spese condominiali anticipate

Spese condominiali anticipate? Serve la prova dell’urgenza La Cassazione chiarisce che il condomino che anticipa spese urgenti per la cosa comune ha diritto al rimborso solo se dimostra l'urgenza

Spese condominiali anticipate

Spese condominiali anticipate: con l’ordinanza n. 16351/2025, la seconda sezione civile della Cassazione ha ribadito un principio consolidato: il condomino che anticipa spese per la conservazione della cosa comune senza l’autorizzazione dell’amministratore o dell’assemblea ha diritto al rimborso solo se dimostra l’urgenza dell’intervento, ai sensi dell’art. 1134 c.c. 

Il caso concreto

Il caso in esame riguardava condomini dell’ultimo piano che avevano anticipato lavori urgenti per la riparazione della copertura e dell’impianto di smaltimento delle acque meteoriche, gravemente deteriorati. Le somme anticipate superavano l’importo minimo, richiedendo un rimborso dagli altri condomini. 

Urgenza, non mera necessità

La Cassazione ha confermato che non basta la necessità dei lavori: è necessario dimostrare che essi non potevano essere differiti. L’urgenza si configura quando ritardare l’intervento avrebbe potuto provocare un danno, anche potenziale, alla cosa comune o alla sicurezza delle persone.

La Suprema Corte ha ribadito che l’urgenza va valutata secondo il criterio del “buon padre di famiglia”, considerando l’indifferibilità e l’impossibilità di avviso agli altri. 

Onere della prova: a carico del condomino

Spetta al condomino che chiede il rimborso dimostrare:

  1. le condizioni pericolose o degradanti della parte comune;

  2. l’indifferibilità dei lavori;

  3. l’impossibilità di coinvolgere tempestivamente l’amministratore o l’assemblea. 

Senza tali elementi, il diritto al rimborso non sussiste.

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impianto antincendio

Condominio: obbligo impianto antincendio Impianto antincendio: in quali casi sono obbligatori i dispositivi antincendio in condominio, il CPI e il ruolo dell'Amministratore

Impianto antincendio in condominio

La presenza di un impianto antincendio all’interno di un condominio non è sempre obbligatoria, ma dipende da precise condizioni strutturali e operative. L’obiettivo principale della presenza di eventuali obblighi è di garantire la sicurezza di tutti gli abitanti, valutando i rischi presenti e adottando le soluzioni più adeguate. Le norme vigenti stabiliscono quando è necessario dotare l’edificio di estintori, idranti e altri sistemi di protezione, e chi deve farsi carico delle relative spese.

Estintori obbligatori

La legge impone l’obbligo di installare estintori solo in determinate situazioni, come previsto dal D.M. 246/1987 e dal Testo Unico sulla Sicurezza (Decreto legislativo n. 81/2008).

Tali dispositivi devono essere presenti, ad esempio, nei locali tecnici (come centrali termiche o spazi con materiali combustibili), nelle autorimesse chiuse o sotterranee, nei vani degli ascensori se indicato dalla valutazione del rischio, e nelle aree comuni con pericoli specifici (come depositi di carburanti o quadri elettrici generali).

Inoltre, se nel condominio lavorano dipendenti come portieri o addetti alle pulizie, l’edificio è assimilato a un luogo di lavoro e gli estintori vanno installati su ogni piano.

Gli estintori devono rispettare  però precisi standard tecnici (almeno classe 21A 89BC) e devono essere collocati lungo le vie di fuga o nei pressi di potenziali fonti di incendio.

Idranti obbligatori: in quali casi?

In alcune circostanze però, gli estintori non sono sufficienti a garantire un’adeguata protezione.

Per edifici che superano i 24 metri di altezza antincendio o per autorimesse con una superficie superiore ai 300 mq, è obbligatoria infatti anche l’installazione di impianti fissi antincendio con idranti a muro o naspi rispettosi degli standard UNI EN 671-1 e 671-2. Anche centrali termiche di grande potenza o autorimesse di grandi dimensioni (più di 300 mq) possono richiedere tali sistemi.

Impianto antincendio: l’amministratore

L’amministratore condominiale ha un ruolo chiave nella gestione della sicurezza dell’edificio condominiale. Egli deve promuovere la valutazione del rischio incendio, soprattutto in presenza di lavoratori, ma è consigliabile farlo anche in loro assenza per definire le misure preventive e proteggere i residenti.

Responsabilità condivisa

Garantire la sicurezza antincendio è un dovere continuo che richiede attenzione, investimenti e collaborazione tra amministratori e condomini, accompagnati da una corretta informazione e formazione sugli eventuali comportamenti da adottare in caso di emergenza.

Certificato di Prevenzione Incendi (CPI)

Il CPI, rilasciato dai Vigili del Fuoco, certifica la conformità dell’immobile alle normative antincendio. È obbligatorio per edifici oltre i 24 metri di altezza, autorimesse con superficie superiore ai 300 mq, centrali termiche e depositi di gas. L’amministratore deve presentare una SCIA antincendio e aggiornare il certificato ogni cinque anni.

Spese e manutenzione dispositivi e impianto antincendio 

I costi per i dispositivi antincendio nelle aree comuni devono essere suddivisi tra tutti i condomini in base ai millesimi. Se invece riguardano spazi privati, paga solo chi li utilizza. La manutenzione segue la normativa UNI 9994-1:2024 e prevede controlli periodici, revisioni e collaudi, con aggiornamento del cartellino di manutenzione su ogni dispositivo.

 

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auto abbandonata

Auto abbandonata in condominio? È rifiuto speciale da rimuovere Il Tribunale di Chieti conferma: un’auto in stato di abbandono nel parcheggio condominiale è un rifiuto speciale. Il proprietario va obbligato alla rimozione e allo smaltimento

Auto abbandonata in condominio

Con la sentenza n. 46/2025, il Tribunale di Chieti – sezione distaccata di Ortona ha stabilito che un’auto abbandonata in un’area condominiale, priva di targa e assicurazione, costituisce un rifiuto speciale ai sensi della normativa ambientale. Tale situazione configura un uso illecito del bene comune, lesivo del diritto degli altri condòmini alla pari fruizione dello spazio.

Il giudice ha quindi condannato il proprietario alla rimozione del mezzo a proprie spese, autorizzando il condominio ad agire in via sostitutiva in caso di inadempimento.

Il caso concreto

Il procedimento è stato avviato da un condominio che lamentava la presenza pluriennale di un’auto inutilizzata nel parcheggio comune, in evidente stato di degrado, senza targa né copertura assicurativa.

La vettura non era mai stata rimossa nonostante i ripetuti solleciti, privando gli altri condòmini del legittimo utilizzo dello spazio. Da qui la richiesta giudiziale di accertamento della natura di “veicolo fuori uso” e l’obbligo di rimozione.

Profili ambientali: il veicolo come rifiuto speciale

Il tribunale ha applicato la disciplina prevista dal Dlgs 209/2003 sui veicoli fuori uso e dal Dlgs 152/2006, Testo Unico Ambientale. Queste norme qualificano come rifiuto speciale un’auto che:

  • sia in stato di abbandono;

  • sia priva di elementi identificativi (come la targa);

  • non sia più utilizzabile e non presenti segni di manutenzione o utilizzo.

Secondo la giurisprudenza citata (tra cui Cass. pen. n. 11030/2015), un veicolo può essere considerato fuori uso anche in area privata, se si dimostra la volontà del proprietario di disfarsene.

Violazione del diritto d’uso comune

Il giudice ha inquadrato la condotta della proprietaria dell’auto anche dal punto di vista civilistico, richiamando l’articolo 1102 c.c., che disciplina l’uso delle parti comuni.

La sosta illimitata ed esclusiva del veicolo è stata interpretata come occupazione abusiva dello spazio comune, lesiva del principio di uso paritario tra condòmini. La sentenza ribadisce che nessun condomino può arrogarsi un diritto esclusivo su una parte comune a danno degli altri.

Le prove e la condanna

La decisione si è fondata su documentazione fotografica, visure PRA e dati assicurativi, che hanno dimostrato l’effettivo stato di abbandono del mezzo.

Il tribunale ha condannato la proprietaria:

  • a rimuovere il veicolo a proprie cure e spese;

  • a smaltirlo secondo le norme sui rifiuti speciali;

  • in caso di inerzia, ha autorizzato il condominio a procedere direttamente, con diritto di rivalsa sulle spese sostenute.

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amministratore

Amministratore più caro: delibera di nomina a rischio nullità Una recente sentenza del Tribunale di Milano dichiara nulla la nomina di un amministratore condominiale con compenso più alto del precedente

Delibera condominiale nomina amministratore

Il Tribunale di Milano, con la sentenza n. 4949 del 17 giugno 2025, ha dichiarato nulla una delibera assembleare con cui un condominio aveva nominato un nuovo amministratore con un compenso più elevato di quello richiesto dal professionista uscente.

Il caso riguardava un piccolo stabile nel centro della città: l’amministratore sostituito percepiva un onorario di 600 euro annui, mentre il nuovo professionista aveva richiesto un corrispettivo pari a 2.500 euro.

La motivazione della decisione

Secondo il Tribunale, il divario tra i due compensi, rapportato al bilancio annuale del condominio, che non superava i 12.000 euro, dimostrava la volontà di avvantaggiare il nuovo amministratore, in assenza di altre ragioni oggettive.

La delibera, quindi, è stata ritenuta viziata per eccesso di potere, un vizio che può determinare la nullità quando l’assemblea agisce perseguendo finalità estranee all’interesse comune.

I limiti del sindacato giudiziario sulle scelte dell’assemblea

La sentenza ha suscitato perplessità perché rischia di ridurre la libertà decisionale dell’assemblea.

La giurisprudenza di legittimità è chiara nel delimitare l’ambito del controllo del giudice, che non può sindacare il merito delle scelte dei condomini ma solo verificarne la legittimità.

Come ribadito dalla Cassazione (sentenze n. 5889/2001, 19457/2005 e 15633/2012), l’autorità giudiziaria deve accertare se la deliberazione rientri nell’esercizio corretto del potere discrezionale e se rispetti le norme di legge e di regolamento condominiale.

Quando si configura l’eccesso di potere

Il vizio di eccesso di potere si manifesta quando la decisione assembleare persegue interessi diversi e confliggenti con quelli del condominio, arrecando pregiudizio alla collettività dei proprietari.

Nel caso esaminato, la sentenza ha ritenuto che la sproporzione del compenso, confrontata esclusivamente con quello precedente e non con le tariffe medie di mercato o con parametri oggettivi, fosse sufficiente a dimostrare la deviazione dall’interesse condominiale.

illecito condominiale

Illecito condominiale: tutti responsabili La Cassazione stabilisce che in caso di illecito condominiale ciascun autore risponde integralmente, senza rilievo della priorità dell’intervento

Con l’ordinanza n. 17237/2025, la Cassazione ha chiarito un principio fondamentale in tema di responsabilità per illecito condominiale. Quando più soggetti intervengono sulla cosa comune, ciascuno può essere chiamato a rispondere per l’intero danno, indipendentemente dall’ordine cronologico dei loro comportamenti.

La vicenda oggetto di giudizio

Un condomino aveva convenuto in giudizio la proprietaria di un’unità immobiliare, lamentando che l’apposizione di pannelli in cartongesso su una vetrata comune avesse ridotto la luce naturale nella scala.
La Corte d’appello aveva respinto in parte la domanda, ritenendo che l’oscuramento derivasse prevalentemente da pannelli precedentemente collocati da un altro condomino confinante. Il controsoffitto installato successivamente non sarebbe stato idoneo ad aggravare in modo apprezzabile la situazione.

Il ricorrente aveva contestato questa ricostruzione, affermando che la Corte di merito avesse trascurato la circostanza che l’illecito concorresse con quello precedente e che la responsabilità non dipendesse dalla priorità temporale del comportamento.

La responsabilità solidale nel danno condominiale

Accogliendo il ricorso, la Cassazione ha ricordato che in tema di illecito condominiale il criterio fondamentale è l’articolo 2043 del codice civile, che impone l’obbligo di risarcire il danno ingiusto cagionato da fatto doloso o colposo.
Ai sensi dell’articolo 2055 c.c., quando il danno è prodotto da più soggetti, tutti rispondono in solido verso il danneggiato.

Di conseguenza, chi interviene successivamente su una situazione già compromessa non può invocare la condotta anteriore di terzi per escludere la propria responsabilità. Il danneggiato può rivolgersi indifferentemente a ciascun autore, senza che assuma rilievo chi abbia compiuto per primo l’abuso.

Il principio di diritto affermato

La Corte ha enunciato un principio chiaro e destinato a trovare applicazione in casi analoghi: “Anche in tema di rapporti condominiali, del fatto illecito di un condomino che si aggiunga al fatto illecito di altro condomino nei confronti della cosa comune può essere chiamato a rispondere indifferentemente l’uno o l’altro degli autori, senza che debba aversi riguardo alla priorità nella commissione del fatto”. 

Si tratta di un orientamento coerente con la giurisprudenza precedente (Cass. n. 1757/1987 e n. 6041/2010), secondo cui ciascun condomino può agire autonomamente a tutela del bene comune e ciascun autore risponde per l’intero danno.

Gli altri motivi accolti dalla Suprema Corte

Oltre alla questione della responsabilità solidale, la Cassazione ha accolto ulteriori motivi di ricorso del condomino danneggiato.
In particolare, la Corte di merito aveva omesso di pronunciarsi:

  • sulla violazione del regolamento condominiale,

  • sulle modifiche apportate agli infissi senza autorizzazione.

La decisione è stata dunque cassata con rinvio, per un nuovo esame di tutti i profili di illegittimità dedotti.

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assemblea condominiale

Assemblea condominiale: non è valida la convocazione via mail La Cassazione ribadisce che l’art. 66 disp. att. c.c. impone modalità tassative per l’avviso di convocazione dell'assemblea condominiale, senza deroghe possibili

Convocazione assemblea condominiale

Con l’ordinanza n. 16399/2025, la seconda sezione civile della Cassazione ha ribadito che l’articolo 66, comma 3, delle disposizioni di attuazione del c.c. impone modalità tassative per la comunicazione dell’avviso di convocazione dell’assemblea condominiale. Tale disciplina è inderogabile e non può essere modificata neanche da regolamenti interni o consuetudini. 

Il caso concreto

Nel caso esaminato, alcuni condomini avevano impugnato una delibera assembleare sostenendo che l’avviso di convocazione fosse stato inviato tramite posta elettronica ordinaria e affissione in bacheca condominiale, invece che tramite posta certificata, fax, raccomandata o consegna a mano, come previsto dalla normativa.

La Corte d’Appello aveva ritenuto valida la delibera, ma la Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendo che tali modalità non garantiscano la certezza della ricezione né la regolarità formale della convocazione. 

Cosa dice l’art. 66 disp. att. c.c.

L’art. 66, comma 3, dispone che l’avviso di convocazione — con ordine del giorno, luogo e ora — debba essere comunicato almeno cinque giorni prima della prima convocazione a mezzo:

  • posta raccomandata,

  • posta elettronica certificata (PEC),

  • fax,

  • o consegna a mano.

Queste forme sono espressamente tipizzate e non derogabili, ai sensi del comma 4 e dell’art. 72 disp. att. c.c., che non permette ai regolamenti di modificare tali prescrizioni. 

Le motivazioni della Corte: certezza e trasparenza

Secondo la Corte Suprema, il requisito fondamentale della convocazione è garantire la certezza della conoscenza da parte di ciascun condomino, nel corretto termine dilatorio di cinque giorni. L’utilizzo di modalità più informali, come email non certificata, WhatsApp o affissioni in bacheca, non offre alcuna garanzia reale e reale evidenza dell’avvenuto ricevimento. Di conseguenza, tali modalità non soddisfano la forma prescritta e rendono annullabile la delibera assembleare ai sensi dell’art. 1137 c.c. 

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regolamento condominiale

Regolamento condominiale: la guida Regolamento condominiale: cos'è, normativa di riferimento, quando è obbligatorio, tipologie, contenuto e giurisprudenza

Cos’è il regolamento di condominiale

Il regolamento condominiale è l’insieme di norme che disciplinano la convivenza tra i condomini all’interno di un edificio. Esso ha lo scopo di garantire l’uso corretto delle parti comuni, regolare i diritti e i doveri dei condomini e assicurare l’ordine nella gestione del fabbricato. La sua adozione è prevista dall’art. 1138 del Codice civile.

Normativa di riferimento

La disciplina sul regolamento condominiale si trova principalmente:

  • nel Codice civile, artt. 1100 ss. e 1138;
  • nelle disposizioni di attuazione al c.c., artt. 61 ss.;
  • nelle sentenze della giurisprudenza di legittimità, che ha chiarito i limiti e gli effetti della trascrizione.

Regolamento obbligatorio o facoltativo?

Secondo la legge, il regolamento condominiale è obbligatorio quando il numero dei condomini supera il numero di dieci. In tal caso, deve essere approvato dall’assemblea con la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore millesimale dell’edificio (art. 1136 c.c.).

Tuttavia, anche nei condomìni con meno di undici proprietari, è sempre possibile adottarlo su base volontaria per regolare gli aspetti pratici della gestione.

Tipi di regolamento condominiale

Esistono due tipologie principali di regolamento:

  • contrattuale: è quello che viene predisposto dall’originario costruttore o da tutti i condomini per accordo unanime. Può limitare anche l’uso delle proprietà esclusive (es. divieto di destinare un appartamento a uso professionale);
  • assembleare: viene approvato a maggioranza dai condomini, regola solo l’uso delle parti comuni, senza incidere sui diritti individuali.

Solo il regolamento contrattuale può contenere clausole limitative delle proprietà private.

Cosa deve contenere il regolamento condominiale

Il contenuto minimo del regolamento, ai sensi dell’art. 1138 c.c., deve includere:

  • regole sull’uso delle parti comuni (scale, cortili, ascensore, ecc.);
  • criteri di ripartizione delle spese condominiali;
  • modalità di convocazione e funzionamento dell’assemblea;
  • attribuzioni e obblighi dell’amministratore;
  • eventuali sanzioni disciplinari per violazioni (fino a 200 euro, elevabili a 800 per recidiva).

Può essere integrato con norme personalizzate, purché non contrarie alla legge o ai diritti inviolabili dei condomini.

Come si applica e cosa accade in caso di violazione

Il regolamento è vincolante per tutti i condomini, presenti e futuri, se:

  • è stato approvato regolarmente;
  • è conosciuto al momento dell’acquisto;
  • per quello contrattuale, se è espressamente accettato.

La violazione delle norme può comportare sanzioni pecuniarie, l’intervento dell’amministratore, o l’azione giudiziaria da parte degli altri condomini. Le clausole che limitano l’uso della proprietà individuale, se non hanno contrattuale, non sono opponibili ai nuovi acquirenti.

Giurisprudenza di legittimità sul regolamento condominiale

Cassazione n. 23582/2023: le clausole dei regolamenti condominiali possono avere natura contrattuale o regolamentare. Hanno natura contrattuale solo se limitano i diritti dei condomini sulle proprietà esclusive o comuni, o se attribuiscono a certi condomini diritti maggiori rispetto ad altri. Queste clausole contrattuali, essendo parte integrante dei contratti di acquisto o formate con consenso unanime, possono essere modificate solo con l’unanimità di tutti i condomini.

Al contrario, le clausole che si limitano a disciplinare l’uso dei beni comuni hanno natura regolamentare. Per queste ultime è sufficiente una deliberazione assembleare adottata con la maggioranza prevista dall’articolo 1136, comma 2, del Codice Civile per la loro modifica.

Cassazione n. 21478/2021: il regolamento di condominio ha valore contrattuale per il proprietario se richiamato nell’atto di acquisto dell’immobile, anche se non trascritto. Tuttavia, le clausole che limitano le facoltà o i diritti sulla proprietà esclusiva o condominiale devono essere esplicitamente indicate nell’atto di compravendita, altrimenti saranno considerate invalide.

Sezioni Unite Cassazione n. 943/1999: Un regolamento di condominio deve essere necessariamente redatto in forma scritta, poiché senza un documento di riferimento sarebbe impossibile applicarne le disposizioni, spesso di difficile interpretazione, e impugnarlo. La tesi che la forma scritta sia richiesta solo “ad probationem” (per fini probatori) non è accettabile. Una volta stabilito che il regolamento deve essere contenuto in un documento, la scrittura diventa un elemento essenziale per la sua validità, a meno che non vi sia una disposizione specifica che ne preveda una rilevanza meramente probatoria, ma tale eccezione non esiste in questo caso. Infine, per i regolamenti di natura contrattuale, la forma scritta è indiscutibilmente necessaria, dato che le loro clausole influenzano i diritti dei condomini sia sulle proprietà esclusive che su quelle comuni.

 

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cancello in condominio

Cancello in condominio: non serve la maggioranza dei due terzi La Cassazione chiarisce che l'installazione di un cancello in condominio non costituisce innovazione e può essere deliberata senza la maggioranza dei due terzi

Apposizione di cancello in condominio

Con la sentenza n. 16148/2025, la Corte di Cassazione ha ribadito un importante principio in tema di decisioni assembleari condominiali: l’installazione di un cancello all’ingresso di un’area comune non costituisce innovazione ai sensi dell’art. 1120 c.c., e pertanto non richiede la maggioranza qualificata prevista dal quinto comma dell’art. 1136 c.c.

Il fatto: il ricorso contro la delibera assembleare

La controversia trae origine dalla delibera adottata da un’assemblea condominiale nel 2009, con cui era stata approvata, a maggioranza semplice (501,38 millesimi), l’installazione e regolamentazione di un cancello nell’area scoperta antistante l’edificio. Alcuni condomini hanno impugnato la decisione, ritenendo violati i quorum richiesti per le innovazioni. Secondo i ricorrenti, l’intervento doveva essere approvato con almeno due terzi del valore dell’edificio, come richiesto dall’art. 1136, co. 5 c.c.

Il principio della Cassazione

La Corte di Cassazione ha confermato la decisione di merito che aveva rigettato l’impugnazione, ritenendo che l’intervento deliberato non rappresentasse un’innovazione bensì una modalità di regolamentazione dell’uso della cosa comune. In particolare, il cancello non modifica la destinazione della parte comune, né ne limita l’uso da parte dei condomini, ma si limita a disciplinare l’accesso all’area per motivi di sicurezza e decoro.

Interventi non qualificabili come innovazioni

Nel solco della giurisprudenza costante, la Corte ha ribadito che rientrano nei poteri dell’assemblea anche interventi come l’installazione di cancelli o sbarre, qualora finalizzati a tutelare l’utilizzo ordinato delle parti comuni e a prevenire l’ingresso di soggetti estranei. Tali interventi, se non alterano l’essenza del bene comune né incidono negativamente sui diritti dei condomini, non necessitano della maggioranza rinforzata prevista per le innovazioni.

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delibera condominiale

Delibera condominiale non impugnabile per danni irrisori Secondo il Tribunale di Firenze, non è ammissibile l’impugnazione di una delibera condominiale per un danno economico minimo. Serve un interesse concreto e patrimoniale rilevante

Impugnazione delibera condominiale

Il Tribunale di Firenze, con sentenza n. 1619/2025, ha stabilito che non può essere impugnata una delibera condominiale quando il danno economico lamentato è di entità trascurabile e privo di rilevanza patrimoniale apprezzabile.

La causa nasceva dalla contestazione di un rendiconto condominiale che addebitava ad un condomino una quota di spese legali superiore di circa trenta euro rispetto alla sua reale competenza. L’interessato aveva chiesto l’annullamento della delibera assembleare che approvava quel rendiconto, ritenendo la differenza indebita. Tuttavia, il Tribunale ha ritenuto la domanda inammissibile per difetto di interesse ad agire.

Richiamando l’art. 100 c.p.c. e la giurisprudenza di legittimità (tra cui Cass. n. 6128/2017), il giudice ha sottolineato che non è sufficiente una divergenza di principio o un pregiudizio di entità minima per fondare un’azione giudiziaria. È necessario, invece, che l’interesse ad agire sia personale, concreto, attuale e patrimonialmente rilevante. Il giudizio civile, infatti, non può essere strumentalizzato per mere rivendicazioni simboliche o per contenziosi di scarsa consistenza economica.

La pronuncia si inserisce nel solco della giurisprudenza che tutela l’effettività della funzione giurisdizionale e disincentiva l’uso improprio del processo per finalità non sostanziali.

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scale condominiali

Scale condominiali Scale condominiali: bene comune, normativa civilistica di riferimento e regole per la ripartizione delle spese

Cosa si intende per scale condominiali

Le scale condominiali rappresentano uno degli elementi architettonici essenziali negli edifici condominiali. Oltre alla loro funzione pratica, costituiscono un tipico bene comune e sono disciplinate in modo puntuale dalla normativa civilistica.

Bene comune ai sensi dell’art. 1117 c.c.

Ai sensi dell’art. 1117 del codice civile, le scale rientrano tra le parti comuni dell’edificio, in quanto strumentali all’uso comune. In particolare, l’articolo elenca tra i beni comuni: “… le scale, i vestiboli, gli anditi, i portici e i cortili, nonché i locali per il servizio comune.” Di conseguenza, tutti i condomini – anche quelli che non le utilizzano direttamente – sono comproprietari delle scale, salvo diversa indicazione nel titolo (es. regolamento contrattuale).

Normativa di riferimento: art. 1124 del codice civile

L’art. 1124 c.c. disciplina nello specifico la ripartizione delle spese per la manutenzione e il rifacimento delle scale e degli ascensori, introducendo un criterio misto:

  • 50% delle spese va ripartito in base al valore millesimale dell’unità immobiliare (ex art. 68 disp. att. c.c.);
  • 50% va ripartito in proporzione all’altezza del piano, cioè all’utilizzo potenziale delle scale da parte dei vari condomini.

Questo criterio mira a bilanciare l’interesse patrimoniale (valore dell’unità) con l’utilizzo effettivo del bene comune.

Ripartizione spese scale condominiali

Facciamo un esempio pratico:

  • un condominio ha 5 piani fuori terra;
  • le spese di rifacimento scale ammontano a 10.000 euro.
  • il 50% (5.000 euro) viene ripartito secondo i millesimi di proprietà;
  • il restante 50% (5.000 euro) viene suddiviso in proporzione all’altezza del piano: il piano terra pagherà meno rispetto all’ultimo piano.

Questa formula tiene conto del maggior uso delle scale da parte dei condomini dei piani superiori, che ne fruiscono quotidianamente per accedere alla propria abitazione.

Eccezioni e chiarimenti giurisprudenziali

La Corte di Cassazione ha chiarito più volte che:

  • il diritto di comproprietà delle scale sussiste anche per i proprietari di unità con accesso indipendente (Cassazione n. 4664/2016) salvo diversa previsione nel titolo o nell’atto di acquisto;
  • le modifiche strutturali alle scale richiedono delibera assembleare con maggioranza qualificata (art. 1136 c.c.);
  • l’inserimento di scale interne private da parte di singoli condomini (es. collegamento tra due appartamenti) necessita della Scia (Cassazione n. 41598/2019).

Manutenzione ordinaria e straordinaria delle scale condominiali

Queste le regole da rispettare quando si procede alla manutenzione delle scale condominiali:

  • la manutenzione ordinaria, che consiste nella pulizia, nelle riparazioni minori, e nella illuminazione rientra tra le spese correnti annuali, approvabili con maggioranza semplice;
  • la manutenzione straordinaria, rappresentata invece dal rifacimento dei gradini, dalla sostituzione ringhiere e dalla messa a norma richiede una delibera assembleare con maggioranze ex art. 1136 c.c.

In entrambi i casi si applicano comunque i criteri di  ripartizione previste dall’art. 1124 c.c., salvo accordi differenti.

Regolamento condominiale e deroghe alla legge

Il regolamento di condominio, se di tipo contrattuale (cioè approvato all’unanimità o allegato all’atto di compravendita), può prevedere criteri di ripartizione diversi da quelli previsti dal codice civile. In caso contrario, ossia in presenza dio regole stabilite dal regolamento assembleare, prevale la disciplina legale.

Scale e condominio parziale

In alcune ipotesi, l’edificio può prevedere più vani scala, ciascuno utilizzato da una porzione limitata di condomini. In tal caso:

  • si applica la teoria del condominio parziale (art. 1123, comma 3 c.c.);
  • le spese sono a carico solo dei condomini che traggono utilità dalla scala.

La giurisprudenza conferma che in tali casi è legittima la ripartizione parziale delle spese, senza necessità di costituire un condominio separato.

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