troppe scuole

Troppe scuole: autonomia regionale a rischio La Consulta ha bocciato la legge della regione Sardegna sul mantenimento delle autonomie scolastiche esistenti, in quanto eccessiva rispetto al contingente stabilito dallo Stato

Autonomia scolastica e contingente statale

Troppe scuole mettono a rischio l’autonomia regionale in materia scolastica. La Consulta, infatti, con la sentenza n. 168/2024, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della legge della Regione Sardegna (n. 2/2024) che prevedeva il mantenimento di tutte le autonomie scolastiche esistenti nell’anno 2023-2024.

Pur restando ferma “la competenza delle regioni a definire il tipo e l’ubicazione delle istituzioni scolastiche e a istituire nuovi plessi ovvero ad aggregare quelli esistenti, tenendo anche conto delle peculiari esigenze di ciascun territorio” ha affermato la Corte Costituzionale, alla luce di una sua precedente sentenza (n. 223/2023), è pur vero che la riforma statale (da ultimo con legge 197/2022) “impone alle regioni di rispettare il contingente di dirigenti scolastici e amministrativi determinato tramite decreto ministeriale”.

Troppe scuole, legge bocciata

La Corte ha, pertanto, ritenuto che la legge della Regione Sardegna n. 2 del 2024, “nel porsi l’obiettivo di mantenere tutte le autonomie scolastiche esistenti, dunque a prescindere dal contingente dirigenziale definito dallo Stato, si ponga in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera n), Cost., che attribuisce alla competenza legislativa statale esclusiva la materia «norme generali sull’istruzione»”.

La legge regionale, infatti, per il giudice delle leggi, “viola il principio della necessaria corrispondenza tra dirigenti assegnati alle regioni e istituzioni scolastiche presenti sul territorio. La disposizione impugnata è anche in contrasto con la lettera g) del secondo comma dell’art. 117 Cost., in quanto, come esplicitato dalla sentenza n. 223 del 2023, la determinazione del contingente scolastico riguarda personale inserito nel pubblico impiego statale”.

decreto paesi sicuri

Decreto Paesi sicuri In vigore dal 24 ottobre il decreto legge in materia di procedure per il riconoscimento della protezione internazionale

Decreto Paesi sicuri

Pubblicato in Gazzetta Ufficiale e in vigore dal 24 ottobre 2024, il cd decreto Paesi sicuri, approvato dal Governo il 21 ottobre scorso, che modifica le procedure per il riconoscimento della protezione internazionale.

Il decreto legge n. 158/2024 (pubblicato in GU il 23 ottobre e in vigore dal giorno successivo) detta nuove regole per la sospensione dei provvedimenti impugnati e, analogamente a quanto previsto da altri Paesi europei, aggiorna con atto avente forza di legge l’elenco dei Paesi di origine sicuri.

Paesi di origine sicuri: la lista

Tenuto conto dei criteri di qualificazione stabiliti dalla normativa europea e dei riscontri rinvenuti dalle fonti di informazione fornite dalle organizzazioni internazionali competenti, sono considerati come Paesi di origine sicuri i seguenti: Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d’Avorio, Egitto, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Perù, Senegal, Serbia, Sri Lanka e Tunisia.

L’elenco dei paesi di origine sicuri, dispone il decreto, “è aggiornato periodicamente con atto avente forza di legge ed è notificato alla Commissione europea”.

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giurista risponde

Regolamento edilizio adottato prima del 1967 e violazione del principio di uguaglianza Costituisce violazione del principio di uguaglianza formale e/o sostanziale il regolamento edilizio adottato da un ente locale prima del 1967 che abbia subordinato l’esercizio dello jus aedificandi al rilascio della licenza edilizia anche per l’edificazione al di fuori del centro abitato?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante

 

No, il regolamento edilizio non viola il principio di uguaglianza (Cons. Stato, sez. III, 8 febbraio 2024, n. 1297).

Preliminarmente è opportuno ricordare che l’art. 10 della L. 6 agosto 1967, n. 765 ha introdotto l’obbligo generalizzato della licenza edilizia per tutti gli interventi edilizi eseguiti sul territorio comunale, per il periodo antecedente al 1967 l’art. 31 della L. 17 agosto 1942, n. 1150 prevedeva un siffatto obbligo limitatamente ai centri abitati.

Con riguardo alla vicenda in esame, all’epoca in cui erano stati realizzati gli abusi, il Comune era dotato di un regolamento edilizio e di un programma di fabbricazione, il quale inseriva l’area di specie in zona semintensiva e all’art. 3 prevedeva espressamente il rilascio di apposita licenza edilizia per la costruzione di immobili nel territorio comunale. L’edificio di specie è stato realizzato in forza della licenza edilizia rilasciata nel 1965 e, una volta ultimati i relativi lavori, ha ottenuto il permesso di abitabilità.

I Giudici di Palazzo Spada hanno enunciato che il regolamento edilizio discrezionalmente adottato da un ente locale prima della L. 6 agosto 1967, n. 765 che abbia subordinato l’esercizio dello jus aedificandi al rilascio della licenza edilizia anche per l’edificazione al di fuori del centro abitato non integra la violazione del principio di uguaglianza formale e/o sostanziale sotto il profilo anche della diversità di trattamento a cui sarebbero stati sottoposti in relazione all’esercizio dello jus aedificandi, a seconda che l’edificazione fosse o meno avvenuta in un comune che aveva adottato quel regolamento, intuitivamente diverse essendo le singole realtà locali, con la conseguenza che neppure è immediatamente apprezzabile la violazione del principio di uguaglianza e la connessa diversità di trattamento.

Per quanto attiene al rilascio del certificato di abitabilità, questo non ha alcun effetto sanante rispetto alle opere abusive in quanto la illiceità dell’immobile sotto il profilo urbanistico-edilizio non può essere in alcun modo sanata dal conseguimento del certificato di agibilità che riguarda profili diversi. I due provvedimenti svolgono funzioni differenti e hanno diversi presupposti che ne condizionano il rispettivo rilascio: il certificato di agibilità serve ad accertare che l’immobile è stato realizzato nel rispetto delle norme tecniche in materia di sicurezza, salubrità igiene e risparmio energetico degli edifici e degli impianti, mentre il titolo edilizio attesta la conformità dell’intervento alle norme edilizie ed urbanistiche che disciplinano l’area da esso interessata.

Contributo in tema di “Regolamento edilizio”, a cura di Claudia Buonsante, estratto da Obiettivo Magistrato n. 74 / Maggio 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica

codice appalti

Codice appalti: approvato il correttivo 2024 Codice appalti: il nuovo correttivo approvato in via preliminare interviene su equo compenso e revisione dei prezzi

Codice appalti: ok del governo al correttivo

Il Consiglio dei Ministri nella giornata di lunedì 21 ottobre 2024 ha approvato in via preliminare il testo correttivo del Codice degli appalti pubblici contenuto nel decreto legislativo n. 36/2023.

Le modifiche del correttivo al Codice appalti

Le modifiche hanno riguardato moltissime disposizioni del Codice. Ce ne sono alcune però di maggiore interesse e importanza, che meritano di essere segnalate perché perseguono gli obiettivi di semplificazione e di razionalizzazione segnalati dagli stakeholder e in sede europea.

Fasi dell’affidamento

Il nuovo comma 3 bis dell’articolo 17, dedicato alle fasi delle procedure di affidamento prevede che l’allegato 1.3 indichi il termine massimo intercorrente tra l’approvazione del progetto  la pubblicazione del bando o l’invito a offrire.

Fascicolo virtuale

Le modifiche in materia di digitalizzazione sono finalizzate anche a favorire e snellire la formazione del fascicolo virtuale dell’operatore economico disciplinato dall’art. 24 del dlgs n. 36/2023.

Regole tecniche: cambia l’art. 26

L’AGID di intesa con l’ANAC stabiliscono le “modalità di certificazione dei requisiti tecnici delle piattaforme di approvvigionamento digitale”. Con lo stesso provvedimento vengono individuati anche i requisiti e i titoli necessari alle piattaforme per dimostrare l’adeguatezza dei sistemi di gestione e della sicurezza delle informazioni.

Equo compenso: nuovi meccanismi di garanzia

Si vuole garantire il rispetto dell’equo compenso nei contratti pubblici attraverso due meccanismi:

  • garantire l’80% del corrispettivo nei casi di affidamento diretto;
  • meccanismi di calmierazione del peso dei ribassi per l’equo compenso in presenza di procedure di gara, che possono essere calcolati nella misura del 35% del corrispettivo. Il risultato che si ottiene è simile a quello degli affidamenti diretti.

Gestione informativa digitale delle costruzioni

Il nuovo comma 1 dell’art. 43 stabilisce che dal 1° gennaio 2025 le stazioni appaltanti e gli enti concedenti adottino metodi e strumenti di gestione informativa digitale delle costruzioni per la progettazione e la realizzazione di opere nuove e su costruzioni esistenti con stima parametrica del valore del progetto di importo superiore a 2 milioni di euro e non più per importo a base di gara superiore a 1 milione di euro.

Codice appalti: le tutele per il lavoro

Nel bando di gara è prevista l’applicazione di un unico CCNL. Nuove linee guida per permettere alle stazioni appaltanti di individuare il CCNL applicabile e per calcolare l’equipollenza delle tutele nell’ipotesi in cui si dovesse applicare un contratto diverso.

Codice Appalti: regole nuove per la revisione dei prezzi

Il nuovo articolo 60 al comma 1 dispone che nei documenti di gara delle procedure di affidamento sia obbligatorio indicare le clausole di revisione dei prezzi riferite alle prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto.

Queste clausole non alterano la natura del contratto o dell’accordo quadro. Essi si attivano in aumento o diminuzione del 5% dell’importo complessivo “del contratto e si applicano nella misura dell’80% del valore eccedente la variazione del 5% applicata alle  prestazioni da eseguire.”

Stazioni appaltanti: sistema di qualificazione

Si prevede l’avvio del sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti. Ai sensi del nuovo comma 6 dell’art. 64 le stazioni appaltanti e le centrali di committente possono essere qualificate anche per le sole fasi di progettazione, affidamento lavori o affidamento di servizi e forniture. I requisiti di qualificazione per l’esecuzione sono indicati nel separato allegato II.4.

Collegio consultivo tecnico per prevenire le controversie

Il collegio consultivo tecnico avrà la funzione di prevenire le controversie. Previsti nuovi limiti per costi e facoltà di ricorso ai lodi contrattuali.

 

Leggi anche: Art. 83 comma 8 Codice contratti e contrasto con direttiva 2014/24

piattaforma digitale dati

Piattaforma digitale dati: attivati i certificati per Anac Il Ministero della Giustizia ha attivato i primi servizi per l'Anac. Attualmente due i certificati disponibili, quello del Casellario giudiziale e quello delle Sanzioni Amministrative

Piattaforma Digitale Nazionale Dati

Il Ministero della Giustizia ha attivato negli scorsi mesi i primi servizi tramite la Piattaforma Digitale Nazionale Dati (PDND), destinati all’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC). Questa iniziativa, allineata con il nuovo Codice degli Appalti, rappresenta un passo iniziale verso un futuro più trasparente, rapido ed efficiente per il Fascicolo Virtuale dell’Operatore Economico (FVOE) ed è anche un passo in avanti significativo verso la digitalizzazione dei processi amministrativi e la semplificazione delle procedure che rientra fra le priorità dell’azione di Governo. Lo rende noto via Arenula con un avviso su Gnewsonline.it.

Certificati disponibili

In questa prima fase i servizi chiave messi a disposizione sono rappresentati da due certificati disponibili attraverso la PDND, fondamentali per verificare la legalità e l’affidabilità degli operatori economici:

  1. Certificato del Casellario Giudiziale ex art 28 D.P.R. 313/2002: Una certificazione completa e dettagliata dei precedenti penali di chi partecipa alle gare d’appalto.
  2. Certificato Sanzioni Amministrative ex art 32 D.P.R. 313/2002: Un documento essenziale per verificare l’integrità degli operatori economici sottoposti a verifica, inclusivo delle sanzioni amministrative ricevute.

La fattiva collaborazione tra il Dipartimento per l’innovazione tecnologia della Giustizia ed il personale del Casellario Giudiziale del Dipartimento degli Affari di Giustizia, unitamente al personale ANAC per le attività di competenza, ha reso tali certificati facilmente accessibili, riducendo drasticamente i tempi e i costi delle procedure amministrative.

I prossimi step

L’integrazione tra Ministero della Giustizia e ANAC, resa possibile grazie alla PDND, punta a rinnovare profondamente il modo in cui le informazioni vengono condivise e utilizzate nella gestione degli appalti pubblici.

Questo primo passo è solo l’inizio di un percorso di innovazione della Pubblica Amministrazione in Italia. L’obiettivo, fra le altre cose, è quello di arrivare a consentire ai cittadini di ottenere il casellario giudiziario accedendo online attraverso lo spid, senza doversi recare presso gli uffici giudiziari.

codice degli incentivi

Codice degli incentivi: cosa prevede Il Codice degli incentivi, approvato dal Governo in via preliminare, disciplina l’intero ciclo di vita degli incentivi

Codice degli incentivi in arrivo

Il Consiglio dei Ministri nella giornata di lunedì 21 ottobre 2024 ha approvato, in sede di esame preliminare, il decreto legislativo che, attuando l’articolo 3 commi 1 e 2, lett.b) della legge n. 160/2023, conterrà il Codice degli incentivi. La legge 160/2023 ha infatti delegato il Governo a revisionare il sistema delle agevolazioni previste a favore delle imprese.

Obiettivi del codice

Con l’istituzione del Codice degli incentivi si vogliono perseguire i seguenti obiettivi:

  • contrastare la frammentarietà della normativa al fine di realizzare un sistema più ordinato e organico di norme;
  • rinforzare la collaborazione tra le amministrazioni centrali e quelle locali;
  • risolvere le problematiche connesse alla procedure vigenti.

La realizzazione di questo Codice degli incentivi è sostenuta anche dalla Commissione Europea, che la ritiene una pratica condivisibile a livello europeo.

Cosa prevede il Codice degli incentivi

Il testo di legge, composto da 29 articoli, suddivisi in 5 Capi si occupa di disciplinare il “ciclo di vita dell’incentivo”, dalla programmazione alla valutazione dei risultati raggiunti.

Oggetto e ambito di applicazione

Il Capo I, dedicato alle disposizioni generali, definisce l’oggetto e l’ambito di applicazione del decreto e contiene le definizioni dei termini tecnici utilizzati nel testo. L’articolo 3 precisa poi che il registro RNA (Registro Nazionale degli aiuti di Stato) e la piattaforma incentivi.gov.it rendono disponibili determinati servizi.

Programmazione e coordinamento

Il Capo II si occupa dell’attività di programmazione degli incentivi e del coordinamento istituzionale. Le amministrazioni responsabili devono infatti adottare un programma triennale degli incentivi per programmare gli incentivi di competenza. Il programma deve indicare gli obiettivi strategici, gli incentivi da destinare a tali obiettivi, il cronoprogramma di massima di attuazione e il quadro finanziario.

Per assicurare un adeguato coordinamento tra le politiche statali e regionali di incentivazioni è istituito un Tavolo Permanente degli incentivi.

Attuazione degli incentivi

Il Capo III, dedicato all’attuazione degli incentivi, disciplina i bandi tipo, i criteri per gli affidamenti di attività del ciclo di vita dell’incentivo, gli elementi premiali, i motivi di esclusione, le agevolazioni concedibili, le procedure e le modalità di accesso e di erogazione, le revoche e i controlli.

Valutazione, monitoraggio, informazione e pubblicità degli incentivi

Il Capo IV contiene la disciplina della valutazione degli incentivi, del monitoraggio, della informazione e della pubblicità.

Di estremo interesse l’articolo 21 dedicato alla valutazione. La norma specifica infatti che “le iniziative di sostegno pubblico realizzate attraverso gli incentivi sono assistite da un sistema di valutazione operante lungo il ciclo di vita degli incentivi, comprensivo delle attività di valutazione ex ante, di valutazione in itinere e di valutazione ex post.”

Disposizioni finali

Il Capo V infine contiene le disposizioni transitorie e finali dedicate all’abrogazione di alcune norme e dei testi di legge, alle disposizioni transitorie e di coordinamento e agli aggiornamenti.

L’articolo 28 dedicato alla clausola di invarianza specifica che, dall’attuazione di codice, non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

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opere abusive al comune

Opere abusive al Comune se l’ordine di demolizione non è eseguito entro 90 giorni Acquisizione comunale delle opere costruite abusivamente se l’ordine di demolizione non è stato ottemperato nel 90 giorni dalla notifica 

Acquisizione comunale se ordine di demolizione non è eseguito

Opere abusive al comune se l’ordine di demolizione non viene eseguito entro 90 giorni dalla notifica. Questo quanto emerge dalla sentenza n. 37948/2024 della Corte di Cassazione. Nella motivazione, precisazioni sulle caratteristiche dell’ordine di demolizione e dei suoi rapporti con alcuni provvedimenti amministrativi e giurisdizionali.

Ordine di demolizione eseguito in ritardo: acquisizione comunale

Il Tribunale territoriale revoca l’ordine di demolizione disposto con sentenza del Pretore per opere abusive. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ricorre in Cassazione contro la sentenza. Nell’impugnazione sottolinea lavvenuta acquisizione comunale delle opere a causa del mancato rispetto dellordine di demolizione entro il termine di 90 giorni dalla notifica. Il permesso di costruire in sanatoria rilasciato in relazione alle opere stesse è quindi illegittimo perché rilasciato dopo l’acquisizione comunale.

I fatti e la vicenda processuale

Nel 1997 il Pretore accerta la realizzazione di alcune opere abusive compiute nel gennaio 1995 in violazione di due titoli edilizi del 1994. Alla sentenza segue l’ordinanza sindacale di demolizione. A questa sopravviene un’istanza di condono delle opere, prima della maturazione dei 90 giorni entro i quali ottemperare l’ordine demolitorio.

Nel 1998 interviene il condono edilizio, ma solo per alcune opere. Nel 2001 si accerta che le opere abusive non sono ancora state demolite. Si provvede quindi a notificare al proprietario la distinta ingiunzione di demolire della Procura. Il proprietario nell’aprile del 2001 per alcune opere presenta istanza di sanatoria e a queste segue la concessione edilizia. Viene quindi avviato un procedimento d’annullamento in autotutela della precedente concessione perché la stessa è stata rilasciata dopo i 90 giorni dalla notifica dell’ordinanza del 1994 e dopo l’ingiunzione a demolire o ripristinare.

Mancata ottemperanza dell’ordine di demolizione

La Cassazione accoglie il ricorso del Procuratore e annulla la decisione di revoca dell’ordine di demolizione disposto da oltre vent’anni e mai eseguito. Alla luce dei fatti descritti la Cassazione rileva prima di tutto che nel gennaio 1995 è stato emesso un ordine di demolizione, che non è stato ottemperato. Nel 1998 alcune opere sono state condonate, ma decorsi i 90 giorni dalla notifica dell’ordine di demolizione, il  provvedimento non risulta ancora ottemperato.

Ne consegue la acquisizione di diritto al patrimonio comunale dell’opera perché nonostante il decorso di 90 giorni dalla notifica del provvedimento di demolizione, l’ordine non è stato eseguito. Non rileva ai fini della acquisizione comunale l’ingiunzione a demolire della Procura del 2001.

Ordine di demolizione: profili, natura e finalità

La Cassazione si addentra quindi nell’analisi dell’ordine di demolizione per motivare al meglio la sua decisione.

A tal fine afferma prima di tutto che “l’ordine di demolizione delle opere abusive, emesso con la sentenza passata in giudicato, può essere sospeso solo qualora sia ragionevolmente prevedibile, sulla base di elementi concreti, che in un breve lasso di tempo sia adottato dall’autorità amministrativa o giurisdizionale un provvedimento che si ponga in insanabile contrasto con detto ordine di demolizione.”

Per gli Ermellini è quindi necessario precisare i profili dell’ordine di demolizione, che nel caso di specie è stato revocato e quali sono gli atti di altre autorità che possono venire in contrasto con lo stesso.

L’ordine di demolizione è un provvedimento che viene adottato dal giudice penale quando emette sentenza di condanna per il reato previsto dall’art. 44 del DPR  n. 380/2001, sempre che le opere non siano già state demolite.

Questo provvedimento presuppone quindi la condanna penale per abuso edilizio accertato giudizialmente. L’ordine però non può essere disposto per qualsiasi abuso, ma solo per le opere edilizie costruite in totale difformità del permesso di costruire.

La Cassazione precisa poi che l’ordine di demolizione ha natura sanzionatoria amministrativa. Esso infatti non persegue finalità punitive e produce effetti nei confronti del soggetto che è in rapporto con il bene, anche se non è l’autore dell’abuso.

Esso persegue la finalità di ripristinare la legalità violata. L’ordine infatti persiste anche se interviene la morte del reo. Esso inoltre  è una misura ad rem, che non si prescrive. 

Revocabilità e rapporti con provvedimenti giurisdizionali amministrativi

Questo provvedimento è revocabile solo quando “risulti assolutamente incompatibile con atti amministrativi della competente autorità, che abbiano conferito all’immobile una diversa destinazione o ne abbiano sanato l’abusività.”

Questo tema per la Cassazione impone di esaminare i rapporti tra l’esecuzione dell’ordine di demolizione e le decisioni dell’autorità giurisdizionale amministrativa. In particolare rileva il rapporto tra giudicato penale e amministrativo “nella misura in cui involga, in particolare, il tema della abusività della medesima opera” dal cui esame emerge che: “non ogni tipo di decisione del giudice amministrativo può incidere sull’ordine di demolizione adottato dal giudice penale, con sentenza di condanna irrevocabile. Ma solo quelle che abbiano esaminato li profilo di abusività di un intervento” e non si siano limitate a valutazioni procedurali, come quella che il giudice dell’esecuzione ha valorizzato nel caso di specie, per revocare l’ordine di demolizione.

Quest’ultimo infatti ha preso in considerazione le due pronunce con cui il Tar “in ragione del lungo lasso di tempo intercorso dalla sanatoria all’auto-annullamento della stessa e della assente esplicazione di un interesse pubblico prevalente a base dell’auto-annullamento esercitato dal Comune, ha annullato i provvedimenti di annullamento in autotutela adottati dal Comune in relazione alle opere interessate dal predetto ordine ex art. 31 cit. qui in esame. Si è trattato, infatti, di una decisione estranea ad ogni profilo di merito degli abusi in questione, come tale inidonea a sancire un contrasto che, nei termini finora illustrati, possa giustificare la revoca o sospensione dell’ordine di demolizione ex art. 31 citato.”

Annullamento con rinvio

Si tratta di una decisione che evidentemente non riguarda la sostanza dell’abuso e che trascura la natura ripristinatoria dell’ordine di demolizione, che giustifica l’assenza di un termine di prescrizione.  Da qui la decisione degli Ermellini di annullare l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale per un nuovo giudizio che tenga conto dei principi sanciti.

 

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Allegati

spid obbligatorio

Spid obbligatorio per accedere a siti porno e scommesse Spid obbligatorio dal 2025 per verificare l’età degli utenti che accedono a siti di contenuti pornografici, scommesse o giochi d’azzardo

Dal 2025 Spid obbligatorio per accedere a siti porno e scommesse

Dal 2025 Spid obbligatorio per verificare l’età degli utenti che accedono a siti pornografici, di giochi e di scommesse.

L’Agcom ha infatti  comunicato di aver approvato nel corso della seduta del 24 settembre 2024 uno schema di decreto per accertare la maggiore età di coloro che accedono a determinati contenuti online. Il provvedimento, ancora in bozza, contiene le linee guida per la tutela dei minori in attuazione di alcune disposizione contenute nel decreto Caivano. Si tratta infatti di contenuti potenzialmente dannosi per lo sviluppo psico fisico dei più giovani.

Spid obbligatorio, ma non solo

Il testo predisposto è il frutto della collaborazione di Agcom con diverse associazioni di consumatori, piattaforme e il Garante della Privacy.

Esso stabilisce che i siti di contenuto pornografico, così come quelli dedicati ai giochi d’azzardo e alle scommesse, saranno obbligati a verificare la maggiore età degli utenti che vi faranno accesso.

Per accertare che l’utente abbia compiuto effettivamente la maggiore età si potrà utilizzare lo Spid. Questo sistema di autenticazione però non è l’unico strumento utilizzabile.

Agcom infatti lascia liberi fornitori di scegliere il sistema di verifica dell’età degli utenti. Alcuni potrebbero utilizzare il futuro l’IT Wallet, altri la Carta di identità elettronica, già impiegata per accedere a molti servizi della Pubblica Amministrazione.

Il metodo utilizzato, qualunque esso sia, dovrà rispettare però la privacy e la sicurezza dell’utente.

E’ anche possibile che i fornitori sviluppino metodi propri come applicazioni o altro. L’importante, anche in questo caso, è che vengano rispettate le regole fissate da Agcom e dal Garante della Privacy.

Tutela del minore: Digital service Act

Il provvedimento, che deve essere ancora sottoposto al vaglio della Commissione Europea, attua in sostanza anche quanto previsto dal Digital Service Art ossia il Regolamento UE 2022/2065.

L’art 28 dedicato alla protezione online dei minori, dispone che i fornitori di piattaforme online a cui possono accedere i minori debbano adottare misure adeguate e proporzionate per tutelare la loro vita privata e la loro sicurezza. I fornitori non devono presentare nell’interfaccia pubblicità basate sulla profilazione, se sono consapevoli che l’utente destinatario del servizio è un minorenne.

L’articolo 35 invece, sull’attenuazione dei rischi, prevede che i fornitori di piattaforme online di grandi dimensioni debbano adottare misure di attenuazione dei rischi ragionevoli, efficaci e proporzionate, che devono comprendere, se opportuno “j) l’adozione di misure mirate per tutelare i diritti dei minori, compresi strumenti di verifica dell’età e di controllo parentale, o strumenti volti ad aiutare i minori a segnalare abusi o ottenere sostegno, a seconda dei casi.” 

Il Regolamento però tutela i minori anche nei considerando che fanno da premessa agli articoli.

Nel considerando n. 12 del Regolamento, ad esempio, tra le attività illegali che si possono compiere online compaiono anche  “la condivisione di immagini che ritraggono abusi sessuali su minori.”

Nel considerando n. 40 invece i minori sono tra i destinatari degli obiettivi di sicurezza e fiducia degli destinatari del servizio.

Si tratta di specificazioni del considerando n. 71 che tratta il tema specifico della tutela dei minori, precisando che: “I fornitori di piattaforme online utilizzate dai minori dovrebbero adottare misure adeguate e proporzionate per proteggere i minori, ad esempio progettando le loro interfacce online o parti di esse con il massimo livello di privacy, sicurezza e protezione dei minori per impostazione predefinita, a seconda dei casi, o adottando norme per la protezione dei minori, o aderendo a codici di condotta per la protezione dei minori.”

 

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Monopattini elettrici: no all’obbligo del casco Il Consiglio di Stato ricorda che la sicurezza è di potestà esclusiva dello Stato e non esiste una norma nazionale che impone l'adozione di caschi protettivi per i monopattini elettrici

Monopattini elettrici e obbligo del casco

Monopattini elettrici, nessun obbligo di indossare il casco. La sicurezza stradale è di potestà esclusiva dello Stato e non esiste una norma nazionale che impone il casco protettivo per i monopattini. E’ questo il principio affermato dal Consiglio di Stato, con la sentenza n. 8079/2024, il quale pur dando atto “dell’alto e nobile intento di evitare incidenti stradali” ha rigettato l’appello del Comune di Firenze avverso la sentenza del Tar che aveva annullato l’ordinanza che imponeva l’obbligo di indossare il casco.

La vicenda

Nella vicenda, infatti, con ordinanza, il sindaco di Firenze introduceva l’obbligo per i conducenti maggiorenni di “”monopattini a propulsione prevalentemente elettrica… di indossare idoneo casco protettivo”. L’ordinanza ha individuato la giustificazione normativa nelle previsioni di cui agli artt. 6, 4° comma e 7, 1° comma del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (che sostanzialmente attribuiscono, all’Ente proprietario della strada ed all’Amministrazione comunale, la possibilità di prevedere prescrizioni e limitazioni della circolazione), oltre che nella previsione di cui all’art 4, 3° comma, d.m. Infrastrutture e Trasporti 4 giugno 2019 (Sperimentazione della circolazione su strada di dispositivi per la micromobilità elettrica).

Decidendo due ricorsi proposti da due società, Il TAR Firenze ha annullato detta ordinanza, rilevando l’incompetenza del Sindaco in materia. Il comune presentava appello dunque al Consiglio di Stato.

La decisione

Per palazzo Spada, “è evidente il difetto di potere da parte dell’organo emanante, dovendo l’alto e nobile intento di evitare incidenti stradali coordinarsi con la normativa statale (e segnatamente: il codice della strada) in tema di circolazione stradale; normativa che non assegna in alcun modo ai comuni il potere di imporre l’adozione di caschi protettivi in sede di utilizzo di monopattini (o qualsiasi mezzo a due ruote) sul territorio comunale”.

“La qual cosa è tanto più vera – aggiunge il Consiglio di Stato – se si considera che quella della ‘sicurezza’ (tra i quali rientra anche quella stradale) è una materia devoluta alla potestà legislativa esclusiva dello Stato (art. 117 co. 2 lett. h) Cost.), che la esercita pertanto con l’adozione di norme valevoli su tutto il territorio nazionale, e che per tale ragione non può essere delegata alle Regioni e agli altri enti territoriali, pena la frammentazione, su base locale, di un tessuto di regole che deve invece rimanere unitario”.

Per tali ragioni, l’impugnata sentenza deve ritenersi immune dalle lamentate censure, in quanto conseguenza della corretta applicazione dei succitati criteri di riparto di competenze – quoad circolationem – tra lo Stato e gli enti locali.

Pertanto, l’appello è infondato e va rigettato.

referendum autonomia differenziata

Referendum autonomia differenziata Referendum autonomia differenziata: la raccolta firme, il quesito, le ragioni dell'iniziativa e i tempi della procedura

Referendum sull’autonomia differenziata

Il 20 e il 21 luglio 2024 è iniziata la campagna per la raccolta delle firme del referendum abrogativo della legge sulla autonomia differenziata n. 86/2024. Il referendum è stato promosso da un comitato referendario variegato. In esso si sono riunite diverse forse sociali, politiche e associative. Le firme necessarie per sostenete l’iniziativa erano 500.000, ma il risultato è stato raggiunto ampiamente grazie all’istituzione della piattaforma gratuita e pubblica dedicata.

Ragioni del referendum

Le ragioni della proposta di referendum contro l’autonomia differenziata dei rinvenirsi nell’approvazione della legge sulla autonomia differenziata n. 86/2024. Questa legge, proposta dal Ministro Calderoli, è considerata da molti un vero e proprio attacco ai principi della Costituzione. La previsione di livelli differenziati di autonomia tra regioni mette in pericolo l’unità e provoca danni al Nord Italia e al Sud Italia dal punto di vista economico, ambientale, sanitario, scolastico e lavorativo.

Le altre iniziative referendarie

La legge sull’autonomia differenziata è contestata anche a livello regionale. In Trentino ad esempio sono state avviate iniziative di sensibilizzazione dell’elettorato che andrà a votare. In Emilia Romagna invece sono stati votati due quesiti referendari. La regione Toscana ha invece fatto ricorso alla Corte Costituzionale per chiedere che la legge n. 86/2024 venga dichiarata incostituzionale. La regione Campania ha seguito l’esempio della Toscana, così come la Puglia.

Sulle questioni di legittimità costituzionale delle Regioni leggi “Autonomia differenziata: la Consulta ha fissato l’udienza

Legambiente dice no alla legge e promuove il referendum abrogativo. L’autonomia differenziata creerebbe divari territoriali anche in tema di accesso alle risorse naturali. Dello stesso avviso il WWF. La materia ambientale rientra infatti tra quelle che si prestano meno di altre a una frammentazione.

Il quesito referendario

Il quesito del referendum sull’autonomia differenziata è semplice e diretto: “Volete voi che sia abrogata la legge 26 giugno 2024, n. 86, “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione”?

Criticità della legge n. 86/2024

Diversi costituzionalisti hanno preso posizione sulla legge del Ministro Calderoni. L’appello è presente sul sito dedicato referendumautunomiadifferenziata.com.

Nell’appello i costituzionalisti esaminano la legge n. 86/2024 e la  confrontano con le norme della Costituzione dedicate all’autonomia regionale: articoli 116 e 117.

Effettuata la disamina i costituzionalisti giungono alla conclusione che la realizzazione dell’autonomia differenziata sacrificherebbe l’uguaglianza e l’uniformità dei diritti fondamentali dei cittadini italiani. Tutto questo si pone in contrasto con la necessità di creare  forme di autonomie più efficienti e capaci di soddisfare le esigenze reali dei cittadini.

Referendum autonomia differenziata: i tempi

La legge n. 352/1970, che disciplina i referendum previsti dalla Costituzione detta anche i tempi del procedimento.

Conclusa la raccolta delle firme è necessario procedere al deposito dei fogli che contengono le firme presso la cancelleria della Corte di Cassazione. Questo adempimento deve essere rispettato nel termine di 3 mesi, che decorrono dalla data di apposizione del timbro sui fogli stessi da parte di almeno tre dei promotori.

L’ufficio centrale della Cassazione esamina alla richiesta referendaria ed entro il 31 ottobre emette un’ordinanza. In presenza di irregolarità, l’ufficio notifica il provvedimento per consentire la presentazione di memorie o procedere alla sanatoria.

Entro il 15 dicembre l’ufficio decide in via definitiva sulla legittimità della richiesta con ordinanza. Il provvedimento è comunicato poi al Presidente della Corte Costituzionale.

Entro il 20 gennaio dell’anno successivo a quello dell’ordinanza predetta, il Presidente fissa il giorno per la deliberazione in camera di consiglio e nomina il relatore.

La Corte Costituzionale decide con sentenza, che deve essere pubblicata entro il 10 febbraio e in cui specifica quali richieste sono ammesse e quali invece sono respinte.

La sentenza viene poi comunicata “al Presidente della Repubblica, ai Presidenti delle due Camere, al Presidente del Consiglio dei Ministri, all’Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione, nonché ai delegati o ai presentatori, entro cinque giorni dalla pubblicazione della sentenza stessa. Entro lo stesso termine il dispositivo della sentenza è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica.”

A questo punto il Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, fissa la data di convocazione degli elettori in una domenica che deve essere compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno.

 

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