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Locazioni brevi: la guida del fisco Pubblicata la nuova guida "Locazioni brevi: la disciplina fiscale e gli obblighi per gli intermediari" dell'Agenzia delle Entrate

Locazioni brevi, online la guida aggiornata

Locazioni brevi: la guida del fisco aggiornata ad agosto 2024 è online. Un vero e proprio vademecum, intitolato “Locazioni brevi: la disciplina fiscale e gli obblighi per gli intermediari” contenente tutte le novità sulla tassazione dei contratti di affitto di abitazioni non superiori a 30 giorni, le regole e gli adempimenti a carico degli intermediari immobiliari.

Consulta la guida – pdf

La nuova disciplina sulle locazioni brevi

Il decreto legge n. 50/2017 ha introdotto una specifica disciplina fiscale per i contratti di locazione di immobili a uso abitativo, stipulati a partire dal 1° giugno 2017, che hanno una durata non superiore a 30 giorni: le “locazioni brevi”, appunto.

Si tratta, spiega l’Agenzia delle Entrate, “di quei contratti conclusi da persone fisiche al di fuori dell’esercizio dell’attività d’impresa, per i quali non vi è l’obbligo di registrazione se non formati per atto pubblico o scrittura privata autentica”.

Il decreto 50/2017

In seguito all’entrata in vigore del decreto, è possibile applicare le disposizioni in materia di “cedolare secca sugli affitti”, già utilizzabili per i redditi fondiari derivanti dalla locazione, anche ai redditi derivanti dai contratti di sublocazione, di concessione in godimento oneroso dell’immobile da parte del comodatario, di locazione breve che comprende servizi accessori (per esempio, la pulizia, la fornitura di biancheria).

La disciplina si applica sia quando i contratti sono conclusi direttamente tra il proprietario (o il sublocatore o il comodatario) e i locatari sia quando per la loro stipula o per il pagamento dei canoni o dei corrispettivi intervengono soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare o che gestiscono portali telematici.

In queste situazioni, la legge ha individuato precisi adempimenti nei confronti di questi soggetti.

La legge di bilancio 2024

La legge di bilancio 2024 (legge n. 213/2023) ha successivamente modificato il decreto legge n. 50, introducendo alcune novità che riguardano l’aliquota dell’imposta sostitutiva (dovuta da chi sceglie il regime della cedolare secca per la tassazione dei redditi derivanti dai contratti di locazione breve) e gli adempimenti a carico degli intermediari non residenti.

È importante ricordare, rammenta infine la guida, “che dal 2021 l’applicabilità della cedolare secca alle locazioni brevi è prevista solo se nell’anno si destinano a questa finalità al massimo quattro appartamenti. Oltre questa soglia, l’attività, da chiunque esercitata, si considera svolta in forma imprenditoriale”.

Le regole nella nuova guida

Da qui la necessità della pubblicazione della guida sulle locazioni brevi, in cui sono illustrate tutte le regole generali sulla tassazione dei contratti di locazione breve nonchè le modalità operative che gli intermediari immobiliari devono osservare per adempiere agli obblighi posti a loro carico.

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anatocismo vietato

Anatocismo vietato senza se e senza ma La Cassazione ha ricordato che l'anatocismo è vietato a prescindere dalla delibera CICR ponendo fine al dibattito sorto in dottrina e giurisprudenza

Anatocismo vietato dal 1° dicembre 2014

Anatocismo vietato senza se e senza ma dal 1° dicembre 2014. Lo ha sancito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 21344-2024, affermando il seguente principio di diritto: “In tema di contratti bancari, l’art. 120, comma 2, t.u.b., come sostituito dall’art. 1, comma 629, L. n. 147 del 2013, fa divieto di applicazione dell’anatocismo a far data dal 1 dicembre 2014 e tale prescrizione è da ritenersi operante indipendentemente dall’adozione, da parte del CICR, della delibera, prevista da tale norma, circa le modalità e i criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria”.  

Capitalizzazione trimestrale degli interessi illegittima

La vicenda risolta dalla Suprema Corte di Cassazione ha inizio quando l’Associazione movimento consumatori contesta la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi applicata da alcune banche locali dopo il 1° gennaio 2014.

Per l’Associazione tale pratica è del tutto illegittima perché contraria agli interessi dei consumatori e ai principi di trasparenza, equità e correttezza da rispettare nella stipula di qualsiasi contratto. Per tutte le ragioni suddette l’Associazione attrice chiede la restituzione degli interessi maturati o il ricalcolo dei saldi senza l’applicazione dell’anatocismo.

Le banche convenute contestano le richieste. A loro dire la norma modificata nel 2014 non può essere applicata per la mancata emanazione dei provvedimenti attuativi del CICR.

Anatocismo vietato immediatamente o previa delibera CICR?

La Cassazione risolve la controversia fornendo la corretta interpretazione della normativa del 2013. La stessa infatti, secondo gli Ermellini, ha generato un acceso dibattito su due fronti perché non è chiaro se:

  • abbia definitivamente vietato l’anatocismo bancario;
  • tale divieto fosse immediato o subordinato a una delibera del CICR.

Anatocismo vietato: chiara la legge del 2013

La Cassazione chiarisce che la norma del 2013, diversamente da quella del 1999, non contiene più un riferimento esplicito agli “interessi sugli interessi”. La stessa si limita infatti a menzionare la produzione di interessi. Il testo, anche se formulato in modo non preciso, vieta chiaramente l’anatocismo. Del resto questa conclusione è del tutto conforme con l’intenzione del legislatore di mettere la parola “fine”al fenomeno della produzione di interessi nei periodi successivi da parte degli interessi capitalizzati.

La Cassazione precisa quindi che l’articolo 120, comma 2 del Testo Unico Bancario, modificato nel 2013, preclude ogni forma di anatocismo, non solo quella successiva alla prima capitalizzazione.

Le banche contro le quali ha agito l’Associazione movimento consumatori non potevano pertanto continuare a capitalizzare gli interessi dopo l’entrata in vigore della nuova normativa nel 2013. Il divieto di applicare gli interessi anatocistici, previsto dall’art. 1283 del codice civile è stato ripristinato per i contratti bancari.

La nuova norma inoltre non richiede ulteriori interventi da parte del CICR, rendendo superfluo qualsiasi completamento normativo in merito.

Divieto di anatocismo dal 1° dicembre 2014: non serve la delibera CIRC

In conclusione per la Suprema Corte l’articolo 120, comma 2 del Testo Unico Bancario, come modificato dalla legge n. 147/2013, vieta lanatocismo a partire dal 1° dicembre 2014. Tale divieto è efficace indipendentemente dall’adozione di una delibera CICR. Questo principio chiarisce in modo definitivo la normativa. Illegittima la pratica della capitalizzazione degli interessi passivi successivamente alla data indicata.

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interessi di mora

Interessi di mora: 12,25% fino al 31 dicembre 2024 Il MEF ha reso noto il saggio applicabile al secondo semestre dell'anno, in leggera flessione (0,25 in meno) rispetto al primo semestre 2024

Interessi di mora 2024

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha reso noto con comunicato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 29 luglio 2024 il saggio applicabile per il secondo semestre dell’anno (4,25%), ossia per il periodo che va dal 1° luglio al 31 dicembre 2024. Un tasso che mostra una leggere flessione al ribasso (-0,25%) rispetto alla percentuale del primo semestre.

Cosa sono gli interessi di mora

Gli interessi moratori vanno pagati al creditore nell’ipotesi di ritardo nel pagamento di un’obbligazione pecuniaria (ex art. 1224 c.c.), salvo che il debitore dimostri che il ritardo è stato determinato dall’impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.
Gli interessi moratori vanno corrisposti anche laddove non espressamente pattuiti dalle parti. La loro funzione è in sostanza quella di un “ristoro” per le conseguenze pregiudizievoli subite dal creditore per via del ritardo nel pagamento.

Interessi moratori al 12,25%

Se il pagamento tardivo riguarda una transazione commerciale, gli interessi di mora decorrono sulla base del tasso di riferimento comunicato dal Mef, cui va aggiunta la maggiorazione dovuta alla competenza fissa per le transazioni commerciali, pari all’8%, come previsto dall’art. 2 del Dlgs. n. 192/2012. Il Mef ha comunicato che “ai sensi dell’art. 5 del dlgs n. 231/2002, come modificato dalla lettera e) del comma 1 dell’art. 1 del decreto legislativo n. 192/2012 – per – il periodo 1° luglio – 31 dicembre 2024 il tasso di riferimento e’ pari al 4,25 per cento”.

Per cui, complessivamente per il secondo semestre 2024 la maggiorazione ammonterà a 12,25%.

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capacità giuridica

La capacità giuridica Definizione e profili storici della disciplina della capacità giuridica. In particolare: la tutela del concepito e le differenze con la capacità di agire

Capacità giuridica, definizione

La capacità giuridica è l’attitudine di una persona ad essere titolare di diritti e di doveri giuridici.

Tale istituto, tanto essenziale nei suoi caratteri quanto fondamentale nell’ambito di un ordinamento giuridico, è disciplinato dall’art. 1 del codice civile, che stabilisce che la capacità giuridica si acquista al momento della nascita.

Profili storici della disciplina della capacità giuridica

L’importanza di una disciplina espressa riguardo all’istituto in parola si coglie più compiutamente attraverso un confronto con la disciplina prevista in altri periodi storici, quando era contemplata la possibilità di limitare o privare della capacità giuridica (c.d. morte civile) taluni soggetti per motivi politici o razziali.

È ciò che avvenne, ad esempio, in Italia durante il regime fascista, e un importante riflesso ne è l’attuale testo dell’art. 22 della Costituzione, il quale espressamente dispone che “nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome”.

Acquisto e perdita della capacità giuridica: l’art. 1 del codice civile

Come si è detto, la capacità giuridica si acquista al momento della nascita, con ciò intendendosi il momento del distacco del feto dal grembo materno.

Ciò significa che il nascituro non è considerato, nel nostro ordinamento, soggetto di diritto, sebbene sia comunque oggetto di tutela da parte della legge.

La capacità giuridica del concepito

Infatti, ad esempio, il concepito (e a dire il vero anche il non-concepito, se si intenda il figlio di una determinata persona vivente al tempo della morte del de cuius) può succedere per testamento e ricevere per donazione.

I diritti del nascituro, però, sono subordinati all’evento della nascita, come prevede il secondo comma dell’art. 1 del codice civile.

Perdita della capacità giuridica

Analogamente, la capacità giuridica di un soggetto termina con la sua morte naturale. Per vero, anche la dichiarazione (con sentenza) di morte presunta, ex art. 58 c.c., determina la perdita della capacità giuridica del soggetto, con contestuale apertura della relativa successione.

Capacità delle persone giuridiche

Oltre che appannaggio delle persone fisiche, la capacità giuridica è configurabile anche in capo alle persone giuridiche, sebbene ciò non postuli il possesso da parte di queste ultime di alcuni diritti propri delle persone fisiche (si pensi a quelli afferenti al diritto familiare).

Le persone giuridiche sono titolari, peraltro, di alcuni rilevanti diritti, quali quello al nome (o alla denominazione) e all’immagine.

Differenza tra capacità giuridica e capacità di agire

Sul tema in oggetto, è importante distinguere tra loro i concetti, ben differenti, di capacità giuridica e capacità di agire.

Se la capacità giuridica, come si è detto, attiene alla generica attitudine alla titolarità di diritti e obblighi giuridici, la capacità di agire indica, invece, la possibilità di porre in atto atti giuridici, e quindi di divenire volontariamente titolare di diritti o di obbligarsi verso terzi.

A differenza della capacità giuridica, la capacità d’agire non si acquista con la nascita ma, come disposto dall’art. 2 cod. civ., si consegue, come regola generale, alla maggiore età, attualmente fissata al compimento dei 18 anni.

In alcuni casi, peraltro, l’ordinamento prevede che determinati atti giuridici possano essere posti in atto anche dal minore (vedi le norme in tema di matrimonio e riconoscimento del figlio da parte del minore emancipato), e che in altri casi la capacità di agire possa essere limitata, anche a tutela del soggetto stesso (interdizione o inabilitazione).

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particolarità causa compensare spese

Non basta la particolarità della causa per compensare le spese La Cassazione chiarisce che la particolarità della controversia non è sufficiente per compensare le spese di lite

Compensazione spese di lite

Non è sufficiente la “particolarità” della causa per compensare le spese di lite. Lo ha affermato la Cassazione nell’ordinanza n. 17966/2024 accogliendo il ricorso di un lavoratore. 

La vicenda

Nella vicenda, la Corte d’appello di Napoli respingeva il gravame di una Spa, confermando la sentenza di primo grado, che aveva accolto la domanda di un lavoratore volta ad ottenere la condanna della società datrice al pagamento di una somma a titolo di “conguaglio ore”. 
La Corte territoriale, tuttavia, aveva disposto anche la compensazione delle spese del grado per la “particolarità della controversia e le oscillazioni della giurisprudenza di merito sulla questione esaminata”.

Il ricorso

L’uomo adiva quindi il Palazzaccio dolendosi della compensazione “in assenza di soccombenza reciproca, essendo la società appellante totalmente soccombente” e denunciando la nullità parziale della sentenza per motivazione apparente atteso che la “particolarità” e le “oscillazioni giurisprudenziali” non si evincevano nè dal provvedimento nè dalle allegazioni processuali.  

L’art. 92 c.p.c.

Per gli Ermellini, l’uomo ha ragione.
Nel caso di specie, premettono, “di procedimento iniziato in primo grado nel 2020, trova applicazione l’art. 92 c.p.c. nella formulazione successiva alle modifiche apportate dall’art. 13, decreto-legge. n. 132/14, convertito dalla legge n. 162/14, secondo cui: ‘Se vi è’ soccombenza reciproca ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, il giudice può compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero’; a seguito della sentenza della Corte Cost. n. 77 del 2018, la compensazione delle spese, parzialmente o per intero, può essere disposta ‘anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni’.
In base all’art. 92 c.p.c., come risultante dalle modifiche sopra citate, proseguono i giudici, “la compensazione delle spese di lite può essere disposta (oltre che nel caso di soccombenza reciproca), soltanto nell’eventualità di assoluta novità della questione trattata o di mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti o nelle ipotesi di sopravvenienze relative a tali questioni e di assoluta incertezza che presentino la stessa, o maggiore, gravità ed eccezionalità delle situazioni tipiche espressamente previste dall’art. 92, comma 2, c.p.c.”. 
La “particolarità” della controversia, dunque, peraltro “non meglio specificata nella sentenza impugnata né desumibile dalla materia del contendere, non corrisponde a nessuno dei presupposti idonei a legittimare, per dettato normativo, la compensazione delle spese”. E neppure le “oscillazioni della giurisprudenza di merito, nella specie neanche individuate attraverso puntuali citazioni di precedenti di segno diverso, sono riconducibili alle ipotesi contemplate dal citato art. 92, caratterizzate da elementi di novità idonei ad alterare o, comunque, ad interferire sulla originaria prospettazione difensiva o da altre analoghe ragioni connotate da eccezionalità e gravità”.
Da qui l’accoglimento del ricorso e la cassazione della sentenza.
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giurista risponde

Assicurazione responsabilità civile e clausola claims made In tema di assicurazione della responsabilità civile in ambito sanitario è valida la clausola claims made che preveda l’ultrattività della polizza per un periodo inferiore a dieci anni?

Quesito con risposta a cura di Umberto De Rasis, Maurizio Della Ventura e Federica Florio

 

In tema di assicurazione della responsabilità civile, la clausola claims made che non preveda un periodo di ultrattività decennale della polizza conforme alla previsione di cui all’ art. 11 L. 24/2017 non può essere dichiarata per ciò solo nulla, dovendosi piuttosto procedere a verificare se nel caso concreto, anche alla luce del rapporto tra rischio e premio, risulti effettivamente svuotare di ogni ragion pratica il contratto. – Cass., sez. III, 12 marzo 2024, n. 6490.

La Corte di Cassazione accoglie il ricorso della compagnia di assicurazioni avverso la sentenza della Corte d’Appello che, dichiarata la nullità della clausola che limitava la validità della polizza al caso di richieste formulate entro dodici mesi dalla scadenza della stessa, l’ aveva sostituita con la clausola di ultrattività decennale di cui all’art. 11 L. 24/2017 in tema di responsabilità sanitaria.

I Giudici di legittimità ricordano a proposito che il potere di sostituzione della clausola claims made tratteggiato con la sentenza Cass., Sez. Un., 24 settembre 2018, n. 22437 presuppone anzitutto un corretto accertamento della nullità contrattuale e poi una corretta individuazione del sostrato sostitutivo che realizzi un equo contemperamento delle posizioni dei contraenti.

Nel caso di specie, invece, il giudice a quo era intervenuto ravvisando un “buco di copertura” dovuto alla mancata previsione di una clausola di ultrattività decennale, senza ulteriormente motivare se la specifica conformazione della clausola di ultrattività annuale, riguardata alla luce del rapporto tra rischio e premio, svuotasse effettivamente di ogni ragion pratica il contratto.

In altri termini la Corte d’Appello aveva considerato la previsione contenuta nel secondo periodo dell’art. 11, della legge Gelli Bianco quale regola generale in tema di copertura assicurativa in ambito sanitario, sanzionando con la nullità la convenzione non aderente a detto paradigma.

La Suprema Corte censura il difetto di motivazione e l’omessa indagine in concreto in ordine all’idoneità della clausola a realizzare gli interessi delle parti.

Si tratta di un’omissione ancor più significativa se si considera che in altre sedi la clausola claims made con previsione di ultrattività annuale è stata ritenuta valida dalla giurisprudenza di legittimità.

Infine, rileva che l’ultrattività decennale è prevista per la sola ipotesi della cessazione definitiva dell’attività professionale e che pertanto non costituisce un modello inderogabile in materia di assicurazioni sulla responsabilità civile del medico.

Contributo in tema di “Assicurazione della responsabilità civile”, a cura di Umberto De Rasis, Maurizio Della Ventura e Federica Florio, estratto da Obiettivo Magistrato n. 76 / Luglio 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica

multa zlt cassazione

Ztl: basta una multa Addio alle multe seriali per chi gira nella Ztl con permesso scaduto, per la Cassazione basta una sola multa

Cassazione: multe Ztl

Le violazioni, anche in tempi diversi, della medesima norma relativa alla circolazione di un veicolo non avente i requisiti amministrativi richiesti dalla legge devono essere considerate come un’unica infrazione. Così la seconda sezione civile della Cassazione seconda nell’ordinanza n. 19680-2024.

La vicenda

La vicenda in esame origina dall’opposizione di un’automobilista avverso una cinquantina di verbali di violazione del Codice della Strada notificati in più tranches per aver circolato nella zona a traffico limitato sprovvista della prescritta autorizzazione, nell’arco di un paio di mesi.

La donna deduceva di essere incorsa in errore incolpevole, avendo – al momento della commissione delle diverse infrazioni – la convinzione di essere ancora titolare del permesso di circolare nella zona a traffico limitato, non avendo l’amministrazione comunale inviato alcuna comunicazione a distanza di circa due anni dal cambio di residenza dell’opponente, né avrebbe mai irrogato e notificato alcuna sanzione amministrativa prima di quelle oggetto di impugnazione.

Il Giudice di Pace, in parziale accoglimento dei ricorsi, annullava tutti i verbali tranne uno, determinando in euro 94,08 la somma da irrogare quale sanzione amministrativa pecuniaria. Il Comune proponeva appello e la donna si difendeva con appello incidentale.

Il giudice del gravame rigettava sia l’appello principale sia quello incidentale, confermando la sentenza del giudice di prime cure e l’amministrazione, a questo punto, adisce il Palazzaccio.

Il ricorso

Con l’unico motivo di ricorso il comune deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3, comma 2, legge 24 novembre 1981; dell’art. 198 D.Lgs. n. 285/1992, in riferimento all’art 360 comma 1, n. 3) cod. proc. civ. ritenendo la sentenza in palese contrasto, innanzitutto, con i principi espressi dalla Corte di legittimità in tema di scusabilità dell’errore di fatto sulla condotta illecita: “la mera tolleranza, ovvero la mancanza di controlli, non è in alcun modo idonea a configurare la buona fede del trasgressore e ad escludere l’elemento soggettivo dell’illecito” (Cass. n. 657/1999).

In secondo luogo, pur avendo il giudice accertato che si tratta di una pluralità di condotte, a dire del comune, “ne ha erroneamente ed illogicamente dedotto la riconducibilità dell’aspetto colposo delle violazioni alla sola prima infrazione commessa in forza di un’improbabile unificazione delle singole condotte. Invece, la configurazione di tali illeciti come un tutt’uno presupporrebbe il loro inquadramento nella categoria giuridica del concorso formale, tuttavia espressamente escluso per le violazioni alla disciplina in tema di zona traffico limitato ed aree pedonali dall’art. 198, comma 2, CdS”.

La decisione della Cassazione

Per gli Ermellini, il Comune ha torto.

“Le violazioni, anche in tempi diversi, della medesima norma (art. 7, comma 9, CdS) relativa alla circolazione di un veicolo non avente i requisiti amministrativi richiesti dalla legge (nel caso che ci occupa: mancanza del permesso di accesso a ZTL) devono, semmai, essere considerate come un’unica infrazione in quanto reiterazioni del medesimo illecito amministrativo (reiterazione specifica), ai sensi della legge vigente ratione temporis (v. art. 8-bis legge n. 689/1981; l’art. 198-bis CdS avente analogo contenuto è entrato i vigore il 06.08.2022, dunque successivamente alla commissione delle infrazioni), stante la sostanziale omogeneità degli illeciti perpetrati, e avuto riguardo alla natura dei fatti che le costituiscono e alle modalità della condotta” affermano innanzitutto i giudici.

Inoltre, proseguono, “a mente del comma 5 dell’art. 8-bis menzionato: ‘Le violazioni amministrative successive alla prima non sono valutate, ai fini della reiterazione, quando sono commesse in tempi ravvicinati e riconducibili ad una programmazione unitaria'”.

Per cui, la Cassazione rigetta il ricorso e conferma la soluzione adottata dal giudice di seconde cure laddove ritiene valido ed efficace un unico verbale di contestazione: “non si tratta, infatti, di escludere l’elemento soggettivo del trasgressore con riferimento alle violazioni successive (il che vale a rispondere alla prima delle censure elevate dal ricorrente), quanto piuttosto – in applicazione della disposizione citata – di elidere la valutazione delle violazioni amministrative successive alla prima (Cass. n. 2965 del 16.02.2016)”.

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rettificazione sesso terzo genere

Rettificazione di sesso: sul “terzo genere” serve legge La Consulta dichiara inammissibili le questioni sul "terzo genere" mentre è irragionevole l'autorizzazione all'intervento chirurgico se la transizione è già compiuta

Rettificazione di sesso e genere non binario

Sulla rettificazione di sesso e il “terzo genere” serve l’intervento del legislatore. Con la sentenza n. 143-2024, la Corte costituzionale ha deciso le questioni di legittimità costituzionale promosse dal Tribunale di Bolzano in materia di rettificazione di attribuzione di sesso.

La Consulta ha dichiarato inammissibili le questioni sollevate nei confronti dell’art. 1 della legge n. 164 del 1982, nella parte in cui non prevede che la rettificazione possa determinare l’attribuzione di un genere “non binario” (né maschile, né femminile).

Serve intervento del legislatore

Infatti, «l’eventuale introduzione di un terzo genere di stato civile avrebbe un impatto generale, che postula necessariamente un intervento legislativo di sistema, nei vari settori dell’ordinamento e per i numerosi istituti attualmente regolati con logica binaria».

La sentenza sottolinea al riguardo che la caratterizzazione binaria (uomo-donna) informa, tra l’altro, il diritto di famiglia, del lavoro e dello sport, la disciplina dello stato civile e del prenome, la conformazione dei “luoghi di contatto” (carceri, ospedali e simili).

La Corte rileva tuttavia che «la percezione dell’individuo di non appartenere né al sesso femminile, né a quello maschile – da cui nasce l’esigenza di essere riconosciuto in una identità “altra” – genera una situazione di disagio significativa rispetto al principio personalistico cui l’ordinamento costituzionale riconosce centralità (art. 2 Cost.)» e che, «nella misura in cui può indurre disparità di trattamento o compromettere il benessere psicofisico della persona, questa condizione può del pari sollevare un tema di rispetto della dignità sociale e di tutela della salute, alla luce degli artt. 3 e 32 Cost.».

«Tali considerazioni» – conclude la Corte – «unitamente alle indicazioni del diritto comparato e dell’Unione europea, pongono la condizione non binaria all’attenzione del legislatore, primo interprete della sensibilità sociale».

Autorizzazione al trattamento chirurgico

La Corte ha poi dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 31, comma 4, del d.lgs. n. 150 del 2011, nella parte in cui prescrive l’autorizzazione del tribunale al trattamento medico-chirurgico anche qualora le modificazioni dei caratteri sessuali già intervenute siano ritenute dallo stesso tribunale sufficienti per l’accoglimento della domanda di rettificazione di attribuzione di sesso.

Il giudice delle leggi ha infatti osservato che, potendo il percorso di transizione di genere «compiersi già mediante trattamenti ormonali e sostegno psicologicocomportamentale, quindi anche senza un intervento di adeguamento chirurgico», la prescrizione dell’autorizzazione giudiziale di cui alla norma censurata denuncia una palese irragionevolezza, nella misura in cui sia relativa a un trattamento chirurgico che «avverrebbe comunque dopo la già disposta rettificazione».

In tali casi, il regime autorizzatorio, non essendo funzionale a determinare i presupposti della rettificazione, già verificatisi a prescindere dal trattamento chirurgico, viola l’art. 3 Cost., in quanto «non corrisponde più alla ratio legis».

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esdebitazione in cosa consiste

Esdebitazione: in cosa consiste L’esdebitazione nelle procedure di risoluzione delle crisi da sovraindebitamento: in particolare, l’esdebitazione del debitore incapiente

Cosa si intende per esdebitazione

L’esdebitazione consiste nella cancellazione definitiva dei debiti ed è prevista come conseguenza del positivo esito delle procedure di risoluzione delle crisi da sovraindebitamento.

La composizione delle crisi di sovraindebitamento, cioè di quelle situazioni in cui il debitore non è in grado di far fronte ai propri obblighi nei confronti dei creditori, è stata al centro di alcuni importanti interventi normativi degli ultimi anni, a cominciare dalla legge n. 3 del 2012, le cui disposizioni sono sostanzialmente confluite nel nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII).

Esdebitazione e procedure per il sovraindebitamento

In linea generale, le procedure in parola sono destinate ai piccoli imprenditori o ai consumatori, cioè a chi non esercita attività d’impresa. In altre parole, sono dedicate a quei soggetti che non possono accedere alla liquidazione giudiziale (una volta si definivano soggetti non fallibili, prima che il fallimento venisse sostituito normativamente dalla liquidazione giudiziale).

Legge 3 del 2012

Con la legge 3 del 2012, in particolare, furono introdotte tre diverse procedure di risoluzione della crisi: il piano del consumatore (oggi “ristrutturazione dei debiti del consumatore”, artt. 67 e segg. del CCII), l’accordo con i creditori (anche detto concordato minore) e la liquidazione del patrimonio.

Il primo è destinato solo al consumatore e prevede alcuni aspetti molto vantaggiosi per il debitore, a cominciare dal fatto che non vi è bisogno del consenso dei creditori per ottenere l’accesso alla procedura, ma solo del parere positivo del giudice, adito tramite l’intervento di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC).

Si tratta, in sostanza, di sottoporre al giudice una serie di documentazioni, che dimostrino la difficoltà del debitore ad adempiere ai propri obblighi, per richiedere l’approvazione di un piano di rientro.

Per i piccoli imprenditori è invece possibile proporre l’accordo con i creditori, che viene siglato se ottiene il consenso della maggioranza dei creditori.

Ovviamente queste procedure presentano un vantaggio anche per i creditori, poiché consentono loro di recuperare almeno una parte del credito, con procedure più snelle rispetto a quelle tradizionali esecutive.

Le esdebitazioni nel Codice della crisi

La terza procedura prevista è la liquidazione del patrimonio del debitore, attivabile in via alternativa alla proposta per la composizione della crisi, e alla quale può seguire l’esdebitazione (si tratta della c.d. liquidazione controllata ex art. 278 ss. del CCII, la cui disciplina discende da quella precedentemente prevista dalla legge 3 del 2012 in tema di liquidazione del patrimonio del debitore).

L’esdebitazione comporta la completa liberazione dai debiti, con conseguente inesigibilità di quelli  rimasti insoddisfatti all’esito della liquidazione.

L’esdebitazione conseguente alla liquidazione controllata è pronunciata con decreto dal tribunale, contestualmente alla dichiarazione di chiusura della procedura.

L’esdebitazione del debitore incapiente

Una particolare disciplina è dedicata all’esdebitazione del debitore incapiente, prevista in origine dall’art. 14-quaterdecies della legge 3/12 ed oggi contenuta nell’art. 283 del Codice della Crisi.

Come intuibile, tale soluzione può essere scelta da chi si trovi nelle condizioni di non poter offrire ai creditori alcuna utilità e che non abbia particolari prospettive di guadagno futuro.

L’esdebitazione del sovraindebitato incapiente può essere chiesta solo una volta nella vita, a condizione che il giudice consideri il soggetto meritevole, cioè ritenga che egli abbia assunto, a suo tempo, le obbligazioni usando l’ordinaria diligenza.

Cosa succede dopo esdebitazione

Ove rispettate tutte le condizioni di legge, il giudice concede con decreto l’esdebitazione al debitore incapiente, con l’unico obbligo per quest’ultimo di presentare una dichiarazione annuale, per quattro anni, in cui siano indicate le eventuali sopravvenienze attive. Se queste raggiungono almeno il dieci per cento dei crediti dovuti, vengono destinate al soddisfacimento dei creditori.

I creditori possono opporsi al decreto di esdebitazione, sollecitando il giudice ad una nuova decisione, contro la quale le parti possono proporre reclamo. In mancanza di opposizione, pertanto, e salvo gli obblighi connessi alla dichiarazione annuale di cui si è detto sopra, il soggetto richiedente è liberato da tutti i debiti.

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Notifica in ritardo: risponde l’ufficiale giudiziario Per il ritardo nella spedizione o nel recapito della notifica a mezzo posta, risponde solo l'ufficiale giudiziario e non anche l'agente postale

Notifiche a mezzo posta

Per il ritardo nella spedizione o nel recapito dell’atto notificato a mezzo del servizio postale, ex art. 1228 c.c. risponde solo l’ufficiale giudiziario e non anche l’agente postale che è mero ausiliario. Questo quanto si ricava dall’ordinanza della terza sezione civile della Cassazione n. 17892-2024.

La vicenda

Nella vicenda, un uomo si recava all’ufficio postale per ritirare 7 avvisi di ricevimento di atti giudiziari, per i quali si vedere chiedere il costo delle raccomandate CAD che l’ufficiale giudiziario aveva emesso essendovi tenuto ex lege. L’uomo rifiutava il pagamento e non ritirava gli avvisi e chiedeva e otteneva dal Giudice di Pace di Acri decreto ingiuntivo di consegna. La questione approdava in appello, a seguito di opposizione della società, e infine in Cassazione.

Innanzi agli Ermellini, il ricorrente lamentava che “erroneamente il giudice di appello non ha considerato che in caso di notifica di atto giudiziario l’ufficiale postale è un mero ausiliario dell’ufficiale giudiziario, sicché il rapporto si instaura unicamente tra l’avvocato richiedente la notifica e l’Ufficio UNEP, che effettua il servizio di notifica e, ove non effettui la notifica a mani, può ricorrere alla notifica a mezzo posta”.

Agente postale ausiliario dell’ufficiale giudiziario

Per il Palazzaccio, il motivo è fondato e va accolto.

Come ha avuto già modo di affermare la giurisprudenza, infatti, scrivono i giudici, “l’agente postale è un ausiliario dell’ufficiale giudiziario (v. Cass., 18/2/2015, n. 3263), e pertanto, “in tema di notificazioni a mezzo posta, li relativo servizio si basa su di un mandato ex lege tra colui che richiede la notificazione e l’ufficiale giudiziario che la esegue, eventualmente avvalendosi, quale ausiliario, dell’agente postale, nell’ambito di un distinto rapporto obbligatorio, al quale il notificante rimane estraneo. Ne consegue che, in caso di ritardo nella consegna dell’avviso di ricevimento relativo alla notifica di atti giudiziari effettuati a mezzo posta, nei confronti del richiedente la notifica risponde, ai sensi dell’art. 1228 cod. civ., esclusivamente l’ufficiale giudiziario, non anche l’agente postale del quale costui si avvalga” (così Cass., 12/02/2018, n. 3292; Cass., 24/11/2021, ท. 36505).

Tale principio è stato esplicitamente confermato dalla giurisprudenza costituzionale (Corte Cost. n. 477/2002; Corte Cost., n. 28/2004), proseguono dalla S.C. che, “nel dichiarare l’illegittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 149 c.p.c. e dell’art. 4, comma 3, legge n. 890 del 1982 (notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari), nella parte in cui prevede che la notificazione si perfeziona – per il notificante – alla data di ricezione dell’atto da parte del destinatario, anziché a quella, antecedente, di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario, ha appunto affermato che gli effetti della notificazione a mezzo posta devono essere ricollegati – per quanto riguarda il notificante – al solo compimento delle formalità a lui direttamente imposte dalla legge, ossia alla consegna dell’atto da notificare all’ufficiale giudiziario, essendo la successiva attività di quest’ultimo e dei suoi ausiliari – quale appunto l’agente postale – sottratta in toto al controllo ed alla sfera di disponibilità del notificante medesimo”.

In altri termini, il rapporto obbligatorio si instaura tra “il richiedente la notifica e l’ufficiale giudiziario, mentre l’agente postale è un semplice ausiliario cui può far ricorso l’ufficiale giudiziario incaricato della notificazione”.

Risulta pertanto evidente che “tra l’ufficiale giudiziario e l’agente postale intercorre un rapporto obbligatorio, sulla cui base l’agente postale, in qualità di ausiliario, adempie al suo incarico, ed è all’ufficiale giudiziario che l’agente postale deve rispondere.  L’art. 6 L. n. 890 del 1982 conferma l’indicata ricostruzione, in quanto prevede che il pagamento della indennità per lo smarrimento dei pieghi ‘è effettuato all’ufficiale giudiziario’, il quale ne corrisponde l’importo ‘alla parte che ha richiesto la notificazione dell’atto, facendosene rilasciare ricevuta’.

La decisione

Per cui, “nei confronti dei terzi (tra i quali è compreso ovviamente il richiedente la notificazione), in caso di ritardo nella spedizione o nel recapito dell’atto notificato a mezzo del servizio postale, ai sensi dell’art. 1228 del codice civile risponde pertanto solo l’ufficiale giudiziario che dell’agente postale si è avvalso quale ausiliario”.

In sostanza, la chiara dizione contenuta nelle norme di cui alla legge n. 890/1982 consente di dare questa spiegazione: “il servizio di notificazione si basa su di un mandato ex lege tra l’avvocato che richiede la notificazione e l’ufficio notifiche che presta il servizio”.

In definitiva, il ricorso è accolto.

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