerzia del datore di lavoro verso le richieste del dipendente, anche senza intenzione deliberata di declassare o svalutare i compiti del dipendente. La prova del danno deve essere fornita dal dipendente anche attraverso indizi gravi, precisi e coerenti capaci di dimostrare aspetti come qualità e quantità del lavoro svolto, tipo di professionalità richiesta, durata del demansionamento o nuova collocazione assunta successivamente.

L’importanza degli aggiornamenti tecnologici

Nel caso specifico, la Cassazione ritiene che la Corte d’appello abbia qualificato correttamente i comportamenti della società datrice e il conseguente danno da demansionamento subito dal lavoratore a causa della condotta reiterata dell’azienda e della privazione degli aggiornamenti tecnologici necessari. Corretta anche la quantificazione equitativa del danno poiché ben motivata, in linea con i criteri applicati e non sproporzionata per eccesso e per difetto. L’importo mensile risarcitorio è stato determinato valutando l’oggettiva differenza tra le mansioni eseguite dal dipendente prima e dopo aprile 2018. Da quel momento infatti il lavoratore è stato effettivamente assegnato a mansioni inferiori dopo aver ottemperato a un ordine giudiziale per riassegnazione delle mansioni.

 

Leggi anche: Licenziamento per giustificato motivo oggettivo

Allegati

licenziato chi usa

Licenziato chi usa l’auto aziendale per fini privati La Cassazione ha chiarito che può essere legittimamente licenziato chi utilizza l'auto aziendale per scopi privati durante l'orario lavorativo

Uso privato dell’auto aziendale

La sezione lavoro della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 3607/2025, ha chiarito che il prestatore di lavoro può essere legittimamente licenziato chi usa l’auto aziendale per scopi privati durante l’orario lavorativo.

La vicenda

I fatti hanno per protagonista un dipendente – di una società consortile operante nel trattamento delle acque reflue civili e industriali) che per fini extra-lavorativi in orario di lavoro, in più episodi utilizzava il mezzo aziendale, riducendo così in modo fraudolento il tempo della prestazione lavorativa e creando una “situazione di apparenza lavorativa”.

Veniva aperto procedimento disciplinare a seguito del quale all’uomo veniva irrogato licenziamento.

Il ricorso in Cassazione

Da qui l’impugnativa che veniva rigettata sia in primo che in secondo grado e il ricorso in Cassazione, innanzi alla quale il lavoratore lamenta diverse doglianze, tra cui l’illegittimità dell’attività investigativa svolta dall’azienda, per avere incaricato un’agenzia privata per controllare le mansioni svolte dallo stesso all’esterno dell’impianto contra legem (artt. 2, 3, 4 legge n. 300/1970). Sostiene, inoltre, che dal controllo investigativo non è emersa alcuna fattispecie penalmente rilevante e non sono state individuate condotte riconducibili a
responsabilità aquiliana. Infine, violazione della privacy e omesso esame di fatti decisivi, per mancata considerazione della genericità e faziosità della relazione investigativa, svolta da agenzia privata retribuita dal datore di lavoro.

La relazione investigativa

Sul fronte dei controlli del datore di lavoro, anche a mezzo di agenzia investigativa, la Corte ritiene che la sentenza impugnata sia conforme alla costante giurisprudenza di legittimità (richiamata espressamente in motivazione), secondo cui tali controlli “sono legittimi ove siano finalizzati a verificare comportamenti del lavoratore che possano integrare attività fraudolente, fonti di danno per il datore medesimo, non potendo, invece, avere ad oggetto l’adempimento/inadempimento della prestazione lavorativa, in ragione del divieto di cui agli artt. 2 e 3 St. lav. (v. Cass. n. 6174/2019, П. 4670/2019, п. 15094/2018, п. 8373/2018); cfr. anche Cass. n. 6468/2024, n. 10636/2017).
Nella fattispecie di causa il controllo non era diretto a verificare le modalità di adempimento della prestazione lavorativa, bensì la condotta fraudolenta di assenza del dipendente dal luogo di lavoro, nonostante la timbratura del badge.

No alla violazione della privacy

Neppure sussiste, proseguono dal Palazzaccio, la lamentata violazione della privacy del dipendente, seguito nei suoi spostamenti, in quanto il controllo era effettuato in luoghi pubblici e finalizzato ad accertare le cause dell’allontanamento. “L’attività fraudolenta è stata ravvisata nella falsa attestazione della presenza in servizio e nell’utilizzo personale del mezzo aziendale, nonostante il lavoratore fosse autorizzato a usare detto mezzo solo per motivi attinenti all’attività lavorativa; ciò prescinde dall’integrazione di una fattispecie di reato o dalla quantificazione del danno, comunque riscontrabile nell’utilizzo improprio della vettura e
dell’orario lavorativo retribuito”.

Dichiarate inammissibili anche le altre doglianze, il ricorso è, pertanto, rigettato e il licenziamento confermato.

 

Vedi gli altri articoli in materia di diritto del lavoro

Allegati