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Dazi americani: cosa comportano Dazi americani: come funzionano, da quando verranno applicati i dazi alle importazioni e gli errori di calcolo di Trump

Cosa sono i dazi americani

Il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha annunciato i dazi americani che verranno applicati nei confronti di tutti i Paesi del mondo.

Nell’annunciare le gabelle ha mostrato una tabella, in cui sono elencati tutti gli Stati che verranno colpiti dai dazi e a lato di ciascun Paese le tariffe che verranno applicate, in misura percentuale.

Vedi la “Tabella pazza” pubblicata dall’ANSA

Le tariffe entreranno in vigore dal 5 al 9 di aprile, a scaglioni.

I dazi del 10% entreranno in vigore alle ore 6.00 di sabato 5 aprile, mercoledì 9 aprile alla stessa ora invece entreranno in vigore quelli con una percentuale superiore al 10%. I dazi superiori al 10% colpiranno molti Stati, tra i quali figurano la Cina e l’Unione Europea.   

Come funzionano i dazi americani

Il criterio che viene adottato dall’amministrazione del Presidente Trump si basa su un calcolo molto semplice. In pratica gli Stati Uniti applicheranno dazi pari alla metà di quello che essi subiscono dai vari Stati.

Tanto per fare un esempio, la Cina applicherebbe agli Stati Uniti dazi doganali nella misura del 67%, mentre l’Europa, Italia compresa, applicherebbe la misura percentuale del 39%. Ebbene nei confronti di Cina ed Europa, tanto per fare un esempio, Trump applicherà dazi doganali pari alla metà ossia 39% alla Cina e il 20% all’Europa.

Gli errori di calcolo di Trump  

Il Presidente Trump applica però, nei confronti dei vari Stati, Europa compresa, stime meramente teoriche. Il suo unico obiettivo consiste in pratica nell’azzerare le perdite che gli Stati Uniti subiscono a causa dei dazi che verrebbero imposti dagli altri Paesi agli Stati Uniti. I calcoli corretti però sono ben più complessi. Quelli di Trump infatti non tengono conto di diverse variabili, come stanno evidenziando importanti economisti italiani.

Il Presidente Trump tiene conto solo del disavanzo commerciale degli Stati Uniti rispetto agli altri Paesi. Dato che risulta dal mero confronto del valore delle importazioni dei beni, senza considerare i servizi.

C’ poi la questione dell’Iva, che Trump considera erroneamente un dazio e che quindi, a suo dire, contribuirebbe anch’essa al disavanzo degli Stati Uniti.

Sul punto però occorre fare chiarezza. Un dazio infatti è un’imposta diretta che colpisce solo i beni importati in un Paese per scoraggiarne il consumo attraverso l’aumento del costo rispetto ai beni prodotti internamente al Paese stesso. In questo modo il dazio protegge l’economia interna rendendo meno appetibili i prodotti stranieri.

L’Iva, invece, è un’imposta che colpisce tutti i beni che vengono consumati all’interno di un Paese. Essa non si applica in modo diverso in base alla provenienza del bene. L’Iva infatti non persegue il fine di limitare le importazioni, non ha quindi una finalità protezionistica.

Se non si imponesse l’Iva sui prodotti americani, applicandola solo ai prodotti interni, quelli americani verrebbero privilegiati perché meno costosi. A tutto danno della nostra economia.

 

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IRAP (Imposta Regionale Attività Produttive) IRAP: guida breve all'imposta regionale sulle attività produttive applicabile alle attività economiche dirette alla produzione e allo scambio di beni o servizi

Cos’è l’IRAP

L’Imposta Regionale sulle Attività Produttive (IRAP) è un tributo locale introdotto con il D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446. Si applica alle attività economiche dirette alla produzione e allo scambio di beni o servizi esercitate abitualmente nel territorio delle regioni, incidendo sul valore della produzione netta generata dalle imprese.

Normativa di riferimento

L’IRAP è disciplinata dal D.Lgs. 446/1997, che ne stabilisce l’ambito di applicazione, il calcolo e le modalità di versamento. Le regioni hanno facoltà di modificare l’aliquota base entro i limiti fissati dalla normativa statale.

Soggetti passivi IRAP

Sono obbligati al pagamento dell’Imposta Regionale sulle Attività Produttive:

  • le società si capitali e le società di persone;
  • gli enti non commerciali;
  • gli enti privati diversi da trust e società;
  • le amministrazioni pubbliche.

Dal 2022, le persone fisiche e i soggetti che esercitano una attività agricola (art. 32 TUIR) non sono più tenute al pagamento dell’Irap, così come certe cooperative e consorzi. Da prima del 2022 sono esclusi  dal pagamento dell’imposta coloro che operano in regime forfettario.

Base imponibile

L’IRAP si applica sul valore della produzione netta, che si determina in modo diverso a seconda della categoria di soggetti passivi e che deriva dall’attività che viene esercitata nel territorio della regione.

Aliquote IRAP

L’aliquota ordinaria è fissata al 3,9%, ma le regioni possono modificarla nei limiti di legge. Alcune aliquote differenziate riguardano il settore agricolo, quello bancario, quello assicurativo e la sanità pubblica.

Scadenze e modalità di pagamento

Il versamento dell’Imposta Regionale sulle Attività Produttive prevede la possibilità di rateizzare l’importo nelle seguenti modalità:

  • Acconto: suddiviso in due rate (a giugno e a novembre);
  • Saldo: entro il termine di pagamento delle imposte sui redditi.

Il pagamento avviene mediante modello F24, utilizzando i codici tributo specifici dell’Agenzia delle Entrate, che variano a seconda che si decida di rateizzare o meno il pagamento.

Modello IRAP 2025

L’Agenzia delle Entrate nel mese di marzo 2025 ha approvato il modello di dichiarazione “Irap 2025”, insieme alle relative istruzioni, per la presentazione dell’Imposta Regionale sulle Attività Produttive nell’anno 2025. Questo modello, che include anche le specifiche tecniche per la trasmissione telematica dei dati, definisce le modalità di compilazione e di invio della dichiarazione.

 

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processo tributario

Processo tributario e prove in appello: l’affondo della Consulta La Corte Costituzionale si pronuncia sulla nuova disciplina delle prove in appello nel processo tributario

Processo tributario e prove in appello

Con la sentenza numero 36/2025 la Consulta ha esaminato la legittimità costituzionale di alcune disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 220/2023, che ha introdotto modifiche significative in materia di contenzioso tributario.

L’oggetto del giudizio riguarda, in particolare, le criticità sollevate dalle Corti di giustizia tributaria di secondo grado della Campania e della Lombardia, in relazione alle nuove restrizioni sulla produzione di prove in appello.

Il divieto di deposito di deleghe e procure

La Consulta ha dichiarato incostituzionale l’articolo 58, comma 3, del d.lgs. n. 546/1992, come modificato dall’articolo 1, comma 1, lettera bb) del d.lgs. n. 220/2023, nella parte in cui vieta il deposito in appello di deleghe, procure e atti di conferimento di potere. Secondo la Corte, tale divieto contrasta con il diritto alla prova e non trova giustificazione rispetto agli altri elementi probatori ammessi in secondo grado.

Confermato il divieto sulle notifiche dell’atto impugnato

Di contro, la Corte ha ritenuto legittimo il divieto di produrre in appello le notifiche dell’atto impugnato e gli atti presupposti, escludendone il contrasto con i principi costituzionali. Questa restrizione, secondo i giudici, evita che il processo d’appello diventi un’occasione per sanare omissioni probatorie commesse in primo grado.

Dichiarata l’irragionevolezza della norma transitoria

Un ulteriore profilo di incostituzionalità ha riguardato l’articolo 4, comma 2, del d.lgs. n. 220/2023, nella parte in cui estende le nuove regole sulle prove anche ai giudizi già pendenti in secondo grado. La Corte ha ritenuto questa disciplina irragionevole, in quanto incide retroattivamente sulle aspettative delle parti, lesinando la tutela di posizioni giuridiche già consolidate.

Implicazioni pratiche per il processo tributario

Questa pronuncia rappresenta un punto di riferimento per gli operatori del diritto tributario, chiarendo i limiti alla produzione di prove in appello e confermando la volontà del legislatore di limitare il ricorso all’appello per sanare vizi procedurali. Tuttavia, la Corte ha ribadito che le restrizioni non possono ledere il diritto alla difesa, soprattutto quando la mancata produzione della prova non sia imputabile alla parte.

testo unico

Testo Unico Riscossione dal 2026 Testo Unico sulla riscossione dei tributi pubblicato in Gazzetta Ufficiale e in vigore dal 1° gennaio 2026

Riscossione dei tributi: il Testo Unico

Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 26 marzo 2025 il D.Lgs. n. 36/2025, Testo Unico in materia di riscossione dei tributi. Il documento approvato in via definitiva dal Consiglio dei Ministri il 13 marzo 2025 è frutto dell’iniziativa del Ministro Giorgetti, al fine di attuare la delega governativa per la riforma fiscale.

Questo Testo Unico, collegato al decreto riscossione n. 110/2024 insieme a quelli relativi alla giustizia tributaria, ai tributi erariali minori e alle sanzioni tributarie tende al perseguimento degli obiettivi governativi della semplificazione e razionalizzazione del sistema fiscale nel suo complesso.

Leggi a questo proposito Riforma tributaria: testi unici entro il 31 dicembre 2025

Riscossione dei tributi: struttura del Testo Unico

Il Testo Unico dedicato alla fase della riscossione, che sarà in vigore al 1° gennaio 2026, riunisce al suo interno le disposizioni vigenti sparse nei vari testi normativi in un unico contenitore. La sua struttura segue un preciso iter logico, che è quello che viene seguito in via ordinaria per l’acquisizione delle entrate. Composto da 243 articoli complessivi il testo risulta suddiviso il 3 parti, la I intitolata “Disposizioni in materia di versamenti e riscossione” comprende i seguenti titoli:

  1. Disposizioni i materia di riscossione spontanea;
  2. Riscossione imposte sul reddito;
  3. Rimborsi;
  4. Riscossione mediante ruoli;
  5. Estensione delle disposizioni sulla riscossione mediante ruolo;
  6. Riscossione coattiva;
  7. Mutua assistenza per il recupero dei crediti sorti nel territorio nazionale o in uno Stato membro UE (Direttiva 2010/24/UE);

La Parte II intitolata “Funzionamento del servizio nazione della riscossione” risulta composta invece dal seguenti titolo:

  1. Funzionamento del servizio nazione della riscossione.

La Parte III infine contiene nel titolo I

  1. Disposizioni varie, transitorie e finali.

A tutto questo si aggiungono 2 allegati:

  1. Allegato A: art. 53, comma 4 lettera a;
  2. Allegato B: art. 53, comma 4.

Favorita la riscossione spontanea

Il Testo Unico rende più efficienti le procedure di riscossione spontanea e individua nel modello F24 come lo strumento principale per procedere ai versamenti. Il Modello F23 viene conservato, ma solo per il versamento di tributi particolari.

Favorita la digitalizzazione anche grazie all’integrazione tra i dati delle banche, dell’Amministrazione finanziaria e delle piattaforme che permettono di procedere con i pagamenti. In questo modo si riducono gli errori materiali e i rimborsi in presenza di versamenti di importo superiore al dovuto.

Soglie di riscossione aggiornate

Non si procede più all’accertamento, all’iscrizione a ruolo e alla successiva riscossione se l’importo di ogni credito (comprese sanzioni e interessi) risulta inferiore a 30 euro.

Grazie alla riduzione del numero di iscrizioni a ruolo le operazioni amministrative subiscono così un positivo snellimento.

Riscossione dei tributi: fino a 10 anni per saldare le cartelle 

Il nuovo meccanismo di dilazione di pagamento consentirà ai contribuenti di estinguere i loro debiti con più calma. I piani di pagamento potranno prevedere fino a un massimo di 120 rate a cadenza mensile, per la durata quindi di 10 anni per importi superiori ai 120.000,00 euro in presenza di difficoltà economiche dimostrate.

Discarico automatico

Il testo prevede anche il discarico automatico delle cartelle che non sono state riscosse entro il termine di 5 anni dall’affidamento. L’Ente creditore conserva però il diritto di avviare azioni di recupero o di riaffidare il credito ad ADER se emergono nuovi e significativi elementi reddituali.

notifica pec inesistente

Notifica PEC inesistente se l’indirizzo non risulta dai registri pubblici E’ inesistente e non può essere sanata la notifica effettuata da un indirizzo PEC che non risulta dai pubblici registri

Notifica PEC inesistente

Notifica PEC inesistente se eseguita da un indirizzo che non risulta dai registri pubblici. La notifica PEC degli atti tributari ha generato numerosi contenziosi, come evidenziato dalla recente sentenza n. 1828/2025 della Corte di giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio. La questione riguarda la validità delle notifiche effettuate da indirizzi PEC non registrati nei pubblici elenchi. Vediamo quali sono le ragioni per le quali la Corte è giunta a ritenere invalide le notifiche effettuate da un indirizzo di posta elettronica non risultante dai registri pubblici e a escludere ogni effetto sanante per il raggiungimento dello scopo, come previsto dall’articolo 156 c.p.c.

Mancata notifica PEC: indirizzo non risultante

Una società impugna una cartella di pagamento per IVA relativa al 2014, contestando la mancata notifica. La scoperta della cartella è avvenuta infatti solo attraverso un estratto di ruolo richiesto all’Agente della Riscossione. L’Agente della Riscossione produce in giudizio la prova dell’invio della cartella tramite PEC, sostenendo che la notifica fosse valida e che il credito fosse ormai definitivo per mancata opposizione nei termini previsti. La Commissione Tributaria Provinciale  accoglie la tesi dell’Agente, ritiene valida la notifica via PEC e dichiara inammissibile il ricorso per tardività. La società quindi presenta appello, contestando la legittimità della notifica, l’indirizzo PEC utilizzato dall’Ufficio non risultava infatti dai pubblici registri.

Notifica PEC inesistente e non sanabile

La Corte Tributaria analizza tutta la questione alla luce della normativa vigente. Secondo l’art. 16-ter del D.L. 179/2012, la notifica via PEC è valida solo se effettuata da un indirizzo certificato presente nei pubblici elenchi. Dagli atti però emerge che l’indirizzo PEC utilizzato dall’Agente della Riscossione non risultava nei registri pubblici fino al 1 settembre 2022. Questo elemento porta la Corte a ritenere la notifica inesistente dal punto di vista giuridico.

La giurisprudenza della Corte di Cassazione conferma questo orientamento, ribadendo che le notifiche effettuate da indirizzi non certificati non possono produrre effetti giuridici validi (Cass. 3093/2020, Cass. 17346/2019).

Le notifiche eseguite a mezzo pec da indirizzi pec che non risultano dai registri pubblici devono  essere considerate inesistenti e deve essere escluso di conseguenza ogni effetto sanante in virtù del raggiungimento dello scopo, come previsto dall’articolo 156 c.p.c.

L’utilizzo di un indirizzo PEC non ufficiale compromette la certezza giuridica della notifica. Il contribuente deve poter verificare con sicurezza la provenienza dell’atto, evitando il rischio di ricevere comunicazioni da soggetti non autorizzati.

La Corte si pronuncia quindi per l’annullamento della cartella di pagamento per l’inesistenza della notifica pec, evidenziato inoltre che la complessità della questione e l’evoluzione della giurisprudenza giustificano la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.

Considerazioni finali

La sentenza è molto significativa perché conferma l’importanza della corretta procedura di notifica via PEC. Gli enti pubblici devono garantire che le comunicazioni provengono da indirizzi ufficiali registrati, per evitare il rischio di nullità degli atti e conseguenti perdite di gettito fiscale. Occorre rispettare rigorosamente le norme sulla notifica telematica. Le amministrazioni devono adeguarsi alle disposizioni vigenti per evitare contenziosi e annullamenti di atti impositivi. Per i contribuenti, invece, è fondamentale verificare sempre la provenienza delle notifiche ricevute e, in caso di dubbi, contestarne immediatamente la validità.

Si ringrazia il Dott. Comm. e Avv. Gian Luca Proietti Toppi per l’invio della sentenza

 

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fogli di mappa catastali

Fogli di mappa catastali: gratis online L'Agenzia delle Entrate ha reso gratuitamente l'accesso diretto online ai fogli di mappa catastali dell'intero territorio nazionale

Fogli di mappa catastali

Cittadini, professionisti e Pubbliche amministrazioni possono accedere gratis e direttamente online ai fogli di mappa catastali del territorio nazionale, esclusi quelli di Trento e Bolzano, dove il catasto è gestito dalle rispettive Province autonome. Lo ha reso noto l’Agenzia delle Entrate, pubblicando il provvedimento direttoriale ad hoc (Prot. n. 147556/2025).

Attuazione del DLgs. n. 139/2024

Il provvedimento, in attuazione di quanto previsto dall’articolo 7, comma 3, del decreto legislativo 18 settembre 2024, n. 139, determina le modalità per rendere disponibili, a titolo gratuito e con modalità esclusivamente telematiche, i fogli di mappa catastale per l’intero territorio nazionale (fatta eccezione, appunto, per le province autonome di Trento e Bolzano).

L’intervento legislativo, le cui disposizioni hanno effetto a partire dal 1° gennaio 2025, si innesta nel solco dell’ampliamento dei servizi telematici dell’Agenzia, per consentire, fa sapere il fisco, “a Pubbliche Amministrazioni, professionisti e cittadini di accedere gratuitamente e in modalità diretta e semplificata al patrimonio cartografico catastale, in coerenza con le previsioni di rafforzamento dei servizi digitali espresse nell’articolo 22 del decreto legislativo 8 gennaio 2024, n. 1”.

Come accedere ai fogli di mappa catastale

I fogli di mappa sono resi disponibili, gratuitamente ed in modalità telematica, mediante l’accesso all’area riservata dell’Agenzia ovvero, nei casi previsti, attraverso SMIDT e Portale per i Comuni.

Il provvedimento reca altresì disposizioni transitorie per consentire, concludono le Entrate, “nelle more del completamento della trasposizione digitale dell’archivio cartografico catastale – in particolare di quello raffigurante stadi storici della mappa catastale, a partire dagli esemplari originali unici risalenti alla fase di formazione del catasto – e dell’implementazione dei pertinenti servizi telematici per la generalità dell’utenza, la fruibilità dei fogli di mappa non disponibili telematicamente, mediante consultazione puntuale, eseguita presso gli Uffici dell’Agenzia delle entrate, con o senza rilascio di stampa o in formato digitale”.

contributo unificato

Contributo unificato: si paga solo sulle cartelle esattoriali La Cassazione ha chiarito che il contributo unificato nel giudizio tributario va versato solo sugli atti effettivamente impugnati

Contributo unificato: i chiarimenti della Cassazione

La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 6769/2025, ha chiarito che il contributo unificato nel giudizio tributario deve essere versato esclusivamente sugli atti effettivamente impugnati. Se il contribuente contesta solo le cartelle esattoriali, il pagamento del contributo non può estendersi all’intimazione di pagamento, anche se il giudice ne fa riferimento nella sentenza.

Il caso: il contribuente e l’impugnazione delle cartelle

Un contribuente, ricevuta la notificazione di intimazione di pagamento, aveva impugnato le tre cartelle esattoriali presupposte riportate nell’atto, senza contestare l’intimazione ad esse collegata.

Tuttavia, l’ufficio riteneva che il contributo unificato dovesse essere versato anche per l’intimazione di pagamento, non espressamente impugnata ma alla quale la CTP aveva operato riferimento nella sua decisione.

La questione finiva innanzi alla CTR del Lazio che riteneva fondata la tesi dell’ufficio, riformava la decisione della CTP e affermava la validità dell’atto di irrogazione delle sanzioni, compensando tra le parti le spese di lite.
Il contribuente adiva quindi il Palazzaccio, lamentando la “carenza, illogicità, erroneità e contraddittorietà della motivazione” della decisione adottata dalla CTR, perché, a suo dire, “non è dovuto il pagamento del contributo unificato in relazione ad atto non impugnato, e pertanto è illegittima l’irrogazione di sanzioni per non aver versato un contributo non dovuto”.

Il principio di diritto della Cassazione

La Cassazione ha ribaltato la decisione della CTR, accogliendo il ricorso del contribuente.

La Suprema Corte ha affermato il seguente principio di diritto, secondo cui “ai fini del
pagamento del contributo unificato nel giudizio tributario, non ogni atto cui il giudice operi riferimento nella sua pronuncia diviene, per ciò solo, un atto impugnato; pertanto qualora li contribuente, ricevuta la notificazione di una intimazione di pagamento relativa a tre cartelle esattoriali, abbia proposto impugnazione esclusivamente avverso queste ultime, solo in relazione ad esse dovrà versare il contributo unificato, anche se il giudice, nella sua
decisione, abbia proposto valutazioni anche in ordine all’intimazione di pagamento”.
Pertanto, il ricorso è accolto e l’atto irrogativo delle sanzioni annullato.

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bonus musica

Bonus musica: come si ottiene Bonus musica: cos’è, la normativa di riferimento, a chi spetta, in cosa consiste, e come indicarlo nella dichiarazione dei redditi per averlo

Cos’è il bonus musica

Il Bonus Musica 2025 è una detrazione fiscale del 19% che viene calcolata sulle spese sostenute per l’iscrizione o l’abbonamento a corsi di musica riconosciuti. L’agevolazione si applica ai figli di età compresa tra i 5 e i 18 anni e consente di ottenere un rimborso fino a un massimo di 1.000 euro per ciascun figlio. Il beneficio è riservato alle famiglie con un reddito complessivo non superiore a 36.000 euro annui.

Normativa di riferimento

Il Bonus Musica è stato introdotto nel nostro ordinamento dalla legge di bilancio 2020. Esso è disciplinato dall’articolo 15 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (T.U.I.R.), dedicato alle detrazioni degli oneri, che al comma 1, lettera e-quater) così dispone: “le spese, per un importo non superiore a 1.000 euro, sostenute da contribuenti con reddito complessivo non superiore a 36.000 euro per l’iscrizione annuale e l’abbonamento di ragazzi di età compresa tra 5 e 18 anni a conservatori di musica, a istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica (AFAM) legalmente riconosciute ai sensi della legge 21 dicembre 1999, n. 508, a scuole di musica iscritte nei registri regionali nonché a cori, bande e scuole di musica riconosciuti da una pubblica amministrazione, per lo studio e la pratica della musica.” 

La detrazione si applica quindi alle spese sostenute per corsi presso conservatori, istituti di Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica (AFAM), scuole di musica registrate nei registri regionali, bande musicali e cori riconosciuti dalla pubblica amministrazione.

A chi spetta il bonus musica

Il Bonus Musica è destinato quindi ai contribuenti con figli di età compresa tra 5 e 18 anni, iscritti a scuole di musica accreditate. Per accedere alla detrazione, il reddito complessivo del nucleo familiare deve essere inferiore a 36.000 euro annui. Sebbene il bonus venga generalmente richiesto dai genitori, anche un minore con reddito proprio e obbligo dichiarativo può beneficiare direttamente della detrazione per le spese sostenute.

In cosa consiste

Il Bonus Musica consente di ottenere una detrazione fiscale pari al 19% sulle spese di iscrizione o abbonamento ai corsi musicali riconosciuti. L’importo massimo detraibile è di 1.000 euro per figlio, con un risparmio massimo di 190 euro per ogni minore iscritto.

La detrazione può essere attribuita a un solo genitore oppure suddivisa tra entrambi se gli accordi lo prevedono.

Cosa si deve indicare nel 730

Per ottenere la detrazione, non è necessaria alcuna domanda preventiva. Il contribuente deve conservare la ricevuta della spesa e riportarla nella dichiarazione dei redditi.

L’importo va inserito:

  • Nel quadro RP del Modello Redditi PF
  • Nel quadro E del Modello 730 (righi da E8 a E10), specificando il codice 45

Se le spese sono state sostenute per più figli, è necessario indicare l’importo relativo a ciascuno di loro nella dichiarazione.

Come richiedere il bonus musica

Per ottenere il Bonus Musica 2025, non è necessario presentare una domanda specifica. La detrazione va richiesta direttamente nella dichiarazione dei redditi tramite il Modello 730 o il Modello Redditi PF.

Per essere ammessi alla detrazione, le spese devono essere state sostenute tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2024. Il pagamento deve essere tracciabile e effettuato tramite bonifico bancario, versamento postale, assegni bancari o circolari, oppure carte di pagamento (di debito, di credito o prepagate). Non sono ammessi pagamenti in contanti.

Nel caso in cui il figlio compia 18 anni nel corso dell’anno, il requisito dell’età si considera rispettato se, per una parte dell’anno d’imposta, il figlio risulti ancora minorenne.

 

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bonus Tari

Bonus Tari: cos’è e come ottenerlo Bonus TARI 2025: pubblicato in Gazzetta il DPCM che riconosce un aiuto alle famiglie in difficoltà economica per il pagamento dei rifiuti

Bonus Tari 2025: sconto del 25%

Il Governo ha approvato il Bonus Tari  2025, una misura che prevede una riduzione del 25% sulla tassa rifiuti per i nuclei familiari con un ISEE basso. Il decreto (DPCM 24/2025) è presente sulla Gazzetta Ufficiale il 13 marzo 2025 e entrerà in vigore il 28 marzo 2025.

Chi può accedere al bonus

Possono accedere al bonus Tari 2025 i nuclei familiari che rispettano i seguenti requisiti economici e soggettivi:

  • un ISEE inferiore a 9.530 euro annui (che sale fino a 20.000 euro per nuclei familiari in cui sono presenti almeno quattro figli a carico);
  • il richiedente deve essere il titolare dell’utenza Tari ed essere residente nell’immobile per cui paga la tassa;
  • essere in regola con i pagamenti della TARI degli anni precedenti.

Come funziona il bonus TARI 2025

Il bonus sarà applicato automaticamente, senza la necessità di presentare una domanda specifica, sulla base dei dati ISEE che vengono forniti all’INPS. Il taglio del 25% riguarderà però solo i nuclei familiari con un ISEE inferiore a 9.350 euro, mentre per le famiglie con almeno quattro figli a carico, la soglia è stata elevata a 20.000 euro.

Esclusione dei trattamenti assistenziali dal calcolo ISEE

Il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri prevede l’esclusione dei trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari dal calcolo del reddito ISEE per i nuclei familiari in cui vi siano persone disabili o non autosufficienti.

Passaggi successivi

Per rendere operativo il bonus, manca ancora l’approvazione del provvedimento da parte dell’Autorità per l’energia (Arera), in accordo con il Garante della privacy, che dovrà definire le modalità di trasmissione dei dati dall’INPS ai Comuni nel rispetto della privacy.

Obiettivo del bonus Tari 2025

Il Bonus Tari o bonus rifiuti rappresenta senza dubbio un sostegno economico importante per le famiglie a basso reddito, al fine di garantire un trattamento equo a livello nazionale.

 

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flat tax

Flat tax Flat Tax: cos'è, come funziona, chi può accedere, il regime forfettario, vantaggi e svantaggi, novità 2025

Cos’è la flat tax

La flat tax o “tassa piatta” è un sistema di imposizione fiscale in cui tutti i redditi vengono tassati allo stesso tasso, senza distinzioni o scaglioni. A differenza delle imposte progressive, in cui l’aliquota aumenta con il reddito, la tassa piatta applica una percentuale fissa su ogni tipo di reddito, rendendo il sistema più semplice e trasparente.

In Italia, la flat tax è stata introdotta in maniera parziale con la Legge di Bilancio 2019 e successivamente modificata, estesa e riformata nel corso degli anni. La proposta ha suscitato ampio interesse, soprattutto per la sua capacità di semplificare il sistema fiscale e favorire la crescita economica, incentivando i contribuenti a dichiarare maggiori redditi, grazie alla riduzione della pressione fiscale.

Come funziona

Nel modello della flat tax, l’imposta è applicata su tutte le entrate del contribuente, indipendentemente dalla loro natura (stipendi, pensioni, redditi da capitale, ecc.). Una volta determinato il reddito complessivo, viene calcolata la tassa dovuta applicando l’aliquota unica. Questo tipo di sistema evita la progressività delle imposte, che è invece tipica del sistema fiscale italiano.

Aliquote della flat tax in Italia

Nel 2023, la tassa piatta in Italia ha visto l’introduzione di aliquote ridotte per i lavoratori autonomi e per piccole partite IVA, con una aliquota del 15% per i redditi fino a 85.000 euro. Per i lavoratori con reddito superiore a tale soglia, il sistema progressivo continua ad applicarsi.

A chi si applica la flat tax

La flat tax è stata inizialmente pensata per le piccole imprese e i lavoratori autonomi, con un limite di reddito annuale. Questi contribuenti possono aderire a un regime fiscale semplificato, che riduce la burocrazia e le imposte da versare. Tuttavia, negli anni successivi, si è ipotizzato di estendere la flat tax anche a una parte dei redditi da lavoro dipendente e pensioni, creando un sistema misto.

Regime forfettario

Nel contesto italiano, la flat tax è stata parzialmente implementata tramite il regime forfettario. Questo regime fiscale consente ai professionisti e alle piccole imprese di applicare una tassazione semplificata sui redditi, riducendo le imposte in base a una percentuale fissa. I soggetti che aderiscono al regime forfettario, se soddisfano i requisiti, beneficiano di una tassazione che, oltre ad essere semplificata, è anche più bassa rispetto al regime ordinario.

Soggetti che vi possono accedere in Italia

  • Lavoratori autonomi con reddito fino a 85.000 euro
  • Piccole partite IVA;
  • Professionisti con reddito sotto determinati limiti e a determinate condizioni.
  • Microimprese e start-up.

Vantaggi della flat tax

  1. Semplificazione fiscale

Uno dei principali vantaggi della flat tax è la semplificazione del sistema fiscale. Con una sola aliquota, i contribuenti non devono più preoccuparsi di calcolare e applicare le aliquote progressive, riducendo la burocrazia e i costi amministrativi. Inoltre, le piccole imprese e i liberi professionisti hanno meno oneri fiscali e dichiarativi.

  1. Incentivo alla crescita economica

Applicando una aliquota fissa e più bassa, la flat tax stimola i contribuenti a dichiarare maggiori redditi. La percezione di una tassa più leggera potrebbe indurre i lavoratori autonomi e le piccole imprese ad aumentare la loro attività economica, contribuendo così a un aumento dell’economia nazionale.

  1. Equità fiscale

In un sistema con una tassa unica, si evita il rischio di “evasione fiscale” da parte di chi cerca di nascondere una parte del reddito per ridurre il carico fiscale. In teoria, tutti i contribuenti sono tassati allo stesso modo, senza distinzioni basate su scaglioni di reddito.

  1. Maggiore attrattività per gli Investitori

Le imprese straniere potrebbero essere più incentivare ad investire in Italia se il sistema fiscale è semplice e favorevole. La flat tax, con la sua prevedibilità e stabilità, potrebbe attirare investimenti esteri e creare opportunità economiche.

Svantaggi della flat tax

  1. Disuguaglianze economiche

Un potenziale svantaggio della flat tax è che, applicando la stessa aliquota su tutti i redditi, potrebbe favorire i contribuenti con redditi elevati a discapito di quelli con redditi bassi. I contribuenti più ricchi beneficiano maggiormente della riduzione dell’aliquota fiscale, mentre i più poveri continuano a subire una pressione fiscale più alta rispetto a quella che avrebbero subito con un sistema progressivo.

  1. Perdita di entrate fiscali

L’introduzione della flat tax potrebbe comportare una perdita di entrate fiscali per lo Stato, soprattutto se la riduzione delle imposte per le fasce alte di reddito non viene compensata da un aumento significativo delle dichiarazioni di reddito da parte dei contribuenti. Se non vi è un aumento dei redditi dichiarati, il sistema potrebbe generare un buco fiscale.

  1. Efficacia nel settore pubblico

La flat tax potrebbe non risolvere alcuni problemi strutturali, come quelli legati ai settori pubblici dove la redistribuzione delle risorse è essenziale per mantenere l’equità. Il sistema progressivo consente infatti una distribuzione più equa delle risorse, mirando ad una maggiore giustizia sociale.

Novità 2025

Nel 2025, sono previste alcune modifiche importanti al sistema della flat tax, in particolare per quanto riguarda:

  • Estensione del regime forfettario a più categorie di contribuenti, comprese alcune piccole imprese e professionisti con redditi più alti.
  • Revisione delle soglie di reddito: flat tax estesa a chi guadagna fino a 000 euro, ampliando la platea di beneficiari, la cessazione da regime infatti cessa non appena si superano detto importo soglia di compensi e ricavi.
  • Introduzione di sistemi di deduzioni più favorevoli per le famiglie e per chi investe in determinate aree economiche, come l’innovazione tecnologica e la sostenibilità.

 

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