demolizione ricostruzione

Demolizione, ricostruzione e nuova opera: il Tar fa chiarezza Demolizione, ricostruzione e nuova opera si distinguono per l’entità delle modifiche apportate rispetto all’edificio preesistente demolito

Demolizione, ricostruzione e nuova opera

La ricostruzione dopo la demolizione si distingue dalla nuova opera in ragione dell’entità delle modifiche apportate. Si ha ricostruzione quando i volumi, l’altezza e la sagoma non subiscono variazione, si ha nuova opera, assoggettabile quindi alle regole della attività corrispondente, quando gli interventi vanno a modificare la sagoma, i volumi e le superfici. Il TAR delle Marche lo chiarisce nella sentenza n. 809/2024.

Contributo di costruzione se è nuova opera

Una S.R.L agisce nei confronti di un Comune per chiedere l’annullamento di una determina. Il provvedimento le richiede il pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di “costruzione” relativo a un permesso di costruire in sanatoria per la demolizione e ricostruzione di due fabbricati con cambio di destinazione d’uso. Le opere in effetti hanno dato vita a una nuova costruzione.

Durante i lavori di ristrutturazione da parte della società gli agenti della polizia municipale accertano infatti la difformità delle opere rispetto al permesso di costruire. Essi rilevano la quasi integrale demolizione del fabbricato B, atteso che ne sono rimasti conservati tronconi di muratura in misura non significativa rispetto alla sagoma originaria dell’edificio originario e tra l’altro non incluse nella nuova struttura ricostruita, contravvenendo alla prescrizione contenuta nel titolo rilasciato che ne prevedeva la conservazione al fine di ricondurre l’intervento proposto nell’ambito della ristrutturazione edilizia”.

Il tutto si è verificato in violazione dei limiti del titolo abilitativo e previsti per salvaguardare alcune porzioni di uno dei fabbricati.

Ricostruzione e nuova opera: differenze

Ai fini del decidere il TAR distingue lintervento di demolizione con successiva ricostruzione da quello con cui si realizza una nuova costruzione. A questo proposito lo stesso chiarisce che, dopo una demolizione, la distinzione tra ricostruzione e nuova costruzione si basa in particolare sul grado di variazione rispetto all’opera precedente.

Si parla quindi di ricostruzione quando l’intervento non  modifica il volume, la sagoma e l’altezza della costruzione precedente. L’edificio conserva in sostanza le caratteristiche fondamentali dell’edificio demolito.

Si realizza al contrario una nuova opera quando l’edificio viene demolito e al suo posto viene edificato un edificio nuovo e diverso, anche se parzialmente, rispetto a quello originario.

Il TAR ricorda che: Per costante giurisprudenza, non può essere ricompresa tra gli interventi di manutenzione straordinaria assoggettati a concessione gratuita una ristrutturazione c.d. pesante, se non addirittura una nuova costruzione, realizzata con la demolizione dell’edificio preesistente e l’edificazione di un organismo edilizio nuovo e diverso, almeno in parte, da quello originario; ne consegue che in questo caso il rilascio della concessione in sanatoria è correttamente sottoposto al pagamento dell’oblazione in misura pari al doppio del contributo di costruzione.”

 

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soccorso istruttorio

Soccorso istruttorio L’istituto del soccorso istruttorio dentro e fuori l’ambito delle gare d’appalto: obiettivi, presupposti e modalità di applicazione

Cos’è un soccorso istruttorio?

Il soccorso istruttorio è un istituto previsto dal nuovo Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 36/2003, art. 101) e, in via generale, dalla legge sul procedimento amministrativo (L. 241/1990, art. 6 comma 1 lett. b), che impone all’ente pubblico che si rapporta col soggetto privato di richiedere a quest’ultimo rettifiche, integrazioni o chiarimenti in relazione alla documentazione precedentemente prodotta.

L’istituto del soccorso istruttorio, come detto, nasce nell’ambito dei contratti pubblici (era già previsto dal vecchio Codice appalti, D.Lgs. 50/2016, art. 83), dove riceve una dettagliata disciplina, ma, anche grazie alla giurisprudenza, trova ormai pacifica applicazione nell’intero settore amministrativo, sia per le procedure comparative, come selezioni e concorsi, sia – e a maggior ragione – in quelle non comparative.

Quando è possibile il soccorso istruttorio?

Prima di esaminare la disciplina normativa del soccorso istruttorio, è opportuno chiarire che l’obiettivo perseguito dal legislatore attraverso tale istituto è quello di salvaguardare la partecipazione a una gara da parte del soggetto privato (o la validità di una sua istanza, al di fuori di procedure comparative) anche quando la documentazione da questi prodotta sia incompleta o non del tutto chiara o corretta.

Ovviamente, un simile scopo può scontrarsi, nell’ambito di procedure comparative come gare d’appalto o concorsi, con l’esigenza di assicurare la par condicio tra i vari partecipanti, ed è proprio per questo che il soccorso istruttorio incontra precisi limiti che ne subordinano l’applicabilità al ricorrere di determinate condizioni.

In ogni caso, è evidente che la possibilità di operare rettifiche e integrazioni che non incidano sulla sostanza della posizione del soggetto privato, mira ad assicurare una maggiore efficienza dell’azione amministrativa, evitando che candidati e partecipanti meritevoli vengano esclusi per mere irregolarità formali.

Soccorso istruttorio integrativo e chiarimenti nel Codice Appalti

Analizzando la disciplina del dettaglio, vediamo come, a norma dell’art. 101 del Codice dei contratti pubblici, “la stazione appaltante assegna un termine non inferiore a cinque giorni e non superiore a dieci giorni” al privato per integrare la documentazione, sanare eventuali irregolarità, chiedere chiarimenti o operare rettifiche.

Il dato che viene in rilievo, quindi, è innanzitutto la previsione di un termine entro cui il partecipante alla gara ha l’opportunità di sanare le irregolarità della propria domanda, a pena di esclusione dalla procedura di gara (art. 101, comma 2).

Inoltre, le correzioni o integrazioni non possono modificare la sostanza della domanda, ma soltanto alcuni aspetti formali, come vedremo di seguito.

Quali documenti possono essere sanati tramite soccorso istruttorio?

In particolare, l’integrazione documentale e l’attività sanante di omissioni, inesattezze e irregolarità di cui all’articolo citato non possono concernere la documentazione che compone l’offerta tecnica e l’offerta economica, che rappresentano, per l’appunto, la parte sostanziale della domanda di partecipazione.

Per quanto riguarda i chiarimenti, invece, il comma terzo dispone che essi possono “sempre” essere richiesti dalla stazione appaltante con riguardo ai contenuti dell’offerta tecnica e dell’offerta economica, ma, qualora resi, essi non possono in alcun modo modificarne il contenuto.

Infine, il comma quarto dell’art. 101 Codice contratti pubblici prevede la possibilità, per l’operatore economico partecipante alla gara pubblica, di richiedere la rettifica di un errore materiale contenuto nell’offerta tecnica o nell’offerta economica di cui si sia avveduto dopo la scadenza del termine per la loro presentazione, sempre a patto che non ne venga modificata la sostanza.

Il soccorso istruttorio nella legge sul procedimento amministrativo

Quanto, infine, al soccorso istruttorio nel più generale ambito amministrativo, e quindi non solo in tema di appalti, esso trova disciplina, come detto, nella legge 241/90, che legittima il responsabile del procedimento a chiedere al privato la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete e, all’uopo, ad ordinare la produzione di documenti.

A tal riguardo, giova ricordare che la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di chiarire che il soccorso istruttorio è applicabile nell’ambito di concorsi e selezioni pubbliche, proprio nell’ottica di evitare l’esclusione di candidati potenzialmente validi per mere irregolarità formali (v. la recente sentenza n. 15436/2024 del Tar Lazio); e che il soccorso istruttorio va adottato, a maggior ragione, nei casi in cui risulti irrilevante l’esigenza di parità di trattamento, come ad esempio nei procedimenti in cui il privato può ottenere benefici a prescindere da una comparazione della sua posizione con quella di altri soggetti (ad esempio, il riconoscimento di contributi economici subordinati alla mera sussistenza di determinati requisiti).

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giurista risponde

Potere di autotutela e denuncia di inizio attività (DIA/SCIA) È consentito il differimento del termine per l’esercizio del potere di autotutela in caso di inerzia dell’amministrazione nell’esaminare gli atti del procedimento?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante

 

Il differimento del termine per l’esercizio del potere di autotutela in relaziona a una denuncia di inizio attività è consentito nei casi in cui il soggetto richiedente ha rappresentato uno stato preesistente diverso da quello reale (Cons. Stato, sez. VI, 23 luglio 2024, n. 6636).

Preliminarmente è opportuno ricordare che il differimento del termine iniziale per l’esercizio del potere di autotutela, ai sensi dell’art. 21nonies della L. 241/1990, deve essere determinato dalla impossibilità per l’amministrazione, a causa del comportamento dell’istante, di svolgere un compiuto accertamento sulla spettanza del bene della vita nell’ambito della fase istruttoria del procedimento di primo grado. Viceversa, nel caso in cui l’amministrazione sia nelle condizioni di conoscere lo stato dei luoghi e la conformità documentale, l’inerzia nell’esaminare gli atti, come nella DIA, si rivela del tutto ingiustificata.

Il superamento del limite temporale per l’esercizio del potere di autotutela in relazione a una denuncia di inizio attività è, dunque, consentito nei casi in cui il soggetto richiedente ha rappresentato uno stato preesistente diverso da quello reale, con conseguente impossibilità per la P.A. di conoscere fatti e circostanze rilevanti, imputabile al soggetto che ha beneficiato del rilascio del titolo, non potendo la negligenza dell’amministrazione procedente tradursi in un vantaggio per la stessa. Pertanto, il dies a quo di decorrenza del termine per l’esercizio dell’autotutela deve essere individuato nel momento della scoperta, da parte dell’amministrazione, dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell’atto di ritiro.

Con riguardo alla vicenda in esame la Sezione ha riscontrato l’esercizio del potere di autotutela dopo oltre sei anni dalla presentazione della denuncia di inizio attività e pertanto tale tempo si configura come non ragionevole rispetto ai limiti posti all’esercizio dello ius poenitendi tratteggiato dalla disciplina dell’autotutela e rispetto alla posizione di affidamento del soggetto destinatario dell’atto di ritiro, in ragione del lungo tempo trascorso dall’adozione della DIA annullata.

(*Contributo in tema di “Potere di autotutela e denunzia di inizio attività (DIA/SCIA)”, a cura di Claudia Buonsante, estratto da Obiettivo Magistrato n. 78 / Ottobre 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

troppe scuole

Troppe scuole: autonomia regionale a rischio La Consulta ha bocciato la legge della regione Sardegna sul mantenimento delle autonomie scolastiche esistenti, in quanto eccessiva rispetto al contingente stabilito dallo Stato

Autonomia scolastica e contingente statale

Troppe scuole mettono a rischio l’autonomia regionale in materia scolastica. La Consulta, infatti, con la sentenza n. 168/2024, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della legge della Regione Sardegna (n. 2/2024) che prevedeva il mantenimento di tutte le autonomie scolastiche esistenti nell’anno 2023-2024.

Pur restando ferma “la competenza delle regioni a definire il tipo e l’ubicazione delle istituzioni scolastiche e a istituire nuovi plessi ovvero ad aggregare quelli esistenti, tenendo anche conto delle peculiari esigenze di ciascun territorio” ha affermato la Corte Costituzionale, alla luce di una sua precedente sentenza (n. 223/2023), è pur vero che la riforma statale (da ultimo con legge 197/2022) “impone alle regioni di rispettare il contingente di dirigenti scolastici e amministrativi determinato tramite decreto ministeriale”.

Troppe scuole, legge bocciata

La Corte ha, pertanto, ritenuto che la legge della Regione Sardegna n. 2 del 2024, “nel porsi l’obiettivo di mantenere tutte le autonomie scolastiche esistenti, dunque a prescindere dal contingente dirigenziale definito dallo Stato, si ponga in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera n), Cost., che attribuisce alla competenza legislativa statale esclusiva la materia «norme generali sull’istruzione»”.

La legge regionale, infatti, per il giudice delle leggi, “viola il principio della necessaria corrispondenza tra dirigenti assegnati alle regioni e istituzioni scolastiche presenti sul territorio. La disposizione impugnata è anche in contrasto con la lettera g) del secondo comma dell’art. 117 Cost., in quanto, come esplicitato dalla sentenza n. 223 del 2023, la determinazione del contingente scolastico riguarda personale inserito nel pubblico impiego statale”.

decreto paesi sicuri

Decreto Paesi sicuri In vigore dal 24 ottobre il decreto legge in materia di procedure per il riconoscimento della protezione internazionale

Decreto Paesi sicuri

Pubblicato in Gazzetta Ufficiale e in vigore dal 24 ottobre 2024, il cd decreto Paesi sicuri, approvato dal Governo il 21 ottobre scorso, che modifica le procedure per il riconoscimento della protezione internazionale.

Il decreto legge n. 158/2024 (pubblicato in GU il 23 ottobre e in vigore dal giorno successivo) detta nuove regole per la sospensione dei provvedimenti impugnati e, analogamente a quanto previsto da altri Paesi europei, aggiorna con atto avente forza di legge l’elenco dei Paesi di origine sicuri.

Paesi di origine sicuri: la lista

Tenuto conto dei criteri di qualificazione stabiliti dalla normativa europea e dei riscontri rinvenuti dalle fonti di informazione fornite dalle organizzazioni internazionali competenti, sono considerati come Paesi di origine sicuri i seguenti: Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d’Avorio, Egitto, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Perù, Senegal, Serbia, Sri Lanka e Tunisia.

L’elenco dei paesi di origine sicuri, dispone il decreto, “è aggiornato periodicamente con atto avente forza di legge ed è notificato alla Commissione europea”.

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giurista risponde

Regolamento edilizio adottato prima del 1967 e violazione del principio di uguaglianza Costituisce violazione del principio di uguaglianza formale e/o sostanziale il regolamento edilizio adottato da un ente locale prima del 1967 che abbia subordinato l’esercizio dello jus aedificandi al rilascio della licenza edilizia anche per l’edificazione al di fuori del centro abitato?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante

 

No, il regolamento edilizio non viola il principio di uguaglianza (Cons. Stato, sez. III, 8 febbraio 2024, n. 1297).

Preliminarmente è opportuno ricordare che l’art. 10 della L. 6 agosto 1967, n. 765 ha introdotto l’obbligo generalizzato della licenza edilizia per tutti gli interventi edilizi eseguiti sul territorio comunale, per il periodo antecedente al 1967 l’art. 31 della L. 17 agosto 1942, n. 1150 prevedeva un siffatto obbligo limitatamente ai centri abitati.

Con riguardo alla vicenda in esame, all’epoca in cui erano stati realizzati gli abusi, il Comune era dotato di un regolamento edilizio e di un programma di fabbricazione, il quale inseriva l’area di specie in zona semintensiva e all’art. 3 prevedeva espressamente il rilascio di apposita licenza edilizia per la costruzione di immobili nel territorio comunale. L’edificio di specie è stato realizzato in forza della licenza edilizia rilasciata nel 1965 e, una volta ultimati i relativi lavori, ha ottenuto il permesso di abitabilità.

I Giudici di Palazzo Spada hanno enunciato che il regolamento edilizio discrezionalmente adottato da un ente locale prima della L. 6 agosto 1967, n. 765 che abbia subordinato l’esercizio dello jus aedificandi al rilascio della licenza edilizia anche per l’edificazione al di fuori del centro abitato non integra la violazione del principio di uguaglianza formale e/o sostanziale sotto il profilo anche della diversità di trattamento a cui sarebbero stati sottoposti in relazione all’esercizio dello jus aedificandi, a seconda che l’edificazione fosse o meno avvenuta in un comune che aveva adottato quel regolamento, intuitivamente diverse essendo le singole realtà locali, con la conseguenza che neppure è immediatamente apprezzabile la violazione del principio di uguaglianza e la connessa diversità di trattamento.

Per quanto attiene al rilascio del certificato di abitabilità, questo non ha alcun effetto sanante rispetto alle opere abusive in quanto la illiceità dell’immobile sotto il profilo urbanistico-edilizio non può essere in alcun modo sanata dal conseguimento del certificato di agibilità che riguarda profili diversi. I due provvedimenti svolgono funzioni differenti e hanno diversi presupposti che ne condizionano il rispettivo rilascio: il certificato di agibilità serve ad accertare che l’immobile è stato realizzato nel rispetto delle norme tecniche in materia di sicurezza, salubrità igiene e risparmio energetico degli edifici e degli impianti, mentre il titolo edilizio attesta la conformità dell’intervento alle norme edilizie ed urbanistiche che disciplinano l’area da esso interessata.

Contributo in tema di “Regolamento edilizio”, a cura di Claudia Buonsante, estratto da Obiettivo Magistrato n. 74 / Maggio 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica

piattaforma digitale dati

Piattaforma digitale dati: attivati i certificati per Anac Il Ministero della Giustizia ha attivato i primi servizi per l'Anac. Attualmente due i certificati disponibili, quello del Casellario giudiziale e quello delle Sanzioni Amministrative

Piattaforma Digitale Nazionale Dati

Il Ministero della Giustizia ha attivato negli scorsi mesi i primi servizi tramite la Piattaforma Digitale Nazionale Dati (PDND), destinati all’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC). Questa iniziativa, allineata con il nuovo Codice degli Appalti, rappresenta un passo iniziale verso un futuro più trasparente, rapido ed efficiente per il Fascicolo Virtuale dell’Operatore Economico (FVOE) ed è anche un passo in avanti significativo verso la digitalizzazione dei processi amministrativi e la semplificazione delle procedure che rientra fra le priorità dell’azione di Governo. Lo rende noto via Arenula con un avviso su Gnewsonline.it.

Certificati disponibili

In questa prima fase i servizi chiave messi a disposizione sono rappresentati da due certificati disponibili attraverso la PDND, fondamentali per verificare la legalità e l’affidabilità degli operatori economici:

  1. Certificato del Casellario Giudiziale ex art 28 D.P.R. 313/2002: Una certificazione completa e dettagliata dei precedenti penali di chi partecipa alle gare d’appalto.
  2. Certificato Sanzioni Amministrative ex art 32 D.P.R. 313/2002: Un documento essenziale per verificare l’integrità degli operatori economici sottoposti a verifica, inclusivo delle sanzioni amministrative ricevute.

La fattiva collaborazione tra il Dipartimento per l’innovazione tecnologia della Giustizia ed il personale del Casellario Giudiziale del Dipartimento degli Affari di Giustizia, unitamente al personale ANAC per le attività di competenza, ha reso tali certificati facilmente accessibili, riducendo drasticamente i tempi e i costi delle procedure amministrative.

I prossimi step

L’integrazione tra Ministero della Giustizia e ANAC, resa possibile grazie alla PDND, punta a rinnovare profondamente il modo in cui le informazioni vengono condivise e utilizzate nella gestione degli appalti pubblici.

Questo primo passo è solo l’inizio di un percorso di innovazione della Pubblica Amministrazione in Italia. L’obiettivo, fra le altre cose, è quello di arrivare a consentire ai cittadini di ottenere il casellario giudiziario accedendo online attraverso lo spid, senza doversi recare presso gli uffici giudiziari.

codice degli incentivi

Codice degli incentivi: cosa prevede Il Codice degli incentivi, approvato dal Governo in via preliminare, disciplina l’intero ciclo di vita degli incentivi

Codice degli incentivi in arrivo

Il Consiglio dei Ministri nella giornata di lunedì 21 ottobre 2024 ha approvato, in sede di esame preliminare, il decreto legislativo che, attuando l’articolo 3 commi 1 e 2, lett.b) della legge n. 160/2023, conterrà il Codice degli incentivi. La legge 160/2023 ha infatti delegato il Governo a revisionare il sistema delle agevolazioni previste a favore delle imprese.

Obiettivi del codice

Con l’istituzione del Codice degli incentivi si vogliono perseguire i seguenti obiettivi:

  • contrastare la frammentarietà della normativa al fine di realizzare un sistema più ordinato e organico di norme;
  • rinforzare la collaborazione tra le amministrazioni centrali e quelle locali;
  • risolvere le problematiche connesse alla procedure vigenti.

La realizzazione di questo Codice degli incentivi è sostenuta anche dalla Commissione Europea, che la ritiene una pratica condivisibile a livello europeo.

Cosa prevede il Codice degli incentivi

Il testo di legge, composto da 29 articoli, suddivisi in 5 Capi si occupa di disciplinare il “ciclo di vita dell’incentivo”, dalla programmazione alla valutazione dei risultati raggiunti.

Oggetto e ambito di applicazione

Il Capo I, dedicato alle disposizioni generali, definisce l’oggetto e l’ambito di applicazione del decreto e contiene le definizioni dei termini tecnici utilizzati nel testo. L’articolo 3 precisa poi che il registro RNA (Registro Nazionale degli aiuti di Stato) e la piattaforma incentivi.gov.it rendono disponibili determinati servizi.

Programmazione e coordinamento

Il Capo II si occupa dell’attività di programmazione degli incentivi e del coordinamento istituzionale. Le amministrazioni responsabili devono infatti adottare un programma triennale degli incentivi per programmare gli incentivi di competenza. Il programma deve indicare gli obiettivi strategici, gli incentivi da destinare a tali obiettivi, il cronoprogramma di massima di attuazione e il quadro finanziario.

Per assicurare un adeguato coordinamento tra le politiche statali e regionali di incentivazioni è istituito un Tavolo Permanente degli incentivi.

Attuazione degli incentivi

Il Capo III, dedicato all’attuazione degli incentivi, disciplina i bandi tipo, i criteri per gli affidamenti di attività del ciclo di vita dell’incentivo, gli elementi premiali, i motivi di esclusione, le agevolazioni concedibili, le procedure e le modalità di accesso e di erogazione, le revoche e i controlli.

Valutazione, monitoraggio, informazione e pubblicità degli incentivi

Il Capo IV contiene la disciplina della valutazione degli incentivi, del monitoraggio, della informazione e della pubblicità.

Di estremo interesse l’articolo 21 dedicato alla valutazione. La norma specifica infatti che “le iniziative di sostegno pubblico realizzate attraverso gli incentivi sono assistite da un sistema di valutazione operante lungo il ciclo di vita degli incentivi, comprensivo delle attività di valutazione ex ante, di valutazione in itinere e di valutazione ex post.”

Disposizioni finali

Il Capo V infine contiene le disposizioni transitorie e finali dedicate all’abrogazione di alcune norme e dei testi di legge, alle disposizioni transitorie e di coordinamento e agli aggiornamenti.

L’articolo 28 dedicato alla clausola di invarianza specifica che, dall’attuazione di codice, non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

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opere abusive al comune

Opere abusive al Comune se l’ordine di demolizione non è eseguito entro 90 giorni Acquisizione comunale delle opere costruite abusivamente se l’ordine di demolizione non è stato ottemperato nel 90 giorni dalla notifica 

Acquisizione comunale se ordine di demolizione non è eseguito

Opere abusive al comune se l’ordine di demolizione non viene eseguito entro 90 giorni dalla notifica. Questo quanto emerge dalla sentenza n. 37948/2024 della Corte di Cassazione. Nella motivazione, precisazioni sulle caratteristiche dell’ordine di demolizione e dei suoi rapporti con alcuni provvedimenti amministrativi e giurisdizionali.

Ordine di demolizione eseguito in ritardo: acquisizione comunale

Il Tribunale territoriale revoca l’ordine di demolizione disposto con sentenza del Pretore per opere abusive. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ricorre in Cassazione contro la sentenza. Nell’impugnazione sottolinea lavvenuta acquisizione comunale delle opere a causa del mancato rispetto dellordine di demolizione entro il termine di 90 giorni dalla notifica. Il permesso di costruire in sanatoria rilasciato in relazione alle opere stesse è quindi illegittimo perché rilasciato dopo l’acquisizione comunale.

I fatti e la vicenda processuale

Nel 1997 il Pretore accerta la realizzazione di alcune opere abusive compiute nel gennaio 1995 in violazione di due titoli edilizi del 1994. Alla sentenza segue l’ordinanza sindacale di demolizione. A questa sopravviene un’istanza di condono delle opere, prima della maturazione dei 90 giorni entro i quali ottemperare l’ordine demolitorio.

Nel 1998 interviene il condono edilizio, ma solo per alcune opere. Nel 2001 si accerta che le opere abusive non sono ancora state demolite. Si provvede quindi a notificare al proprietario la distinta ingiunzione di demolire della Procura. Il proprietario nell’aprile del 2001 per alcune opere presenta istanza di sanatoria e a queste segue la concessione edilizia. Viene quindi avviato un procedimento d’annullamento in autotutela della precedente concessione perché la stessa è stata rilasciata dopo i 90 giorni dalla notifica dell’ordinanza del 1994 e dopo l’ingiunzione a demolire o ripristinare.

Mancata ottemperanza dell’ordine di demolizione

La Cassazione accoglie il ricorso del Procuratore e annulla la decisione di revoca dell’ordine di demolizione disposto da oltre vent’anni e mai eseguito. Alla luce dei fatti descritti la Cassazione rileva prima di tutto che nel gennaio 1995 è stato emesso un ordine di demolizione, che non è stato ottemperato. Nel 1998 alcune opere sono state condonate, ma decorsi i 90 giorni dalla notifica dell’ordine di demolizione, il  provvedimento non risulta ancora ottemperato.

Ne consegue la acquisizione di diritto al patrimonio comunale dell’opera perché nonostante il decorso di 90 giorni dalla notifica del provvedimento di demolizione, l’ordine non è stato eseguito. Non rileva ai fini della acquisizione comunale l’ingiunzione a demolire della Procura del 2001.

Ordine di demolizione: profili, natura e finalità

La Cassazione si addentra quindi nell’analisi dell’ordine di demolizione per motivare al meglio la sua decisione.

A tal fine afferma prima di tutto che “l’ordine di demolizione delle opere abusive, emesso con la sentenza passata in giudicato, può essere sospeso solo qualora sia ragionevolmente prevedibile, sulla base di elementi concreti, che in un breve lasso di tempo sia adottato dall’autorità amministrativa o giurisdizionale un provvedimento che si ponga in insanabile contrasto con detto ordine di demolizione.”

Per gli Ermellini è quindi necessario precisare i profili dell’ordine di demolizione, che nel caso di specie è stato revocato e quali sono gli atti di altre autorità che possono venire in contrasto con lo stesso.

L’ordine di demolizione è un provvedimento che viene adottato dal giudice penale quando emette sentenza di condanna per il reato previsto dall’art. 44 del DPR  n. 380/2001, sempre che le opere non siano già state demolite.

Questo provvedimento presuppone quindi la condanna penale per abuso edilizio accertato giudizialmente. L’ordine però non può essere disposto per qualsiasi abuso, ma solo per le opere edilizie costruite in totale difformità del permesso di costruire.

La Cassazione precisa poi che l’ordine di demolizione ha natura sanzionatoria amministrativa. Esso infatti non persegue finalità punitive e produce effetti nei confronti del soggetto che è in rapporto con il bene, anche se non è l’autore dell’abuso.

Esso persegue la finalità di ripristinare la legalità violata. L’ordine infatti persiste anche se interviene la morte del reo. Esso inoltre  è una misura ad rem, che non si prescrive. 

Revocabilità e rapporti con provvedimenti giurisdizionali amministrativi

Questo provvedimento è revocabile solo quando “risulti assolutamente incompatibile con atti amministrativi della competente autorità, che abbiano conferito all’immobile una diversa destinazione o ne abbiano sanato l’abusività.”

Questo tema per la Cassazione impone di esaminare i rapporti tra l’esecuzione dell’ordine di demolizione e le decisioni dell’autorità giurisdizionale amministrativa. In particolare rileva il rapporto tra giudicato penale e amministrativo “nella misura in cui involga, in particolare, il tema della abusività della medesima opera” dal cui esame emerge che: “non ogni tipo di decisione del giudice amministrativo può incidere sull’ordine di demolizione adottato dal giudice penale, con sentenza di condanna irrevocabile. Ma solo quelle che abbiano esaminato li profilo di abusività di un intervento” e non si siano limitate a valutazioni procedurali, come quella che il giudice dell’esecuzione ha valorizzato nel caso di specie, per revocare l’ordine di demolizione.

Quest’ultimo infatti ha preso in considerazione le due pronunce con cui il Tar “in ragione del lungo lasso di tempo intercorso dalla sanatoria all’auto-annullamento della stessa e della assente esplicazione di un interesse pubblico prevalente a base dell’auto-annullamento esercitato dal Comune, ha annullato i provvedimenti di annullamento in autotutela adottati dal Comune in relazione alle opere interessate dal predetto ordine ex art. 31 cit. qui in esame. Si è trattato, infatti, di una decisione estranea ad ogni profilo di merito degli abusi in questione, come tale inidonea a sancire un contrasto che, nei termini finora illustrati, possa giustificare la revoca o sospensione dell’ordine di demolizione ex art. 31 citato.”

Annullamento con rinvio

Si tratta di una decisione che evidentemente non riguarda la sostanza dell’abuso e che trascura la natura ripristinatoria dell’ordine di demolizione, che giustifica l’assenza di un termine di prescrizione.  Da qui la decisione degli Ermellini di annullare l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale per un nuovo giudizio che tenga conto dei principi sanciti.

 

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spid obbligatorio

Spid obbligatorio per accedere a siti porno e scommesse Spid obbligatorio dal 2025 per verificare l’età degli utenti che accedono a siti di contenuti pornografici, scommesse o giochi d’azzardo

Dal 2025 Spid obbligatorio per accedere a siti porno e scommesse

Dal 2025 Spid obbligatorio per verificare l’età degli utenti che accedono a siti pornografici, di giochi e di scommesse.

L’Agcom ha infatti  comunicato di aver approvato nel corso della seduta del 24 settembre 2024 uno schema di decreto per accertare la maggiore età di coloro che accedono a determinati contenuti online. Il provvedimento, ancora in bozza, contiene le linee guida per la tutela dei minori in attuazione di alcune disposizione contenute nel decreto Caivano. Si tratta infatti di contenuti potenzialmente dannosi per lo sviluppo psico fisico dei più giovani.

Spid obbligatorio, ma non solo

Il testo predisposto è il frutto della collaborazione di Agcom con diverse associazioni di consumatori, piattaforme e il Garante della Privacy.

Esso stabilisce che i siti di contenuto pornografico, così come quelli dedicati ai giochi d’azzardo e alle scommesse, saranno obbligati a verificare la maggiore età degli utenti che vi faranno accesso.

Per accertare che l’utente abbia compiuto effettivamente la maggiore età si potrà utilizzare lo Spid. Questo sistema di autenticazione però non è l’unico strumento utilizzabile.

Agcom infatti lascia liberi fornitori di scegliere il sistema di verifica dell’età degli utenti. Alcuni potrebbero utilizzare il futuro l’IT Wallet, altri la Carta di identità elettronica, già impiegata per accedere a molti servizi della Pubblica Amministrazione.

Il metodo utilizzato, qualunque esso sia, dovrà rispettare però la privacy e la sicurezza dell’utente.

E’ anche possibile che i fornitori sviluppino metodi propri come applicazioni o altro. L’importante, anche in questo caso, è che vengano rispettate le regole fissate da Agcom e dal Garante della Privacy.

Tutela del minore: Digital service Act

Il provvedimento, che deve essere ancora sottoposto al vaglio della Commissione Europea, attua in sostanza anche quanto previsto dal Digital Service Art ossia il Regolamento UE 2022/2065.

L’art 28 dedicato alla protezione online dei minori, dispone che i fornitori di piattaforme online a cui possono accedere i minori debbano adottare misure adeguate e proporzionate per tutelare la loro vita privata e la loro sicurezza. I fornitori non devono presentare nell’interfaccia pubblicità basate sulla profilazione, se sono consapevoli che l’utente destinatario del servizio è un minorenne.

L’articolo 35 invece, sull’attenuazione dei rischi, prevede che i fornitori di piattaforme online di grandi dimensioni debbano adottare misure di attenuazione dei rischi ragionevoli, efficaci e proporzionate, che devono comprendere, se opportuno “j) l’adozione di misure mirate per tutelare i diritti dei minori, compresi strumenti di verifica dell’età e di controllo parentale, o strumenti volti ad aiutare i minori a segnalare abusi o ottenere sostegno, a seconda dei casi.” 

Il Regolamento però tutela i minori anche nei considerando che fanno da premessa agli articoli.

Nel considerando n. 12 del Regolamento, ad esempio, tra le attività illegali che si possono compiere online compaiono anche  “la condivisione di immagini che ritraggono abusi sessuali su minori.”

Nel considerando n. 40 invece i minori sono tra i destinatari degli obiettivi di sicurezza e fiducia degli destinatari del servizio.

Si tratta di specificazioni del considerando n. 71 che tratta il tema specifico della tutela dei minori, precisando che: “I fornitori di piattaforme online utilizzate dai minori dovrebbero adottare misure adeguate e proporzionate per proteggere i minori, ad esempio progettando le loro interfacce online o parti di esse con il massimo livello di privacy, sicurezza e protezione dei minori per impostazione predefinita, a seconda dei casi, o adottando norme per la protezione dei minori, o aderendo a codici di condotta per la protezione dei minori.”

 

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