sfratto per finita locazione

Sfratto per finita locazione Sfratto per finita locazione: normativa, procedimento, differenze rispetto alla intimazione di licenza e giurisprudenza

Cos’è lo sfratto per finita locazione

Lo sfratto per finita locazione è un procedimento giudiziario disciplinato dagli articoli 657 e seguenti del Codice di procedura civile, che consente al locatore di ottenere la riconsegna dell’immobile alla scadenza del contratto di locazione. Questo strumento è utilizzato quando l’inquilino, pur essendo giunto a termine il contratto, non rilascia spontaneamente l’immobile.

Lo scopo della procedura è quello di tutelare il proprietario, consentendogli di recuperare rapidamente la disponibilità del bene senza dover avviare una lunga causa ordinaria.

Procedimento di sfratto per finita locazione

Il procedimento di sfratto per finita locazione segue precise fasi

  1. Intimazione di sfratto: per prima cosa il locatore, con l’assistenza di un avvocato, deve notificare all’inquilino un atto di intimazione di sfratto per finita locazione, accompagnato dalla citazione per la convalida dinanzi al Tribunale competente.
  2. Udienza di convalida: il giudice fissa quindi un’udienza, alla quale l’inquilino può:
  • non presentarsi: in questo caso, il giudice convalida lo sfratto e dispone l’ordine di rilascio dell’immobile;
  • opporsi: in presenza di motivi validi. In questo caso il giudice fissa un’udienza di discussione.
  1. Esecuzione dello sfratto: se l’inquilino non libera spontaneamente l’immobile dopo che il giudice ha convalidato lo sfratto e disposto il rilascio entro un preciso termine, il locatore può procedere con l’esecuzione forzata tramite ufficiale giudiziario.

Opposizione dell’intimato

L’inquilino può opporsi all’intimazione di sfratto presentando delle eccezioni valide, tra cui:

  • la nullità della notifica dell’intimazione di sfratto;
  • la proroga legale del contratto;
  • vizi del contratto di locazione;
  • il pagamento di somme arretrate prima dell’udienza (nel caso di cumulo con lo sfratto per morosità). Se il giudice ritiene fondate le motivazioni dell’opposizione, può disporre il rigetto della domanda di sfratto o la concessione di un termine di grazia all’inquilino.

Differenza tra sfratto e intimazione di licenza

Lo sfratto per finita locazione e l’intimazione di licenza per finita locazione sono due istituti simili, ma con una differenza sostanziale.

  • Lo sfratto per finita locazione si attiva dopo la scadenza del contratto, quando l’inquilino rifiuta di lasciare l’
  • L’intimazione di licenza per finita locazione invece viene notificata prima della scadenza del contratto, avvertendo l’inquilino dell’obbligo di lasciare l’immobile alla fine del contratto.

Giurisprudenza sullo sfratto per finita locazione

La giurisprudenza ha più volte chiarito gli aspetti fondamentali dello sfratto per finita locazione.

  • Tribunale di Brescia 18.03.2024: a seguito della riforma Cartabia, la procedura di convalida di sfratto ex art. 657 c.p.c. si applica anche ai contratti di comodato di immobili e di affitto d’ Il giudice ha chiarito che tale procedura non è limitata ai soli contratti di comodato con durata predefinita, ma vale anche per quelli senza termine (precari), in cui la scadenza coincide con la richiesta di restituzione ex art. 1810 c.c. Di conseguenza, è stata respinta l’opposizione del comodatario, che sosteneva l’inapplicabilità dell’art. 657 c.p.c. al suo caso e chiedeva l’applicazione del rito del lavoro ex art. 447-bis c.p.c.
  • Cassazione n. 5955/2023: nel procedimento di convalida di sfratto, l’opposizione dell’intimato ai sensi dell’art. 665 c.p.c. pone fine alla fase sommaria e avvia un nuovo giudizio ordinario. In questo contesto, il locatore può modificare la causa della domanda, mentre il conduttore può sollevare nuove eccezioni e presentare domanda riconvenzionale.
  • Cassazione n. 14624/2017: Un provvedimento di convalida di licenza o di sfratto, emesso senza i presupposti di legge, deve essere impugnato con appello, poiché ha natura decisoria e valore sostanziale di sentenza. La rimessione al giudice di primo grado è possibile solo nei casi previsti dagli artt. 353 e 354 c.p.c. Questo principio vale anche quando la citazione iniziale è nulla per mancato rispetto del termine di comparizione e il giudizio si è svolto in contumacia. In tale ipotesi, non si configura né la nullità della notifica né altre cause di rimessione. Il giudice d’appello deve quindi decidere nel merito, rinnovando gli accertamenti e consentendo al convenuto di esercitare le facoltà processuali precluse in primo grado.

 

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sequestro conservativo

Sequestro conservativo: una guida pratica Il sequestro conservativo nel codice di procedura civile: disciplina, presupposti, effetti,  cauzione, revoca e conversione

Cos’è il sequestro conservativo e come funziona

Il sequestro conservativo è una misura cautelare disciplinata dall’art. 671 del codice di procedura civile. Esso ha la finalità di garantire la soddisfazione del credito del ricorrente, impedendo che il debitore possa sottrarre o disperdere i propri beni, rendendo inefficace un’eventuale futura esecuzione forzata. Questa misura cautelare può riguardare beni mobili, immobili o crediti, e viene disposto dal giudice su richiesta del creditore, quando vi sia il fondato timore che il debitore possa compiere atti di disposizione pregiudizievoli per il soddisfacimento del credito.

Sequestro conservativo su beni mobili e su beni immobili

Il sequestro conservativo sui beni mobili e sui crediti si realizza ai sensi dell’art. 678 c.p.c in base alle norme del pignoramento presso il debitore o presso terzi. Il sequestro conservativo sugli immobili invece, in base a quanto previsto dall’art. 679 c.p.c si esegue con la trascrizione del provvedimento presso l’ufficio del conservatore dei registri immobiliari nel luogo in cui si trovano i beni.

I presupposti per il sequestro conservativo

Affinché il giudice possa concedere questa misura cautelare, devono sussistere due presupposti fondamentali:

  • fumus boni iuris: il creditore deve dimostrare l’esistenza di un credito fondato e non manifestamente infondato;
  • periculum in mora: vi deve essere il concreto rischio che il debitore possa alienare, occultare o disperdere i propri beni, pregiudicando il soddisfacimento del credito.

La richiesta deve essere presentata al giudice competente con un ricorso motivato e corredato delle prove necessarie.

Gli effetti del sequestro conservativo

Il sequestro conservativo produce effetti immediati sui beni del debitore:

  • indisponibilità dei beni: il debitore non può disporre dei beni sequestrati, ossia venderli, donarli o ipotecarli;
  • tutela del creditore: il creditore ottiene una garanzia sulla possibilità di soddisfare il proprio credito al termine del giudizio.

Esso si converte automaticamente in pignoramento nel momento in cui il creditore ottiene una sentenza di condanna nei confronti del debitore.

Cauzione art. 669 undecies c.p.c.

L’art. 669-undecies c.p.c. prevede che il giudice, con il provvedimento di accoglimento, conferma o modifica del provvedimento cautelare, possa imporre all’istante una cauzione, per l’eventuale risarcimento del danno, dopo aver valutato ogni circostanza.  La cauzione bilancia il rischio che il diritto tutelato provvisoriamente non venga poi confermato nel merito. In questo modo si garantisce l’equilibrio per eventuali danni. Il giudice, con potere discrezionale, ne decide imposizione, importo e modalità, sia al momento della concessione che in caso di modifica del provvedimento.

Revoca e conversione del sequestro conservativo

Il sequestro conservativo può essere revocato o convertito in altre misure.

La revoca può essere richiesta dal debitore se vengono meno i presupposti della misura, dimostrando che il periculum in mora non sussiste più.

La conversione invece si verifica se il creditore ottiene una sentenza di condanna nei confronti del debitore. In questo caso la misura cautelare si trasforma automaticamente in pignoramento, consentendo al creditore di procedere all’esecuzione forzata.

 

 

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sfratto per morosità

Sfratto per morosità: guida e modello Cos’è lo sfratto per morosità, come è disciplinato qual è la procedura che consente al locatore di recuperare l’immobile e modello di sfratto

Cos’è lo sfratto per morosità

Lo sfratto per morosità, disciplinato dall’articolo 658 del codice di procedura civile (c.p.c), è una procedura legale che consente al locatore di recuperare l’immobile concesso in locazione qualora il conduttore non paghi i canoni pattuiti. Si tratta di uno strumento rapido e diretto, pensato per tutelare i proprietari di immobili.

Lo sfratto per morosità è un procedimento giudiziario che il locatore può avviare nei confronti del conduttore inadempiente. La morosità si verifica quando l’inquilino non paga il canone di locazione o le spese accessorie previste dal contratto, rendendo possibile il ricorso a questo rimedio per ottenere il rilascio dell’immobile.

Quando si può sfrattare l’inquilino moroso?

Il locatore può richiedere lo sfratto per morosità quando:

  • l’inquilino non paga uno o più canoni di locazione: il ritardo o l’omissione dei pagamenti costituisce morosità, salvo diverse previsioni contrattuali;
  • non vengono versate le spese condominiali o accessorie se specificatamente previste nel contratto.

In genere, il contratto di locazione stabilisce un termine massimo di ritardo tollerabile prima di considerare il conduttore inadempiente.

Chi può agire per lo sfratto?

Lo sfratto per morosità può essere richiesto:

  • dal proprietario dell’immobile;
  • dall’usufruttuario o titolare di altri diritti reali di godimento;
  • dal procuratore legale autorizzato ad agire in nome e per conto del locatore.

Cosa può fare l’inquilino intimato?

Il conduttore che riceve l’intimazione di sfratto ha diverse possibilità.

  • Contestare il provvedimento dimostrando, ad esempio, di aver pagato i canoni richiesti o sollevando altre eccezioni.
  • Sanare la morosità, ossia pagare tutte le somme dovute (canoni arretrati, interessi e spese legali) prima dell’udienza, evitando lo sfratto.
  • Rilasciare spontaneamente limmobile per evitare di dover sostenere ulteriori costi giudiziari e procedurali.

La convalida dello sfratto

L’articolo 658 CPC prevede che, in assenza di opposizione da parte del conduttore, il giudice possa emettere un provvedimento di convalida dello sfratto.

Questo provvedimento ha la stessa efficacia di una sentenza e consente al locatore di avviare l’esecuzione forzata per ottenere il rilascio dell’immobile.

Esecuzione dello sfratto

Se il conduttore non lascia spontaneamente l’immobile, il locatore può procedere con l’esecuzione forzata, che prevede determinati passaggi

Prima di tutto il locatore deve chiedere al giudice un titolo esecutivo per la liberazione dell’immobile.

In seguito interviene  l’ufficiale giudiziario, per notificare al conduttore l’avviso di rilascio.

Per ottenere infine il rilascio dell’immobile da parte del conduttore, l’ufficiale giudiziario può avvalersi della forza pubblica, se il conduttore non collabora e si oppone al provvedimento.

Giurisprudenza sullo sfratto per morosità

Di seguito alcune massime della Cassazione sullo sfratto per morosità:

  • Cassazione civile n. 17582/2015: nel procedimento di sfratto per morosità, la conferma da parte del locatore della persistenza della morosità è requisito essenziale per la convalida.
  • Cassazione civile n. 3629/2018: dopo la convalida di sfratto, l’assenza dell’intimato o del suo difensore per forza maggiore può derivare da un malore, se improvviso e imprevedibile. Il giudice, con valutazione di fatto insindacabile se motivata, deve accertare il nesso tra la malattia e la mancata comparizione.
  • Cassazione civile sez. un. n. 25478/2021: se un’esecuzione forzata si basa su un titolo giudiziale non definitivo poi annullato, l’opposizione va dichiarata con provvedimento di cessata materia del contendere. Le spese sono assegnate secondo la soccombenza virtuale, valutata sui motivi iniziali dell’opposizione.

Modello di intimazione di sfratto per morosità

Ecco un esempio pratico di atto di intimazione:

Tribunale di [Luogo]
Atto di intimazione di sfratto per morosità e contestuale citazione per convalida

Il Sig./La Sig.ra [Nome e Cognome del Locatore], residente in [Indirizzo], rappresentato/a e difeso/a dall’Avv. [Nome e Cognome], con studio in [Indirizzo], espone quanto segue:

Premesso che:

  1. In data [data], le parti hanno stipulato un contratto di locazione per l’immobile sito in [indirizzo], registrato presso [Ufficio].
  2. Il conduttore, Sig./Sig.ra [Nome e Cognome], ha omesso il pagamento dei canoni di locazione per i mesi di [elenco mesi] per un importo complessivo di € [importo], oltre alle spese accessorie pari a € [importo].

Chiede:

  1. Di intimare al Sig./Sig.ra [Nome del Conduttore] di rilasciare l’immobile entro [data].
  2. Di fissare udienza per la convalida dello sfratto.
  3. Di condannare il conduttore al pagamento delle somme arretrate, oltre interessi e spese legali.

Data e luogo,
Il Locatore
[Firma]

 

 

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querela di falso

Querela di falso Cos’è e quali sono i presupposti della querela di falso, istituto disciplinato dagli articoli 221 e seguenti del codice di procedura civile

Querela di falso: cos’è

La querela di falso è un istituto disciplinato dagli articoli 221 e seguenti del Codice di Procedura Civile, che consente di contestare l’autenticità o la veridicità di un documento pubblico o di una scrittura privata autenticata. È uno strumento giuridico fondamentale per garantire la correttezza e la trasparenza nel processo civile, tutelando le parti da eventuali abusi.

Si tratta di una procedura specifica che mira a dimostrare che un documento è stato alterato, falsificato o non corrisponde alla realtà.

Questo strumento può essere attivato sia in via incidentale (nel corso di un processo già pendente) sia in via principale (con un procedimento autonomo).

Presupposti della querela di falso

Per proporre questo tipo di querela è necessario che:

  • il documento abbia rilevanza probatoria: la contestazione deve riguardare cioè un documento che potrebbe incidere sull’esito del giudizio;
  • esista un interesse concreto: chi propone la querela deve avere un interesse legittimo e attuale nel contestare il documento;
  • non sia già intervenuta una pronuncia sullautenticità: il documento non deve essere stato già dichiarato valido o invalido in un procedimento precedente.

La normativa di riferimento

Gli articoli 221-227 c.p.c disciplinano dettagliatamente la querela di falso. Vediamo cosa prevedono in breve le norme più importanti.

Art. 221 c.p.c: stabilisce che la querela di falso possa essere proposta in via principale o incidentale e dispone che la stessa, a pena di nullità, debba contenere l’indicazione degli elementi e delle prove della falsità.

Art. 222 c.p.c: regola le modalità di proposizione in via incidentale, prevedendo che il giudice, in presenza di un documento da utilizzare in causa, autorizzi la presentazione della querela e proceda all’ammissione dei mezzi istruttori stabilendo tempi e modi della loro assunzione.

Art. 223 c.p.c: si occupa del processo verbale di deposito nell’ambito dell’udienza in cui viene presentata la querela e ne definisce il contenuto.

Art. 225 c.p.c: disciplina la competenza, stabilendo che sulla querela di falso si debba pronunciare il Tribunale in composizione monocratica e sancisce che il giudice possa trattenere la causa in decisione in relazione alla querela, disponendo la continuazione della trattazione nel merito sulle domande che non dipendono dal documento oggetto di contestazione.

Art. 227 c.p.c:  stabilisce che le sentenze che decidono sulla querela di falso abbiano esecuzione dopo il passaggio in giudicato e che, se non la promuovono le parti, la stessa venga promossa dal Pubblico Ministero.

Giurisprudenza sulla querela di falso

La giurisprudenza ha più volte chiarito importanti aspetti della querela di falso.

Cassazione civile n. 2152/2021:

Il giudizio di verificazione di scrittura privata e la querela di falso hanno natura diversa: il primo accerta l’autenticità della sottoscrizione, mentre la seconda può riguardare anche la genuinità del contenuto del documento. La proposizione della querela di falso è preclusa solo se il giudizio di verificazione si è concluso con una sentenza definitiva che accerti l’autenticità della sottoscrizione, salvo il caso in cui la querela riguardi aspetti ideologici del documento. Se la querela è ammessa nonostante la preclusione, il giudicato del giudizio di verificazione prevale su quello del giudizio di falso.

Cassazione civile n. 12118/2020:

Nel proporre querela di falso, è possibile utilizzare qualsiasi mezzo di prova ordinario, comprese le presunzioni. Questo vale soprattutto nei casi in cui non venga contestata l’autenticità della sottoscrizione, ma si denunci il riempimento del documento senza accordo (“absque pactis”), mettendo in dubbio il legame tra il contenuto del testo e il suo autore.

Cassazione civile n. 12035/2017:

In caso di querela di falso proposta incidentalmente, dopo la decisione sul falso, il giudizio di merito, sospeso per legge, deve riprendere. Tuttavia, se la sentenza sul falso viene impugnata, il giudice può disporre la sospensione del giudizio di merito ai sensi dell’art. 337, comma 2, c.c. Questo perché tra il processo sul falso e il merito esiste un rapporto di pregiudizialità-dipendenza, previsto dall’art. 225, comma 2, c.p.c. In assenza di norme che impongano la sospensione fino al giudicato, si applica la sospensione facoltativa se ne ricorrono le condizioni.

Cassazione civile n. 19727/2003:

Il sequestro e il verbale di deposito del documento oggetto di querela di falso sono rimessi alla discrezionalità del giudice. Questi provvedimenti possono essere adottati se ritenuti necessari in base alle specificità del caso, senza che la legge preveda sanzioni di nullità per la loro omissione. Tali misure hanno una funzione ordinatoria, finalizzata alla risoluzione della controversia.

 

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litisconsorzio necessario

Litisconsorzio necessario Il litisconsorzio necessario nell'art. 102 c.p.c definizione, applicazioni e differenza con il litisconsorzio facoltativo

Cos’è il litisconsorzio necessario

Il litisconsorzio necessario, disciplinato dall’art. 102 del codice di procedura civile, rappresenta uno degli istituti centrali per garantire il contraddittorio nei processi civili in cui siano coinvolte più parti. Questo istituto prevede la partecipazione obbligatoria di una pluralità di soggetti al processo quando la decisione non può essere utilmente adottata in loro assenza.

L’art. 102 del codice di procedura civile

L’art. 102 c.p.c. stabilisce che, qualora la decisione della causa non possa essere adottata senza la presenza di tutti i soggetti interessati, questi ultimi devono agire o essere convenuti nello stesso processo. Il litisconsorzio necessario nasce, quindi, dall’esigenza di tutelare l’integrità del giudizio e di evitare che una decisione possa risultare inefficace o pregiudizievole per i diritti di soggetti assenti. Il fondamento di tale istituto risiede nel principio del contraddittorio, sancito dall’art. 111 della Costituzione italiana, e nell’unità del rapporto giuridico controverso. È applicabile principalmente nei casi in cui vi sia un rapporto giuridico plurisoggettivo, ossia un vincolo indissolubile tra più soggetti rispetto al diritto controverso.

Quando è necessaria l’integrazione del contraddittorio

L’integrazione del contraddittorio è prevista dall’art. 102 c.p.c. nei casi in cui il giudizio sia iniziato senza la partecipazione di tutti i soggetti necessari. In tali situazioni, il giudice deve ordinare l’integrazione, indicando un termine perentorio entro il quale le parti mancanti devono essere chiamate in causa. Se l’integrazione non avviene nei termini indicati, il processo è dichiarato nullo, in quanto la decisione sarebbe inefficace o potenzialmente lesiva dei diritti degli interessati non coinvolti.

Esempi di litisconsorzio necessario si riscontrano:

  • nelle cause successorie, quando si discute della validità del testamento o della divisione dell’eredità, dove tutti i coeredi devono partecipare al giudizio;
  • nelle controversie relative a beni indivisi, in cui è indispensabile la presenza di tutti i comproprietari;
  • nei procedimenti concernenti rapporti obbligatori solidali o indivisibili, che coinvolgono più soggetti legati dallo stesso vincolo giuridico.

Differenza tra litisconsorzio necessario e litisconsorzio facoltativo

È importante distinguere il litisconsorzio necessario dal litisconsorzio facoltativo, regolato dall’art. 103 c.p.c.

Il primo implica la partecipazione obbligatoria di tutti i soggetti interessati al rapporto giuridico controverso; il secondo, invece, consente una partecipazione opzionale di più parti al processo, senza che ciò sia indispensabile per la validità del giudizio.

La differenza principale risiede quindi nella natura del rapporto giuridico:

  1. Litisconsorzio necessario: il rapporto giuridico controverso è unico e inscindibile, tale da richiedere la presenza di tutte le parti per garantire una decisione efficace e legittima.
  2. Litisconsorzio facoltativo: la pluralità di parti deriva dalla possibilità di trattare più controversie connesse nello stesso processo per motivi di economia processuale o per evitare decisioni potenzialmente contraddittorie. Il litisconsorzio facoltativo può verificarsi ad esempio in una causa contro più debitori solidali, in cui l’attore può scegliere di convenire in giudizio uno o più debitori, senza che sia necessario coinvolgerli tutti.

 

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