Linee guida per un linguaggio rispettoso della parità
“Linee Guida sull’uso di un linguaggio rispettoso dell’identità di genere nella comunicazione istituzionale e nella redazione degli atti giudiziari”. Questo il titolo del progetto realizzato dal Tribunale di Padova.
L’obiettivo dell’opera è quello di contrastare le discriminazioni che ancora esistono in ambito lavorativo e che si fondano su stereotipi radicati e profondamente sbagliati.
Il linguaggio non è solo forma, è anche sostanza quando aiuta chi legge a percepire che anche le donne possono rivestire ruoli importanti e svolgere professioni di tutto rispetto.
Il documento vuole essere un esempio per avviare un cambiamento culturale, nella speranza di un’ampia condivisione di pensiero.
Linee guida: la struttura del documento
Le linee guida, dal punto di vista bibliografico, si aprono con un indice a cui segue la premessa della Presidente del Tribunale di Padova. La Dott.ssa Caterina Santinello sottolinea l’importanza delle parole perchè “quello che diciamo corrisponde a quello che pensiamo e attraverso il linguaggio comunichiamo e divulghiamo a chi ci ascolta il nostro pensiero.”
Utilità e ragioni di un linguaggio rispettoso
Il documento cerca poi di rispondere a due interrogativi fondamentali. Il primo riguarda l’utilità di un vademecum sul linguaggio, il secondo invece indaga le ragioni della necessità di un linguaggio rispettoso.
Alla prima domanda il documento risponde precisando che le giuste parole possono senza dubbio incidere positivamente sul processo evolutivo e culturale affinché si possa affermare l’immagine della donna libera. Solo le parole sono in grado di cambiare la realtà. Se è vero infatti che le donne che svolgono la professione legale sono quasi il 50% dell’intera categoria non si comprendono le ragioni della resistenza alla declinazione al femminile del termine “avvocato”, in avvocata o avvocatessa. Non è vero che alla base ci sono ragioni prevalentemente linguistiche. La ragione è soprattutto culturale. Un titolo professionale al maschile infatti è percepito come dotato di maggiore prestigio e autorevolezza. Questa la ragione per la quale anche le donne preferiscono essere chiamate con il titolo professionale al maschile.
Un linguaggio correttamente declinato al femminile invece, quando necessario, è importantissimo perché è attraverso la parole che esprimiamo il pensiero. Se il termine avvocata appare “innaturale” è perché in fondo si fa ancora fatica a pensare che una donna possa svolgere questa professione con preparazione e competenza.
Linguaggio paritario: la lingua non c’entra
Il primo paragrafo del documento riporta alcune importanti riflessioni e conclusioni a cui è giunta l’Accademia della Crusca proprio sul linguaggio rispettoso del genere femminile. La revisione del linguaggio giuridico è possibile in questo senso proprio perchè è un linguaggio tecnico, che predilige l’utilizzo di forme neutre e generiche, anche per evitare inutili allungamenti. Ed è proprio questo l’argomento, ossia le scelte linguistiche neutre, l’argomento del secondo paragrafo.
Il terzo paragrafo dedicato alla valorizzazione del femminile suggerisce di evidenziare la presenza delle donne attraverso l’uso di corrispondenze femminili di termini maschili o mediante l’uso di entrambi i termini. Effettuata in ogni caso una scelta linguistica precisa è bene mantenerla in tutto il testo.
Il quarto paragrafo contiene poi una tabella in cui appaiono le regole per declinare al femminile i termini impiegati per descrivere alcuni titoli professionali, lavorativi e politici.
Il quinto paragrafo suggerisce alcune regole grammaticali da rispettare per evitare di denigrare le donne.
L’ultimo paragrafo invece fornisce importanti spiegazioni e precisazioni sul corretto utilizzo del termine “uomo” o “uomini”, spesso impiegato come sinonimo di “persona”.
Le conclusioni, seguite dai principali riferimenti normativi, evidenziano l’importanza del linguaggio per contribuire al difficile processo di cambiamento culturale e giuridico della società. La lingua deve rappresentare i cambiamenti sociali e, come consigliava Orwell non ci si deve arrendere “alle parole stesse”.
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