ascensore in condominio

Ascensore in condominio: necessario un bilanciamento dei diritti Ascensore in condominio: necessario bilanciare i diritti dei disabili con quelli dei condomini al godimento delle parti comuni

Ascensore in condominio

L’installazione di un ascensore in condominio comporta numerosi vantaggi, soprattutto per le persone con difficoltà motorie. Quest’opera migliora infatti senza dubbio l’accessibilità all’edificio condominiale. Occorre tuttavia considerare anche la presenza di criticità.  L’installazione di un ascensore può incidere infatti sul decoro architettonico dell’edificio, ridurre lo spazio disponibile nelle scale o nei pianerottoli e generare costi di manutenzione elevati. Occorre quindi bilanciare il diritto all’accessibilità con il rispetto delle parti comuni e dei diritti degli altri condomini. La normativa tutela le persone con disabilità, ma impone limiti per garantire che nessun condomino subisca danni o pregiudizi eccessivi. La solidarietà condominiale è fondamentale, ma non deve trasformarsi in un’imposizione unilaterale. Nel caso deciso dal Tribunale di Nocera Inferiore con la sentenza n. 396/2025 la realizzazione dell’ascensore è possibile perché la riduzione del vano scale di 30 centimetri non è tale da rendere inservibili le scale interessate dall’opera.

Ascensore in condominio: un equilibrio tra diritti

L’installazione di un ascensore in un condominio è un’opera essenziale per garantire l’accessibilità alle persone con disabilità e agli anziani. Per la Cassazione l’ascensore è equiparabile agli impianti di luce, acqua e riscaldamento, poiché migliora la vivibilità degli appartamenti. La realizzazione di tale opera però deve rispettare il principio di solidarietà condominiale a tutela dei singoli condomini, ma anche dei disabili che hanno diritto alla eliminazione delle barriere architettoniche.

La legge n. 13 del 1989 stabilisce regole specifiche per l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati. Secondo l’articolo 2 di questa legge, le innovazioni volte a eliminare tali barriere possono essere approvate con una maggioranza non qualificata dell’assemblea condominiale. Questo semplifica l’iter decisionale, facilitando l’adozione di soluzioni a beneficio delle persone con disabilità e degli anziani. Tuttavia, la normativa impone anche alcuni limiti. L’articolo 1120 del Codice Civile vieta innovazioni che rendano inutilizzabili alcune aree comuni dell’edificio. Ad esempio, se l’installazione dell’ascensore riduce drasticamente la larghezza delle scale o compromette l’accesso ad altri spazi comuni, l’opera può essere contestata e considerata illegittima.

Limiti all’installazione dell’ascensore

L’ascensore deve garantire un equilibrio tra l’interesse all’accessibilità e il diritto di tutti i condomini a utilizzare gli spazi comuni. La Cassazione ha chiarito che l’installazione non può privare neanche un solo condomino del diritto al godimento delle parti comuni dell’edificio. Questo significa che, se un condomino dimostra che l’ascensore limita in modo significativo il suo accesso o il suo utilizzo delle scale, la richiesta può essere bloccata o deve essere trovata una soluzione alternativa.

La giurisprudenza ha confermato questa posizione in diverse sentenze. Nel caso di specie il Tribunale ha rilevato che una riduzione delle scale da 1,10 metri a 0,80 metri come conseguenza della installazione dell’ascensore, non rende le scale del tutto inservibili, purché rimanga garantito un accesso sicuro. Tuttavia, ogni caso va valutato singolarmente, considerando le specificità dell’edificio e delle esigenze dei condomini.

Esonero dalle spese per i dissenzienti

Un aspetto cruciale della sentenza riguarda anche la ripartizione delle spese. L’articolo 1121 del Codice Civile prevede infatti che se l’innovazione comporta una spesa molto elevata o ha carattere voluttuario (non essenziale), i condomini che non intendono trarne vantaggio dall’opera, ovvero l’ascensore, possono rifiutarsi di partecipare alle spese.

I condomini dissenzienti devono quindi essere esonerati dai costi se dichiarano espressamente il loro dissenso prima dell’inizio dei lavori. Ovviamente chi decide di non partecipare alla spesa non potrà usufruire dell’ascensore, salvo successiva richiesta di adesione con il pagamento della propria quota.

 

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Scioglimento del condominio possibile se l’edificio è autonomo Scioglimento del condominio: possibile solo se l’edificio o gli edifici presentano le caratteristiche tipiche degli edifici autonomi 

Scioglimento del condominio

L’autorità giudiziaria può disporre lo scioglimento del condominio se l’edificio risulta divisibile in parti del tutto autonome. Lo ha sancito il Tribunale di Pavia con la sentenza n. 134/2025 in cui richiama gli articoli 61 e 62 delle disposizioni di attuazione del codice civile a supporto della propria decisione.

Scioglimento condominio: impianti in comune

Alcuni condomini agiscono in giudizio per chiedere lo scioglimento di un edificio condominiale. Gli attori chiedono la divisone, in particolare, di due corpi evidenziati nelle tabelle allegate agli atti di causa. L’obiettivo del scioglimento consiste nella creazione di due condomini autonomi, fatta eccezione per l’impianto fognario e di quello per l’illuminazione del cortile. Gli attori precisano infatti che questi impianti resteranno in comunione tra i due condomini che nasceranno dopo lo scioglimento.

Altri condomini però si oppongono alla richiesta di scioglimento perché all’esito dell’istruzione della causa gli attori avrebbero richiesto “di mantenere in comune una maggiore estensione di beni” rinunciando così parzialmente alla domanda iniziale. Essi precisano inoltre che alcuni punti del regolamento condominiale, richiamato nei vari contratti di compravendita delle unità immobiliari, impedirebbero lo scioglimento.

Edifici autonomi: scioglimento possibile

Il Tribunale competente nell’accogliere la domanda attorea di scioglimento richiama il contenuto dell’articolo 61 delle disposizioni di attuazione del Codice civile. La norma nello specifico prevede che: “Qualora un edificio o un gruppo di edifici appartenenti per piani o porzioni di piano a proprietari diversi si possa dividere in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi, il condominio può essere sciolto e i comproprietari di ciascuna parte possono costituirsi in condominio separato. Lo scioglimento è deliberato dall’assemblea con la maggioranza prescritta dal secondo comma dell’articolo 1136 del codice, o è disposto dall’autorità giudiziaria su domanda di almeno un terzo dei comproprietari di quella parte dell’edificio della quale si chiede la separazione”.

Il successivo articolo 62 disp. att. c.c., precisa invece che lo scioglimento di un condominio composto da più edifici può essere disposto anche se restano in comune alcune delle cose comuni indicate nell’articolo 1117 del codice civile. Se poi la divisione necessita della modifica dello stato delle cose e per sistemare i locali o le dipendenze tra i condomini servono delle opere di intervento, allora la maggioranza necessaria per deliberare lo scioglimento è quella indicata dal comma 5 dell’articolo 1136 c.c. ovveroun numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno i due terzi del valore delledificio.” 

Come rileva il Tribunale, nel caso di specie il condominio risulta composto da due edifici. Il primo è composto da 8 villette a schiera, il secondo da 8 villette a schiera e 4 appartamenti. Sei comproprietari su dodici chiede lo scioglimento di modo che sussiste il requisito numerico posto dall’art. 61 citato pari al 30%.”

Il Tribunale rileva inoltre che la CTU ha accertato lautonomia strutturale degli edifici da sciogliere, i quali, anche se simili, non presentano elementi strutturali per sostenere i carichi di entrambi.  Questa caratteristica è fondamentale ai fini dello scioglimento. La Cassazione infatti in diverse sentenza ha affermato che L’autorità giudiziaria può disporre lo scioglimento del condominio, ai sensi degli artt. 61 e 62 disp. att. cod. civ., solo quando l’immobile sia divisibile in parti strutturalmente autonome.” 

Disposizioni contrattuali e regolamentari invariate

Il Tribunale nel respingere le eccezioni sollevate dai condomini contrarie allo scioglimento del condominio rileva quindi che la richiesta degli attori debba essere accolta.

Il Tribunale quindi dispone lo scioglimento del condomino, accerta e dichiara come parti comuni gli impianti della fognatura e quello di illuminazione del cortile. Le precedenti disposizioni contrattuali e regolamentari riguardanti le servitù e la gestione delle aree comuni restano invariate dopo lo scioglimento del condominio, senza alterare gli obblighi e i diritti stabiliti dal regolamento condominiale.

 

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Annullabile l’assemblea di condominio convocata via WhatsApp Il Tribunale di S. Maria Capua Vetere ritiene che le comunicazioni in modalità diverse da quelle previste dalla legge debbano essere previamente concordate

Assemblea condominiale convocata via chat

Annullabile l’assemblea di condominio convocata via WhatsApp. Non rispetta infatti le modalità di convocazione previste dalla legge (cfr. art. 66 disp. att. del codice civile). E sebbene parte della giurisprudenza ritenga sia possibile che le comunicazioni possano avvenire in modi diversi, tali modalità devono essere state previamente concordate. Questo è quanto si ricava dalla sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere n. 269/2025.

La vicenda

Nella vicenda, un condomino impugnava la delibera assembleare convocata, a suo dire, da soggetto non legittimato, poichè non preceduta da rituale convocazione.

Dal verbale, infatti, si evinceva che la convocazione era avvenuta tramite bacheche apposte nelle scale degli edifici e sul gruppo WhatsApp del condominio, per cui con modalità non rispettose di quanto prescritto dall’art. 66 disp. att. c.c.

L’art. 66 disp. att. c.c.

Il giudice gli dà ragione. La suddetta disposizione civilistica prescrive, infatti, ricorda il giudicante che “la convocazione deve avvenire almeno cinque giorni prima della data fissata per l’adunanza a mezzo di posta raccomandata, posta elettronica certificata, fax o consegna a mano”.

Nel caso di specie, invece, alcuna prova è stata fornita circa la convocazione con le modalità indicate ed anzi, dalla stessa delibera impugnata si ricava che a tutti i condomini la convocazione non è avvenuta con le modalità prescritte dalla legge.

Convocazione assemblea in modalità diverse

Tra l’altro, aggiunge il tribunale, “la convocazione via WhatsApp, oltre a non essere consentita dalla legge, non garantisce la certezza della ricezione, come condivisibilmente rilevato dalla giurisprudenza di merito (cfr. Trib. Avellino n. 1705/2024)”.

Sebbene, poi, come rilevato da altra giurisprudenza di merito, prosegue il giudice, “è possibile che le comunicazioni possano avvenire in modi diversi da quelli previsti dalla legge purché tali modalità siano state concordate inequivocabilmente dai condomini o perché richieste direttamente dagli stessi o in quanto siano state formalizzate in regolamenti condominiali approvati (Tribunale Padova 1238 del 2023), nel caso di specie alcuna prova è stata fornita dal resistente, rimasto contumace, circa accordi tra i condomini relativi a modalità di convocazione diverse da quelle prescritte dalla legge”.

La decisione

Sul punto, inoltre, va considerato che in altre delibere condominiali prodotte in atti, la convocazione è avvenuta via bacheca e via chat per gli altri condomini e via mail per il ricorrente. E ciò fa presumere, ragiona il tribunale, “che in ogni caso l’odierno ricorrente non aveva consentito alla convocazione via WhatsApp”.

Da qui l’accoglimento della proposta e il conseguente annullamento della delibera impugnata.

 

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Canna fumaria condominio: legittima la revoca dell’autorizzazione Canna fumaria condominio: legittima la revoca dell’autorizzazione all’uso precario se altera la destinazione e impedisce l’uso agli altri

Canna fumaria condominio: uso della cosa comune

Il Tribunale di Torino con la sentenza n. 199/2025 ha confermato la legittimità della revoca di un’autorizzazione concessa in via precaria per l’uso di una colonna di scarico dei rifiuti come canna fumaria in condominio. L’articolo 1102 c.c permette a ogni condomino di utilizzare la cosa comune, tale uso però non deve alterare la destinazione della cosa comune e non deve impedire agli altri condomini di farne uso secondo il loro diritto.

Canna fumaria condominio: revocata l’autorizzazione all’uso

La vicenda giudiziari ha inizio quando l’assemblea straordinaria di un condominio delibera la revoca dell’autorizzazione concessa a un singolo condomino per l’uso dell’ex colonna di scarico dell’immondizia come canna fumaria. La decisione viene presa all’unanimità.

La titolare della proprietà interessata contesta la delibera, sostenendo che il diritto all’uso deriva dall’art. 1102 c.c., che consente a ciascun condomino di servirsi della cosa comune. Per parte ricorrente l’utilizzo della canna fumaria deve quindi ritenersi legittimo in base al principio di uso più intenso della cosa comune. Per questa ragione chiede l’annullamento della delibera condominiale. La parte convenuta replica però che l’uso della colonna di scarico come canna fumaria è stato autorizzato solo in via precaria, con diritto di revoca da parte dell’assemblea condominiale.

Legittima la revoca dell’autorizzazione

Il tribunale, condividendo la tesi della parte convenuta respinge il ricorso, confermando la legittimità della revoca dell’autorizzazione.  L’autorità giudiziaria ritiene in effetti che l’uso della colonna di scarico per il passaggio di fumi e odori abbia comportato un’alterazione della destinazione d’uso della cosa comune. L’occupazione esclusiva ha inoltre impedito agli altri condomini di esercitare il loro diritto all’uso del bene.

Art 1102 c.c.: limiti all’utilizzo della cosa comune

Il Tribunale ricorda che l’art. 1102 c.c consente a ciascun condomino di utilizzare la cosa comune, purché ciò non pregiudichi il pari uso da parte degli altri. La sentenza della Cassazione n. 18038/2020 ha ribadito inoltre che l’uso più intenso è ammesso solo se compatibile con i diritti altrui. Ipotesi che non ricorre nel caso di specie, tanto è vero che l’assemblea ha espressamente concesso l’autorizzazione in via precaria, con possibilità di revoca.

Il Tribunale evidenzia inoltre come il precedente utilizzatore della canna fumaria si era impegnato a eseguire lavori per eliminare gli odori sgradevoli. Tali interventi però non sono mai stati effettuati. L’uso della canna fumaria ha quindi continuato a provocare disagi ai condomini. Alla luce di tutto quanto esposto, la revoca non può essere considerata un atto arbitrario, ma il legittimo esercizio del diritto di ripristinare l’uso originario del bene comune.

 

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l'inferriata installata

L’inferriata installata per ragioni di sicurezza non si tocca Il tribunale di Catania ha dichiarato nulla la delibera condominiale che imponeva la rimozione di un'inferriata installata per sicurezza

Nullità delibera condominiale

Con la sentenza n. 121 dell’8 gennaio 2025, il Tribunale di Catania ha dichiarato la nullità di una delibera assembleare che obbligava un condomino a rimuovere l’inferriata installata all’ingresso della propria abitazione per motivi di sicurezza.

L’inferriata installata all’ingresso: il caso

Un condomino aveva installato un’inferriata al portone d’ingresso del proprio appartamento, situato al piano terra, per proteggere l’abitazione da possibili intrusioni. L’assemblea condominiale, ritenendo che l’installazione alterasse il decoro architettonico dell’edificio e invadesse parti comuni, ne aveva deliberato la rimozione a spese del condomino. Quest’ultimo ha impugnato la delibera davanti al Tribunale di Catania.

La decisione del Tribunale

Il Tribunale ha accolto le ragioni del condomino, stabilendo che la delibera assembleare era nulla. Dalla consulenza tecnica espletata è emerso, infatti, che l’inferriata non invadeva parti comuni, non ledeva il decoro architettonico dell’edificio e insisteva su una parte di proprietà esclusiva.

La posa in opera era da intendersi peraltro come intervento relativo all’adozione di misure finalizzate a prevenire il rischio del compimento di atti illeciti da parte di terzi. Ovvero tutelarsi dal pericolo di intrusioni.

Pertanto, l’assemblea non aveva il potere di imporre la rimozione di un’opera realizzata su una proprietà privata che non arrecava pregiudizio alle parti comuni o agli altri condomini. Ed anzi la delibera impugnata “rappresenta un’ingerenza” su una parte di proprietà esclusiva. Con la conseguenza che la stessa va dichiarata nulla, come da insegnamento delle Sezioni Unite della Cassazione (cfr. Cass. 9839/2021).

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spese condominiali

Spese condominiali a carico del proprietario Spese condominiali: il decreto ingiuntivo per recuperarle va azionato nei confronti del proprietario non dell’assegnatario

Spese condominiali

L’amministratore di condominio deve riscuotere dai condomini le spese condominiali. La riscossione nell’interesse comune però deve avvenire nei confronti titolari dei diritti reali delle singole unità condominiali. Lo ha stabilito il Tribunale di Roma nella sentenza n. 13.632 del 2 settembre 2024, dopo aver revocato il decreto ingiuntivo emesso nei confronti della ex moglie a cui era stato assegnato l’immobile condominiale del coniuge in sede di divorzio. Non è la donna infatti la legittimata passiva dell’azione, ma l’ex marito, nella sua qualità di proprietario dell’appartamento.

Recupero spese: l’assegnataria non è legittima passiva

Un Condominio ottiene un decreto ingiuntivo per il pagamento di alcuni oneri condominiali.  Al decreto si oppone l’ingiunta, contestando la propria legittimazione passiva dell’azione. Ella  occupa infatti l’unità condominiale perché le è stata assegnata in sede di separazione. Il Condominio chiede quindi la chiamata in causa del proprietario effettivo per sentirlo condannare al pagamento degli oneri condominiali richiesti nel decreto ingiuntivo. Il Giudice accoglie la domanda e condanna il proprietario a pagare le spese, con conseguente revoca del decreto ingiuntivo emesso nei confronti della moglie.

La decisione viene impugnata e nel frattempo i coniugi divorziano e il Tribunale competente assegna la casa alla donna.

La ex moglie a questo punto, in sede di appello fa presente  che “l’impossibilità di azionare il credito direttamente in danno dellassegnatario del cespite immobiliare deriva dal principio di diritto per cui la sentenza di separazione e/o divorzio fa stato solo ed unicamente tra le parti e non nei confronti dei terzi, ivi compreso il condominio. Il coniuge assegnatario, non proprietario, è infatti titolare di un atipico diritto personale di […] godimento e non di un vero diritto reale che avrebbe potuto semmai giustificare lazione diretta in proprio danno. Lutilizzo del cespite immobiliare da parte del coniuge assegnatario deve essere, quindi, paragonato per estensione analogica a quello del conduttore.” 

Spese condominiali a carico dei titolari dei diritti reali

In sentenza il Tribunale, nel mettere ordine tra le varie tesi dei contendenti, chiarisce che “l’amministratore di condominio ha diritto di riscuotere i contributi per la manutenzione e per lesercizio delle parti e dei servizi comuni esclusivamente da ciascun condomino, e cioè dalleffettivo proprietario o titolare di diritto reale sulla singola unità immobiliare, sicché è esclusa un’azione diretta nei confronti del coniuge o del convivente assegnatario dellunità immobiliare adibita a casa familiare, configurandosi il diritto al godimento della casa familiare come diritto personale di godimento sui generis.” 

Il Tribunale richiama infatti alcune decisioni della Cassazione alla luce delle quali ricorda che il legittimato passivo dell’azione di recupero delle spese condominiali è il proprietario, non chi appare come tale. Corretta la distinzione tra spese straordinarie a carico del proprietario e spese dovute l coniuge assegnatario. Vero però che l’assegnazione dell’immobile al coniuge costituisce un diritto personale di godimento e non un diritto reale.

Tal diritto personale di godimento quindi “non rileva ai fini della pretesa dell’amministratore condominiale – ai sensi degli artt. 1123, 1130 n. 3 c.c. e 63, comma 1, disp. att. c.c. – volta a riscuotere i contributi e le spese per la manutenzione delle cose comuni ed i servizi nell’interesse comune, restando esclusa un’azione diretta nei confronti dell’assegnatario della singola unità immobiliare.”

 

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liti in condominio

Liti in condominio dal giudice di pace Liti in Condominio: dal 31 ottobre 2025, in base al decreto legislativo n. 116/2017 spetterà al Giudice di Pace risolverle

Liti in condominio: da ottobre 2025 competente il GdP

Dal 31 ottobre 2025 le liti in condominio verranno decise dal Giudice di Pace. Lo stabilisce l’articolo 32 del decreto legislativo n. 116/2017 che ha riformato organicamente la magistratura onoraria, le disposizioni relative al Giudice di Pace e la disciplina transitoria dei magistrati onorari in servizio.

Le norme di riferimento

L’articolo 32, al comma 3, dispone che le disposizioni contenute nell’articolo 27 dello stesso decreto legislativo entreranno in vigore il 31 ottobre 2025.

L’articolo 27, nel modificare l’art. 7 del codice di procedura civile, che si occupa di definire la competenza del Giudice di Pace, stabilisce che  questo soggetto sarà competente dal 31 ottobre 2025 anche “2) per le cause in materia di condominio negli edifici, come definite ai sensi dell’articolo 71-quater delle disposizioni per l’attuazione del codice civile.”

Liti in condominio di competenza del GdP

Al momento il Giudice di Pace è competente “per le cause relative alla misura e alle modalità d’uso dei servizi di condominio di case”. A queste si andranno ad aggiungere le liti che riguarderanno l’uso delle cose comuni, le violazioni del regolamento condominiale e la ripartizione delle spese comuni. Il Tribunale continuerà a decidere le controversie più complicate e di valore economico più elevato.

Vantaggi della riforma

La riforma Cartabia e quella settoriale della magistratura onoraria vogliono garantire ai cittadini presenza e accessibilità alla giustizia. La materia delle liti condominiali, soprattutto se relativa a conflitti di valore economico modesto, si prestano a essere risolte dal Giudice di Pace. Il processo è più snello e più rapido ed è quindi in grado di raggiungere un risultato positivo in tempi brevi.

Svantaggi della modifica

L’attribuzione di competenze ulteriori al Giudice di Pace non è stata però accolta con favore da tutti.

Caricare eccessivamente i magistrati onorari di cause potrebbe creare problemi a un sistema che è già in affanno. La riforma dovrebbe essere accompagnata anche da un rafforzamento del personale e di strumenti in grado di agevolare e alleggerire il lavoro. In caso contrario, i Giudici di Pace potrebbero pagare uno scotto elevato dall’alleggerimento del lavoro dei Tribunali, liberati dalle liti condominiali più modeste.

Durante l’incontro del 17 gennaio 2025, promosso dall’OCF a Roma, dedicato alla giustizia civile, è emersa infatti l’urgenza di affrontare la crisi dei Giudici di Pace, con solo il 35% delle posizioni coperte. Il viceministro alla giustizia Sisto ha garantito un approccio pragmatico per evitare il caos, ribadendo che “non ci saranno truppe mandate allo sbaraglio”. L’OCF ha accolto positivamente l’apertura, sottolineando l’importanza di evitare decisioni affrettate che aggraverebbero le attuali inefficienze strutturali del sistema.

 

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amministratore di condominio

Amministratore di condominio: chi è e cosa fa Amministratore di condominio: chi è, cosa fa, quali requisiti deve avere per gestire un condominio, nomina, revoca e compenso

Amministratore di condominio: chi è

L’amministratore di condominio è una figura fondamentale per la gestione ordinaria e straordinaria degli edifici condominiali. La normativa italiana disciplina il suo ruolo, i requisiti, le modalità di nomina e di revoca e i compiti che deve svolgere per garantire il buon funzionamento del condominio. In questo articolo approfondiamo tutto quello che c’è da sapere sull’amministratore di condominio secondo il Codice Civile e la giurisprudenza.

Chi può fare l’amministratore di condominio?

L’articolo 71-bis delle Disposizioni di Attuazione del Codice Civile stabilisce i requisiti per diventare amministratore di condominio. Nello specifico, può ricoprire questo ruolo chi:

  • ha il pieno godimento dei diritti civili;
  • non ha subito condanne penali per reati contro il patrimonio o per altri reati gravi;
  • non è stato sottoposto a misure di prevenzione;
  • è in possesso del diploma di scuola secondaria superiore;
  • ha frequentato un corso di formazione iniziale e svolge periodicamente corsi di aggiornamento.

Di tali requisiti devono essere in possesso anche agli amministratori interni al condominio, salvo il requisito del diploma e del corso di formazione.

Obblighi di formazione e aggiornamento

L’amministratore deve quindi frequentare corsi di formazione iniziale e aggiornamenti periodici per mantenere i requisiti di legge. Questa misura garantisce che la figura professionale sia sempre in linea con le normative e le buone prassi.

Quali sono i compiti dell’amministratore di condominio

L’amministratore di condominio svolge funzioni di gestione e rappresentanza, con compiti definiti dall’articolo 1130 del Codice Civile, tra i quali troviamo:

  • l’esecuzione delle delibere assembleari: assicura l’attuazione delle decisioni prese dall’assemblea condominiale;
  • la gestione delle parti comuni: cura la manutenzione ordinaria e straordinaria degli spazi condivisi come scale, cortili e impianti;
  • la riscossione delle quote condominiali: provvede a richiedere i contributi dai condomini e a gestire il fondo comune;
  • la tenuta dei registri condominiali: conserva il registro dei verbali delle assemblee, quello dell’anagrafe condominiale e gli altri documenti previsti dalla legge;
  • la rappresentanza legale del condominio: rappresenta il condominio nei rapporti con terzi e nelle eventuali controversie legali.

Come viene nominato l’amministratore di condominio

La nomina dell’amministratore è disciplinata dall’articolo 1129 del Codice Civile. Essa è obbligatoria nei condomini con più di otto condomini. La nomina viene deliberata dall’assemblea condominiale, con la maggioranza qualificata prevista dall’articolo 1136 comma 2, ossia con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti che rappresentino almeno la metà del valore millesimale dell’edificio.

La delibera deve indicare i termini del mandato, la durata (di norma annuale) e il compenso concordato.

Quando e come può essere revocato l’amministratore

La revoca può essere volontaria o giudiziale.

  • Revoca volontaria: l’assemblea può deliberare la revoca con le stesse modalità della nomina, anche prima della scadenza naturale del mandato.
  • Revoca giudiziale: prevista dall’articolo 1129, può essere richiesta da un singolo condomino al tribunale in caso di gravi irregolarità, come la mancata convocazione dell’assemblea annuale o la mancata rendicontazione delle spese.

Tra le gravi irregolarità che possono condurre alla revoca del mandato identificate dalla giurisprudenza vi sono:

  • l’utilizzo improprio dei fondi condominiali;
  • la mancata trasparenza nella gestione economica;
  • l’omissione di interventi urgenti per la manutenzione.

Quanto guadagna un amministratore di condominio

Il compenso dell’amministratore non è regolamentato dalla legge, ma deve essere concordato al momento della nomina e riportato nella delibera assembleare. Esso può variare in base alla complessità del condominio, al numero di unità abitative e ai servizi richiesti.

 

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agevolazione prima casa

Agevolazione prima casa: due anni per vendere Agevolazione prima casa: la legge di bilancio 2025 concede due anni di tempo per vendere la casa acquistata con i benefici fiscali e conservarli

Legge di Bilancio 2025: più tempo per vendere

La Legge di Bilancio 2025, in vigore dal 1° gennaio 2025, introduce un’importante novità relativa all’agevolazione “prima casa”. Si avrà infatti più tempo per vendere l’immobile già posseduto senza perdere il beneficio fiscale dell’imposta di registro del 2%.

Nuovi termini: da uno a due anni

Fino al 31 dicembre 2024, chi acquistava una nuova casa con agevolazioni “prima casa” aveva solo un anno per vendere o donare l’abitazione precedente. Dal 2025, il termine è stato raddoppiato a due anni, offrendo maggiore flessibilità ai proprietari.

Questa modifica riguarda:

  • chi stipula un rogito dal 1° gennaio 2025;
  • chi ha stipulato un rogito nel 2024, ma non ha venduto la prima casa entro la fine dell’anno.

Non rientra nella nuova normativa chi ha già superato il vecchio termine di un anno per la vendita e ha stipulato il rogito prima del 1°gennaio 2025.

Agevolazione “prima casa”: requisiti

Per beneficiare della nuova agevolazione, è necessario rispettare però anche le condizioni che seguono;:

  1. l’immobile non deve rientrare nelle categorie catastali A/1 (abitazioni di lusso), A/8 (ville) e A/9 (castelli);
  2. l’acquirente deve stabilire la residenza nel Comune dell’immobile entro 18 mesi dall’acquisto o dimostrare di svolgere lì attività lavorativa o di studio;
  3. l’acquirente non deve possedere altre abitazioni nello stesso Comune in cui si trova quella che beneficia delle agevolazioni e non deve essere proprietario, nemmeno in quota, di altre case acquistate con agevolazioni “prima casa” su tutto il territorio nazionale.

Se si possiede una casa non agevolata nello stesso Comune, questa deve essere venduta prima del nuovo acquisto.

Benefici fiscali dell’agevolazione “prima casa”

Si ricorda che la normativa “prima casa” offre vantaggi economici significativi:

  • IVA ridotta dal 10% al 4% per acquisti da imprese costruttrici;
  • imposta di registro ridotta dal 9% al 2% per acquisti da privati;
  • imposte ipotecaria e catastale di 50 euro ciascuna per acquisti da privati e 200 euro per acquisti da imprese. In caso di successione invece, si applica una somma fissa di 200 euro anziché l’aliquota del 3%.

Impatto della nuova normativa

L’estensione del termine a due anni favorisce chi vuole cambiare casa senza pressioni. Si agevola il mercato immobiliare e si offrono tempi più gestibili per la vendita della vecchia abitazione. I benefici si riflettono su proprietari, acquirenti e operatori del settore. La Legge di Bilancio 2025 offre in questo modo nuove opportunità a chi desidera acquistare una casa con agevolazioni fiscali, sostenendo al contempo la dinamicità del mercato immobiliare.

 

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il singolo condomino

Il singolo condomino può proporre querela Il singolo condomino è legittimato alla proposizione della querela, anche in via concorrente o surrogatoria rispetto all'amministratore

Singolo condomino e querela

Il singolo condomino è legittimato a proporre querela, anche in via concorrente o eventualmente surrogatoria rispetto all’amministratore del condominio, per i reati commessi in danno del patrimonio comune. Lo ha ribadito la seconda sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 44374/2024.

La vicenda

Nella vicenda, il Tribunale di Napoli, dichiarava non doversi procedere nei confronti di una condomina in ordine al reato di cui all’art. 646 cod.pen. alla stessa ascritto per intervenuta remissione di querela. Avverso detta sentenza, proponeva ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica di Napoli deducendo violazione di legge ni relazione all’art. 154 cod.pen. per essere stata dichiarata l’estinzione del reato benche la remissione di querela non fosse stata ratificata da due degli originali querelanti individuati nei condomini.

La decisione

Per la Cassazione, il ricorso è fondato e deve pertanto essere accolto. Invero, affermano dalla S.C., “ai sensi della disciplina dettata dall’art. 154 cod.pen., se la querela è stata proposta da più persone, il reato non si estingue se non interviene la remissione di tutti i querelanti”. E nel caso in esame nell’esposizione delle ragioni della decisione lo stesso tribunale da atto che, pur a fronte di una querela sporta da otto condomini dell’immobile solo sei avevano rimesso la querela, mentre altri non risultano avere operato detta scelta.
A proposito va innanzi tutto ricordato, ricordano dal Palazzaccio, come sia stato affermato che “il singolo condomino è legittimato ala proposizione della querela, anche in via concorrente o eventualmente surrogatoria rispetto all’amministratore del condominio, per i reati commessi in danno del patrimonio comune” (cfr. Cass. n. 45902/2021).
Ne consegue pertanto che in assenza di remissione da parte di tutti i condomini querelanti il giudice di primo grado non poteva dichiarare l’estinzione del reato. Né può ritenersi operare, cosi come prospettato dal procuratore generale e dalla difesa dell’imputata, un’ipotesi di remissione tacita da parte dei due condomini non remittenti. La parola va al giudice del rinvio.

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