web scraping

Web scraping: le linee guida del Garante Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il provvedimento del Garante privacy contenente le indicazioni per difendere i dati personali dal web scraping

Intelligenza artificiale e web scraping

Il Garante privacy ha pubblicato le indicazioni per difendere i dati personali pubblicati online da soggetti pubblici e privati in qualità di titolari del trattamento dal web scraping, la raccolta indiscriminata di dati personali su internet, effettuata, da terzi, con lo scopo di addestrare i modelli di Intelligenza artificiale generativa (IAG). Il documento tiene conto dei contributi ricevuti dall’Autorità nell’ambito dell’indagine conoscitiva, deliberata lo scorso dicembre ed è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 7 giugno 2024.

In attesa di pronunciarsi, all’esito di alcune istruttorie già avviate tra le quali quella nei confronti di OpenAI, sulla liceità del web scraping di dati personali effettuato sulla base del legittimo interesse, l’Autorità ha ritenuto necessario fornire a quanti pubblicano online dati personali in qualità di titolari del trattamento talune prime indicazioni sull’esigenza di compiere alcune valutazioni in ordine all’esigenza di adottare accorgimenti idonei a impedire o, almeno, ostacolare il web scraping.

Misure da adottare

Nel documento l’Autorità suggerisce alcune tra le misure concrete da adottare: la creazione di aree riservate, accessibili solo previa registrazione, in modo da sottrarre i dati dalla pubblica disponibilità; l’inserimento di clausole anti-scraping nei termini di servizio dei siti; il monitoraggio del traffico verso le pagine web per individuare eventuali flussi anomali di dati in entrata e in uscita; interventi specifici sui bot utilizzando, tra le altre, le soluzioni tecnologiche rese disponibili dalle stesse società responsabili del web scraping (es: l’intervento sul file robots.txt.).

Si tratta di misure non obbligatorie che i titolari del trattamento dovranno valutare, sulla base del principio di accountability, se mettere in atto per prevenire o mitigare, in maniera selettiva, gli effetti del web scraping, in considerazione di una serie di elementi: lo stato dell’arte tecnologico; i costi di attuazione, in particolare per le PMI.

institore art. 2203 codice civile

Institore: chi è e cosa fa Chi è e cosa fa l’institore, quali sono i suoi rapporti con l’imprenditore preponente, quali i suoi poteri e le sue responsabilità. In particolare: la procura institoria

Chi è e cosa fa l’institore

L’institore è un soggetto incaricato dall’imprenditore a gestire un’impresa commerciale o un particolare ramo di essa o una sua sede secondaria.

L’incarico viene conferito con un particolare negozio giuridico, chiamato procura institoria e afferisce ad un generale potere di gestione dell’impresa e non a specifici atti.

Che differenza c’è tra institore e procuratore

Diversamente dal potere di gestione proprio dell’institore, individuato dall’art. 2203 del codice civile nei termini sopra esaminati, il procuratore ha invece dei poteri più limitati, che riguardano specifici atti.

Le funzioni di institore, inoltre, sono assimilabili a quelle di un dirigente, avendo egli dei veri e propri poteri direttivi, decisionali e di rappresentanza generale, mentre lo stesso non si può dire dei procuratori.

Entrambe le figure, comunque, sono comunemente considerate come dei lavoratori subordinati ai sensi dell’art. 2094 c.c., in quanto retribuiti dall’imprenditore e legati a questi da un rapporto continuativo. In termini più generici, di solito, l’institore e il procuratore (e altresì il commesso) vengono definiti come gli ausiliari dell’imprenditore.

Poteri dell’institore

A norma dell’art. 2204 c.c., l’institore ha il potere di compiere tutti gli atti pertinenti all’esercizio dell’impresa (eccetto quelli esclusi da eventuali limiti contenuti nella procura).

L’alienazione e l’ipoteca di immobili, però, devono essere espressamente autorizzate dal proponente.

L’institore ha, inoltre, il potere di rappresentanza giudiziale dell’imprenditore. A questo riguardo, va precisato che, da un lato, l’institore può agire non solo con riferimento agli affari da lui compiuti, ma in generale per tutto ciò che afferisce all’impresa da lui gestita. Dall’altro, il suo potere di rappresentanza giudiziale non può essere limitato relativamente al lato passivo: l’institore, cioè, può essere sempre chiamato in giudizio dal terzo coinvolto con lui in un affare.

L’institore è inoltre tenuto, con l’imprenditore, all’osservanza delle norme relative all’iscrizione nel registro delle imprese e alla corretta tenuta delle scritture contabili.

Come si nomina un institore?

La procura institoria è l’atto con cui l’imprenditore prepone l’institore quale gestore della propria azienda, o di un ramo di essa.

Tale atto deve essere autenticato da un pubblico ufficiale come il notaio e successivamente trascritto presso il registro delle imprese (sebbene il rapporto institorio possa essere dimostrato, da chi ne abbia interesse, anche in assenza della procura).

I caratteri di pubblicità che caratterizzano l’atto di procura con cui viene incaricato l’institore rispondono ad un’esigenza di tutela dell’affidamento dei terzi che concludono affari, o che siano coinvolti in qualsiasi tipo di rapporto giuridico, con l’institore.

Non a caso, il codice dedica particolare attenzione sia alla disciplina della responsabilità dell’institore (e dell’imprenditore), sia alla trascrizione dei limiti al potere di rappresentanza contemplati nella procura institoria.

La procura institoria e le responsabilità dell’institore

In particolare, il secondo comma dell’art. 2206 dispone che, in mancanza dell’iscrizione della procura nel registro delle imprese, la rappresentanza dell’institore è da considerarsi generale. Ciò significa che le eventuali limitazioni concordate tra imprenditore e institore non saranno opponibili ai terzi, a meno che non si dimostri che il terzo ne era a conoscenza quando ha concluso l’affare.

Inoltre, a norma dell’art. 2207 c.c., se, successivamente all’iscrizione della procura, l’imprenditore intende apportarvi delle limitazioni, anche tali atti limitativi del potere institorio dovranno essere iscritti nel registro delle imprese, pena l’inopponibilità delle limitazioni ai terzi. Di conseguenza, in assenza di pubblicità, l’imprenditore rimane obbligato per gli atti dell’institore che superino i suoi poteri.

Riguardo alla responsabilità dell’institore, infine, l’art. 2208 c.c. chiarisce che la stessa è personale quando quest’ultimo non metta il terzo in condizioni di conoscere l’esistenza del rapporto institorio; in un’ottica di maggiore tutela dell’affidamento, al terzo è riconosciuta, comunque, azione contro l’imprenditore per gli atti compiuti dall’institore che siano pertinenti all’esercizio dell’impresa. In tal caso, l’imprenditore conserva, al contempo, il diritto di agire in regresso nei confronti dell’institore che abbia agito per il proprio interesse.

tabelle milanesi 2024

Danno non patrimoniale: le tabelle milanesi 2024 Aggiornate le Tabelle milanesi 2024 per il risarcimento del danno alla persona, novità anche sul danno biologico e la capitalizzazione anticipata della rendita

Tabelle milanesi: liquidazione del danno alla persona

Con l’entrata in vigore delle Tabelle milanesi 2024, il panorama del risarcimento del danno alla persona in Italia subisce un importante aggiornamento.

Le nuove tabelle, elaborate dall’Ordine degli Avvocati di Milano, rappresentano un punto di riferimento fondamentale per la liquidazione dei danni non patrimoniali derivanti da lesioni fisiche o psichiche. A stabilirlo era stata la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione con la sentenza n. 12408 del 7 giugno 2011, che ha avuto un impatto significativo nella giurisprudenza italiana in materia di risarcimento del danno alla persona.

La sentenza ha stabilito infatti che i valori di riferimento per la liquidazione del danno adottati dal Tribunale di Milano rappresentano il parametro equo da applicare in tutti i casi in cui la fattispecie concreta non presenti elementi particolari che giustifichino un aumento o una diminuzione del risarcimento. Ciò significa che i giudici, nel determinare il risarcimento del danno alla persona, in primis devono fare riferimento ai valori indicati nelle tabelle milanesi. Tali valori rappresentano un riferimento oggettivo e uniforme per la valutazione del danno, che garantisce parità di trattamento a tutti i danneggiati. Le novità introdotte dalle Tabelle Milanesi 2024 riguardano in particolare il danno biologico, il danno morale e la capitalizzazione anticipata della rendita.

Tabelle di Milano aggiornate al costo della vita

Le Tabelle Milanesi 2024 confermano il metodo di valutazione del danno biologico basato su punti di invalidità ed età del danneggiato. I valori monetari assegnati a ciascun punto di invalidità sono stati rivalutati del 16,2268%, in linea con l’aumento del costo della vita registrato dall’ISTAT. Il valore del punto del danno biologico per un’invalidità dell’1% sale a 1.393,28 euro.

In relazione al danno permanente le tabelle contemplano una liquidazione del danno congiunta, che comprende:

  • le lesioni permanenti, che possono essere accertate dal medico legale;
  • la sofferenza soggettiva presunta, che dipende dal tipo di lesione subita.

Per le lesioni comuni le tabelle prevedono valori medi, ma il danno può essere personalizzato in misura percentuale fino al 50%, tenendo conto di particolari situazioni soggettive del danneggiato. In questo modo è possibile valutare equamente e adeguatamente il danno, valutando tutte le peculiarità del caso concreto.

Le tabelle relative al danno temporaneo, al pari di quelle delle lesioni permanenti, prevedo valori medi giornalieri, aumentabili anch’essi fino al 50%, in base alle circostanze specifiche del caso concreto. Il valore per la liquidazione del danno non patrimoniale relativa a un giorno di inabilità temporanea assoluta sale a 115,00 euro.

Per  entrambe le tipologie di danno il vengono presi in considerazione l’aspetto dinamico relazionale e la sofferenza soggettiva.

Capitalizzazione anticipata della rendita

Le Tabelle Milanesi 2024 aggiornano anche i criteri per la capitalizzazione anticipata della rendita indennitaria, ovvero la conversione in un capitale di una somma da erogarsi periodicamente alla vittima. I nuovi valori tengono conto dell’andamento dei tassi d’interesse e dei coefficienti di mortalità.

Restyling grafico

Rivisitata anche la veste grafica delle tabelle al fine di agevolare il lavoro degli operatori grazie alla esplicitazione degli addendi monetari delle varie componenti del danno non patrimoniale già inclusi nel totale della colonna 5 e calcolabili in precedenza attraverso una semplice operazione aritmetica.

In questo modo si vuole scongiurare l’utilizzo della tabella come una scorciatoia, considerato che spesso che i giudici la utilizzavano senza tenere conto delle necessarie personalizzazioni relative agli aspetti dinamico relazionali e alle sofferenze morali.

Come chiarito dall’Osservatorio “l’applicazione della tabella non esonera affatto il giudice dallobbligo di motivazione in ordine al preventivo è necessario accertamento dellan debeatur ed in ordine alla congruità degli importi liquidati, in relazione alle circostanze di fatto allegati trovate dalle parti nella fattispecie concreta, anche sulla base delle emergenze della ctu”. 

Flessibilità e personalizzazione del risarcimento

L’aggiornamento delle Tabelle Milanesi 2024 rappresenta un passo avanti importante nel panorama del risarcimento del danno alla persona in Italia. L’aumento dei valori del danno biologico e la maggiore flessibilità nella personalizzazione del risarcimento consentono alle vittime di ottenere un ristoro più equo e adeguato ai danni subiti.

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vendita aliud pro alio

Vendita aliud pro alio: i chiarimenti della Cassazione Si ha vendita aliud pro alio se il bene consegnato, appartenendo ad un genere diverso da quello pattuito, si riveli funzionalmente inidoneo ad assolvere allo scopo economico-sociale della res promessa

Inadempimento per vendita aliud pro alio

La vicenda in esame prende avvio dall’inadempimento di un fornitore di calcestruzzo, rispetto al quale la società cliente aveva agito in giudizio per far valere la responsabilità contrattuale dello stesso. Il Tribunale adito concludeva il proprio esame affermando, per quanto qui rileva, la sussistenza di un’ipotesi di vendita aliud pro alio.

Avvero tale decisione il fornitore aveva proposto ricorso presso la Corte d’Appello di Perugia per accertare l’erronea qualificazione dell’inadempimento quale consegna di aliud pro alio.

Il Giudice di secondo grado aveva ridotto l’entità del risarcimento del danno e aveva confermato gli esiti del Tribunale in ordine alla qualificazione dell’inadempimento del fornitore in termini di vendita di aliud pro alio.

Tale decisione veniva impugnata dal fornitore che aveva proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione con un unico motivo svolto denunciando, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione dell’articolo 111, sesto comma, cost, per avere la Corte di merito adottato una motivazione apparente nel confermare la sentenza di primo grado quanto alla integrazione di una ipotesi di vendita di aliud pro alio per la fornitura di calcestruzzo di minor resistenza, inidoneo all’uso previsto, sulla scorta del rinvio agli accertamenti peritali eseguiti.

Vendita aliud pro alio e mancanza di qualità promesse

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 13214-2024, ha accolto il motivo di ricorso e ha cassato la sentenza impugnata, rinviando la causa alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

In particolare, la Corte ha riferito che, nel caso in esame, dalle risultanze della sentenza impugnata “il bene alienato (…) non era comunque sfruttabile (recte “idoneo”) per la sua destinazione (…), senza che sia stato precisato il quomodo della genericamente richiamata inidoneità e senza che sia emerso che, in conseguenza della sua natura, sia stata comunque compromessa la ratio giustificativa per la quale il negozio era stato stipulato”.

La Corte ha chiarito che, in tema di compravendita “il vizio redibitorio (art. 1490 c.c.) e la mancanza di qualità promesse o essenziali (1497 c.c.), presupponendo l’appartenenza della cosa al genere pattuito, differiscono dalla consegna di aliud pro alio, che si determina quando la cosa venduta appartenga ad un genere del tutto diverso o presenti difetti che le impediscano di assolvere alla sua funzione naturale o a quella ritenuta essenziale dalle parti”.

Al contrario, viene in rilievo l’ipotesi di vendita aliud pro alio, che dà luogo all’azione contrattuale di risoluzione ai sensi dell’art. 1453 c.c., se “il bene consegnato sia completamente eterogeneo rispetto a quello pattuito, per natura, individualità, consistenza e destinazione, cosicché, appartenendo ad un genere diverso, si riveli funzionalmente del tutto inidoneo ad assolvere allo scopo economico-sociale della res promessa e, quindi, a fornire l’utilità presagita”.

Il principio di diritto

Sulla scorta di quanto sopra riferito, la Cassazione ha cassato la sentenza impugnata, con rinvio della causa alla Corte d’appello, la quale dovrà decidere uniformandosi al seguente principio di diritto “Sussiste consegna di aliud pro alio, che dà luogo all’azione contrattuale di risoluzione ai sensi dell’articolo 1453 del codice civile, qualora il bene consegnato sia completamente eterogeneo rispetto a quello pattuito, per natura, individualità, consistenza e destinazione, cosicché, appartenendo ad un genere diverso, si riveli funzionalmente del tutto inidoneo ad assolvere allo scopo economico-sociale della res promessa e, quindi, a fornire l’utilità presagita. Questo è il principio affermato dalla Corte di cassazione con ordinanza del 14 maggio 2024, n. 13214”.

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Erede e prova della simulazione La Cassazione chiarisce che affinché l’erede possa provare la simulazione per testi o per presunzioni, presupposto necessario è l’avvenuta lesione della propria quota di legittima

Prova per presunzione della simulazione

Nel caso di specie, l’erede, all’esito dei giudizi di merito, aveva adito la Corte di Cassazione, dolendosi, tra i diversi motivi d’impugnazione, della violazione degli artt. 342, 346, 359 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.

Nella vicenda, il ricorrente ha dedotto che la Corte d’appello aveva errato nel dichiarare inammissibile la richiesta di ammissione delle prove orali richieste dall’erede.

In ordine all’ammissibilità della prova per interrogatorio, la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 15043-2024, ha accolto il suddetto motivo di ricorso e ha cassato la sentenza in relazione allo stesso, rinviando la causa alla Corte d’appello di L’Aquila.

Sul punto, la S.C. ha anzitutto precisato che, anche conformemente alla giurisprudenza di legittimità formatasi sul punto, l’erede-legittimario può provare la simulazione anche per testimoni o presunzioni, purché la domanda sia stata proposta sulla premessa dell’avvenuta lesione della propria quota di legittima.

Erede: prova della simulazione per testi o presunzioni

In questi termini, l’erede, affinché possa provare la simulazione per testi o per presunzioni ai sensi dell’articolo 1417 del c.c., senza soggiacere ai limiti fissati dagli articoli 2721 e 2729 del Codice civile, deve essere individuato come legittimario e deve aver subito una lesione della propria quota di legittima,.

La Suprema Corte ha precisato che il legittimario, al ricorrere delle condizioni sopra rappresentate, deve essere considerato terzo e come tale è ammesso a provare la simulazione di una vendita fatta dal “de cuius” per testimoni e presunzioni, purché, come detto, tale simulazione sia fatta valere per un’esigenza strumentale alla tutela della quota di riserva.

Il Giudice di merito ha pertanto errato, ha riferito la Corte, a non attribuire all’erede la veste di terzo, negando di conseguenza l’ammissibilità della prova anche per presunzione con riferimento alla simulazione relativa compiuta dal defunto.

Legittimario e ammissione prova della simulazione

In definitiva, la Corte ha affermato che il Giudice di merito in sede di rinvio dovrà conformarsi al principio secondo cui “il legittimario è ammesso a provare la simulazione di una vendita anche fatta dal de cuius nella veste di terzo, senza soggiacere ai limiti fissati dagli articoli 2721 e 2729 del Codice civile, a condizione che la simulazione sia fatta valere per un’esigenza coordinata con la tutela della quota di riserva tramite la riunione fittizia. In questo senso il legittimario deve essere considerato terzo anche quando l’accertamento della simulazione sia preordinato solamente all’inclusione del bene, oggetto della donazione dissimulata, nella massa di calcolo della legittima, in conformità a quanto dispone l’art. 553 c.c.”.

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notifica telematica riforma cartabia

La notifica telematica dopo la Riforma Cartabia Il ruolo dell’avvocato nell’attività di notifica telematica degli atti dopo la Riforma Cartabia. L’obbligo di notifica via PEC e il ruolo residuale dell’ufficiale giudiziario

L’obbligo di notifica telematica dopo la Riforma Cartabia

La notifica telematica degli atti giudiziari e stragiudiziali è una modalità di notifica introdotta negli ultimi anni, di pari passo con lo sviluppo del c.d. processo telematico, fino a divenire, con le novità normative introdotte dalla Riforma Cartabia, la principale modalità di notifica degli atti, a scapito delle modalità più tradizionali quali la consegna a mano e la spedizione via posta cartacea.

Particolarmente significativa è l’innovazione normativa in tema di notifica relativa all’aspetto soggettivo: come vedremo tra breve, l’art. 137 c.p.c. individua nella figura dell’avvocato il soggetto principalmente deputato all’attività di notifica, mentre ha perso la sua centralità, a questo riguardo, l’ufficiale giudiziario.

L’avvocato e la notifica a mezzo PEC

Iniziamo col ricordare in cosa consiste la notifica di un atto giudiziario: è quell’attività con la quale si intende portare a conoscenza del destinatario l’atto, con modalità prescritte dalla legge, che, una volta osservate, comportano la c.d. conoscenza legale dell’atto (che è cosa diversa dalla conoscenza effettiva: una volta eseguita la notificazione nei termini prescritti dalla legge, l’atto si intende conosciuto dal destinatario).

Orbene, la legge n. 221 del 2012 ha modificato l’art. 3-bis della l. n. 53 del 1994, prevedendo che anche gli avvocati potessero procedere alla notifica degli atti in materia civile, amministrativa e stragiudiziale, utilizzando la posta elettronica certificata.

Con la recente Riforma Cartabia, attuata con il d.lgs. n. 149 del 2022, si è andati ancora oltre, arrivando, come si diceva, a rendere centrale la figura dell’avvocato nel procedimento di notifica e relegando la notifica tramite ufficiale giudiziario ad evento residuale.

I rapporti tra avvocato e ufficiale giudiziario nell’attività di notifica ex art. 137 c.p.c.

Il nuovo secondo comma dell’art. 137 c.p.c., infatti, affianca espressamente l’avvocato all’ufficiale giudiziario tra i soggetti che eseguono la notificazione.

Ma la vera novità è rappresentata dall’aggiunta degli ultimi due commi. Il sesto pone l’accento sulla figura dell’avvocato, disponendo che questi esegue le notificazioni nei casi e con le modalità previste dalla legge (vedi paragrafo seguente).

Il settimo ed ultimo comma sancisce, invece, il ruolo residuale dell’ufficiale giudiziario, il quale esegue la notificazione su richiesta dell’avvocato, qualora questi non abbia l’obbligo di eseguirla a mezzo PEC o con altra modalità prevista dalla legge, o quando, sussistendo tale obbligo, l’avvocato non dichiari che la notificazione con tali modalità non sia possibile.

Pertanto, il quadro attuale della notifica degli atti è il seguente: è l’avvocato a doverla eseguire, e di regola deve utilizzare la PEC. Quando ciò non sia possibile, l’avvocato può rivolgersi all’ufficiale giudiziario, che provvederà alla consegna a mani o per posta cartacea.

Una precisazione importante è che, nel caso appena descritto, in cui l’avvocato si rivolga all’ufficiale giudiziario perché la notifica via PEC non è andata a buon fine, di tale circostanza deve essere dato atto nella relazione di notificazione (anche detta relata di notifica) dell’ufficiale giudiziario.

Va ricordato anche che, come stabilisce il terzo comma dell’art. 137, se l’atto da notificare è un documento informatico e il destinatario non possiede una casella PEC, l’ufficiale giudiziario consegna una copia cartacea dell’atto, dichiarandola conforme all’originale (viceversa, l’avvocato crea una copia informatica quando l’atto originale da notificare sia cartaceo, attestandone la conformità: v. art. 3-bis l. 53/94, secondo comma).

Le modalità di notifica telematica ex art. 3-bis legge 53/1994

Quanto alle modalità della notifica telematica, la norma cardine è rappresentata dall’art. 3-bis della legge n. 53 del 1994, in base al quale la notifica a mezzo PEC va effettuata necessariamente all’indirizzo risultante da pubblici elenchi, nei confronti dei soggetti (persone fisiche e giuridiche) che siano tenuti ad iscrivervi il proprio recapito telematico o che, pur non essendovi tenuti, abbiano scelto di effettuare tale iscrizione.

La notifica telematica si perfeziona, per il soggetto notificante, nel momento in cui viene generata la ricevuta di accettazione, mentre per il destinatario si perfeziona quando viene generata la ricevuta di avvenuta consegna.

Quanto all’orario della notifica telematica, non vi sono limiti orari per effettuarla, ma è da precisare che l’invio della PEC dopo le ore 21 vale a individuare il perfezionamento della notifica per il destinatario alle ore 7 del giorno successivo.

nuovo processo cognizione

Nuovo processo di cognizione: va rispettato il contraddittorio La Corte Costituzionale si è pronunciata sul nuovo processo ordinario di cognizione introdotto dalla riforma Cartabia

Nuovo processo di cognizione e contraddittorio

Nel nuovo processo ordinario di cognizione, la previsione secondo cui il giudice decide con decreto in ordine alle verifiche preliminari, prima dell’udienza di comparizione, va inteprretata in modo che sia rispettato il principio del contraddittorio. E’ quanto ha affermato la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 96-2024, pronunciandosi sulle questioni di legittimità costituzionale relative all’art. 171-bis cod. proc. civ., introdotto dal d.lgs. n. 149 del 2022 (riforma Cartabia), che prevede, nell’ambito della nuova disciplina del processo ordinario di cognizione, l’emanazione di un decreto di fissazione dell’udienza da parte del giudice, prima del deposito delle memorie illustrative delle parti e della comparizione delle stesse; decreto con cui il giudice, prima dell’udienza stessa e senza sentire le parti, decide in ordine alle “verifiche preliminari”.

Non fondata la qlc

La Corte ha ritenuto, innanzi tutto, non fondata la denunciata violazione della legge di delega (art. 76 Cost.), considerando che le “verifiche preliminari” compiute dal giudice nella fase iniziale della controversia sono riconducibili alla finalità di realizzare la concentrazione processuale nell’ottica della ragionevole durata del processo.

La Consulta ha altresì escluso che vi sia una ingiustificata disciplina differenziata (art. 3 Cost.), nell’ambito delle questioni rilevabili d’ufficio con il decreto di fissazione dell’udienza, tra quelle che il giudice può decidere, già in tale decreto, e quelle che lo stesso giudice si limita a segnalare alle parti stesse affinché possano trattarle già nelle memorie di cui all’art. 171-ter cod. proc. civ.

Quanto alla denunciata violazione dell’art. 24 Cost. – prospettata sotto il profilo dell’attribuzione al giudice del potere di emanare provvedimenti fuori udienza e senza alcun contraddittorio preventivo con le parti – la Corte ha ritenuto non fondata la prospettata questione a condizione che si dia un’interpretazione adeguatrice della disposizione censurata.

L’importanza del contraddittorio

Ribadita la fondamentale importanza del contraddittorio «quale primaria e fondamentale garanzia del giusto processo» che «chiama in causa non solo la dialettica tra le parti nel corso del processo, ma riguarda anche la partecipazione attiva del giudice», il giudice delle leggi ha svolto una serie di considerazioni in chiave di interpretazione adeguatrice della disposizione censurata.

Innanzitutto, il giudice, nell’esercizio del potere direttivo del processo demandato allo stesso in generale dall’art. 175 cod. proc. civ., può fissare un’udienza ad hoc qualora avverta l’esigenza di interloquire con le parti sui provvedimenti da assumere all’esito delle “verifiche preliminari”.

Parimenti, scrive la Corte, “ove il giudice ritenga di adottare direttamente il decreto, la parte che non condivide il provvedimento emesso può richiedere la fissazione di un’udienza per discuterne in contraddittorio, onde evitare una successiva regressione del procedimento. Una tale udienza, se fissata dal giudice, realizza il contraddittorio delle parti prima di quella di comparizione e trattazione della causa. In ogni caso – ha sottolineato la Corte – il decreto di cui all’art. 171-bis cod. proc. civ., senza la fissazione di un’udienza ad hoc, può essere oggetto di discussione all’udienza di comparizione alla presenza delle parti”.

All’esito di tale udienza, i provvedimenti assunti con decreto, una volta vagliate le ragioni delle parti, possono essere confermati, modificati o revocati con ordinanza del giudice.

La Corte ha ulteriormente puntualizzato che, se la parte aveva chiesto, senza esito, la fissazione di un’udienza per interloquire con il giudice sui provvedimenti emanati con il decreto di cui all’art. 171-bis cod. proc. civ., alcuna conseguenza processuale pregiudizievole (quale, in ipotesi, l’estinzione del processo) può essere posta a carico della stessa, ove essa non si sia conformata a tale provvedimento confidando nella possibilità di argomentare le proprie ragioni nel contraddittorio delle parti.

Può esserci, in tal caso, ha concluso la Consulta, un allungamento dei tempi del processo, ma l’esigenza di rapidità non può pregiudicare la completezza del sistema delle garanzie della difesa e comprimere oltre misura il contraddittorio tra le parti, atteso che «un processo non giusto, perché carente sotto il profilo delle garanzie, non è conforme al modello costituzionale, quale che sia la sua durata».

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amministrazione sostegno

Amministrazione di sostegno: il punto della Cassazione La Cassazione ripercorre disciplina e giurisprudenza sull'amministrazione di sostegno e indica i presupposti per la sua applicazione 

Amministrazione di sostegno: la vicenda

Un soggetto propone reclamo nei confronti del decreto del tribunale che, accogliendo le richieste dei fratelli, ha nominato in suo favore un amministratore di sostegno.

La Corte d’Appello accoglie il reclamo perché ritiene non convincente la consulenza psicologica espletata sul soggetto amministrato. Per l’autorità giudiziaria di secondo grado il reclamante ha la capacità di agire. I procedimenti giudiziari di natura civile e penale intrapresi dal reclamante per poter ottenere la liquidazione della sua quota ereditaria, non rappresentano un presupposto sufficiente per la nomina di un amministratore di sostegno. I fratelli, poco convinti della decisione, ricorrono in Cassazione.

Amministratore di sostegno per chi è incapace di gestire i propri interessi

Nel ricorso i fratelli espongono che da tempo sono in contrasto con l’amministrato perché le richieste sull’eredità paterna avanzate in sede civile e penale sono sproporzionate e controproducenti per lo stesso. Il fratello risulta avere infatti esposizioni debitorie con il fisco e con diversi professionisti tanto che lo stesso è esposto a diverse azioni esecutive che intaccano ancora di più le sue disponibilità economiche. Queste le ragioni per le quali hanno ritenuto necessario chiedere la nomina di un amministratore di sostegno. I fratelli contestano la decisione con la quale la Corte di Appello ha disposto la revoca della nomina dell’amministratore di sostegno perché è stata accertata un’infermità e una ridotta capacità di gestire i propri interessi. Denunciano l’inoltre l’omesso esame di fatti decisivi e controversi, che dimostrerebbero l’incapacità del fratello di tutelare la propria persona e i propri averi. I molteplici incarichi professionali conferiti, le successive revoche, le iniziative penali risultate infondate, le aspettative sproporzionate e irragionevoli sull’eredità e i debiti maturati nei confronti degli investigatori privati confermano la diagnosi del C.T.U relativa al deficit cognitivo del fratello.

Amministrazione di sostegno: analisi dell’istituto

Prima di giungere alla decisione finale la Cassazione (n. 14681-2024) ripercorre la legislazione e la giurisprudenza sull’istituto dell’amministrazione di sostegno, esponendo quanto segue.

L’amministrazione di sostegno è un istituto che è stato introdotto dalla legge numero 6/2004 per tutelare i soggetti deboli e per offrire a chi si trova in una condizione di impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi (a causa di una infermità o menomazione fisica non necessariamente di natura mentale), uno strumento di assistenza.

A differenza degli istituti della inabilitazione e della interdizione l’amministrazione di sostegno sacrifica in misura minima la capacità di agire del soggetto, conservandone la libertà decisionale e aiutandolo nel compimento delle attività quotidiane senza sostituire però la loro volontà.

L’amministrazione di sostegno infatti è un istituto che tutela e protegge il beneficiario, ma il suo contenuto è meno afflittivo rispetto all’interdizione. Il beneficiario, per quanto possibile, conserva la sua autonomia e la sua autodeterminazione.

L’istituto non è previsto per coloro che si trovano in una condizione di incapacità di intendere di volere, esso presuppone una condizione “attuale” di capacità menomata, che ponga il soggetto in una condizione di impossibilità di provvedere in modo autonomo, in tutto o in parte, ai propri interessi. L’amministrazione di sostegno non è applicabile ai soggetti che sono pienamente capaci di autodeterminarsi, anche se affetti da una menomazione fisica. L’applicazione dell’istituto comporterebbe infatti una limitazione ingiustificata della capacità di agire soprattutto per i soggetti   pienamente lucidi.

Il giudice di merito, nel valutare la nomina dell’amministratore di sostegno, deve tenere conto, in base ai criteri di proporzionalità e funzionalità, dei seguenti aspetti:

  • attività che deve essere compiuta per conto dell’interessato;
  • gravità e durata della malattia o della situazione di bisogno dell’interessato;
  • circostanze caratterizzanti la fattispecie per assicurare un supporto adeguato alle esigenze del beneficiario senza penalizzarlo.

I punti di forza dell’istituto sono rappresentati dal dinamismo e dalla flessibilità, tanto è vero che l’amministratore di sostegno ha il dovere di riferire periodicamente al giudice tutelare le attività di gestione del patrimonio svolte, ma anche il cambiamento eventuale delle condizioni di salute e di vita personale e sociale dell’amministrato. Il provvedimento che dispone la nomina dell’amministratore di sostegno pertanto è sempre suscettibile di modifiche e adeguamenti.

Come sancito dall’articolo 12 della Convenzione delle Nazioni Unite le caratteristiche dell’amministrazione di sostegno impongono che l’accertamento dei presupposti di legge venga compiuto in maniera specifica, circostanziata e focalizzata rispetto alle condizioni del beneficiario, accertabili anche mediante c.t.u, ma anche rispetto all’incidenza delle stesse sulla capacità del beneficiario di provvedere autonomamente ai propri interessi personali e patrimoniali. I poteri di gestione ordinaria dell’amministrazione di sostegno devono essere delineati e direttamente proporzionati ai suddetti elementi, di modo che risultino funzionali agli obiettivi specifici della tutela, comportando diversamente una limitazione ingiustificata della capacità di agire della persona. Ne consegue che, se il beneficiario affetto da disabilità fisica si opponga all’amministrazione, il giudice deve ne dovrà tenere conto e valutare altresì le soluzioni alternative proposte dallo stesso, se illustrate con specificità e concretezza.

Il decreto di nomina del giudice tutelare deve essere quindi specifico e individualizzato, deve indicare l’oggetto dell’incarico e gli atti che l’amministratore può compiere in nome e per conto del beneficiario e indicare quali sono gli atti che il beneficiario è in grado di compiere da solo.

Tra gli atti per i quali è necessaria l’autorizzazione del giudice tutelare, vi sono quelli di natura giudiziaria previsti dall’articolo 374 c.p.c (fatte salve alcune eccezioni) applicabile anche in caso di interdizione. Occorre chiarire però che l’amministrazione di sostegno si differenzia dall’interdizione perché non produce la perdita della capacità di agire del soggetto, che conserva la capacità di autodeterminarsi. Ai sensi dell’articolo 404 c.p.c infatti la persona sottoposta all’amministrazione di sostegno può essere assistita, ma l’amministratore di sostegno non ha un potere – dovere di sostituire il beneficiario.

Il giudice tutelare nel provvedimento di nomina dell’amministratore di sostegno deve dare delle indicazioni “sartoriali” che possono riguardare sia la salute del soggetto che l’amministrazione del patrimonio del beneficiario, nel rispetto della capacità di auto determinazione del destinatario.

Sul tema delle azioni giudiziarie intraprese da un soggetto ritenuto incapace di provvedere ai propri interessi e quindi bisognoso di un’amministrazione di sostegno, è stato precisato che l’istituto non impedisce al destinatario di promuovere personalmente un giudizio, a meno che tale potere non sia escluso espressamente dal decreto di nomina. Il decreto di nomina non può però contenere un’autorizzazione generale alla promozione di giudizi, l’amministratore di sostegno deve infatti richiedere l’autorizzazione specifica al giudice tutelare.

La decisione della Cassazione

Passando all’esame del caso di specie la Cassazione ritiene che la decisione della Corte d’Appello debba essere cassata. Le azioni intraprese dal beneficiario sono tali da porlo in effetti a rischio di indigenza. Le ravvisate carenze cliniche poste a fondamento della misura avrebbero dovuto condurre a un ulteriore o rinnovato approfondimento di natura tecnico scientifica. La Corte di appello inoltre non ha valutato adeguatamente le condotte del beneficiario. La affermata responsabilità dei professionisti a cui il soggetto si è rivolto spostano il focus del problema. Se la Corte d’Appello avesse considerato l’adeguatezza degli strumenti giudiziari utilizzati per perseguire l’obiettivo desiderato dal beneficiario il quadro di debolezza e di fragilità del beneficiario sarebbe stato ricostruito correttamente. La Corte d’Appello, in sede di rinvio, dovrà valutare l’opportunità di un’amministrazione di sostegno nel rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalità e della situazione specifica del soggetto.

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mutuo ammortamento francese

Mutui: salvo l’ammortamento alla francese Per le sezioni unite della Cassazione, il mutuo con ammortamento “alla francese” soddisfa la trasparenza e la determinatezza dell’oggetto se la Banca allega il piano al contratto

Mutui con ammortamento “alla francese”

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza numero Cass-15340-2024 salvano i mutui “alla francese” ossia quei mutui tradizionali che prevedono rate costanti e una quota di interessi progressivamente decrescente a fronte di un capitale progressivamente crescente. La mancata indicazione sulle modalità di ammortamento e del calcolo degli interessi passivi non determina la nullità di questi contratti di mutuo.

Contratto nullo se non indica modalità di ammortamento e calcolo degli interessi

La vicenda che si conclude con la sentenza a Sezioni Unite ha inizio quando una signora si rivolge al Tribunale per far dichiarare la nullità parziale di un contratto di mutuo ipotecario bancario che la stessa aveva stipulato, ma in relazione al quale non era stata pattuita e indicata la modalità di ammortamento “alla francese” e la modalità di calcolo degli interessi passivi. Chiedeva quindi che la banca venisse condannata a rimborsare i maggiori interessi riscossi indebitamente dalla banca.

Il Tribunale competente dispone il rinvio pregiudiziale alla Cassazione, chiedendo la soluzione della questione di diritto relativa alle conseguenze giuridiche derivanti dall’omessa indicazione, all’interno del contratto di mutuo bancario, del regime di capitalizzazione composto degli interessi debitori a fronte della previsione scritta del tasso annuo nominale e della modalità di ammortamento “alla francese”, ovvero se la mancata ed espressa previsione negoziale di tali condizioni determini la nullità del contratto. Il Tribunale ricorda infatti che, ai sensi dell’articolo 117 comma 4 del Testo Unico Bancario, i contratti bancari di credito devono indicare, a pena di nullità, il tasso di interesse e ogni altro prezzo e condizioni inclusi e gli eventuali e maggiori oneri in caso di mora, con conseguente rideterminazione, in caso di mancata previsione, del piano di ammortamento con applicazione del tasso sostitutivo.

Ammortamento alla francese: il piano soddisfa determinatezza e trasparenza

Nella motivazione della sentenza la Cassazione illustra prima di tutto le caratteristiche tipiche del piano di ammortamento alla francese. Trattasi, nello specifico, di un piano che prevede un rimborso del capitale e degli interessi con pagamento del debito a rate costanti, comprensive di una quota capitale crescente e di una quota interessi decrescente. Il dubbio che gli Ermellini sono chiamati a risolvere riguarda la trasparenza di questo ammortamento e la capitalizzazione composta degli interessi in quanto “l’interesse prodotto in ogni periodo si somma al capitale e produce a sua volta produce interessi”. Un sistema che, per il Tribunale de rinvio, comporta una maggiore onerosità del costo del denaro che il cliente prende a prestito proprio perché si producono interessi su interessi.

Per la Cassazione però “deve escludersi che la mancata indicazione nel contratto di mutuo bancario, a tasso fisso, della modalità di ammortamento c.d. “alla francese” e del regime di capitalizzazione composto degli interessi incida negativamente sui requisiti di determinatezza e determina dell’oggetto del contratto causandone la nullità parziale”.

In relazione poi al contestato difetto di trasparenza la Cassazione ricorda che, se il contratto trasparente è quello che consente di intuire o prevedere il livello di rischio o di spesa e di avere la piena contezza delle condizioni del contratto sottoscritto e comprendere la portata del suo impegno, nel caso di di specie esso non sussiste. L’istituto di credito ha assolto ai propri obblighi informativi allegando il piano di ammortamento al contratto, offrendo così al cliente la possibilità di verificare se l’offerta rispondeva alle sue necessità e alla sua situazione finanziaria e di valutarne la convenienza, previo confronto con altre offerte presenti sul mercato.

Alla luce delle motivazioni suddette la Cassazione enuncia quindi il seguente principio di diritto: “in “in tema di mutuo bancario, a tasso fisso, con rimborso rateale del prestito regolato da un piano di ammortamento alla francese di tipo standardizzato tradizionale, non è causa di nullità parziale del contratto la mancata indicazione della modalità di ammortamento e del regime di capitalizzazione composto degli interessi debitori, per indeterminatezza o indeterminata delloggetto del contratto né per violazione della normativa in tema di trasparenza e delle condizioni contrattuali e dei rapporti tra istituti di credito e i clienti”. 

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danno biologico

Danno biologico Cos’è il danno biologico e in quale modo si provvede al suo risarcimento. Le tabelle dei tribunali e la disciplina prevista dal Codice delle assicurazioni

Cos’è il danno biologico

Per danno biologico si intende il danno non patrimoniale che deriva dalla lesione dell’integrità fisica o psichica che comprometta, anche in modo lieve, il modo di svolgimento delle attività quotidiane del soggetto che l’ha subito ed incida sugli aspetti relazionali della sua vita.

L’importanza del tema del danno biologico deriva dalla frequente ricorrenza delle richieste di risarcimento da esso derivanti, che ricorrono specialmente quando le controversie riguardano danni da sinistri stradali o in cause giudiziali da responsabilità medica.

Lesioni micropermanenti o di lieve entità

La disciplina del risarcimento del danno biologico non è stata sempre univoca, e tuttora occorre fare una serie di distinzioni, a seconda dell’evento da cui origini il danno e dell’entità delle lesioni subite.

A questo riguardo, la principale distinzione da fare in tema di danno biologico è tra lesioni di lieve entità, o micropermanenti, e lesioni di non lieve entità, o macropermanenti.

Altrettanto rilevante è la distinzione tra lesioni durature (o – per l’appunto – permanenti), quindi destinate ad incidere, in qualche modo, per il resto della vita del danneggiato, e lesioni temporanee, i cui effetti invalidanti terminano dopo un determinato lasso di tempo.

Le tabelle di Milano per il calcolo del danno biologico

Gli uffici di diversi tribunali italiani hanno provveduto a stilare delle apposite tabelle sull’invalidità, con valori di entità del danno che vanno da 1 a 100 e in cui ad ogni diverso valore corrisponde un determinato importo da riconoscere quale risarcimento, rapportato anche all’età del danneggiato (e quindi alla sua aspettativa di vita).

Tradizionalmente, le tabelle più utilizzate dai giudici italiani, in questo senso, sono quelle del Tribunale di Milano.

Danno da circolazione stradale: art. 139 codice assicurazioni

Più specificamente, in materia di danni da circolazione stradale, l’art. 139 del Codice delle Assicurazioni Private prevede che, per il risarcimento del danno biologico permanente, venga liquidato, per i postumi pari o inferiori al 9 per cento, un importo crescente, in ragione più che proporzionale, per ogni punto percentuale.

Come si vede, quindi, il limite dei 9 punti percentuali rappresenta il discrimine tra lesioni di lieve entità (micropermanenti) e lesioni di non lieve entità (macropermanenti).

Per le prime, la quantificazione viene periodicamente effettuata con apposito decreto ministeriale, rivalutato ai valori Istat sul costo della vita; per la quantificazione del risarcimento dovuto per le lesioni di non lieve entità, invece, si applicano solitamente le tabelle predisposte dai Tribunali, non essendo mai stato emanato il regolamento prescritto dall’art. 138 del Codice (d.lgs. 209 del 2005).

Il risarcimento del danno da invalidità temporanea

Si è fatto cenno, poc’anzi, al decreto ministeriale con cui vengono individuati gli importi per il risarcimento del danno biologico permanente.

Tale decreto provvede anche alla quantificazione, periodicamente rimodulata, del danno biologico per ogni giorno di invalidità temporanea. Quest’ultima, espressamente contemplata dall’art. 139 del Codice delle Assicurazioni (comma 1, lett. b) può essere totale o parziale, a seconda che impedisca del tutto, o solo in parte, l’esplicazione delle normali attività quotidiane e della vita di relazione del soggetto danneggiato (in gergo giuridico, si utilizzano, al riguardo, gli acronimi ITT – invalidità temporanea totale, e ITP – invalidità temporanea parziale).

Danno biologico e responsabilità medica

Infine, va rilevato che le tabelle danno biologico predisposte dai tribunali (in primis, quelli di Milano e Roma) vengono comunemente applicate anche in tema di responsabilità sanitaria, cioè quando si tratta di risarcire lesioni derivanti da colpa medica.

Per il danno biologico derivante da infortuni sul lavoro e da malattie professionali è previsto, invece, un indennizzo sulla base delle tabelle Inail, che dispongono il risarcimento in forma di rendita per invalidità permanenti a partire dai 16 punti percentuali.