assemblea condominiale

Assemblea condominiale: non è valida la convocazione via mail La Cassazione ribadisce che l’art. 66 disp. att. c.c. impone modalità tassative per l’avviso di convocazione dell'assemblea condominiale, senza deroghe possibili

Convocazione assemblea condominiale

Con l’ordinanza n. 16399/2025, la seconda sezione civile della Cassazione ha ribadito che l’articolo 66, comma 3, delle disposizioni di attuazione del c.c. impone modalità tassative per la comunicazione dell’avviso di convocazione dell’assemblea condominiale. Tale disciplina è inderogabile e non può essere modificata neanche da regolamenti interni o consuetudini. 

Il caso concreto

Nel caso esaminato, alcuni condomini avevano impugnato una delibera assembleare sostenendo che l’avviso di convocazione fosse stato inviato tramite posta elettronica ordinaria e affissione in bacheca condominiale, invece che tramite posta certificata, fax, raccomandata o consegna a mano, come previsto dalla normativa.

La Corte d’Appello aveva ritenuto valida la delibera, ma la Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendo che tali modalità non garantiscano la certezza della ricezione né la regolarità formale della convocazione. 

Cosa dice l’art. 66 disp. att. c.c.

L’art. 66, comma 3, dispone che l’avviso di convocazione — con ordine del giorno, luogo e ora — debba essere comunicato almeno cinque giorni prima della prima convocazione a mezzo:

  • posta raccomandata,

  • posta elettronica certificata (PEC),

  • fax,

  • o consegna a mano.

Queste forme sono espressamente tipizzate e non derogabili, ai sensi del comma 4 e dell’art. 72 disp. att. c.c., che non permette ai regolamenti di modificare tali prescrizioni. 

Le motivazioni della Corte: certezza e trasparenza

Secondo la Corte Suprema, il requisito fondamentale della convocazione è garantire la certezza della conoscenza da parte di ciascun condomino, nel corretto termine dilatorio di cinque giorni. L’utilizzo di modalità più informali, come email non certificata, WhatsApp o affissioni in bacheca, non offre alcuna garanzia reale e reale evidenza dell’avvenuto ricevimento. Di conseguenza, tali modalità non soddisfano la forma prescritta e rendono annullabile la delibera assembleare ai sensi dell’art. 1137 c.c. 

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regolamento condominiale

Regolamento condominiale: la guida Regolamento condominiale: cos'è, normativa di riferimento, quando è obbligatorio, tipologie, contenuto e giurisprudenza

Cos’è il regolamento di condominiale

Il regolamento condominiale è l’insieme di norme che disciplinano la convivenza tra i condomini all’interno di un edificio. Esso ha lo scopo di garantire l’uso corretto delle parti comuni, regolare i diritti e i doveri dei condomini e assicurare l’ordine nella gestione del fabbricato. La sua adozione è prevista dall’art. 1138 del Codice civile.

Normativa di riferimento

La disciplina sul regolamento condominiale si trova principalmente:

  • nel Codice civile, artt. 1100 ss. e 1138;
  • nelle disposizioni di attuazione al c.c., artt. 61 ss.;
  • nelle sentenze della giurisprudenza di legittimità, che ha chiarito i limiti e gli effetti della trascrizione.

Regolamento obbligatorio o facoltativo?

Secondo la legge, il regolamento condominiale è obbligatorio quando il numero dei condomini supera il numero di dieci. In tal caso, deve essere approvato dall’assemblea con la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore millesimale dell’edificio (art. 1136 c.c.).

Tuttavia, anche nei condomìni con meno di undici proprietari, è sempre possibile adottarlo su base volontaria per regolare gli aspetti pratici della gestione.

Tipi di regolamento condominiale

Esistono due tipologie principali di regolamento:

  • contrattuale: è quello che viene predisposto dall’originario costruttore o da tutti i condomini per accordo unanime. Può limitare anche l’uso delle proprietà esclusive (es. divieto di destinare un appartamento a uso professionale);
  • assembleare: viene approvato a maggioranza dai condomini, regola solo l’uso delle parti comuni, senza incidere sui diritti individuali.

Solo il regolamento contrattuale può contenere clausole limitative delle proprietà private.

Cosa deve contenere il regolamento condominiale

Il contenuto minimo del regolamento, ai sensi dell’art. 1138 c.c., deve includere:

  • regole sull’uso delle parti comuni (scale, cortili, ascensore, ecc.);
  • criteri di ripartizione delle spese condominiali;
  • modalità di convocazione e funzionamento dell’assemblea;
  • attribuzioni e obblighi dell’amministratore;
  • eventuali sanzioni disciplinari per violazioni (fino a 200 euro, elevabili a 800 per recidiva).

Può essere integrato con norme personalizzate, purché non contrarie alla legge o ai diritti inviolabili dei condomini.

Come si applica e cosa accade in caso di violazione

Il regolamento è vincolante per tutti i condomini, presenti e futuri, se:

  • è stato approvato regolarmente;
  • è conosciuto al momento dell’acquisto;
  • per quello contrattuale, se è espressamente accettato.

La violazione delle norme può comportare sanzioni pecuniarie, l’intervento dell’amministratore, o l’azione giudiziaria da parte degli altri condomini. Le clausole che limitano l’uso della proprietà individuale, se non hanno contrattuale, non sono opponibili ai nuovi acquirenti.

Giurisprudenza di legittimità sul regolamento condominiale

Cassazione n. 23582/2023: le clausole dei regolamenti condominiali possono avere natura contrattuale o regolamentare. Hanno natura contrattuale solo se limitano i diritti dei condomini sulle proprietà esclusive o comuni, o se attribuiscono a certi condomini diritti maggiori rispetto ad altri. Queste clausole contrattuali, essendo parte integrante dei contratti di acquisto o formate con consenso unanime, possono essere modificate solo con l’unanimità di tutti i condomini.

Al contrario, le clausole che si limitano a disciplinare l’uso dei beni comuni hanno natura regolamentare. Per queste ultime è sufficiente una deliberazione assembleare adottata con la maggioranza prevista dall’articolo 1136, comma 2, del Codice Civile per la loro modifica.

Cassazione n. 21478/2021: il regolamento di condominio ha valore contrattuale per il proprietario se richiamato nell’atto di acquisto dell’immobile, anche se non trascritto. Tuttavia, le clausole che limitano le facoltà o i diritti sulla proprietà esclusiva o condominiale devono essere esplicitamente indicate nell’atto di compravendita, altrimenti saranno considerate invalide.

Sezioni Unite Cassazione n. 943/1999: Un regolamento di condominio deve essere necessariamente redatto in forma scritta, poiché senza un documento di riferimento sarebbe impossibile applicarne le disposizioni, spesso di difficile interpretazione, e impugnarlo. La tesi che la forma scritta sia richiesta solo “ad probationem” (per fini probatori) non è accettabile. Una volta stabilito che il regolamento deve essere contenuto in un documento, la scrittura diventa un elemento essenziale per la sua validità, a meno che non vi sia una disposizione specifica che ne preveda una rilevanza meramente probatoria, ma tale eccezione non esiste in questo caso. Infine, per i regolamenti di natura contrattuale, la forma scritta è indiscutibilmente necessaria, dato che le loro clausole influenzano i diritti dei condomini sia sulle proprietà esclusive che su quelle comuni.

 

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cancello in condominio

Cancello in condominio: non serve la maggioranza dei due terzi La Cassazione chiarisce che l'installazione di un cancello in condominio non costituisce innovazione e può essere deliberata senza la maggioranza dei due terzi

Apposizione di cancello in condominio

Con la sentenza n. 16148/2025, la Corte di Cassazione ha ribadito un importante principio in tema di decisioni assembleari condominiali: l’installazione di un cancello all’ingresso di un’area comune non costituisce innovazione ai sensi dell’art. 1120 c.c., e pertanto non richiede la maggioranza qualificata prevista dal quinto comma dell’art. 1136 c.c.

Il fatto: il ricorso contro la delibera assembleare

La controversia trae origine dalla delibera adottata da un’assemblea condominiale nel 2009, con cui era stata approvata, a maggioranza semplice (501,38 millesimi), l’installazione e regolamentazione di un cancello nell’area scoperta antistante l’edificio. Alcuni condomini hanno impugnato la decisione, ritenendo violati i quorum richiesti per le innovazioni. Secondo i ricorrenti, l’intervento doveva essere approvato con almeno due terzi del valore dell’edificio, come richiesto dall’art. 1136, co. 5 c.c.

Il principio della Cassazione

La Corte di Cassazione ha confermato la decisione di merito che aveva rigettato l’impugnazione, ritenendo che l’intervento deliberato non rappresentasse un’innovazione bensì una modalità di regolamentazione dell’uso della cosa comune. In particolare, il cancello non modifica la destinazione della parte comune, né ne limita l’uso da parte dei condomini, ma si limita a disciplinare l’accesso all’area per motivi di sicurezza e decoro.

Interventi non qualificabili come innovazioni

Nel solco della giurisprudenza costante, la Corte ha ribadito che rientrano nei poteri dell’assemblea anche interventi come l’installazione di cancelli o sbarre, qualora finalizzati a tutelare l’utilizzo ordinato delle parti comuni e a prevenire l’ingresso di soggetti estranei. Tali interventi, se non alterano l’essenza del bene comune né incidono negativamente sui diritti dei condomini, non necessitano della maggioranza rinforzata prevista per le innovazioni.

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delibera condominiale

Delibera condominiale non impugnabile per danni irrisori Secondo il Tribunale di Firenze, non è ammissibile l’impugnazione di una delibera condominiale per un danno economico minimo. Serve un interesse concreto e patrimoniale rilevante

Impugnazione delibera condominiale

Il Tribunale di Firenze, con sentenza n. 1619/2025, ha stabilito che non può essere impugnata una delibera condominiale quando il danno economico lamentato è di entità trascurabile e privo di rilevanza patrimoniale apprezzabile.

La causa nasceva dalla contestazione di un rendiconto condominiale che addebitava ad un condomino una quota di spese legali superiore di circa trenta euro rispetto alla sua reale competenza. L’interessato aveva chiesto l’annullamento della delibera assembleare che approvava quel rendiconto, ritenendo la differenza indebita. Tuttavia, il Tribunale ha ritenuto la domanda inammissibile per difetto di interesse ad agire.

Richiamando l’art. 100 c.p.c. e la giurisprudenza di legittimità (tra cui Cass. n. 6128/2017), il giudice ha sottolineato che non è sufficiente una divergenza di principio o un pregiudizio di entità minima per fondare un’azione giudiziaria. È necessario, invece, che l’interesse ad agire sia personale, concreto, attuale e patrimonialmente rilevante. Il giudizio civile, infatti, non può essere strumentalizzato per mere rivendicazioni simboliche o per contenziosi di scarsa consistenza economica.

La pronuncia si inserisce nel solco della giurisprudenza che tutela l’effettività della funzione giurisdizionale e disincentiva l’uso improprio del processo per finalità non sostanziali.

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scale condominiali

Scale condominiali Scale condominiali: bene comune, normativa civilistica di riferimento e regole per la ripartizione delle spese

Cosa si intende per scale condominiali

Le scale condominiali rappresentano uno degli elementi architettonici essenziali negli edifici condominiali. Oltre alla loro funzione pratica, costituiscono un tipico bene comune e sono disciplinate in modo puntuale dalla normativa civilistica.

Bene comune ai sensi dell’art. 1117 c.c.

Ai sensi dell’art. 1117 del codice civile, le scale rientrano tra le parti comuni dell’edificio, in quanto strumentali all’uso comune. In particolare, l’articolo elenca tra i beni comuni: “… le scale, i vestiboli, gli anditi, i portici e i cortili, nonché i locali per il servizio comune.” Di conseguenza, tutti i condomini – anche quelli che non le utilizzano direttamente – sono comproprietari delle scale, salvo diversa indicazione nel titolo (es. regolamento contrattuale).

Normativa di riferimento: art. 1124 del codice civile

L’art. 1124 c.c. disciplina nello specifico la ripartizione delle spese per la manutenzione e il rifacimento delle scale e degli ascensori, introducendo un criterio misto:

  • 50% delle spese va ripartito in base al valore millesimale dell’unità immobiliare (ex art. 68 disp. att. c.c.);
  • 50% va ripartito in proporzione all’altezza del piano, cioè all’utilizzo potenziale delle scale da parte dei vari condomini.

Questo criterio mira a bilanciare l’interesse patrimoniale (valore dell’unità) con l’utilizzo effettivo del bene comune.

Ripartizione spese scale condominiali

Facciamo un esempio pratico:

  • un condominio ha 5 piani fuori terra;
  • le spese di rifacimento scale ammontano a 10.000 euro.
  • il 50% (5.000 euro) viene ripartito secondo i millesimi di proprietà;
  • il restante 50% (5.000 euro) viene suddiviso in proporzione all’altezza del piano: il piano terra pagherà meno rispetto all’ultimo piano.

Questa formula tiene conto del maggior uso delle scale da parte dei condomini dei piani superiori, che ne fruiscono quotidianamente per accedere alla propria abitazione.

Eccezioni e chiarimenti giurisprudenziali

La Corte di Cassazione ha chiarito più volte che:

  • il diritto di comproprietà delle scale sussiste anche per i proprietari di unità con accesso indipendente (Cassazione n. 4664/2016) salvo diversa previsione nel titolo o nell’atto di acquisto;
  • le modifiche strutturali alle scale richiedono delibera assembleare con maggioranza qualificata (art. 1136 c.c.);
  • l’inserimento di scale interne private da parte di singoli condomini (es. collegamento tra due appartamenti) necessita della Scia (Cassazione n. 41598/2019).

Manutenzione ordinaria e straordinaria delle scale condominiali

Queste le regole da rispettare quando si procede alla manutenzione delle scale condominiali:

  • la manutenzione ordinaria, che consiste nella pulizia, nelle riparazioni minori, e nella illuminazione rientra tra le spese correnti annuali, approvabili con maggioranza semplice;
  • la manutenzione straordinaria, rappresentata invece dal rifacimento dei gradini, dalla sostituzione ringhiere e dalla messa a norma richiede una delibera assembleare con maggioranze ex art. 1136 c.c.

In entrambi i casi si applicano comunque i criteri di  ripartizione previste dall’art. 1124 c.c., salvo accordi differenti.

Regolamento condominiale e deroghe alla legge

Il regolamento di condominio, se di tipo contrattuale (cioè approvato all’unanimità o allegato all’atto di compravendita), può prevedere criteri di ripartizione diversi da quelli previsti dal codice civile. In caso contrario, ossia in presenza dio regole stabilite dal regolamento assembleare, prevale la disciplina legale.

Scale e condominio parziale

In alcune ipotesi, l’edificio può prevedere più vani scala, ciascuno utilizzato da una porzione limitata di condomini. In tal caso:

  • si applica la teoria del condominio parziale (art. 1123, comma 3 c.c.);
  • le spese sono a carico solo dei condomini che traggono utilità dalla scala.

La giurisprudenza conferma che in tali casi è legittima la ripartizione parziale delle spese, senza necessità di costituire un condominio separato.

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Cassonetti sotto la finestra? Delibera condominiale annullabile Cassonetti sotto la finestra? Il tribunale annulla la delibera condominiale se lede il diritto di proprietà e ignora soluzioni alternative praticabili

Cassonetti sotto la finestra e delibera

Cassonetti sotto la finestra e annullabilità della delibera: posizionare i contenitori dei rifiuti condominiali in prossimità di una finestra privata può portare all’annullamento della delibera assembleare, se ciò comporta un pregiudizio diretto al diritto di proprietà e non risulta giustificato da esigenze oggettive del condominio. Lo ha stabilito il Tribunale di Latina con sentenza n. 1025/2025, richiamando i principi di buon uso delle parti comuni e proporzionalità delle scelte collettive.

Cassonetti sotto la finestra e odori molesti

La causa prende avvio da una decisione dell’assemblea condominiale che aveva stabilito il collocamento dei cassonetti per la raccolta differenziata a pochi metri dalla finestra di un appartamento. La condomina interessata ha impugnato la delibera, lamentando un’interferenza ingiustificata con il proprio diritto di godimento dell’unità immobiliare, a causa delle esalazioni provenienti dai rifiuti.

Il giudice ha accolto la domanda, ritenendo che la scelta dell’assemblea configuri un uso anomalo delle parti comuni e un sacrificio sproporzionato degli interessi individuali, soprattutto in presenza di alternative praticabili.

Odori e distanze: i criteri di valutazione del tribunale

Il Tribunale ha fondato il proprio giudizio su presunzioni semplici ex art. 2729 c.c., richiamando massime di esperienza secondo cui la vicinanza di rifiuti organici alle finestre può comportare odori sgradevoli e limitazioni al pieno utilizzo dell’abitazione, specialmente nei mesi estivi.

Rilevata una distanza inferiore ai 4 metri tra i cassonetti e la finestra, il giudice ha fatto riferimento, in via analogica, all’articolo 889 c.c. in materia di distanze tra costruzioni, trattandosi di una lacuna normativa in ambito condominiale e igienico-sanitario. In mancanza di norme locali specifiche, ha considerato quella distanza non idonea a garantire condizioni igieniche accettabili.

Le fotografie allegate dall’attrice, ritenute non contestate, hanno rafforzato la prova del disagio, contribuendo alla valutazione complessiva dell’illegittimità della delibera.

Eccesso di potere e alternative ignorate

Il provvedimento impugnato è stato ritenuto viziato da eccesso di potere, poiché ha sacrificato il diritto individuale senza che vi fosse una reale esigenza collettiva. La motivazione addotta dall’assemblea – ovvero la mancanza di spazi alternativi – è stata smentita dalla consulenza tecnica d’ufficio, che ha invece individuato il locale autoclave come area idonea, previa minima modifica.

Secondo il giudice, l’attività deliberativa del condominio deve rispettare il principio di equilibrio tra interesse collettivo e diritti dei singoli, evitando soluzioni irragionevoli o sproporzionate. La mancata considerazione dell’alternativa concretamente realizzabile ha reso la motivazione della delibera meramente apparente e quindi invalida.

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consiglio di supercondominio

Il consiglio di supercondominio Consiglio di supercondominio: definizione, funzioni, normativa, maggioranze decisionali e giurisprudenza rilevante

Cos’è il consiglio di supercondominio?

Il consiglio di supercondominio è un organo che facilita la gestione di un supercondominio, ossia un complesso formato da più edifici con parti comuni (come vialetti, impianti, parcheggi o giardini). Il consiglio non è obbligatorio per legge. Lo stesso però può essere istituito per agevolare il processo decisionale, coordinare le esigenze delle singole palazzine e rappresentare i condomini in assemblea. Il consiglio di supercondominio è un organo consultivo e di rappresentanza ed è composto dai delegati delle singole unità condominiali che fanno parte del supercondominio. Non ha poteri decisionali vincolanti, ma svolge un ruolo di raccordo tra le varie realtà condominiali. In questo modo facilita la gestione delle parti comuni.

Funzioni principali del consiglio di supercondominio

Da quanto accennato emerge quindi che il consiglio diu supercondomonio svolge principalmente le seguenti funzioni:

– Consulenza: supporta l’amministratore del supercondominio nella gestione delle parti comuni.
Rappresentanza: fa da tramite tra i singoli condomini e l’assemblea del supercondominio.
Coordinamento: agevola la comunicazione e la risoluzione dei problemi tra i diversi edifici.
Verifica delle spese: monitora l’uso delle risorse comuni per evitare sprechi.

Non è un organo obbligatorio, ma può essere previsto nel regolamento condominiale o deciso dall’assemblea del supercondominio.

Normativa di riferimento

Il supercondominio è regolato dagli articoli 1117-bis e 67 delle disposizioni di attuazione del codice civile, che disciplinano la gestione di beni comuni in strutture condominiali complesse. Tuttavia, il consiglio di supercondominio non è espressamente previsto dalla legge, ma può essere istituito in base alle seguenti norme:

Art. 67 disp. att. c.c.: stabilisce che, nei supercondomini con più di 60 partecipanti, i condomini devono nominare un rappresentante per ciascun edificio, che li rappresenti nelle assemblee del supercondominio.

Art. 1136 c.c.: disciplina le maggioranze necessarie per le delibere condominiali, applicabili anche al supercondominio.

Art. 1105 c.c.: regola l’amministrazione delle parti comuni in caso di comunione, applicabile in via analogica al supercondominio.

Il consiglio di supercondominio può essere previsto nel regolamento condominiale o istituito con una delibera assembleare a maggioranza.

Maggioranze necessarie per le decisioni

Le decisioni del consiglio di supercondominio non sono vincolanti, ma servono come supporto all’assemblea del supercondominio. Tuttavia, se il regolamento prevede che il consiglio abbia compiti specifici (ad esempio, la selezione di preventivi per lavori comuni), le sue decisioni devono essere ratificate dall’assemblea con le seguenti maggioranze:

Spese ordinarie (es. manutenzione del giardino condominiale): maggioranza semplice (50%+1 dei presenti).
Spese straordinarie (es. rifacimento del tetto di un edificio comune): maggioranza qualificata (almeno ⅔ dei millesimi).
Nomina di un rappresentante di palazzina: maggioranza semplice dei condomini della singola palazzina.

Se un edificio del supercondominio non partecipa alle spese per un determinato bene o servizio, i suoi rappresentanti non hanno diritto di voto sulle decisioni relative a quel bene.

Giurisprudenza sul consiglio di supercondominio

La giurisprudenza ha chiarito diversi aspetti del consiglio di supercondominio. Vediamo in che modo.

Cassazione n. 33057/2018: l’assemblea condominiale può legittimamente nominare una “commissione di condòmini” con il compito di esaminare preventivi e spese per lavori. Tuttavia, questa commissione non può sostituirsi all’assemblea nelle sue funzioni.

Ciò significa che le decisioni prese dalla commissione, come la scelta del contraente (ad esempio, un’impresa edile) e la ripartizione dei costi, sono vincolanti per tutti i condòmini (inclusi i dissenzienti) solo se approvate dall’assemblea con le maggioranze previste dalla legge. Di conseguenza, se l’amministratore stipula un contratto d’appalto per lavori di manutenzione straordinaria (non urgenti) basandosi sulle scelte della commissione, ma senza una delibera assembleare di approvazione, tale contratto non è legalmente opponibile ai condòmini. In altre parole, i condòmini non sarebbero vincolati da un contratto non approvato dall’assemblea.

Corte di Appello Torino n. 1667/2017: una delibera del Consiglio di Condominio è invalida se non ha un contenuto meramente consultivo, ma prende una vera e propria decisione, specialmente se non convocata dall’Amministratore. Questo perché il Consiglio di Condominio, secondo la Riforma del 2013, ha solo funzioni consultive e di controllo sull’operato dell’Amministratore (amministrativo, tecnico e contabile). Ad esempio, se un’Assemblea del Consiglio di Condominio decidesse sull’assegnazione di lavori di rifacimento di un terrazzo, eccederebbe chiaramente le sue prerogative, rendendo la delibera illegittima.

 

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delibera annullabile

Condominio: delibera annullabile se i contrari pesano di più Per il tribunale di Lecce, una delibera è annullabile se i condòmini contrari rappresentano più millesimi, anche se i quorum minimi sono rispettati

Delibera annullabile e millesimi

Delibera annullabile se i contrari hanno più millesimi. Nel condominio, infatti, non basta rispettare i quorum previsti dall’art. 1136 c.c. per la validità delle delibere assembleari, se i voti contrari esprimono una maggioranza millesimale superiore. Questo il principio affermato dal Tribunale di Lecce con la sentenza n. 1620/2025, che ha accolto l’impugnazione di una delibera adottata in seconda convocazione per l’approvazione del rendiconto annuale.

Quorum rispettati ma contrari con più millesimi

La controversia nasce dalla delibera approvata da 30 condòmini (421 millesimi), contro cui si erano opposti 18 condòmini rappresentanti 539,91 millesimi. Nonostante il rispetto formale dei quorum minimi previsti dall’art. 1136, comma 3, c.c. (ossia maggioranza dei presenti e almeno un terzo del valore dell’edificio), il giudice ha ritenuto la delibera viziata e annullabile, poiché la volontà della maggioranza reale dei proprietari risultava sovrastata da una minoranza numericamente prevalente in millesimi.

Principio maggioranza: oltre il dato aritmetico

Il cuore della decisione risiede nell’applicazione del principio della maggioranza comparativa, elaborato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione (tra cui le sentenze n. 25558/2020 e n. 16338/2020). Tale principio impone che, oltre al rispetto formale dei quorum, si valuti la comparazione tra voti favorevoli e contrari, sia sotto il profilo numerico, sia in termini di valore millesimale.

Questa interpretazione ha lo scopo di evitare che una minoranza, pur numericamente superiore, imponga decisioni alla maggioranza dei proprietari in termini di quote. È una garanzia sostanziale di democrazia condominiale, che tutela la reale volontà collettiva e l’equità nei processi deliberativi.

Invalidità della delibera

La delibera condominiale adottata in violazione della maggioranza comparativa non è nulla, ma annullabile, poiché affetta da un vizio sul procedimento di formazione della volontà assembleare. Si tratta di una lesione dell’equilibrio tra forma e sostanza nella rappresentanza condominiale, in cui il peso millesimale dei consensi diventa elemento centrale per la validità effettiva delle deliberazioni.

Il Tribunale salentino, seguendo una lettura funzionale e sistematica dell’art. 1136 c.c., ha posto l’accento sull’importanza di armonizzare i criteri numerici e patrimoniali, per evitare che il formalismo aritmetico si traduca in distorsioni antidemocratiche.

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gatti in condominio

Gatti in condominio: sì ai danni per le intrusioni dai vicini Scatta il risarcimento del danno per i danni da intrusioni ripetute dei gatti in condominio

Gatti in condominio: responsabilità oggettiva

Gatti in condominio: la presenza incontrollata di animali domestici all’interno di proprietà altrui può costituire fonte di responsabilità civile oggettiva, con diritto al risarcimento del danno e all’applicazione di misure coercitive per garantire la tutela effettiva dei diritti del vicino. Lo ha affermato il Giudice di Pace di Pescara con la sentenza n. 332 del 12 aprile 2025, in un caso relativo all’intrusione reiterata di gatti in ambito condominiale.

Il caso: gatti su terrazzi altrui

Il contenzioso è nato a seguito dell’ingresso abituale di tre gatti nei terrazzi di un’abitazione attigua, con deterioramento di piante, imbrattamento delle superfici e esalazioni maleodoranti. Particolarmente rilevante è risultata la condizione medica di una delle ricorrenti, affetta da grave allergia ai felini, peggiorata dall’assenza di ogni misura preventiva da parte della proprietaria degli animali.

In giudizio, le ricorrenti hanno domandato il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale, nonché l’adozione di misure idonee a impedire l’accesso dei felini, con applicazione di una penale giornaliera in caso di inadempimento, ai sensi dell’art. 614-bis c.p.c. La convenuta non si è costituita, venendo dichiarata contumace.

Responsabilità oggettiva ex art. 2052 c.c.

Il giudice ha fondato la propria decisione sull’art. 2052 del Codice civile, che prevede la responsabilità oggettiva del proprietario per i danni causati da animali, indipendentemente dalla colpa. Come affermato anche dalla Corte di Cassazione (sent. n. 10402/2016), spetta al danneggiato provare il nesso tra il comportamento dell’animale e il danno, mentre il proprietario può esimersi da responsabilità solo se dimostra il caso fortuito.

Nel caso di specie, l’inerzia della proprietaria e la mancata adozione di cautele hanno rafforzato il riconoscimento della responsabilità. La decisione contribuisce a delineare un orientamento giurisprudenziale sempre più rigoroso sul dovere di controllo degli animali d’affezione in ambito condominiale.

Il danno risarcibile

Il giudice ha riconosciuto sia il danno patrimoniale (per il deterioramento del verde e la perdita dell’uso pieno del terrazzo), sia il danno non patrimoniale, derivante dall’impatto sulla salute psicofisica della ricorrente allergica. Il riferimento all’art. 32 della Costituzione, che tutela la salute come diritto fondamentale dell’individuo, ha rafforzato la legittimità della richiesta risarcitoria anche in assenza di reato, coerentemente con l’indirizzo della Cassazione (sent. n. 15742/2018).

La quantificazione del danno è avvenuta in via equitativa, considerando la frequenza degli episodi, la durata del disagio e la gravità delle conseguenze sanitarie.

Misure coercitive

Accogliendo la richiesta ex art. 614-bis c.p.c., il giudice ha imposto alla convenuta l’installazione di barriere o reti atte a impedire ulteriori intrusioni. In caso di inadempienza, è stata prevista una penale giornaliera fino all’adempimento.

Questa misura rappresenta un importante strumento per garantire l’efficacia della sentenza, evitando che la tutela riconosciuta resti astratta e inattuata. Si tratta di un’applicazione concreta del principio di effettività della tutela giurisdizionale, estesa anche a dinamiche della vita quotidiana condominiale, spesso sottovalutate ma giuridicamente rilevanti.

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privacy in condominio

Privacy in condominio: le nuove linee guida Privacy in condominio: avviata la consultazione sulle nuove Linee guida, focus su adempimenti, videosorveglianza e digitalizzazione

Privacy in condominio: consultazione pubblica

Novità in materia di privacy in condominio. Il Garante per la protezione dei dati personali ha infatti reso noto con la newsletter datata 8 maggio 2025, di aver avviato una consultazione pubblica per adottare nuove Linee guida sul trattamento dei dati personali in ambito condominiale.

Questa iniziativa è stata formalizzata con il provvedimento n. 209 del 10 aprile 2025 e il suo obiettivo consiste nel chiarire gli obblighi e le responsabilità in materia di privacy nelle relazioni condominiali, tenendo conto degli sviluppi normativi e giurisprudenziali in materia, in particolare del GDPR.

Linee guida privacy in condominio

Le Linee guida, che saranno oggetto della consultazione, intendono fornire indicazioni operative uniformi, rispondere a quesiti pratici, recepire gli orientamenti giurisprudenziali recenti e dare seguito alle richieste di chiarimento che sono pervenute al Garante.

Il documento si concentra su tre aree principali:

  • gli adempimenti privacy (responsabilità dell’amministratore, informative, raccolta e conservazione dati);
  • la videosorveglianza condominiale (liceità, informative, tempi di conservazione e accesso);
  • la digitalizzazione dei processi condominiali (piattaforme, gestione documentale, assemblee online).

Il documento non trascura di segnalare la necessità di coordinarsi con le disposizioni di natura civilistica, così come non dimentica di trattare le tematiche della privacy legate al condominio minimo, al super-Condominio e agli altri ambiti esclusi.

Non mancano precisazioni infine sul ruolo dell’amministratore di condominio in materia di privacy e sulle responsabilità conseguenti in caso di violazione delle normative.

Come inviare proposte e osservazioni

La consultazione è rivolta soprattutto ai professionisti del settore condominiale e alle associazioni di categoria.

Tutti i soggetti interessati potranno inviare le loro osservazioni e le loro proposte entro 30 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (avvenuta il 9 maggio 2025) agli indirizzi email indicati, specificando nell’oggetto “Consultazione pubblica sulle Linee guida sul trattamento dei dati personali nell’ambito del condominio“.

Il Garante, con le Linee guida, vuole creare un riferimento pratico per la corretta gestione dei dati personali nei condomini, con un focus sui compiti dell’amministratore.

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