Il conflitto di interessi come illecito disciplinare
La sentenza n. 443/2024, pubblicata il 29 giugno 2025 sul portale del Codice Deontologico Forense, ha affrontato un tema di grande rilievo in materia di responsabilità disciplinare dell’avvocato: il conflitto di interessi.
Il Consiglio Nazionale Forense ha stabilito che l’illecito sussiste anche in assenza di un danno effettivo e persino quando il conflitto sia solo potenziale, ribadendo la funzione preventiva della norma.
Il fatto oggetto di contestazione
Nel caso deciso, un avvocato era stato deferito per avere assunto l’incarico di assistenza in un procedimento in cui l’altra parte era un soggetto con il quale intratteneva rapporti professionali e personali qualificati, tali da ingenerare il rischio che l’attività difensiva potesse non essere svolta con piena indipendenza.
La difesa del professionista si era concentrata sull’assenza di un concreto pregiudizio per il cliente e sull’impossibilità di dimostrare che i rapporti con la controparte avessero effettivamente influenzato il suo operato.
La decisione del CNF: l’illecito di pericolo
Il Consiglio Nazionale Forense ha respinto questa tesi, chiarendo che la violazione dell’art. 24 del Codice Deontologico Forense si configura come illecito di pericolo, assimilabile – per struttura – a fattispecie proprie del diritto penale in cui il rischio astratto di danno è sufficiente a integrare la condotta vietata.
Come precisa la motivazione, il divieto di operare in conflitto di interessi mira a:
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Tutela della fiducia del cliente
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Garanzia dell’indipendenza e imparzialità dell’avvocato
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Salvaguardia della corretta percezione sociale dell’attività professionale
In questa prospettiva, è sufficiente che l’attività difensiva possa apparire condizionata da interessi contrapposti, a prescindere dal pregiudizio effettivo subito dal cliente.
Il concetto di conflitto anche solo potenziale
Il CNF ha ribadito che l’art. 24 cdf ha una finalità anticipatoria e preventiva, volta a evitare situazioni che possano anche solo far dubitare della correttezza dell’operato del professionista.
Di conseguenza, per l’integrazione dell’illecito disciplinare non è necessario dimostrare:
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La produzione di un danno concreto
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L’effettivo condizionamento dell’azione difensiva
Basta che l’avvocato versi in una condizione idonea ad alterare la percezione di terzietà e lealtà richiesta dal ruolo.