Canna fumaria condominio: legittima la revoca dell’autorizzazione Canna fumaria condominio: legittima la revoca dell’autorizzazione all’uso precario se altera la destinazione e impedisce l’uso agli altri

Canna fumaria condominio: uso della cosa comune

Il Tribunale di Torino con la sentenza n. 199/2025 ha confermato la legittimità della revoca di un’autorizzazione concessa in via precaria per l’uso di una colonna di scarico dei rifiuti come canna fumaria in condominio. L’articolo 1102 c.c permette a ogni condomino di utilizzare la cosa comune, tale uso però non deve alterare la destinazione della cosa comune e non deve impedire agli altri condomini di farne uso secondo il loro diritto.

Canna fumaria condominio: revocata l’autorizzazione all’uso

La vicenda giudiziari ha inizio quando l’assemblea straordinaria di un condominio delibera la revoca dell’autorizzazione concessa a un singolo condomino per l’uso dell’ex colonna di scarico dell’immondizia come canna fumaria. La decisione viene presa all’unanimità.

La titolare della proprietà interessata contesta la delibera, sostenendo che il diritto all’uso deriva dall’art. 1102 c.c., che consente a ciascun condomino di servirsi della cosa comune. Per parte ricorrente l’utilizzo della canna fumaria deve quindi ritenersi legittimo in base al principio di uso più intenso della cosa comune. Per questa ragione chiede l’annullamento della delibera condominiale. La parte convenuta replica però che l’uso della colonna di scarico come canna fumaria è stato autorizzato solo in via precaria, con diritto di revoca da parte dell’assemblea condominiale.

Legittima la revoca dell’autorizzazione

Il tribunale, condividendo la tesi della parte convenuta respinge il ricorso, confermando la legittimità della revoca dell’autorizzazione.  L’autorità giudiziaria ritiene in effetti che l’uso della colonna di scarico per il passaggio di fumi e odori abbia comportato un’alterazione della destinazione d’uso della cosa comune. L’occupazione esclusiva ha inoltre impedito agli altri condomini di esercitare il loro diritto all’uso del bene.

Art 1102 c.c.: limiti all’utilizzo della cosa comune

Il Tribunale ricorda che l’art. 1102 c.c consente a ciascun condomino di utilizzare la cosa comune, purché ciò non pregiudichi il pari uso da parte degli altri. La sentenza della Cassazione n. 18038/2020 ha ribadito inoltre che l’uso più intenso è ammesso solo se compatibile con i diritti altrui. Ipotesi che non ricorre nel caso di specie, tanto è vero che l’assemblea ha espressamente concesso l’autorizzazione in via precaria, con possibilità di revoca.

Il Tribunale evidenzia inoltre come il precedente utilizzatore della canna fumaria si era impegnato a eseguire lavori per eliminare gli odori sgradevoli. Tali interventi però non sono mai stati effettuati. L’uso della canna fumaria ha quindi continuato a provocare disagi ai condomini. Alla luce di tutto quanto esposto, la revoca non può essere considerata un atto arbitrario, ma il legittimo esercizio del diritto di ripristinare l’uso originario del bene comune.

 

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l'inferriata installata

L’inferriata installata per ragioni di sicurezza non si tocca Il tribunale di Catania ha dichiarato nulla la delibera condominiale che imponeva la rimozione di un'inferriata installata per sicurezza

Nullità delibera condominiale

Con la sentenza n. 121 dell’8 gennaio 2025, il Tribunale di Catania ha dichiarato la nullità di una delibera assembleare che obbligava un condomino a rimuovere l’inferriata installata all’ingresso della propria abitazione per motivi di sicurezza.

L’inferriata installata all’ingresso: il caso

Un condomino aveva installato un’inferriata al portone d’ingresso del proprio appartamento, situato al piano terra, per proteggere l’abitazione da possibili intrusioni. L’assemblea condominiale, ritenendo che l’installazione alterasse il decoro architettonico dell’edificio e invadesse parti comuni, ne aveva deliberato la rimozione a spese del condomino. Quest’ultimo ha impugnato la delibera davanti al Tribunale di Catania.

La decisione del Tribunale

Il Tribunale ha accolto le ragioni del condomino, stabilendo che la delibera assembleare era nulla. Dalla consulenza tecnica espletata è emerso, infatti, che l’inferriata non invadeva parti comuni, non ledeva il decoro architettonico dell’edificio e insisteva su una parte di proprietà esclusiva.

La posa in opera era da intendersi peraltro come intervento relativo all’adozione di misure finalizzate a prevenire il rischio del compimento di atti illeciti da parte di terzi. Ovvero tutelarsi dal pericolo di intrusioni.

Pertanto, l’assemblea non aveva il potere di imporre la rimozione di un’opera realizzata su una proprietà privata che non arrecava pregiudizio alle parti comuni o agli altri condomini. Ed anzi la delibera impugnata “rappresenta un’ingerenza” su una parte di proprietà esclusiva. Con la conseguenza che la stessa va dichiarata nulla, come da insegnamento delle Sezioni Unite della Cassazione (cfr. Cass. 9839/2021).

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spese condominiali

Spese condominiali a carico del proprietario Spese condominiali: il decreto ingiuntivo per recuperarle va azionato nei confronti del proprietario non dell’assegnatario

Spese condominiali

L’amministratore di condominio deve riscuotere dai condomini le spese condominiali. La riscossione nell’interesse comune però deve avvenire nei confronti titolari dei diritti reali delle singole unità condominiali. Lo ha stabilito il Tribunale di Roma nella sentenza n. 13.632 del 2 settembre 2024, dopo aver revocato il decreto ingiuntivo emesso nei confronti della ex moglie a cui era stato assegnato l’immobile condominiale del coniuge in sede di divorzio. Non è la donna infatti la legittimata passiva dell’azione, ma l’ex marito, nella sua qualità di proprietario dell’appartamento.

Recupero spese: l’assegnataria non è legittima passiva

Un Condominio ottiene un decreto ingiuntivo per il pagamento di alcuni oneri condominiali.  Al decreto si oppone l’ingiunta, contestando la propria legittimazione passiva dell’azione. Ella  occupa infatti l’unità condominiale perché le è stata assegnata in sede di separazione. Il Condominio chiede quindi la chiamata in causa del proprietario effettivo per sentirlo condannare al pagamento degli oneri condominiali richiesti nel decreto ingiuntivo. Il Giudice accoglie la domanda e condanna il proprietario a pagare le spese, con conseguente revoca del decreto ingiuntivo emesso nei confronti della moglie.

La decisione viene impugnata e nel frattempo i coniugi divorziano e il Tribunale competente assegna la casa alla donna.

La ex moglie a questo punto, in sede di appello fa presente  che “l’impossibilità di azionare il credito direttamente in danno dellassegnatario del cespite immobiliare deriva dal principio di diritto per cui la sentenza di separazione e/o divorzio fa stato solo ed unicamente tra le parti e non nei confronti dei terzi, ivi compreso il condominio. Il coniuge assegnatario, non proprietario, è infatti titolare di un atipico diritto personale di […] godimento e non di un vero diritto reale che avrebbe potuto semmai giustificare lazione diretta in proprio danno. Lutilizzo del cespite immobiliare da parte del coniuge assegnatario deve essere, quindi, paragonato per estensione analogica a quello del conduttore.” 

Spese condominiali a carico dei titolari dei diritti reali

In sentenza il Tribunale, nel mettere ordine tra le varie tesi dei contendenti, chiarisce che “l’amministratore di condominio ha diritto di riscuotere i contributi per la manutenzione e per lesercizio delle parti e dei servizi comuni esclusivamente da ciascun condomino, e cioè dalleffettivo proprietario o titolare di diritto reale sulla singola unità immobiliare, sicché è esclusa un’azione diretta nei confronti del coniuge o del convivente assegnatario dellunità immobiliare adibita a casa familiare, configurandosi il diritto al godimento della casa familiare come diritto personale di godimento sui generis.” 

Il Tribunale richiama infatti alcune decisioni della Cassazione alla luce delle quali ricorda che il legittimato passivo dell’azione di recupero delle spese condominiali è il proprietario, non chi appare come tale. Corretta la distinzione tra spese straordinarie a carico del proprietario e spese dovute l coniuge assegnatario. Vero però che l’assegnazione dell’immobile al coniuge costituisce un diritto personale di godimento e non un diritto reale.

Tal diritto personale di godimento quindi “non rileva ai fini della pretesa dell’amministratore condominiale – ai sensi degli artt. 1123, 1130 n. 3 c.c. e 63, comma 1, disp. att. c.c. – volta a riscuotere i contributi e le spese per la manutenzione delle cose comuni ed i servizi nell’interesse comune, restando esclusa un’azione diretta nei confronti dell’assegnatario della singola unità immobiliare.”

 

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amministratore di condominio

Amministratore di condominio: chi è e cosa fa Amministratore di condominio: chi è, cosa fa, quali requisiti deve avere per gestire un condominio, nomina, revoca e compenso

Amministratore di condominio: chi è

L’amministratore di condominio è una figura fondamentale per la gestione ordinaria e straordinaria degli edifici condominiali. La normativa italiana disciplina il suo ruolo, i requisiti, le modalità di nomina e di revoca e i compiti che deve svolgere per garantire il buon funzionamento del condominio. In questo articolo approfondiamo tutto quello che c’è da sapere sull’amministratore di condominio secondo il Codice Civile e la giurisprudenza.

Chi può fare l’amministratore di condominio?

L’articolo 71-bis delle Disposizioni di Attuazione del Codice Civile stabilisce i requisiti per diventare amministratore di condominio. Nello specifico, può ricoprire questo ruolo chi:

  • ha il pieno godimento dei diritti civili;
  • non ha subito condanne penali per reati contro il patrimonio o per altri reati gravi;
  • non è stato sottoposto a misure di prevenzione;
  • è in possesso del diploma di scuola secondaria superiore;
  • ha frequentato un corso di formazione iniziale e svolge periodicamente corsi di aggiornamento.

Di tali requisiti devono essere in possesso anche agli amministratori interni al condominio, salvo il requisito del diploma e del corso di formazione.

Obblighi di formazione e aggiornamento

L’amministratore deve quindi frequentare corsi di formazione iniziale e aggiornamenti periodici per mantenere i requisiti di legge. Questa misura garantisce che la figura professionale sia sempre in linea con le normative e le buone prassi.

Quali sono i compiti dell’amministratore di condominio

L’amministratore di condominio svolge funzioni di gestione e rappresentanza, con compiti definiti dall’articolo 1130 del Codice Civile, tra i quali troviamo:

  • l’esecuzione delle delibere assembleari: assicura l’attuazione delle decisioni prese dall’assemblea condominiale;
  • la gestione delle parti comuni: cura la manutenzione ordinaria e straordinaria degli spazi condivisi come scale, cortili e impianti;
  • la riscossione delle quote condominiali: provvede a richiedere i contributi dai condomini e a gestire il fondo comune;
  • la tenuta dei registri condominiali: conserva il registro dei verbali delle assemblee, quello dell’anagrafe condominiale e gli altri documenti previsti dalla legge;
  • la rappresentanza legale del condominio: rappresenta il condominio nei rapporti con terzi e nelle eventuali controversie legali.

Come viene nominato l’amministratore di condominio

La nomina dell’amministratore è disciplinata dall’articolo 1129 del Codice Civile. Essa è obbligatoria nei condomini con più di otto condomini. La nomina viene deliberata dall’assemblea condominiale, con la maggioranza qualificata prevista dall’articolo 1136 comma 2, ossia con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti che rappresentino almeno la metà del valore millesimale dell’edificio.

La delibera deve indicare i termini del mandato, la durata (di norma annuale) e il compenso concordato.

Quando e come può essere revocato l’amministratore

La revoca può essere volontaria o giudiziale.

  • Revoca volontaria: l’assemblea può deliberare la revoca con le stesse modalità della nomina, anche prima della scadenza naturale del mandato.
  • Revoca giudiziale: prevista dall’articolo 1129, può essere richiesta da un singolo condomino al tribunale in caso di gravi irregolarità, come la mancata convocazione dell’assemblea annuale o la mancata rendicontazione delle spese.

Tra le gravi irregolarità che possono condurre alla revoca del mandato identificate dalla giurisprudenza vi sono:

  • l’utilizzo improprio dei fondi condominiali;
  • la mancata trasparenza nella gestione economica;
  • l’omissione di interventi urgenti per la manutenzione.

Quanto guadagna un amministratore di condominio

Il compenso dell’amministratore non è regolamentato dalla legge, ma deve essere concordato al momento della nomina e riportato nella delibera assembleare. Esso può variare in base alla complessità del condominio, al numero di unità abitative e ai servizi richiesti.

 

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agevolazione prima casa

Agevolazione prima casa: due anni per vendere Agevolazione prima casa: la legge di bilancio 2025 concede due anni di tempo per vendere la casa acquistata con i benefici fiscali e conservarli

Legge di Bilancio 2025: più tempo per vendere

La Legge di Bilancio 2025, in vigore dal 1° gennaio 2025, introduce un’importante novità relativa all’agevolazione “prima casa”. Si avrà infatti più tempo per vendere l’immobile già posseduto senza perdere il beneficio fiscale dell’imposta di registro del 2%.

Nuovi termini: da uno a due anni

Fino al 31 dicembre 2024, chi acquistava una nuova casa con agevolazioni “prima casa” aveva solo un anno per vendere o donare l’abitazione precedente. Dal 2025, il termine è stato raddoppiato a due anni, offrendo maggiore flessibilità ai proprietari.

Questa modifica riguarda:

  • chi stipula un rogito dal 1° gennaio 2025;
  • chi ha stipulato un rogito nel 2024, ma non ha venduto la prima casa entro la fine dell’anno.

Non rientra nella nuova normativa chi ha già superato il vecchio termine di un anno per la vendita e ha stipulato il rogito prima del 1°gennaio 2025.

Agevolazione “prima casa”: requisiti

Per beneficiare della nuova agevolazione, è necessario rispettare però anche le condizioni che seguono;:

  1. l’immobile non deve rientrare nelle categorie catastali A/1 (abitazioni di lusso), A/8 (ville) e A/9 (castelli);
  2. l’acquirente deve stabilire la residenza nel Comune dell’immobile entro 18 mesi dall’acquisto o dimostrare di svolgere lì attività lavorativa o di studio;
  3. l’acquirente non deve possedere altre abitazioni nello stesso Comune in cui si trova quella che beneficia delle agevolazioni e non deve essere proprietario, nemmeno in quota, di altre case acquistate con agevolazioni “prima casa” su tutto il territorio nazionale.

Se si possiede una casa non agevolata nello stesso Comune, questa deve essere venduta prima del nuovo acquisto.

Benefici fiscali dell’agevolazione “prima casa”

Si ricorda che la normativa “prima casa” offre vantaggi economici significativi:

  • IVA ridotta dal 10% al 4% per acquisti da imprese costruttrici;
  • imposta di registro ridotta dal 9% al 2% per acquisti da privati;
  • imposte ipotecaria e catastale di 50 euro ciascuna per acquisti da privati e 200 euro per acquisti da imprese. In caso di successione invece, si applica una somma fissa di 200 euro anziché l’aliquota del 3%.

Impatto della nuova normativa

L’estensione del termine a due anni favorisce chi vuole cambiare casa senza pressioni. Si agevola il mercato immobiliare e si offrono tempi più gestibili per la vendita della vecchia abitazione. I benefici si riflettono su proprietari, acquirenti e operatori del settore. La Legge di Bilancio 2025 offre in questo modo nuove opportunità a chi desidera acquistare una casa con agevolazioni fiscali, sostenendo al contempo la dinamicità del mercato immobiliare.

 

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mobili sul pianerottolo

Mobili sul pianerottolo: vanno rimossi se ostacolano il passaggio   Mobili sul pianerottolo: vanno rimossi se il deposito prolungato impedisce agli altri condomini l’uso paritario dello spazio comune

Mobili sul pianerottolo: deposito illegittimo

Depositare mobili sul pianerottolo comune è illegittimo. La Cassazione lo ha precisato nell’ordinanza n. 30468/2024. La vicenda giudiziaria inizio quando diversi condomini decidono di depositare la loro mobilia nello spazio comune presente di fronte alle abitazioni e non provvedono più alla rimozione della stessa.

Violazione dell’uso paritario dello spazio comune

L’ azione legale viene intrapresa dal proprietario di due unità immobiliari comprese all’interno di due edificio condominiale contro altri condomini. Questi ultimi si sono resi responsabili di aver collocato mobili e arredi sui pianerottoli comuni, rendendoli di fatto utilizzabili. L’attore in causa chiede quindi la rimozione di questi oggetti e il ripristino dello stato dei luoghi. In primo grado, la domanda del ricorrente viene dichiarata inammissibile. La Corte d’Appello però ribalta la decisione, basandosi sui risultati di una consulenza tecnica d’ufficio (CTU). La Corte condanna i convenuti alla rimozione dei mobili. Il deposito degli stessi è infatti illegittimo perché impedisce agli altri condomini un uso paritario degli spazi comuni.

Parti comuni condominiali: diritto all’uso paritario

Il caso approda in Cassazione. In questa sede i ricorrenti contestato l’interpretazione dei dati emersi dalla CTU. La Corte di Cassazione però respinge il ricorso, sottolineando l’assenza di un errore revocatorio. Il ricorso si basa in effetti su presunti errori di valutazione, che non rientrano tra le cause di revocazione ai sensi dell’articolo 395 c.p.c. Le critiche mosse dai ricorrenti riguardano valutazioni di merito, già esaminate nei precedenti gradi di giudizio. Tali critiche non costituiscono quindi un errore revocatorio, ma rientrano nell’ambito dell’errore di giudizio, non suscettibile di revisione.

Per la Corte di Cassazione il ricorso è pertanto inammissibile e i ricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese processuali e al risarcimento dei danni per lite temeraria, ai sensi dell’articolo 96 c.p.c. Il ricorso del resto è palesemente infondato ed evidenzia una grave negligenza, considerata la professionalità richiesta agli avvocati cassazionisti.

Uso delle parti comuni in condominio

La decisione della Corte Suprema chiarisce in sostanza un principio giuridico fondamentale per la convivenza condominiale, ossia che tutti i condomini hanno diritto a un uso paritario delle parti comuni. Il deposito di oggetti sui pianerottoli è illegittima perché viola il diritto di tutti i condomini di utilizzare liberamente gli spazi comuni. I condomini devono quindi agire con responsabilità, evitando utilizzi esclusivi o arbitrari degli spazi comuni.

 

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Assegnazione posti auto cortile condominiale L'assegnazione dei posti auto nel cortile condominiale: per una gestione corretta occorre evitare l’adozione di criteri discriminatori

Assegnazione posti auto e spazi comuni

L’assegnazione dei posti auto nel cortile condominiale rappresenta una questione centrale nella gestione degli spazi comuni. Spesso, questo tema genera contenziosi. Lo dimostra una recente vicenda giudiziaria che vede protagonista un condomino, proprietario di un box auto e un Condominio. Nel caso di specie il Tribunale di Roma ha sancito lillegittimità dell’assegnazione esclusiva e a tempo indeterminato di posti auto all’interno di un cortile condominiale. Un’assegnazione di questo tipo lede il diritto all’uso e al godimento paritario della cosa comune “uso e godimento che va apprezzato sulla scorta di un’astratta valutazione del rapporto di equilibrio che deve essere mantenuto fra tutte le possibili concorrenti fruizioni del bene stesso da parte dei partecipanti al condominio.” Lo ha stabilito il Tribunale di Roma, nella sentenza n. 13631/2024

Assegnazione posti auto cortile condominiale discriminatoria

Nel caso di specie il condominio convenuto si trova in una strada privata aperta al transito pubblico, dove una fascia di terreno di 5,70 metri, gravata da servitù di passaggio, viene utilizzata per il parcheggio. Su questa area però vengono installati dei paletti dissuasori in ferro con lucchetto, che riservano l’accesso ai soli condomini dotati di chiavi.

La gestione di questi posti auto era stata regolamentata da una delibera del 30 aprile 1996, che assegnava gli spazi a 17 condomini con alcune restrizioni, tra cui l’obbligo di parcheggiare una sola vettura a famiglia. Nel corso degli anni, questa decisione ha subito diverse modifiche. La delibera del 23 settembre 2021 ha infatti revocato la precedente disposizione e ha affermato che i posti auto spettassero   esclusivamente ai proprietari di appartamenti. La delibera del 14 febbraio 2022 invece ha reintegrato la delibera del 1996, ristabilendo l’assegnazione dei posti auto ai 17 condomini originali.

L’attore ha contestato la validità della delibera del 14 febbraio 2022. Essa realizza una discriminazione tra condomini perché l’assegnazione esclusiva dei posti auto a un gruppo ristretto di condomini, a discapito degli altri, crea uno squilibrio ingiustificato nell’accesso ai beni comuni. L’assemblea inoltre doveva considerarsi illegittima. L’area interessata non apparteneva al condominio, ma alla società costruttrice, che ne aveva riservato la proprietà nel regolamento condominiale. Infine, anche in base a quanto  sancito dalla Cassazione, deve essere riconosciuto a ogni condomino il diritto a utilizzare le aree comuni in modo equo, senza che un uso esclusivo le renda inservibili per gli altri.

Turnazioni o assegnazioni temporanee

Il Tribunale ha accolto le istanze del ricorrente, dichiarando nulle le delibere del 30 aprile 1996 e del 14 febbraio 2022.  Secondo la giurisprudenza, il godimento delle parti comuni deve essere equo e proporzionato alle quote di proprietà, senza assegnazioni esclusive a tempo indeterminato. L’assemblea poi, come rilevato dall’attore, non aveva competenza per deliberare sull’area di proprietà della società costruttrice. Il ricorrente infine, anche se non usufruiva direttamente dell’area, aveva diritto a un uso proporzionale o turnario, conformemente alla sua quota di proprietà.

Da questa sentenza emergono alcune regole fondamentali per la gestione degli spazi comuni.

  • Le decisioni che incidono sull’uso delle aree condominiali devono rispettare il principio di parità tra i condomini e non possono avvantaggiare alcuni a scapito di altri.
  • L’assemblea può deliberare solo su beni comuni, qualsiasi decisione relativa a spazi di proprietà di terzi è nulla.
  • L’assegnazione di spazi comuni deve avvenire con criteri che garantiscano il diritto di fruizione per tutti i condomini, tramite turnazione o assegnazioni temporanee, per esempio.

 

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spese condominio

Spese condominiali: costruttore esonerato Spese condominiali: è valida e non viola il Codice del Consumo la clausola che esonera il costruttore venditore dal pagamento

Spese condominiali: valida la clausola di esonero

Valida la clausola del regolamento contrattuale che esonera il costruttore dal pagamento delle spese condominiali che si riferiscono alle unità immobiliari invendute. La clausola può essere modificata, ma occorre l’unanimità. Lo afferma la sentenza del Tribunale di Bari n. 4515-2024.

Violazione del regolamento condominiale

Il costruttore e venditore di un edificio condominiale contesta l’addebito delle spese condominiali poste a suo carico dal consesso condominiale in violazione dell’articolo 23 del regolamento contrattuale. Questa regola lo esonera, infatti, nella sua qualità di costruttore, dall’obbligo di contribuire alle spese condominiali relative alle proprietà invendute. Nella citazione l’attore chiede quindi la dichiarazione di nullità/annullamento delle due delibere che pongono a suo carico le spese ordinarie e di manutenzione dello stabile.

Il Condominio convenuto contesta la validità dell’art. 23 del Regolamento perché contrario alle regole previste dal Codice del Consumo. La clausola risulterebbe infatti abusiva.

Clausola di esonero dalle spese condominiali

Il Tribunale accoglie le richieste dell’attore ricordando che la giurisprudenza di legittimità, in diverse occasioni, si è pronunciata a favore delle clausole contenute nei regolamenti condominiali che esonerano il costruttore dal pagamento delle spese condominiali.

Il regolamento, nel caso di specie, ha natura contrattuale, per cui, sono valide e vincolanti per tutti i condomini, le clausole che, anche in violazione dell’art. 1123 c.c., dispongono in materia di spese condominiali. E’ legittima la deroga al criterio di riparto che si basa sulle quote millesimali stabilito dalla legge, anche se esonera dal pagamento uno dei condomini e nonostante la previsione dell’art., 1118 c.c.

Clausola di esonero: modificabile all’unanimità

La clausola che esonera il costruttore dal contribuire alle spese del condominio può comunque essere modificata, ma solo all’unanimità, costruttore beneficiario compreso. La delibera che venisse adottata a maggioranza invece sarebbe nulla perché così come il contratto richiede la volontà unanime per l’approvazione del regolamento contrattuale, tutti devono esprimersi a favore anche per la sua modifica. La deroga al criterio stabilito dall’art. 1223 c.c può essere contenuta in una convenzione di modifica contenuta nel regolamento condominiale o in una delibera approvata all’unanimità.

Clausola di esonero: vessatoria se crea squilibrio

Il Tribunale ricorda poi che la Cassazione nell’ordinanza n. 20007/2022 ha chiarito che: la validità della clausola regolamentare che esoneri il costruttore dal pagamento delle spese condominiali non può essere messa in dubbio nemmeno mediante il richiamo alla disciplina delle clausole vessatorie di cui al Codice del consumo, quanto meno nel rapporto tra condominio e impresa costruttrice.” 

La giurisprudenza di legittimità in effetti ha qualificato il Condominio come un soggetto consumatore, ma non si deve confondere il rapporto tra questo soggetto e il singolo condomino moroso in relazione alle spese condominiali con quello che riguarda il costruttore – venditore e l’acquirente della singola unità.

La vessatorietà della clausola può essere fatta valere solo dal Condominio acquirente se la stessa provoca uno squilibrio dei diritti e degli obblighi che derivano dal contratto di compravendita e se incide sulla prestazione traslativa del bene, che si estende alle parti comuni, dovuta dall’alienante, o sull’obbligo di pagamento del prezzo gravante sullacquirente restando di regola estraneo al programma negoziale sinallagmatico della vendita del singolo appartamento l’obbligo del venditore di contribuire alle spese per le parti comuni in proporzione al valore delle restanti unità immobiliari che tuttora gli appartengano.”

 

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manutenzione autoclave

Manutenzione autoclave: spese da ripartire in base ai millesimi Per la manutenzione dell’autoclave le spese vanno ripartite in base ai millesimi di proprietà, non in proporzione all’uso

Manutenzione autoclave e riparto spese

Per la manutenzione dell’autoclave le spese tra i condomini vanno ripartite in base al criterio dei millesimi di proprietà e non in base all’uso. L’autoclave non va a innovare l’impianto idrico, si tratta di un’opera di conservazione dello stesso di cui rappresenta una componente. La sua utilità è pari per tutte le unità per cui non è applicabile il criterio di riparto in base all’uso. Lo ha previsto il Tribunale di Termini Imerese nella sentenza n. 1125/2024.

Tabelle millesimali per la manutenzione dell’autoclave

Alcuni condomini impugnano una delibera assembleare nella parte in cui, per la suddivisione delle spese di manutenzione dell’autoclave, applica le tabelle millesimali. Il Giudice di primo grado annulla la delibera  perché ritiene che l’applicazione delle tabelle millesimali per il riparto delle spese comporti per i condomini un onere superiore a quello previsto dall’articolo 1123 c.c, comma II. Gli impugnanti in effetti non sono proprietari e non utilizzano la piscina presente sul lato a monte del Condominio, per la quale l’autoclave viene impegnata in misura prevalente.

Le proprietà dei condomini sono servite dall’autoclave

Il Condominio appella la decisione facendo valere la correttezza delle tabelle millesimali impiegate per il riparto delle spese e adottate dalla delibera impugnata. Lo stesso fa presente che i condomini impugnanti sono proprietari di 6 unità immobiliari serviti dall’autoclave e che in realtà l’erogazione dell’acqua per riempire la piscina è del tutto occasionale. Con il secondo motivo il Condominio sottolinea come la delibera non abbia applicato un metodo diverso per la suddivisione delle spese dell’autoclave.

Autoclave: componente dell’impianto idrico

Per il Tribunale adito l’appello del Condominio è ammissibile e deve essere accolto nel merito.

L’autorità giudicante ricorda prima di tutto che l’autoclave è un bene comune art. 1117 c.c. Essa fa parte dell’impianto idrico del Condominio e raccoglie l’acqua dalla rete pubblica in un serbatoio di accumulo. L’acqua viene quindi prelevata e inviata tramite l’elettropompa al serbatoio di pressione, pressurizzata e distribuita nella rete del Condominio. L’autoclave costituisce quindi una componente essenziale dell’impianto che permette di condurre l’acqua nelle varie unità immobiliari. La sua natura condominiale comporta che le spese di manutenzione debbano essere suddivise tra tutti i condomini o a quelli che serve in base al valore proporzionale delle proprietà esclusive art. 1223 comma 1 e all’uso art. 1223 comma 2.

Riparto spese in base ai millesimi di proprietà

Il Tribunale ricorda però che la Cassazione ha chiarito che: “le spese relative alla installazione di detta autoclave restano soggette agli stessi criteri di ripartizione fissati per l’impianto idrico, mentre la circostanza che l’edificio sia composto di più piani, serviti in misura differente dalla pompa dell’autoclave, non è di per sufficiente a giustificare una diversa ripartizione secondo il criterio della proporzionalità alluso (artt. 1123 e 1124 cod. civ.).”

Per comprendere se questo principio sancito dalla Cassazione per le spese di installazione dell’autoclave possa essere applicato anche in relazione alle spese straordinarie di manutenzione   occorre appurare in che modo si qualifica l’autoclave.

Ora, se come affermato da una importante Cassazione l’autoclave è un’opera di conservazione dell’impianto idrico e non un’innovazione, le spese di installazione e di manutenzione hanno natura omogenea e quindi sono soggette alla stessa regolamentazione. Ne consegue che le spese di manutenzione dell’autoclave dovranno essere suddivise tra i condomini secondo i millesimi di proprietà e non secondo luso.”

 

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posti auto condominio

Posti auto condominio Posti auto condominio: chi ne ha diritto, come si assegnano i parcheggi, cosa fare in caso di occupazione abusiva

Parcheggio in condominio, quali sono le regole

La disciplina dell’utilizzo dei posti auto in condominio rappresenta un tema molto dibattuto, poiché nel codice civile non si rinvengono norme che regolino esplicitamente la materia.

Per tale motivo, per comprendere la disciplina dei parcheggi in condominio è necessario riferirsi alle norme di carattere generale che regolano la gestione del condominio (e in particolare quelle che riguardano l’utilizzo dei beni comuni). E ad alcuni particolari provvedimenti legislativi che hanno individuato dei parametri tecnici a cui fare riferimento.

Chi ha diritto al parcheggio condominiale?

Per prima cosa, va evidenziato che l’art. 1117 c.c. ricomprende espressamente tra le parti comuni dell’edificio le aree destinate a parcheggio.

Pertanto, i posti auto condominio ricadono nella disciplina generale prevista dall’art. 1102 c.c. Tale norma, dettata in tema di comunione (e, quindi, applicabile anche in materia condominiale) prescrive che ogni comproprietario  ha diritto di servirsi della cosa comune, a condizione di non alterarne la destinazione e di non impedire agli altri comproprietari di farne uso a loro volta.

Ecco, pertanto, emergere il primo, importante aspetto relativo alla disciplina dei parcheggi condominiali. A prescindere dalla quantità di posti auto presenti nell’edificio (che potrebbe ben essere inferiore al numero di abitazioni), ogni condomino ha diritto di servirsene, purché rispetti la destinazione propria dell’area di sosta (e non la usi, quindi, per scopi diversi: ad esempio, come zona di deposito) e non ne ostacoli l’utilizzo da parte degli altri condomini.

È evidente che, in tutti quei casi in cui il numero di posti auto non risulti sufficiente per soddisfare le necessità di tutti i residenti, si pone il problema di regolare l’utilizzo degli stessi.

Ebbene, cominciamo col dire che il compito di individuare le modalità di utilizzo dei posti auto spetta all’amministratore, in ossequio a quanto previsto dall’art. 1130 c.c. comma primo n. 2, secondo il quale l’amministratore deve “disciplinare l’uso delle cose comuni e la fruizione dei servizi nell’interesse comune”.

Come vengono assegnati i posti auto in un condominio

Detto questo, la pratica insegna che il criterio più di frequente adottato per regolare l’utilizzo dei posti auto condominiali, quando questi siano insufficienti rispetto alle abitazioni, sia la turnazione.

Sta all’assemblea stabilire le modalità di dettaglio della turnazione, a cominciare dalla periodicità della stessa (ad es. settimanale, mensile od annuale.

A tale riguardo, è sufficiente una delibera adottata con la maggioranza prevista dall’art. 1136 comma secondo (maggioranza dei presenti che rappresenti una quota pari ad almeno metà del valore dell’edificio), dal momento che si tratta di una decisione che non viola i diritti esclusivi di alcun condomino e che non introduce alcuna innovazione, limitandosi a disciplinare l’uso di una cosa comune.

Cosa fare se un condomino parcheggia negli spazi comuni

Un breve accenno merita il caso pratico, abbastanza ricorrente nella vita quotidiana, relativo all’occupazione del posto auto condominiale da parte di chi non ne ha diritto, ad esempio da parte di un condomino che non rispetti la suddetta turnazione.

In tal caso, non è alla forza pubblica che bisogna rivolgersi, quanto all’amministratore di condominio, il quale potrà far leva non solo su eventuali sanzioni previste dal regolamento condominiale, ma anche sulla configurabilità del reato di violenza privata ex art. 610 c.p. (cfr. la recente sentenza n. 27559 del 26 giugno 2023 della Corte di Cassazione penale).

In aggiunta, il condomino può far valere le proprie ragioni chiedendo al Giudice competente il rilascio di un provvedimento di urgenza o di intervenire in via cautelare.

Posti auto condominio: legge ponte e legge Tognoli

Infine, va ricordato che la materia dei posti auto in condominio è stata oggetto anche di legislazione tecnica.

Legge ponte

A cominciare dalla c.d. “legge ponte” (legge n. legge 765 del 1967, modificativa della l. 1150/1942), in base alla quale in ogni edificio deve essere presente almeno un metro quadro di parcheggio ogni dieci metri cubi di fabbricato.

A tal riguardo, la giurisprudenza – con qualche oscillazione – ha evidenziato la natura pertinenziale di tali posti auto rispetto all’unità immobiliare, nel senso che, sebbene il proprietario possa vendere l’abitazione indipendentemente dal posto auto, all’acquirente va riconosciuto il diritto reale d’uso dell’area stessa. Rimane esclusa da questo regime, e quindi può essere venduta liberamente, l’area di parcheggio realizzata in periodo antecedente alla “legge ponte” ed ogni area realizzata in misura eccedente rispetto alla necessità dell’edificio (quindi nei fabbricati che prevedono un numero di posti auto maggiore rispetto a quello delle abitazioni).

Legge Tognoli

Un altro importante provvedimento in materia è la c.d. legge Tognoli (legge n. 122 del 1989), che incentivò la creazione di posti auto in edifici ove l’area di parcheggio non era originariamente prevista o era prevista in misura insufficiente per le necessità delle rispettive abitazioni. Anche tali aree, per orientamento prevalente della giurisprudenza, sono da considerarsi quali pertinenze delle unità immobiliari ivi esistenti.